PREFAZIONE AL QUADERNO DELLA COSTITUZIONE
DEL PRESIDENTE DELLA REPUBBLICA, GIORGIO NAPOLITANO *
Cari ragazzi,
la Costituzione che entra a far parte della vostra personale biblioteca è un documento prezioso, perché contiene i principi sui quali si fonda la nostra Repubblica democratica; un documento del quale è importante che voi ragazzi conosciate appieno l’origine e la storia, affinché possiate compiutamente apprezzare il valore delle conquiste politiche e sociali che esso ha consentito e garantito in sessant’anni di vita costituzionale. La Costituzione va letta, va studiata e va praticata, prendendo le mosse dai principi fondamentali che costituiscono la sua ragione d’essere.
L’articolo 3, innanzi tutto, che, dopo aver sancito la pari dignità sociale e l’uguaglianza dei cittadini davanti alla legge senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali, stabilisce: “E’ compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale che, limitando di fatto la libertà e l’eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l’effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all’organizzazione politica, economica e sociale del Paese”.
Il raggiungimento di questo obiettivo, che va costantemente proposto e perseguito, è un compito difficile, che richiede la cooperazione di tutti, cittadini, pubblici poteri e istituzioni democratiche, in un consapevole e incessante sforzo comune. L’impulso a questo sforzo comune viene direttamente dalla Costituzione, là dove segna il percorso da seguire per far sì che si sviluppi, fin dalla più giovane età e nell’esperienza scolastica, un costume di tolleranza e di confronto civile delle idee e delle opinioni. Tale costume deve naturalmente improntare di sé anche i rapporti tra italiani e stranieri che scelgono di vivere nel nostro Paese. E’ un costume di impegno democratico, fondato sul rispetto delle regole e fortemente ancorato ai valori di libertà e di dignità umana consacrati nella Costituzione.
Nel raggiungimento di questo obiettivo, cari ragazzi, vi guadagnerete il titolo di costruttori di democrazia.
* Prefazione del Presidente Napolitano per "Il Quaderno della Costituzione" (documento PDF)
Sul tema, nel sito, si cfr.:
Scuola, si allarga la protesta anti-Gelmini
Si allarga la protesta studentesca contro l’operato del ministro dell’Istruzione, Università e Ricerca, Mariastella Gelmini. *
Le scuole romane dove lunedì l’anno scolastico è cominciato con il lutto al braccio degli insegnanti contro le riforme del ministro Gelmini hanno deciso di portare la loro protesta fin sotto Montecitorio. È in corso un sit-in contro il maestro unico e i tagli alla scuola a cui stanno prendendo parte docenti, mamme, bambini e dirigenti scolastici. «Il futuro dei bambini non fa rima con Gelmini», si legge sulle magliette dei manifestanti. Alla elementare Iqbal Masiq è in corso una occupazione che finirà solo il 19. Tra gli istituti in piazza, oltre alla Masiq, ci sono la scuola Ghandi, la Trilussa, la Romolo Balzani, la Pisacane, la Ada Negri. «Siamo qui - spiegano gli organizzatori - perchè in commissione istruzione è partita la discussione del decreto sul maestro unico che contestiamo». «I bambini sono nell’era di internet- commenta Francesca, una mamma della scuola Ghandi - il maestro unico viene dalla preistoria».
Dopo le contestazioni portate avanti lunedì dall’Unione degli studenti, in occasione del primo giorno di scuola, a Roma è stato presentato il programma di mobilitazione realizzato dal neonato sindacato studentesco delle scuole superiori la "Rete degli studenti".
Nel nuovo sindacato confluiscono tre sigle studentesche: i Reds, l’Isim ed gli Sds. «Il nostro vuole essere un progetto apolitico - spiega Giulia Tosoni, tra i promotori della Rete degli studenti - che ha voluto riunire tre soggetti studenteschi attivi che credono fortemente nella contrapposizione alla politica di questo governo».
«Il sindacato - continua Tosoni - è nato infatti questa estate all’indomani della presentazione dei decreti legge che intendono introdurre tagli, maestro unico, voto in condotta ed il terribile piano di ridimensionamento del sistema scolastico: tutti provvedimenti che non tengono conto degli studenti, ma che li penalizzano fortemente».
L’obiettivo principale della Rete degli Studenti è il responsabile del ministero di viale Trastevere: «attraverso le sue parole siamo ormai arrivati - sottolinea Tosoni - ad una vera e propria "emergenza ballismo": ci impegneremo al massimo per svelare tutte le balle del ministro Gelmini, che continua a prendersi gioco degli italiani con i suoi progetti di riforma».
Il programma di mobilitazione della Rete degli studenti prevede la prima manifestazione già per venerdì prossimo, il 19 settembre, con striscioni in diverse città italiane: «i nostri studenti - fanno sapere dal sindacato - sfileranno sicuramente a Roma, Venezia, Torino, Perugia, Sassari, Ancona, Foggia e Lecce». È stata fissata anche una manifestazione nazionale per il 4 ottobre a Roma sotto il Miur.
Intanto Gelmini, in un’intervista al "Sole 24 ore" ne "spara" altre. «Il nostro obiettivo è affiancare al sistema dei licei una riqualificazione della formazione professionale e degli istituti tecnici», applicando «la riforma dal 2009» in cui «stiamo valutando di ridurre le ore settimanali delle superiori».
Sulla scelta di tornare al maestro unico, Gelmini dice che «è ingiustificato l’allarme della sinistra», poichè «con questo piano siamo in grado di mantenere il tempo pieno ma anche di migliorarne la qualità e di estenderne l’orario del 50 per cento».
Sul futuro dei precari della scuola, Gelmini afferma che «ad alcuni docenti che risultassero in esubero chiederemo uno sforzo per apprendere altri insegnamenti». E aggiunge: «in futuro ridurremo da due anni a un anno il corso per accedere all’insegnamento» e «daremo un mano ai precari anche con la riforma delle classi di concorso».
Infine, sulla "manovra d’estate" che prevede il taglio di 87 mila cattedre in tre anni, Gelmini spiega che «il principio cardine del mio piano è l’individuazione del costo standard» in modo che questo costo «venga finanziato in ogni Regione».
Primo giorno di scuola, tutti contro la Gelmini *
Il "lutto" delle insegnanti a FirenzeLa campanella è suonata. Ma nelle aule delle scuole italiane sono in pochi ad essere allegri per la ripresa dell’anno scolastico. È non è solo nostalgia per le vacanze. Le novità introdotte dal ministro Gelmini infatti, non sono ancora in vigore ma insegnanti, famiglie e studenti, sono già sul piede di guerra.
In Campania - dove i taglia della Gelmini farebbero sette mila licenziati - lunedì mattina si è tenuto un sit in in piazza del Plebiscito. La preoccupazione riguarda soprattutto la situazione degli studenti disabili: il caso di una mamma che ha denunciato la riduzione delle ore di sostegno per il figlio, iscritto a scuola media di Torre Del Greco, ha fatto luce sulla drammatica situazione di «mille insegnanti di sostegno in meno rispetto alle richieste degli istituti scolastici, di cui 500 solo in provincia di Napoli». A Palermo, la protesta in piazza - un sit-in di docenti, dirigenti scolastici, genitori e sindacati - è solo rimandato a mercoledì.
Singolare protesta a Roma, dove genitori e insegnanti della scuola elementare «Iqbal Masih» occuperanno per una settimana le aule della scuola: «L’occupazione inizierà alle 12.30 e andrà avanti per una settimana - ha spiegato l’insegnante Paola De Meo - Questa mattina, come annunciato, abbiamo messo il lutto al braccio, ma entrati in classe l’abbiamo tolto per non impressionare i bambini. Durante il pomeriggio, alla fine delle lezioni che andranno avanti regolarmente, abbiamo organizzato attività, teatrali e musicali nonché informative sul funzionamento delle dinamiche scolastiche, una materia che, purtroppo, non tutti conoscono e per cui non sempre viene compresa l’importanza e il significato delle nostre proteste».
Lutto al braccio anche in numerose scuole di materne ed elementari di Firenze. Mentre a Mestre le proteste sono state coordinate dal comitato «Non rubateci il futuro». Tutte queste voci fuori dal coro, la ministra incriminata, non le ha prese bene. «Trovo vergognoso - ha spiegato - che si strumentalizzino i bambini per cavalcare proteste che sono solo politiche. Sembra non conoscere limite - sostiene - invece, l’opera di disinformazione e allarmismo messa in piedi da chi difende lo status quo di una scuola che per come è strutturata oggi non può avere un futuro».
Le risponde Maria Coscia, responsabile scuola del Partito democratico: «Caro ministro - le spiega - oggi le famiglie la stanno contestando insieme ai loro figli, le prime vittime della sue scelte, in maniera del tutto autonoma. Non esiste una regia politica, le famiglie la contestano spontaneamente perché la sua è una controriforma che vuole azzerare il servizio pubblico, riducendo le scuole e l’orario scolastico. I precari protestano perché viene tolto loro il posto di lavoro. Il personale docente vi contesta perché tagliate miliardi di euro al sistema scolastico ed universitario».
* l’Unità, Pubblicato il: 15.09.08, Modificato il: 15.09.08 alle ore 21.12
La scuola che comincia con il lutto al braccio
di FRANCESCO MERLO *
LA MINISTRA Gelmini li voleva in rosso-Stalin, ma i maestri italiani non sono caduti nella trappola e si sono listati il braccio di nero-Gelmini. Viva, dunque, questa elegante protesta dei maestri che ha messo in lutto il governo e ha spiazzato la ministra che, con la sua corona di neo addetti stampa (ricordate gli utili idioti?) cerca, sogna e brama una sgangherata violenza sessantottina. Si era insomma allenata, la signora di Brescia, per affrontare gli insegnanti sbracati di cui sparla da quando è diventata ministro. Perciò ora non sa come prendere la contestazione ironica e sobria espressa con quel nero, che lei stessa ama molto indossare e che non strumentalizza proprio nulla, meno che mai i bambini.
E ci pare mal consigliata la Gelmini quando sostiene che, con quel nero al braccio, i maestri usano i bambini contro di lei. Gli insegnanti non si sono listati di nero né contro i bambini né insieme ai bambini. Sono in nero perché orfani di chi, meglio di tutti, dovrebbe rappresentarli e proteggerli; sono a lutto del buon governatore comprensivo come un padre di famiglia; protestano perché il ministro, che dovrebbe schierarsi con la scuola tutta, si è invece schierato contro l’anima della scuola.
Viene dunque il sospetto che, spiazzata dalla civiltà e dalla compostezza della protesta, la Gelmini abbia usato - lei - i bambini come nascondiglio retorico per il suo disagio, per la sua prima sconfitta. Capita, del resto, alla Gelmini di imputare agli altri i propri peccati. Gian Antonio Stella ci ha raccontato sul Corriere di come proprio lei, che ha sprezzantemente accusato il Sud di regalare titoli di studio agli incompetenti, avesse raccattato un’abilitazione professionale - avvocato - in un dirupo di Reggio Calabria.
Sono spesso neri i tailleur della Gelmini. Le permettono, grazie alla tinta del rigore, di esporre con dignità tranquillizzante la propria maliziosa femminilità. Anche i maestri italiani, ben lontani dallo stile straccione che la Gelmini vede in loro, hanno scelto il rigore del nero per denunziare, con la stessa dignità tranquillizzante dei sornioni tailleur ministeriali, che la scuola italiana è orfana, anzi è ’adespota’, senza capo, parola di etimo greco che abbiamo imparato in quel liceo che la Gelmini vorrebbe - anche questo! - rimpicciolire, avvelenare e dunque far sparire introducendo - come ha fatto sapere - ’il liceo breve’, che diventerebbe un’altra morte lenta ma, intanto, è già un’altra provocazione.
Alle orecchie di chi conosce l’importanza del liceo italiano, - "la sartoria della vita" diceva Lucio Colletti - l’espressione "liceo breve" suona infatti come ’gigante nano’. E vale a poco sostenere che altri ministri dell’Istruzione, di destra di centro o di sinistra, avevano già avuto qualcuna delle pensate della Gelmini. La signora di Brescia non è la prima che, da ministro, maltratta la scuola, che la sottopone alla violenza dell’incompetenza.
E ovviamente si capisce che il liceo breve, il liceo ridotto di un anno, farebbe risparmiare altro danaro. Ma non c’è solo la bassa ragioneria all’origine di queste provocazioni. La Gelmini provoca per dimostrare che dietro la formazione italiana, dietro il liceo - soprattutto classico - c’è ancora il sessantotto, ci sono i fannulloni fradici di ideologia comunista, anzi classico-comunista. Ma il liceo italiano non è ’la scuola quadrì dei rivoluzionari frustrati. Stia attenta la Gelmini a toccare il meglio dell’Italia e della sua memoria, la nostra eccellenza, il modello nazionale per il quale ancora, ogni tanto, ci distinguiamo nel mondo. E stia attenta a ripetere che bisogna fare come la Francia o come l’Inghilterra, o ancora come gli Stati Uniti o come la Germania. In realtà una virtù che bisognerebbe a tutti i costi ’rubarè a questi Paesi è il non inseguire modelli stranieri, quasi sempre incomparabili, ma di sostenere e di rafforzare un proprio sistema nazionale. Gli inglesi non vogliono diventare come gli americani né i francesi come i tedeschi (con la stessa, insopportabile retorica si potrebbe consigliare alla Gelmini di farsi... protestante).
E poi, andiamo!, avvocato Gelmini: l’adulto italiano che ripensa al liceo non si ferma alle manifestazioni, alle occupazioni e al 6 politico, ma si abbandona al ricordo della scoperta dei libri, della capacità di resuscitare i morti, dell’universo pieno di miti e di simboli, di quei professori ai quali i maestri che lei umilia devono per esempio l’ironia e l’arguzia di vedere in lei non il nemico di classe, ma la linguaccia lunga di Santippe che, surrogando il linguaggio intelligente, importuna Socrate e infastidisce la decenza (anche se per la verità si sospetta che Socrate si sia convinto a bere la cicuta proprio per liberarsi dalle angherie di Santippe).
È grazie al liceo che i maestri italiani stanno affrontando le provocazioni della ministra non con la violenza della demagogia che la Gelmini a tutti i costi vuole (re) suscitare, non con il ritorno di Potere operaio e di Lotta continua che la signora ha bisogno di avere come nemici, ma con il nero dell’educazione civica, con il nero del catechismo morale, con il nero della scienza greca - mélas cholé è lo spleen inglese, l’umor nero, la malinconia della scuola - , e con il nero della scienza latina - nigri sed formosi, neri ma belli direbbe Orazio dei maestri in cromatica rivolta.
La verità è che la Gelmini sta cercando con tutte le sue forze la protesta di piazza per poter dire che nella scuola italiana sono tutti comunisti, tutti fuori dalla storia prima che dal mercato. Ne ha bisogno per affrontare la scuola con lo sproloquio di Bossi, con la in-cultura della Lega, con il bisturi economicistico e con la demolizione della presunta egemonia culturale. Insomma la Gelmini si vede già protagonista di una specie di neo maccartismo alle vongole, anzi alla polenta.
Speriamo dunque che si diffonda questo tipo di protesta fantasiosa ed efficace. I colori infatti esprimono benissimo gli umori e rispondono alla regola delle opposizioni. Nei colori c’è l’idea relativista - laica - che anche la protesta è governata da quel principio di indeterminazione che abbiamo imparato al liceo: tutto dipende dalla dose e dal contesto e si può stare con il nero che rimanda al caos dell’inizio o con il nero che rimanda alla dolente compostezza della fine. Come abbiamo imparato ad usare la gobba di Leopardi contro quella di Andreotti così sappiamo che il rosso è allarme ma è anche sangue versato, è aggressività violenta ma è anche amore.
E dunque, per esempio, contro Brunetta che sogna l’ipercinesi mercuriale del colore aragosta o del blu elettrico, gli statali potrebbero presentarsi in ufficio con una bandana celeste da fannulloni in relax. E i dipendenti dell’Alitalia potrebbero viaggiare con un arcobaleno di protesta sulla giacca verde... Infine, se la Gelmini dovesse davvero insistere nella volontà di accorciare il liceo, ebbene tutti quelli che lo hanno amato e vorrebbero ancora mandarci i propri figli potrebbero fondare il movimento delle camicie blu cobalto, che è il colore della gonna di quella bellissima dark lady che piaceva da morire al Falcone Maltese, romanzo ovviamente noir.
* la Repubblica, 16 settembre 2008
Nastro scuro al braccio in tutta Italia contro la riforma Gelmini
A Firenze, in alcuni plessi, le insegnanti accolgono gli alunni interamente vestite di nero
"No ai tagli, no al maestro unico"
La protesta delle maestre in lutto
ROMA - Questa volta le maestre proprio non ci stanno. E in tutta Italia il primo giorno di scuola decidono di protestare contro la riforma Gelmini, silenziosamente, con un nastro nero legato al braccio, in segno di lutto. Se a Firenze i bambini di alcune scuole materne ed elementari hanno trovato gli insegnanti vestiti completamente di nero, a Roma prof e genitori hanno deciso di occupare un istituto.
Tutti in nero a Firenze. E’ questa la forma di protesta contro la riforma del ministro Gelmini decisa dalle insegnanti della scuola pubblica materna Andrea del Sarto, la scuola dell’infanzia Giotto e la scuola primaria Capponi a Firenze. Le maestre hanno atteso gli studenti davanti ai plessi scolastici, fuori dal portone con tutto l’abito nero e uno striscione: "No ai tagli, no al maestro unico". Solo nelle prime elementari, all’arrivo a scuola dei piccoli studenti, la protesta è stata più sobria, con le maestre che comunque indossavano qualcosa di nero. Altre forme di contestazione contro la riforma Gelmini sono state annunciate per oggi e i prossimi giorni in tutti gli istituti scolastici che fanno parte del circolo 11 di Firenze.
A Roma scatta l’occupazione. Si protesta attivamente anche nella capitale. Volantinaggi e assemblee alla scuola elementare "Iqbal Masih" di via Ferraironi. Stessa situazione alla succursale di via Balzani, nel quartiere Casilino 23. Come già annunciato, anche qui il primo giorno di scuola è iniziato con la protesta di insegnanti e genitori contro la riforma Gelmini e l’introduzione del maestro unico.
"L’occupazione della scuola inizierà alle 12.30 e andrà avanti per una settimana - ha spiegato l’insegnante Paola De Meo della Iqbal Masih - Questa mattina, come annunciato, abbiamo messo il lutto al braccio, ma entrati in classe l’abbiamo tolto per non impressionare i bambini. Durante il pomeriggio, alla fine delle lezioni che andranno avanti regolarmente, abbiamo organizzato attività, teatrali e musicali nonché informative sul funzionamento delle dinamiche scolastiche, una materia che, purtroppo, non tutti conoscono e per cui non sempre viene compresa l’importanza e il significato delle nostre proteste".
La mobilitazione è stata decisa quasi all’unanimità dal Collegio dei docenti ("ci sono stati un’astenuta e un voto contrario"). Anche alla succursale di via Balzani, alle 8 si è svolto un volantinaggio e alle 8,30 una breve assemblea tra genitori e docenti.
* la Repubblica, 15 settembre 2008
Maestro unico
Possiamo ancora fermarli basta che il decreto legge decada in Parlamento
Il primo giorno di scuola dimostriamo con un segno nero di lutto la nostra indignazione per come questo paese tratta i suoi bambini
La protesta cresce giorno dopo giorno *
Unità, Corriere della Sera, Stampa ed altri giornali riportano la notizia che il movimento, anche da noi sostenuto, “Il primo giorno di scuola dimostriamo con un segno nero di lutto la nostra indignazione per come questo paese tratta i suoi bambini” sta prendendo piede nelle grandi città.
Sono attualmente 325 le scuole che da tutta l’Italia ci hanno inviato una e mail per aderire all’iniziativa, per raccontarci la loro volontà di contrastare il Ministro Gelmini e la loro voglia di difendere l’esperienza dei moduli e del tempo pieno della scuola elementare cancellata dal DL 137/2008.
Raccolte di firme, il “lutto per la tristezza” anche da noi proposto, le sempre più numerose mobilitazioni dei sindacati territoriali, le prese di posizione contro la sciagurata proposta del DL 137/2008 da parte dei sindacati scuola nazionali, dei partiti, dal PD, passando da Rifondazione ad IDV (persino Bossi non è contento!) stanno creando le condizioni per far sì che per il Governo, la trasformazione definitiva in legge del DL del maestro unico, non si riveli proprio una passeggiata.
Un coro di iniziative creative che si fanno forza l’una con l’altra permetteranno insieme di raggiungere il risultato.
da l’Unità del 10/09/2008: 40 istituti con il «lutto» al braccio
ROMA Le scuole di Roma si vestono a lutto contro la riforma Gelmini. Il ritorno al maestro unico, così come i tagli ai fondi per la scuola pubblica, hanno scatenato le proteste dei docenti di quasi quaranta istituti della capitale, la maggior parte elementari, riuniti in coordinamento per organizzare una forma di protesta efficace ed impedire che il decreto venga convertito in legge. Da qui l’idea, fortemente simbolica, di raccogliere l’invito dei sindacati di categoria e presentarsi il 15 settembre, primo giorno di scuola, con un nastro nero legato al braccio e l’esposizione di drappi neri in segno di lutto per «la fine del nostro sistema scolastico», spiegano gli aderenti al coordinamento. A reggere le file della protesta è la scuola elementare "Iqbal Masih", che deve il suo nome al bambino pakistano simbolo della rivolta contro il lavoro minorile.
da Il Corriere della sera del 10/09/2008: Gli anti-Gelmini - La protesta: in classe listati a lutto
ROMA - Quaranta scuole di Roma si vestono a lutto contro la riforma del ministro Mariastella Gelmini. I docenti degli istituti, la maggior parte elementari, hanno raccolto l’invito dei sindacati di categoria a presentarsi il 15 settembre, primo giorno di scuola nella capitale, con un nastro nero legato al braccio e di esporre drappi in segno di lutto per «la fine del nostro sistema scolastico». Il coordinamento genitori-insegnanti in difesa della pluralità docente si è riunito per la prima volta nella scuola elementare "Iqbal Masih". Tra le elementari romane, quelle colpite direttamente dalla decisione di reintrodurre il maestro unico, hanno dato la propria adesione 25 istituti, circa il 13 per cento del totale, tra cui la "Gandhi" e la "Marconi".
Ma la partecipazione non è mancata nemmeno tra le scuole medie, sia inferiori (la "D’Acquisto") che superiori (L’Itis "Hertz" e l’Ipssar "Artusi"), tra gli istituti comprensivi e, da fuori provincia, dagli istituti di Fiumicino e Latina.
da La Stampa del 10/09/2008: Maestre in rivolta a Roma e a Torino con il lutto al braccio
Le maestre raccontano di classi formate per il 60% di bambini di origine non italiana, di piccoli rom e di disabili anche gravi, in carrozzina, alimentati con il sondino. Di famiglie che i figli sono costretti a lasciarli soli una volta usciti da scuola, magari già dopo il tempo pieno, e che un’alternativa al tempo pieno non potranno pagarla. «Nonostante tutto questo, la scuola elementare italiana merita i complimenti dell’Ocse. Sarà un caso? Non sarà un buon modello così com’è?». La battuta è di Anna Cresto, una delle 300 maestre delle scuole di Barriera di Milano (di tutta la città il territorio più disagiato), che ieri hanno partecipato a un convegno di formazione del Cidi sul curricolo e la quotidianità del fare scuola: giovani e «anziane» accomunate da una passione che in questo grande territorio è cresciuta con l’evolvere dei problemi della gente provano rabbia e tristezza di fronte alla prospettiva dello smantellamento di quanto proprio ieri l’Ocse ha ancora premiato. Tanto che lunedì, da Torino a Roma, andranno in classe con il lutto al braccio.
«Se hai un pezzo di sistema che funziona non lo demolisci, semmai lo migliori», dice Nunzia Del Vento, direttrice della «Gabelli», una scuola dove per andare incontro alle famiglie italiane e immigrate si organizzano Natale e Pasqua Ragazzi. «Non cancelli le competenze che gli insegnanti si sono costruite nel corso di 30 anni. Il desiderio di chi crede nella scuola è che questa sia al passo con la società». Daniela Braidotti è una delle sue maestre, una delle tantissime ad esprimersi in maniera totalmente negativa sull’insieme della «riforma Gelmini». «Insegno da 33 anni - racconta - e mi sono sempre occupata dell’area linguistica. Non potrei davvero essere una “maestra unica” e insegnare matematica o scienze».
Anna Cresto della scuola «Cena» rincara: «Abbiamo speso anni per uscire dalla tuttologia all’acqua di rose fatta di violette e cornicette e oggi ci sentiamo specialiste utili». Aggiunge: «La reintroduzione del voto alla scuola elementare è gravissimo. In quella fascia di età si tiene conto della condizione di partenza, bisogna conoscere il bambino... Come si fa ad esprimere tutto questo, con la pluralità di bambini che oggi sono nelle nostre classi, con un voto secco? E la condotta? Il 5 affascina, ma solo se sarà dato ai figli altrui». Anna Maria Barbero, rsu alla «Cena»: «È l’inizio. Butteranno fuori i ragazzini dalla scuola e li ritroveremo a spaccare le panchine, come un tempo. E non meno bulli». Filomena Filippis, scuola "Sabin": «Il ministero pensa che l’orario scolastico si risolva in un parcheggio. Ma chi ha il 60% di bambini stranieri, molti dei quali arrivano non parlanti, non può che lavorare in squadra e in un arco di tempo certo più ampio di 24 ore settimanali».
La collega Rosanna Passanisi: «Reintrodurre il maestro unico, smantellare il tempo pieno, significa togliere gli strumenti utili per alleviare le differenze. Perché?». Domenico Chiesa e Mario Ambel, i pedagogisti che hanno coordinato la giornata, sottolineano che «il risultato positivo che ci assegna l’Ocse deriva dall’impianto culturale originale della nostra scuola elementare, l’unico basato sulla l’età dei bambini. Tutto ciò che viene dopo è banalizzazione del sapere adulto».
Del Ministro Gelmini e del tempo pieno nella scuola elementare
Il Ministro Gelmini, attraverso una massiccia campagna mediatica, “sostiene” che il tempo pieno nella scuola elementare non sarà toccato, perché così “Lascia intendere il decreto”.
Il testo all’art 4 recita: “è .. previsto che le istituzioni scolastiche costituiscano classi affidate ad un unico insegnante e funzionanti con un orario di ventiquattro ore settimanali. Nei regolamenti si tiene comunque conto delle esigenze correlate alle domande delle famiglie, di una più ampia articolazione del tempo scuola”.
Si torna, dunque, al maestro unico, poi, “per regolamento” si vedrà di venire incontro alle richieste delle famiglie!!!
Le leggi “non lasciano intendere” ma “dicono” in modo chiaro ed esplicito. Se il ministro voleva davvero sostenere il tempo pieno avrebbe dovuto scrivere all’art. 4 del DL 137/2008: “sono fatte salve le norme che regolano il tempo pieno per la scuola elementare”. Perché non lo ha fatto? Oggi la "carta" (DL 137) del Consiglio dei Ministri "canta" diversamente dalle dichiarazioni del Ministro.
Roma, 10 settembre 2008
* proteofaresaperenews n. 9 del 10/09/2008
Ansa» 2008-09-08 11:16
NAPOLITANO: SERVE CONDIVISO PATRIOTTISMO COSTITUZIONALE
ROMA - Sulla Costituzione repubblicana "possono ritrovarsi tutte le componenti ideali, sociali e politiche della società italiana nel sentirla come propria, nel rispettarla, nel trarne ispirazione, nell’animare un clima di condiviso patriottismo costituzionale".
Lo ha detto il presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, nel suo intervento per il sessantacinquesimo anniversario della difesa di Roma.
’’Vorrei incoraggiare tutti a rafforzare il comune impegno di memoria, di riflessione, di trasmissione alle nuove generazioni del prezioso retaggio della battaglia di Porta San Paolo, della difesa di Roma e della Resistenza’’ aggiunge.
LA VICENDA DI CATANIA: GUARDIAMO IL POSITIVO
Quella danza anti-mafia diventi di tutti i siciliani
di GIUSEPPE SAVAGNONE (Avvenire, 09.09.2008)
Per uno strano gioco di luci, a essere evidenziata da molti mass media non è stata tanto la buona notizia della manifestazione in cui circa duemila allievi delle scuole di ballo, a Catania, hanno danzato per contestare Cosa Nostra, quanto l’altra, inquietante, del centinaio che all’ultimo momento si è ritirato per le pressioni dei genitori. Un esempio fra i tanti della tendenza a sottolineare il negativo, che solitamente colpisce di più il grande pubblico. In questo caso, però, la versione dei fatti non rende giustizia alla vera novità: dopo Palermo, dove i ragazzi di ’ Addiopizzo’ hanno ormai da anni avviato un importante sforzo di reazione alla mafia, anche a Catania si registrano segni di risveglio del mondo giovanile.
Segni che aprono il cuore alla speranza, perché il futuro della Sicilia dipende in primo luogo da questi ragazzi. Sarebbe ottimismo retorico ignorare i problemi di fondo che pesano sull’Isola, e in modo particolare proprio sulle nuove generazioni: la disoccupazione, in primo luogo, che ha determinato, in modo sempre più massiccio negli ultimi anni, una ’ fuga dei cervelli’ verso le regioni del Nord o, addirittura, all’estero. Sono sempre più numerosi i laureati siciliani costretti a emigrare alla ricerca di un lavoro. Ma anche gli studenti più qualificati e promettenti, ormai, dopo le scuole secondarie o, al massimo, dopo la laurea triennale, spesso lasciano la Sicilia, vanificando in un colpo solo l’investimento fatto per formarli e la possibilità di vederli protagonisti della rinascita economica e civile del territorio. Molti dei ragazzi e delle ragazze che hanno danzato a Catania non resteranno nella loro città ancora a lungo. Sia pure con rimpianto, saranno costretti - come tanti loro coetanei di Palermo, di Messina, di Siracusa - a cercare lontano gli spazi che a casa loro mancano.
Eppure, noi possiamo sperare, grazie anche al loro crescente impegno sociale e civile, che prima o poi le cose cambieranno. Quello del Sud non è un destino ineluttabile, ma un percorso storico che gli uomini, con le loro scelte, possono modificare. Su questa linea abbiamo già i promettenti sintomi di riscossa da parte del mondo imprenditoriale, col codice etico di Confindustria. La società civile si sta muovendo, e la danza dei ragazzi di Catania si pone su questa linea positiva. Cento, però, non sono andati, dirà qualcuno. Sì, cento, su duemila, non hanno partecipato. Ma il miracolo è che non sia accaduto il contrario, come forse sarebbe stato in un passato non troppo remoto. Non è poi così strano che vi siano ancora adulti - perché di loro si tratta, in questo caso - che hanno paura.
Ma, senza minimamente voler sottovalutare la gravità di questo atteggiamento, ci sembra che sarebbe più serio insistere, se mai, su altre responsabilità, ben più rilevanti per il destino della Sicilia, che riguardano la classe dirigente. Sono attesi alla prova gli amministratori cui, ancora pochi giorni fa, il presidente di Confindustria chiedeva più coraggio nella lotta contro le infiltrazioni mafiose. Siamo lieti che questi giovani abbiano fatto quello che potevano per dire ’ no’ alla prevaricazione quotidiana che soffoca la loro terra. E ci è sembrato bello che a esprimere questa protesta non siano stati discorsi, ma una danza. È stato il modo migliore per opporre alla pesantezza del clima di degrado imposto dalla mafia la leggerezza della speranza in un mondo nuovo che sta nascendo. Ma questa leggerezza, ben lungi dall’evocare superficialità, implica, come quella di ogni danza, un lungo esercizio e una faticosa disciplina. Solo con lo spirito di sacrificio e di impegno sarà possibile sconfiggere le derive dell’indifferenza e della corruzione. Perciò questa danza deve continuare e diventare quella di tutto il popolo siciliano. Forse allora i ragazzi del Sud non saranno più costretti, come oggi, a fare la scelta dolorosa di emigrare.
Costituzione, Napolitano: «Non tutti vi si identificano»
«Bisogna far di più per le celebrazioni» *
Non gliele manda a dire il Presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, anche se il suo è un linguaggio da Capo di Stato. Basta con la destra che non riconosce la Resistenza e i suoi valori. Basta con chi cerca di riabilitare i repubblichini che combatterono contro la costituzione di uno Stato democratico. Il ministro della Difesa, Ignazio La Russa, nella celebrazione dell’8 settembre aveva esaltato l’eroismo dei militanti della Repubblica di Salò. E già allora Napolitano aveva dovuto risponder per le rime.
Ora torna sull’argomento e dice: «Credo che in Italia sia ancora una questione aperta la piena identificazione che ci dovrebbe essere da parte di tutti nei principi e nei valori della Costituzione repubblicana che sono rispecchiati nella Costituzione europea richiamata nel Trattato di Lisbona». Il presidente della Repubblica ricorda che c’è in vari Pesi europei la questione rispetto ai motivi originari che furono alla base della costruzione europea quale strumento per mettere fine agli orrori creati dalla guerra e dal nazi-fascismo.
Il fascismo in Italia è un reato come anche la sua apologia. La Costituzione italiana è nata dalla lotta antifascista e i valori che esprime sono antifascisti. A negarlo sono solo quelli che invece vorrebbero un ritorno del fascismo o si ispirano a quei valori. Proprio per questo, ribadisce Napolitano, «in Italia c’è l’esigenza di un forte moto di patriottismo costituzionale». «Penso che si siano tutte le condizioni - ha aggiunto - perché si vada verso questo comune riconoscimento dei valori e dei principi della nostra Costituzione».
Anche se Napolitano plaude il fatto che nelle scuole primarie fra gli insegnamenti si introduca la disciplina “Cittadinanza e Costituzione”, non è soddisfatto del tutto. «Mi auguro - ha osservato - sia l’inizio di uno sforzo maggiore della cultura, della politica, dell’informazione. Non so se nel celebrare il 60/o anniversario della Costituzione si sia fatto abbastanza per mantenere gli impegni. Prima di chiudere l’anno non dobbiamo ancora considerarci pienamente soddisfatti».
* l’Unità, Pubblicato il: 10.09.08, Modificato il: 10.09.08 alle ore 20.54
Né fascisti, né fascistini
di ANDREA RICCARDI (la Stampa, 11/9/2008)
In questi giorni i nostri ragazzi tornano a scuola. Settant’anni fa - dovremmo ricordarlo - ci furono ragazzi a cui fu impedito di ritornarci: erano ebrei. Tanti di loro hanno raccontato l’umiliante esclusione ordinata dai «provvedimenti per la difesa della razza nella scuola fascista». Fu un fatto drammatico. Forse non approvato all’unanimità dagli italiani. Taluni mormorarono. Ma ormai il Paese era imbavagliato da più di quindici anni di dittatura e i provvedimenti, con la firma del re, passarono.
Il 5 settembre 1938, il regime disponeva: «Alle scuole di qualsiasi ordine e grado... non potranno essere iscritti alunni di razza ebraica». Quello stesso giorno fu costituita la Direzione Generale per gli Affari razziali, incaricata della politica razzista. La discriminazione razzista isolò la comunità ebraica; favorì poi, con la collaborazione della Repubblica Sociale Italiana, lo sterminio nazista degli ebrei. È la storia italiana della Shoah: le razzie, il campo di Fossoli, le tradotte verso il Nord, l’eliminazione di tanti.
Nel 2008 ricorre il settantesimo delle leggi razziste, fondate sull’idea che «le razze umane esistono» e che ebrei, africani, appartengono a un’altra razza. Era una politica priva di base culturale e di ragionevolezza.
Ma fu attuata, perché il Paese, come mai nella breve storia nazionale, era nelle mani di un dittatore. Quelle leggi furono il prodotto folle di un sistema di potere. Non l’unico frutto amaro del regime: si pensi all’ingresso in guerra. Ma il fascismo non fu solo un insieme di gravi errori, bensì un sistema che distruggeva la libertà.
Si è tornati, nei giorni scorsi, a discutere di fascismo e Shoah. Non si tratta tanto di dibattere attorno all’idea di «male assoluto», che è categoria di ordine teologico (come ha notato ieri Massimo De Angelis su Il Foglio), quanto di riconoscere l’orizzonte politico e nazionale comune: quello della Repubblica che, sin dalla sua Costituzione, si è voluta totalmente altra dal fascismo, ripudiandolo. Questa è la linea su cui ci siamo mossi, sin dal 1945, e nel cui alveo si collocano le istituzioni repubblicane.
Questa via fu confermata anche nell’opposizione al comunismo, che De Gasperi volle come lotta democratica, senza cedere a strumenti autoritari (come gli era proposto in Italia e all’estero). Il voto del 18 aprile 1948 sancì il consenso nazionale all’Italia democratica, che aveva voltato le spalle al fascismo e che non sceglieva il comunismo. La collocazione nella Nato e in Europa consentì in particolare al Pci di potersi allontanare dal cono dell’influenza sovietica. Nell’Europa di allora pesava la minaccia sovietica, che ingabbiava i paesi dell’Europa dell’Est. Molti ricordano la tragica estate del 1968, quando il sogno di un socialismo dal volto umano fu schiacciato a Praga.
Mi sembra necessario rifarsi con chiarezza all’orizzonte della nostra cultura politica e istituzionale. Questa chiarezza è preziosa in un tempo in cui si fa tanto bricolage di numi ispiratori, mescolando pezzi di passato alla rinfusa e secondo l’estro del momento. Le genealogie ideali non si improvvisano. La memoria di un’Italia che ripudia il fascismo è parte integrante della nostra identità. Infatti, tra l’Europa e la globalizzazione, l’Italia va ridefinendo in questi anni la sua identità e la sua funzione nel mondo.
L’antifascismo del dopoguerra, anche nella ricaduta storiografica, ha conosciuto una stagione enfatica, eco di battaglie appena finite. Talvolta si è esecrata la storia del regime più di quanto la si sia compresa. Ma tanta strada si è fatta. Renzo De Felice - non lo si dimentichi - cominciò ad interessarsi al fascismo partendo dalla storia degli ebrei sotto il regime. Ha storicizzato la vicenda fascista, notando cambiamenti, articolazioni, consenso popolare. Il fascismo fu diverso dal totalitarismo nazista. Emilio Gentile ne parla come di «cesarismo totalitario». Si può discutere su totalitarismo, regimi autoritari e populisti. La storiografia è un campo sempre aperto a nuove acquisizioni. Non è un caso, però, che il fascismo finì per collaborare all’attuazione della Shoah in Italia. Il dibattito storiografico non cancella il fatto che la nostra vita politica e istituzionale si è costituita a partire dal ripudio di metodi, sistemi e idee, che hanno fatto il regime fascista.
C’è poi il capitolo dei fascisti e dei combattenti di Salò. È anche la storia di memorie familiari. La pietas davanti alla morte e alla sofferenza è un valore, che spero sempre più condiviso. Si cita spesso l’intervento di Luciano Violante a proposito dei «ragazzi» di Salò. Il valore del dolore umano fu sentito dalla Chiesa negli anni della guerra. Ho trovato questo passo del giugno 1944, dopo la Liberazione, nella cronaca del monastero romano di San Gregorio, che aveva nascosto ebrei e ricercati dai nazisti, come molte case religiose: «È l’ora dei gerarchi fascisti che per sottrarsi all’ira popolare o agli arresti del nuovo governo d’Italia domandano asilo alle case religiose e sebbene non se ne condivida i principi di rovina loro, carità ci obbliga ad aprire le porte».
Oggi si discute di scuola, di educazione civica, di identità nazionale. È allora opportuno richiamare al senso di una «storia comune», quella dell’Italia democratica, che è la nostra. Non si tratta di demonizzare nessuno. Né di coltivare odio. Né di imbavagliare la ricerca storica e la diversità di opinioni. Ma tutto non si può confondere. C’è bisogno di dire che questa è la nostra storia comune che nasce dal ripudio del fascismo. Così racconteremo ai ragazzi che stanno rientrando a scuola quanto accadde nel 1938 agli ebrei della loro età. Lo faremo, ricordando che non ci sono razze. Diremo anche che la politica può fare tanti errori, ma distruggere la libertà non è un errore bensì l’inizio della fine.
Sulla pelle degli studenti
di Concita De Gregorio (l’Unità, 07.09.2008)
Sono un insegnante precario meridionale della scuola statale della provincia di Pordenone apprezzato dai miei alunni e dai loro genitori che ogni anno si battono per la mia riconferma. Dall’anno prossimo sicuramente a causa della riforma del maestro unico non lavorerò più.
Sergio Catalano
Comincia così una lunga lettera che racconta come dal tempo del «maestro unico» i saperi si siano allargati e specializzati, le classi cresciute di numero, la presenza di bambini stranieri aumentata, le risorse per il sostegno ai disabili diminuite ma come intatto resti invece il bisogno di chi ha sei anni o ne ha dieci di essere «seguito dalla presenza costante e attenta di uno sguardo adulto». Inoltre, dice il maestro Sergio, «i bambini di oggi non sono più quelli di vent’anni fa». Non lo sono più, non c’è dubbio, e a nulla servirà imporre loro di alzarsi in piedi quando entra l’insegnante, di mettersi il grembiule col fiocco, di imparare il Padre Nostro per obbligo come propone l’assessore veneto, di andare tutti il 4 novembre alla parata come suggerisce La Russa. È il mondo fuori che è cambiato, il mondo che i bambini delle elementari si portano in aula sugli schermi dei videofonini forniti da genitori ansiosi e assenti, di solito ansiosi in quanto assenti, e che gli insegnanti fino all’altro giorno non potevano sequestrare all’ingresso in classe perché sarebbe stato, appunto, un attentato alla proprietà privata. Intendiamoci. Cambiare la scuola ad ogni cambio di ministro è un’antica tradizione che ha prodotto guasti in ogni epoca e sotto ogni bandiera. L’assemblearismo e le «conquiste di libertà» non sempre hanno garantito progresso.
La decisione di non esporre i quadri coi risultati degli esami «per la tutela della privacy» è semplicemente grottesca, dice per esempio in una lettera il professor Mario Mirri da Pisa. Ha ragione. I miei figli hanno fatto le elementari andando uno in prima a cinque anni con la sperimentazione Berlinguer, uno a sette perché è nato a febbraio e la Moratti stabiliva al 30 gennaio il limite di ingresso, uno col tempo pieno, uno coi moduli, uno con la settimana corta l’altro con la giornata breve. Posso dire con certezza che cambia solo il grado di nevrosi dell’organizzazione domestica. Di nevrosi e di bisogno: una donna su cinque, ci dicono le cifre di ieri, quando fa un figlio smette di lavorare.
A parte le implicazioni culturali e sociali (enormi) il danno è economico, vorrei dire a Tremonti: il lavoro femminile, per usare il linguaggio berlusconiano, «muove l’economia». Dal punto di vista della didattica però - dal punto di vista dei bambini - quello che conta non sono i voti né i grembiuli. Sono gli insegnanti, le persone. Va bene il grembiule, ha il vantaggio di non scempiare una maglietta al giorno col pennarello indelebile. Vanno bene i voti, i giudizi, il debito o il credito, l’esame a settembre: è lo stesso. Va bene persino farli alzare quando entra il maestro, se la palestra a scuola non c’è almeno si sgranchiscono le gambe. Dev’essere chiaro questo, però: il taglio di 87 mila insegnanti non ha nessuna motivazione culturale. È il taglio di 87 mila stipendi, tutto qui. È un risparmio giocato sull’unica cosa che in Italia funziona ancora meglio che nel resto del mondo: la competenza la passione e il talento delle persone che lavorano nella scuola elementare. Un governo che fa economia sui maestri è irresponsabile. Fa quadrare oggi conti che pagheremo tutti noi domani. L’unica risorsa di cui disponiamo è il futuro. Risparmiare sulla pelle dei bambini è criminale.
Scuola, scontro Bossi-Gelmini
"Maestro unico rovina i bambini"
Il Senatùr: "La prossima volta prendiamo noi il ministero"
La replica del ministro: "Sono stupefatta della sua confusione mentale"
Contrasti, a poche ore dall’inizio dell’anno scolastico, tra il leader della Lega Bossi e il ministro dell’Istruzione. Bossi, intervenendo a un comizio a torino prima esprime, tra gli applausi, la sua idea sul maestro unico: è facile, se è un cattivo insegnante, che rovini il bambino. Poi parla del ruolo del ministro dell’istruzione: "Per capire che cosa serve alla scuola devi averci vissuto dentro, essere stato insegnante, aver sentito l’odore della polvere".
Bossi poi ammette: "Quando non ci sono i soldi bisogna aguzzare l’ingegno. Costa un sacco di soldi in meno, onestamente, e in un momento in cui non ci sono soldi è normale che salti fuori anche (la proposta, ndr) l’insegnante unico. Ma se c’è un solo insegnante è facile che si rovini il bambino". Poi conclude tra gli applausi: "La scuola la prossima volta, magari, la chiederà la Lega". Durante il suo intervento Bossi è stato interrotto da una donna, che ha urlato: "Mandala a casa la Gelmini". La risposta: "Se comincio a mandare un ministro a casa è facile che si ingrippi il governo. Facci fare il federalismo fiscale figliola, poi ci pensiamo".
Dura e immediata replica del ministro dell’istruzione: ’Sono stupefatta - afferma Gelmini - della confusione mentale di Bossi, che a metà agosto ha detto che tre maestri erano troppi e ne bastava uno perché serviva un riferimento unico. Il 7 settembre dice esattamente l’opposto. Si metta d’accordo con sè stesso prima di parlare di scuola. Per fortuna - conclude il ministro dell’istruzione - il governo, con le misure previste da Tremonti e da me attuate, grazie al voto del parlamento ha già deciso"
* la Repubblica, 8 settembre 2008.
Costituzione, edizione critica gratis per il 60° *
In occasione del sessantesimo anniversario dell’entrata in vigore della Costituzione della Repubblica italiana, la casa editrice Utet offre in omaggio a tutti coloro che la richiedano (numero verde 800-224664) un’edizione esclusiva commentata da Tullio De Mauro e Lucio Villari.
L’introduzione di De Mauro fornisce un’approfondita analisi storico-linguistica delle 9.369 parole che ricorrono nel testo, con il 74% dei lemmi tratti dal vocabolario di base della lingua italiana: una percentuale altissima rispetto alle consuetudini del nostro corpus legislativo, che testimonia l’impegno dei costituenti per garantire la massima accessibilità al testo da parte di tutti i cittadini.
Villari, invece, sottolinea coma la Costituzione, anche nel panorama delle costituzioni vigenti in Occidente, sia tra le più dirette ed esplicite nella rivendicazione e nella difesa dei diritti democratici.
* Avvenire, 06.09.2008.
Maestro unico
Possiamo ancora fermarli basta che il decreto legge decada in Parlamento
Il primo giorno di scuola dimostriamo con un segno nero di lutto la nostra indignazione per come questo paese tratta i suoi bambini
Lettera aperta ad Insegnanti, Genitori, Cittadini,
Parlamentari, Associazioni e Sindacati
Il primo settembre 2008, a tradimento, senza che nulla trapelasse, è comparso sulla Gazzetta Ufficiale il DL 137/08 che contiene l’articolo 4, di cui finora nessuno ne aveva parlato, che con la reintroduzione dell’insegnante unico nella scuola elementare riporta indietro d’un solo colpo il mondo della scuola, cancellando i moduli ed il tempo pieno nella scuola elementare.
Dal 2009 i bambini italiani avranno una scuola povera; saranno privati della possibilità di utilizzare spazi e tempi di arricchimento personale. Gli insegnanti saranno privati del tempo necessario per seguire, in mondo personalizzato, gli alunni in difficoltà e permettere agli "eccellenti" di esprimersi al meglio. Molti bambini, con i genitori che lavorano, passeranno da soli interminabili pomeriggi davanti alla televisione o saranno lasciati in mezzo alla strada.
D’un colpo, senza alcuna discussione nel paese e in Parlamento, hanno azzerato la scuola elementare, proprio mentre tutti gli indicatori internazionali la riconoscono come una tra le più qualificate del mondo.
Hanno fatto una radicale “riforma” di “nascosto”. Con un Decreto Legge! Cosa senza precedenti! Un disastro fatto solo per fare cassa a spese delle opportunità e delle speranze dei bambini. Il Parlamento Italiano è stato espropriato della propria sovranità.
L’attuale complessità culturale richiede, in modo più pressante che mai, la disponibilità di persone che collaborino ad una formazione integrale ed integrata, fatto completamente ignorato da questo Governo.
Hanno umiliato gli insegnanti e la loro professionalità.
Le famiglie saranno messe in seria difficoltà, in particolare i genitori con bambini frequentanti il tempo pieno, se vorranno conservare il lavoro, dovranno affidarsi a improbabili doposcuola a pagamento che rischieranno di trasformarsi, come un tempo, in ghetti sociali.
L’associazione professionale Proteo Fare Sapere fa appello a TUTTI gli insegnanti perché dimostrino con un gesto fortemente simbolico la loro tristezza e contrarietà: andiamo TUTTI a scuola il primo giorno con un segno nero di lutto.
E’ un’ idea che gira su internet, ci sembra buona; un’idea che può essere sostenuta da ogni insegnante, a cui chiediamo di organizzare i colleghi facendo il passaparola, dalle altre associazioni professionali, dai sindacati.
Chiede a tutti gli insegnanti di rivolgersi ai loro Parlamentari perché, quando si tratterà di convertire il decreto legge definitivamente in legge dello Stato (c’è tempo 60 giorni), intervengano a favore di una buona scuola, e per disapprovare chi vuol fare cassa a spese dei bambini.
Chiede a tutti i Parlamentari, anche di maggioranza, di non votare la conversione in legge definitiva del Decreto.
Chiede in particolare all’Opposizione di fare anche ostruzionismo pur di far decadere un dannoso e non necessario Decreto Legge. Infatti anche gli altri contenuti del decreto possono aspettare.
L’esecutivo nazionale di Proteo Fare Sapere
Roma, 4 settembre 2008
Gelmini e la prova facile
E il ministro fece l’esame da avvocato in Calabria
Nella città calabrese l’anno precedente il record di ammessi con il 93 per cento
Da Brescia a Reggio Calabria
Così la Gelmini diventò avvocato
L’esame di abilitazione nel 2001: «Dovevo lavorare subito»
di Gian Antonio Stella (Corriere della Sera, 04.09.2008)
Novantatré per cento di ammessi agli orali! Come resistere alla tentazione? E così, tra i furbetti che nel 2001 scesero dal profondo Nord a fare gli esami da avvocato a Reggio Calabria si infilò anche Mariastella Gelmini. Ignara delle polemiche che, nelle vesti di ministro, avrebbe sollevato con i (giusti) sermoni sulla necessità di ripristinare il merito e la denuncia delle condizioni in cui versano le scuole meridionali. Scuole disastrose in tutte le classifiche «scientifiche» internazionali a dispetto della generosità con cui a fine anno vengono quasi tutti promossi.
La notizia, stupefacente proprio per lo strascico di polemiche sulla preparazione, la permissività, la necessità di corsi di aggiornamento, il bagaglio culturale dei professori del Mezzogiorno, polemiche che hanno visto battagliare, sull’uno o sull’altro fronte, gran parte delle intelligenze italiane, è stata data nella sua rubrica su laStampa.it da Flavia Amabile. La reazione degli internauti che l’hanno intercettata è facile da immaginare. Una per tutti, quella di Peppino Calabrese: «Un po’ di dignità ministro: si dimetta!!» Direte: possibile che sia tutto vero? La risposta è nello stesso blog della giornalista. Dove la Gelmini ammette. E spiega le sue ragioni.
Un passo indietro. È il 2001. Mariastella, astro nascente di Forza Italia, presidente del consiglio comunale di Desenzano ma non ancora lanciata come assessore al Territorio della provincia di Brescia, consigliere regionale lombarda, coordinatrice azzurra per la Lombardia, è una giovane e ambiziosa laureata in giurisprudenza che deve affrontare uno dei passaggi più delicati: l’esame di Stato.
Per diventare avvocati, infatti, non basta la laurea. Occorre iscriversi all’albo dei praticanti procuratori, passare due anni nello studio di un avvocato, «battere» i tribunali per accumulare esperienza, raccogliere via via su un libretto i timbri dei cancellieri che accertino l’effettiva frequenza alle udienze e infine superare appunto l’esame indetto anno per anno nelle sedi regionali delle corti d’Appello con una prova scritta (tre temi: diritto penale, civile e pratica di atti giudiziari) e una (successiva) prova orale. Un ostacolo vero. Sul quale si infrangono le speranze, mediamente, della metà dei concorrenti. La media nazionale, però, vale e non vale. Tradizionalmente ostico in larga parte delle sedi settentrionali, con picchi del 94% di respinti, l’esame è infatti facile o addirittura facilissimo in alcune sedi meridionali.
Un esempio? Catanzaro. Dove negli anni Novanta l’«esamificio» diventa via via una industria. I circa 250 posti nei cinque alberghi cittadini vengono bloccati con mesi d’anticipo, nascono bed&breakfast per accogliere i pellegrini giudiziari, riaprono in pieno inverno i villaggi sulla costa che a volte propongono un pacchetto «all-included»: camera, colazione, cena e minibus andata ritorno per la sede dell’esame.
Ma proprio alla vigilia del turno della Gelmini scoppia lo scandalo dell’esame taroccato nella sede d’Appello catanzarese. Inchiesta della magistratura: come hanno fatto 2.295 su 2.301 partecipanti, a fare esattamente lo stesso identico compito perfino, in tantissimi casi, con lo stesso errore («recisamente» al posto di «precisamente», con la «p» iniziale cancellata) come se si fosse corretto al volo chi stava dettando la soluzione? Polemiche roventi. Commissari in trincea: «I candidati - giura il presidente della «corte» forense Francesco Granata - avevano perso qualsiasi autocontrollo, erano come impazziti». «Come vuole che sia andata? - spiega anonimamente una dei concorrenti imbroglioni -. Entra un commissario e fa: "Scrivete". E comincia a dettare il tema. Bello e fatto. Piano piano. Per dar modo a tutti di non perdere il filo».
Le polemiche si trascinano per mesi e mesi al punto che il governo Berlusconi non vede alternative: occorre riformare il sistema con cui si fanno questi esami. Un paio di anni e nel 2003 verrà varata, per le sessioni successive, una nuova regola: gli esami saranno giudicati estraendo a sorte le commissioni così che i compiti pugliesi possano essere corretti in Liguria o quelli sardi in Friuli e così via. Riforma sacrosanta. Che già al primo anno rovescerà tradizioni consolidate: gli aspiranti avvocati lombardi ad esempio, valutati da commissari d’esame napoletani, vedranno la loro quota di idonei raddoppiare dal 30 al 69%.
Per contro, i messinesi esaminati a Brescia saranno falciati del 34% o i reggini ad Ancona del 37%. Quanto a Catanzaro, dopo certi record arrivati al 94% di promossi, ecco il crollo: un quinto degli ammessi precedenti.
In quei mesi di tormenti a cavallo tra il 2000 e il 2001 la Gelmini si trova dunque a scegliere, spiegherà a Flavia Amabile: «La mia famiglia non poteva permettersi di mantenermi troppo a lungo agli studi, mio padre era un agricoltore. Dovevo iniziare a lavorare e quindi dovevo superare l’esame per ottenere l’abilitazione alla professione». Quindi? «La sensazione era che esistesse un tetto del 30% che comprendeva i figli di avvocati e altri pochi fortunati che riuscivano ogni anno a superare l’esame. Per gli altri, nulla. C’era una logica di casta, per fortuna poi modificata perché il sistema è stato completamente rivisto». E così, «insieme con altri 30-40 amici molto demotivati da questa situazione, abbiamo deciso di andare a fare l’esame a Reggio Calabria». I risultati della sessione del 2000, del resto, erano incoraggianti.
Nonostante lo scoppio dello scandalo, nel capoluogo calabrese c’era stato il primato italiano di ammessi agli orali: 93,4%. Il triplo che nella Brescia della Gelmini (31,7) o a Milano (28,1), il quadruplo che ad Ancona. Idonei finali: 87% degli iscritti iniziali. Contro il 28% di Brescia, il 23,1% di Milano, il 17% di Firenze. Totale: 806 idonei. Cinque volte e mezzo quelli di Brescia: 144. Quanti Marche, Umbria, Basilicata, Trentino, Abruzzo, Sardegna e Friuli Venezia Giulia messi insieme.
Insomma, la tentazione era forte. Spiega il ministro dell’Istruzione: «Molti ragazzi andavano lì e abbiamo deciso di farlo anche noi». Del resto, aggiunge, lei ha «una lunga consuetudine con il Sud. Una parte della mia famiglia ha parenti in Cilento». Certo, è a quasi cinquecento chilometri da Reggio. Ma sempre Mezzogiorno è. E l’esame? Com’è stato l’esame? «Assolutamente regolare». Non severissimo, diciamo, neppure in quella sessione. Quasi 57% di ammessi agli orali. Il doppio che a Roma o a Milano. Quasi il triplo che a Brescia. Dietro soltanto la solita Catanzaro, Caltanissetta, Salerno.
Così facevan tutti, dice Mariastella Gelmini. Da oggi, dopo la scoperta che anche lei si è infilata tra i furbetti che cercavano l’esame facile, le sarà però un po’ più difficile invocare il ripristino del merito, della severità, dell’importanza educativa di una scuola che sappia farsi rispettare. Tutte battaglie giuste. Giustissime. Ma anche chi condivide le scelte sul grembiule, sul sette in condotta, sull’imposizione dell’educazione civica e perfino sulla necessità di mettere mano con coraggio alla scuola a partire da quella meridionale, non può che chiedersi: non sarebbero battaglie meno difficili se perfino chi le ingaggia non avesse cercato la scorciatoia facile?
Gian Antonio Stella
04 settembre 2008
Con un decreto cambiano le elementari
Maestro unico e solo 24 ore. Sparirà il tempo pieno, a rischio 80mila insegnanti.
Gelmini: dal 2009 e solo in prima
di Maristella Iervasi ( l’Unità, 03.08.2008)
LA SIGNORA dell’Istruzione, Mariastella Gelmini, ha spiazzato tutti. Il maestro unico è già legge. Il decreto pubblicato in Gazzetta Ufficiale che doveva sancire solo il 5 in condotta, i voti in numeri in pagella e la nuova materia: Cittadinanza e Costituzione, riforma invece in toto la scuola elementare: uno dei modelli di qualità vantati in Europa. Un blitz in piena regola che ha spiazzato genitori e insegnanti e provocato un terremoto nelle scuole da ieri aperte per organizzare le classi, i programmi di studio, coprire i «buchi» sul sostegno e le malattie.
Una mossa quella del duetto Gelmini-Tremonti «studiata» per blindare la restaurazione del ritorno dell’insegnante unico nella scuola primaria con un orario già fissato per decreto: 24 ore settimanali, 6 ore di lezione in meno rispetto ad oggi. Un modo per sancire la fine del modulo e la conseguente agonia del tempo pieno. Una strategia per dare «forza giuridica» al «massacro» della scuola - il taglio di 90mila docenti e 43 mila tra bidelli e segretari in meno entro il 2012. Ma che di fatto «tappa la bocca» al confronto e alla concertazione politica e sindacale. E fuori sacco è stata introdotta anche - con «raccapriccio» degli editori - la disposizione che i testi scolastici dovranno durare per 5 anni.
Mondo della scuola e famiglie in subbuglio. Così si è svegliata ieri l’Italia. 104mila le classi di primaria funzionanti a modulo (tre insegnanti per due classi); 33mila quelle a tempo pieno. Un totale di circa 245mila insegnanti, di cui 6mila non di ruolo. 5mila invece i pensionamenti previsti nell’anno. Se si aprisse la sperimentazione del maestro unico solo dalla prima elementare verrebbero spazzati via 16.640 posti docente. Se si partisse a regime su tutte e cinque le classi (modulo e tempo pieno), il «risparmio» conseguente del taglio sarebbe di 80mila posti per maestro. Una rivoluzione da restaurazione contro il sapere. Gli studenti imparerebbero appena a leggere, scrivere e contare. E con questo scarso bagaglio nozionistico entrerebbero poi alla scuola dei “grandi”, le medie. Un avvio d’anno scolastico, dunque, al cardiopalma. «Sciopero» unitario e mobilitazione dei docenti è la risposta del sindacato Flc-Cgil, Uil e Cisl-scuola. E non è detto che non coincida con l’ingresso o giù di lì degli studenti nelle aule. Mentre il tam tam corre anche su Internet e nelle città della penisola spuntano Comitati contro il ritorno al passato del maestro generalista: raccolte di firme e fax di protesta per «inondare» la Gelmini. Mentre i precari della scuola invitano gli italiani ad appendere un drappo nero sui balconi. «Un calcio nei denti ai bambini e alle bambine» commenta Enrico Panini, segretario nazionale della Federazione lavoratori della conoscenza. «Un attacco spietato del governo al loro diritto ad avere una scuola più ricca e non più povera di opportunità», precisa. Durissimo anche il sindacato degli insegnanti, il Gilda: «Un colpo di mano che fa tornare indietro di oltre 20 anni. Non è mai capitato nella storia d’Italia - sottolinea Rino Di Meglio - che una riforma dell’ordinamento scolastico venisse varata con un decreto legge». Massimo Di Menna della Uil, chiede chiarezza e trasparenza: «Il governo - dice - ha introdotto una rigidità prima ancora della discussione con i sindacati». E Fracesco Scrima della Cisl-scuola parla di «pedagogia da cassa». Intanto, leggendo l’art.4 del decreto salta agli occhi il mancato uso del congiuntivo: «è ulteriormente previsto che le istituzioni scolastiche costituiscono classi affidate ad un unico insegnante...». Ancora un errore da matita rossa blu per il ministero dell’Istruzione dopo la «gaffe» sulla poesia di Montale alla maturità?.
Il ritorno del maestro unico in classe - mandato in pensione dal’90 dal ministro Mattarella - non scatterebbe subito solo per questioni organizzative ma l’insegnante sarebbe solo in cattedra dall’anno 2009-2010. La stessa Gelmini vista la «furia» della polemica e dello sconcerto in atto della popolazione è stata costretta a precisare: «Sarà un ritorno soft e verrà introdotto solo nella prima classe del ciclo. Quindi entrerà a regime gradualmente». Ha rassicurato anche sul tempo pieno: «Non è affatto incompatibile con il ritorno del maestro unico», ha detto la responsabile dell’Istruzione. Poi, a chiusa della nota è tornata sul bilancio della scuola, speso per il 97% per pagare gli stipendi di un milione e 300 mila dipendenti. «Così la scuola non ha futuro» - ha concluso Gelmini, ribadendo la sua litania: meno insegnanti ma meglio pagati».
Dure le reazioni del Piddì. «Il maestro unico non è un romantico ritorno al passato. Significa una settimana di 24 ore, senza pomeriggi a scuola, senza attività integrativa e bambini in casa», sottolineano il ministro ombra Maria Garvaglia e Maria Coscia, responsabile scuola del partito.
Un’indagine rivela una sindrome dell’insicurezza senza precedenti
Si invocano più controllo sul territorio e misure straordinarie per l’immigrazione
Criminalità e paura del futuro
in cima ai pensieri degli italiani
ROMA - Italiani preoccupati per la sicurezza a livelli senza precedenti nel passato. Siamo un popolo attanagliato da paure, ansie e insicurezze che invoca misure speciali, ma queste restano solo palliativi perché incapaci di arrestare il corso di una sindrome. Sono questi alcuni degli elementi che compongono l’Indagine sul sentimento e sul significato di sicurezza in Italia, diretta da Ilvo Diamanti, condotta da Demos & PI per la Fondazione Unipolis, la cui sintesi è stata pubblicata dal mensile Safety & Security.
Una radiografia a tutto tondo che, nell’area sicurezza, include non solo la criminalità, ma anche temi come la previdenza e l’ambiente. La criminalità è comunque ai primi posti della "sindrome dell’insicurezza": se nel 2005 la percepiva in aumento l’80% degli italiani, nel 2007 si arrivava all’88%. Un incremento su cui pesa anche il binomio immigrazione-criminalità, tornato forte nella percezione del Paese, dal 37% del 2004 al 47% attuale. Non solo, ma il 55% degli interpellati arriva a condividere le severe misure prese dai sindaci di alcune città contro lavavetri e venditori irregolari. Nella stessa logica vanno le opinioni di quanti sostengono che i campi nomadi debbano essere sgomberati "e basta", senza cercare soluzioni alternative.
Paura della criminalità. Entrando nel dettaglio quasi 9 persone su 10 pensano che negli ultimi anni la criminalità in Italia sia cresciuta; 5 su 10 ritengono che ciò sia avvenuto anche a livello locale; 1 su 5 teme di essere vittima di reati. Il 22% ha paura che gli venga rubata la macchina o la moto. Fra i timori più forti c’è quello del furto in casa, percepito come violazione del "rifugio ultimo contro le minacce esterne": quasi una persona su 4 è preoccupata che uno sconosciuto si introduca nella sua abitazione (dal 18% del 2005 si è saliti al 23% del 2007). Negli stessi due anni il timore di uno scippo è cresciuto dal 17% al 21%. All’incirca 1 su 5 ha paura di un’aggressione o del coinvolgimento in una rapina. Al passo con i tempi, 1 su 5 è spaventato dal rischio di subire una truffa elettronica, a partire dal bancomat e dalla clonazione della carta di credito.
Strumenti di autodifesa. L’indagine afferma che c’è una forte domanda di intervento pubblico, di rafforzamento del controllo del territorio e di misure straordinarie, soprattutto in riferimento al tema dell’immigrazione. Intanto si è rilevato un progressivo allargamento del "fai da te". Infatti è in crescita il numero delle famiglie dotate di strumenti di autodifesa. In questo scenario, ormai un italiano su 3 ha installato un sistema antifurto in casa e il 14% pensa di adottarlo; quasi 1 su 2 ha blindato porte e finestre e un restante 10% conta di farlo. L’8% ha addirittura acquistato un’arma e il 4% ha in mente di dotarsene.
Gradite uniformi e telecamere. Il territorio è considerato insicuro e pericoloso quindi si chiede che venga "presidiato" dalla polizia e monitorato dalle telecamere. Quasi 9 italiani su 10 chiedono una maggior presenza della polizia nelle strade e nei quartieri. Le uniformi, riconoscono, servono a fare da presidio al territorio in un’ottica preventiva o di tempestività di intervento; trasmettono sicurezza. E in questo contesto si inseriscono anche le telecamere per sorvegliare gli spazi pubblici. L’86% è favorevole a tali sistemi di vigilanza a costo di sacrificare un po’ di riservatezza.
Sgraditi controlli fiscali. Molto meno graditi, invece, i controlli dello Stato sulle comunicazioni e sui movimenti economici personali. Tanto che è diminuita del 7% in due anni la quota di chi considera positivamente un monitoraggio delle transazioni bancarie.
Paura degli altri. Secondo l’indagine, una porzione ampia del Paese concepisce l’insicurezza come "paura degli altri" e, in particolare, avverte "gli altri come stranieri e gli stranieri come una minaccia". A questo sentimento si reagisce isolandosi, restando soli. Ecco perché tutte le misure che puntano a "sgomberare" la presenza illegale degli stranieri lungo le strade e ai margini delle città riscuotono grande consenso. Non stupisce quindi che raccolga consensi l’idea di eliminare i campi nomadi, anche senza cercare soluzioni alternative: quelli che lo chiedono sono passati dal 18% del 2005 al 27% del 2007, ossia più di un quarto degli italiani.
Paura del mondo. Ma l’indagine va oltre questi temi, ricorrenti anche nei mass media. E li articola toccando altri campi non connessi alla criminalità. Tra le preoccupazioni sulla sicurezza, ci sono quelle "ambientale" e "globale", che riguardano cibo, degrado del territorio, aria e clima, ma pure il terrorismo. La "paura del mondo" e delle sue conseguenze sulla quotidianità inquieta tra il 40 e il 60% degli italiani.
Paura della povertà. Poi ci sono i timori di tipo "economico", legati alle condizioni familiare e personale, al reddito e alla pensione (1 su 3 ha paura di perderla o non averla più), alle prospettive di lavoro. Si va dal 27% di chi teme di perdere i risparmi al 38% di chi paventa di diventare povero ("non avere abbastanza risorse per vivere").
Paura del domani. E, ancora, c’è la "paura del domani", dei suoi riflessi sulla nostra vita quotidiana: il futuro dei figli angustia quasi una persona su due. Il 64% degli italiani teme per i giovani "una condizione sociale ed economica peggiore dei loro genitori".
Paura di incidenti e malattie. Altro tema rilevante nell’area della sicurezza è quello degli incidenti sulle strade: 3 persone su 10 ogni giorno dicono di sperimentare situazioni di inquietudine connesse con questa minaccia. E poi ci sono gli incidenti sul lavoro: 1 operaio su 5 è preoccupato di esserne vittima. Del resto, il 45% reputa che la sicurezza sul lavoro sia diminuita negli ultimi anni. Oltre un terzo degli italiani (il 36%) pensa allarmato all’eventualità di ammalarsi. Addirittura 1 su 4 guarda spaventato all’insorgere di epidemie e malattie su scala globale (mucca pazza, Sars e influenza aviaria).
Paura di guerre e terrorismo. Restando alle paure "forti", il 37% dell’opinione pubblica italiana teme nuovi conflitti a livello internazionale. Per salire quasi al 40% di quelli che sono inquieti per il terrorismo internazionale.
Paura per l’ambiente. A minare ulteriormente il sentimento di sicurezza degli italiani c’è anche il degrado ambientale che inquieta il 58% del campione. E’ questo l’unico indicatore dell’indagine che supera la maggioranza assoluta. Al di sotto, al 46%, c’è la preoccupazione per il futuro dei figli (bisogna considerare che non tutti gli intervistati hanno o pensano di avere prole).
Le paure dei giovani. Un’area interessante riguarda la sicurezza tra i giovani e tra quelli tra i 25 e 34 anni, fasce in cui si miscelano diverse fonti di insicurezza. Le tensioni innescate dal "fattore criminale", infatti, si fanno sentire in modo più pressante. E le trasformazioni del mondo del lavoro incidono in modo più evidente, dando vita a una condizione di instabilità e inquietudini sulle prospettive future. Insomma, è molto elevata la quota di giovani che ammette apprensione per il futuro delle loro pensioni.
Ansie e possibili rimedi. In conclusione, la radiografia suggerisce di tenere conto del mix di ansie e paure non solo per tracciare un profilo della "sindrome dell’insicurezza" che sembra attanagliare la società italiana, ma soprattutto per definire i possibili rimedi. A tale proposito gli analisti rilevano che "misure speciali sul tema della criminalità, peraltro invocate e apprezzate dall’opinione pubblica, possono costituire una risposta temporanea, utile a porre argini al fiume dell’insicurezza, ma incapace di arrestarne il corso".
* la Repubblica, 27 luglio 2008.
rapporto annuale sull’istruzione
L’Ocse boccia la scuola italiana: «Docenti pagati poco e meno laureati che in Cile»
«Si spende molto, ma in modo discutibile». Drammatico -l’abbandono universitario: solo il 45% discute la tesi
MILANO - La scuola è uno degli argomenti caldi di fine estate, con la discussa riforma messa a punto dal ministro Gelmini. Il dibattito si arricchisce dei dati prodotti dall’Ocse (Organizzazione per la Cooperazione e lo Sviluppo Economico) nel rapporto annuale sull’istruzione. Gli aspetti più macroscopici per quanto riguarda l’Italia sono il gran numero di insegnanti nella scuola secondaria e l’altrettanto notevole (in negativo) livello dei loro stipendi.
DOCENTI PAGATI POCO - Anche sul fronte dell’università sono evidenziati difetti storici: altissimo tasso d’abbandono negli atenei italiani - primo tra i paesi Ocse - e indici di spesa per studente universitario molto al di sotto della media, circa un quarto. «Nel settore dell’istruzione secondaria l’Italia spende molto denaro. Paga però molti professori dando loro uno stipendio molto basso - ha detto Andreas Schleicher, responsabile delle ricerche sull’istruzione -. Ma la spesa non è il difetto principale dell’Italia». Che anzi, per quanto riguarda la scuola primaria investe più risorse della media Ocse - 6.835 dollari per alunno contro 6.252 dollari -, mentre per la scuola secondaria è in linea con la spesa Ocse - 7.648 dollari contro 7.804. Il vero problema è «come vengono spesi» i fondi elargiti dallo Stato. «Esattamente il contrario di quanto fa un paese come la Corea del Sud». Dove, spiega Schleicher, il numero dei professori è minore e il loro stipendio più alto.
ABBANDONO UNIVERSITARIO - All’università i paesi Ocse spendono 11.512 dollari per ogni studente, mentre l’Italia ne investe solo 8.026. E se da un lato solo il 19% dei 25-34enni italiani possono vantare un diploma di laurea - dato ben distante dal 33% della media Ocse -, dall’altro il tasso di laurea dei nuovi studenti è passato dal 17% del 2000 al 39% del 2006. Un risultato importante che, sottolinea il rapporto Ocse, «va largamente attribuito alla riforma del 2002, quando agli studenti iscritti a corsi di laurea (pre riforma) è stata data la possibilità di concludere gli studi in tre anni». Ben pochi però arrivano a discutere la tesi: solo il 45% degli iscritti - a fronte di una media Ocse del 69%. Al di sotto della media di Cile e Messico, in una classifica impietosa che vede l’Italia fanalino di coda insieme a Brasile, Turchia, Repubblica Ceca e Slovacchia.
STUDENTI STRANIERI - «Un dato che non equivale necessariamente a un disastro per i singoli individui - ha commentato Schleicher -, ma che diviene molto grave invece quando si guarda all’insieme». Non sorprende quindi che il divario tra laureati - circa il 13% - e detentori di lavori qualificati - oltre il 40% - sia tra i più alti dell’area Ocse. Se poi si guarda alla capacità di attrarre studenti stranieri l’Italia occupa un’area relativamente bassa della classifica. Se, infatti, gli Stati Uniti si confermano il paese che più attrae con il 20% delle preferenze - seguiti da Gran Bretagna, 11,3%, Germania, 8,9%, Francia, 8,5% e Australia, 6,3% - l’Italia si deve accontentare dell’1,7%, come la Spagna. Infine una curiosità: secondo l’Ocse gli studenti delle elementari italiani sono sovraccarichi di lezioni e hanno «lunghe giornate di studio». In media uno studente di 7-8 anni deve sobbarcarsi 990 ore di lezione all’anno, mentre la media dei 30 paesi membri è di 796 ore.
* Corriere della Sera, 09 settembre 2008, (ultima modifica: 10 settembre 2008)