D’Alema: sbagliato l’antiberlusconismo che diventa anti-italiano
Sferzata di D’Alema «L’antiberlusconismo a volte è anti-italiano»
«Non siamo gli illuminati in un Paese disgraziato»
«Questo antiberlusconismo che sconfina in una sorta di sentimento anti-italiano è l’approccio peggiore alla grande sfida politica che il Paese ha di fronte». Lo ha detto ieri Massimo D’Alema, in qual che modo riecheggiando le parole pronunciate poche ore prima da Silvio Berlusconi. «L’opposizione - aveva affermato il presidente del Consiglio presentando la Finanziaria - è anti-italiana, fa il tifo per la crisi e non vuole che l’Italia ne esca». E parlando con i giornalisti Berlusconi ha aggiunto: «Ho chiesto ai ministri di non rispondere più a domande sul gossip. Da qui in avanti a me potete fare solo do mande di politica vera».
di Paolo Foschi (Corriere della Sera, 23.O9.2009)
ROMA - «L’opposizione è anti-italiana»: l’ennesimo j’accuse lanciato da Silvio Berlusconi contro il centrosinistra divide il Pd. E, un po’ a sorpresa, mentre altri esponenti del partito reagiscono con toni duri al capo del governo, il premier riceve, in qualche maniera, l’appoggio di Massimo D’Alema.
«C’è un anti-berlusconismo che sconfina in una sorta di sentimento anti-italiano. Questa concezione di una minoranza illuminata che vi ve in un Paese disgraziato è l’approccio peggiore, subal terno, che possiamo avere. Piuttosto bisogna sforzarsi di capire le ragioni della destra. Una destra nuova, post-libera le, anzi spesso illiberale», afferma il presidente della Fondazione Italianieuropei inter venendo alla presentazione del libro A destra tutta - Dove si è persa la sinistra? , dello storico Biagio De Giovanni. E - ancora - D’Alema aggiunge che «la sfida per il Partito democratico non è inseguire la destra nel suo terreno, ma proporre un riformismo alternativo a quel poco o niente di innovazione che è stata la destra negli ultimi 15 anni». Secondo l’esponente del Pd bisogna dunque lavorare a un progetto riformista «senza demonizzare Berlusconi, sebbene al processo di demonizzazione reciproca Berlusconi ha dato un contributo potentissimo. Non è facile andare a un bipolarismo mite avendo davanti un avversario che tutto è, tranne che mite ».
Rosy Bindi, che nel dibattito congressuale, come l’ex ministro degli Esteri, sostiene Bersani, non sembra però convinta: «È vero - commenta a tarda sera - che c’è un certo anti-berlusconismo che rischia di essere improduttivo. Ed è altrettanto vero che D’Alema parla sempre per paradossi. Ma essendo convinta che Berlusconi non stia facendo il bene dell’Italia, credo che combatterlo faccia bene all’Italia». Prima la parlamentare del Pd aveva comun que invitato Berlusconi a «moderare il linguaggio» a «rispettare l’opposizione»: «Anti-italiani a chi? Pensi al suo governo. Un governo che vara leggi incostituzionali come il Lodo Alfano e introduce il reato di immigrazione clandestina paralizzando le procure d’Italia; un governo che ap prova una Finanziaria al buio senza affrontare i nodi della crisi lasciando sole le fami glie e le imprese; un governo che colleziona figuracce alle Nazioni unite. È questo governo che dimostra di non avere a cuore il bene del Paese e di lavorare contro la dignità de gli italiani».
Enrico Morando, senatore di area veltroniana e sostenitore della mozione Franceschini, riconosce che «spesso c’è un pregiudizio nei con fronti di Berlusconi che an nebbia la mente a una parte del centrosinistra». E aggiunge: «Già diversi mesi fa avevo scritto che dovremmo occu parci di più di capire le ragio ni della destra e perché molti italiani si riconoscono in Berlusconi. Detto questo, critica re per esempio le politiche economiche di questo gover no non ha nulla di anti-italia no ». Secondo Morando, «l’immobilismo davanti alla crisi è sotto gli occhi di tutti. Siamo di fronte a un governo che ha negato la crisi in tutte le maniere e anche quando ha riconosciuto che c’è, a differenza di tutti gli altri Paesi non ha messo in campo interventi decisi per affrontare la situazione. Tacere di fronte a questo atteggiamento da parte del l’opposizione sarebbe irresponsabile ». Semmai, conclude il senatore, è «anti-italiano il comportamento di un governo che lascia gli italiani in balìa della crisi».
Dario Franceschini invece è netto nel liquidare l’attacco di Berlusconi all’opposizione. Come aveva detto prima dell’intervento di D’Alema: «Anti-italiano non è chi dice la verità e cerca di dare voce agli italiani in difficoltà, ma è un capo del governo che da oltre un anno nasconde la realtà della crisi e non dà risposte a milioni di italiani che non hanno più un reddito per vivere ». E poi: «Anti-italiano è chi imbroglia il popolo».
Sul tema, nel sito, si cfr.:
UNA QUESTIONE DI ECO. L’orecchio disturbato degli intellettuali italiani
IL PARTITO TRASVERSALE DEL "CAVALLO DI TROIA"
L’OCCUPAZIONE DELLA LINGUA ITALIANA: L’ITALIA E LA VERGOGNA.
D’Alema gioca d’anticipo e lancia
l’antiberlusconismo per le primarie
di MARCELLO SORGI (La Stampa, 11/10/2009)
Dalla togliattiana svolta di Salerno del 1944, che servì a riconoscere la legittimità della monarchia e del governo Badoglio, il Pci, Pds, Ds e ora Pd, ci ha abituato a repentini cambi di rotta, brusche accostate e improvvise virate. Per questo, non può stupire l’intervista al Riformista con cui ieri Massimo D’Alema, il «líder Máximo» che tra l’altro vanta grande esperienza marinara, ha chiesto le dimissioni di Berlusconi, a soli tre giorni dalle prime reazioni del suo partito alla sentenza della Corte Costituzionale sul lodo Alfano, mirate a dire che il presidente del Consiglio poteva e doveva andare avanti, purché tornasse a mostrare il rispetto dovuto al Capo dello Stato, e si rassegnasse ad affrontare i processi penali che lo aspettano, senza attaccare la magistratura.
Ieri invece, alla vigilia della Convenzione democratica di oggi, che dovrà prendere atto dei risultati precongressuali favorevoli al cambio di segreteria a favore di Pierluigi Bersani, e nello stesso indire le primarie in cui il segretario uscente Dario Franceschini proverà a prendersi la rivincita, D’Alema se n’è uscito con un attacco frontale al premier e al suo partito. Ha ricordato che «Berlusconi non è perseguito per reati politici o perché è un leader politico», ma «per reati comuni». Ha aggiunto che «in un Paese democratico un leader che si trova in queste condizioni viene sostituito». E ha concluso che se questo non avviene è perché «il partito di Berlusconi è “suo” in senso proprietario».
Posizioni durissime, eppure logiche, in bocca a uno dei maggiori esponenti dell’opposizione. Ma non si capisce perché soltanto martedì pomeriggio, i dirigenti del Pd, uno dopo l’altro, si alternassero ai microfoni dei telegiornali, per concedere a Berlusconi, pur tornato ad essere un normale inquisito, di andare avanti.
La spiegazione di questo cambio di linea è legata agli sviluppi della situazione interna del Pd. D’Alema, e come lui Franceschini, Fassino e tutti gli altri che hanno preso la parola dopo la sentenza della Consulta, sanno benissimo che Berlusconi non si dimetterà certo perché glielo chiede il Pd. Ed è per questo che, accortamente, hanno evitato di chiederglielo martedì. Un ragionamento del genere, ancorché non condivisibile fino in fondo, è abbastanza comprensibile per iscritti e militanti del Pd, tutti più o meno professionisti della politica, che ne conoscono i limiti e le arguzie necessarie.
Ma i dirigenti del Pd, divisi in tre squadre diverse, che si fronteggeranno tra poco nella votazione finale, sanno anche bene che, un conto sono i militanti, e un altro il «popolo delle primarie». Un «popolo» molto più radicalmente ed esplicitamente antiberlusconiano, che voterà, il prossimo 25 ottobre, insieme con la testa e con la pancia, misurando la credibilità dei candidati quasi soltanto dal tasso di odio che saranno in grado di esprimere contro il Cavaliere.
Ecco perché, oggi, alla Convenzione democratica, tre candidati assai diversi tra loro, come Bersani, Franceschini e Marino, daranno vita a una nobile gara di antiberlusconismo, tutta rivolta al popolo di elettori e simpatizzanti che tra due settimane entrerà nei gazebo delle primarie. E perché, intuendo tutto questo, D’Alema, che conosce i suoi polli, s’è schierato prima del tempo.