“L’associazionismo e il volontariato coinvolgono milioni di cittadini italiani ai quali sta a cuore il bene comune e che sono desiderosi di condividere impegni e valori civili. Le Fondazioni sono una delle forme in cui l’impegno organizzato a favore del bene comune, comunque lo si voglia definire, trova espressione concreta”. Così il Presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, è intervenuto all’Auditorium Parco della Musica nel saluto d’apertura dell’Assemblea Generale dell’European Foundation Centre dal titolo “Combattere la povertà, creare opportunità”.
“La dura crisi economica mondiale che stiamo vivendo - ha proseguito il Capo dello Stato - non ha ancora generato sfortunatamente tutti i suoi effetti in termini di povertà. Negli ultimi decenni la povertà e l’impoverimento non sono stati collocati in cima all’agenda politica, ma oggi li troviamo nuovamente al centro del dibattito pubblico. Infatti, nell’attuale congiuntura, non solo potremmo non riuscire a recuperare coloro che si trovano ancora al di sotto della soglia di povertà, ma rischiamo di vedere tanti altri cadere oltre tale soglia. Dobbiamo, inoltre, chiederci se le politiche pubbliche non abbiano concorso anch’esse a determinare questo processo, sia per le loro manchevolezze tecniche, sia perché la tensione verso l’eguaglianza e la solidarietà, che a lungo è stata una forza trainante in gran parte delle culture politiche europee, abbia finito per affievolirsi. La povertà è una delle questioni che esigono motivazione e mobilitazione ad ogni livello: a partire dalla generosità individuale fino all’azione strutturale dell’Unione Europea”.
“Povertà e disuguaglianza - ha aggiunto il Presidente Napolitano - sono strettamente connesse, quindi le misure rivolte a ridurre la povertà e quelle contro l’esclusione sociale devono andare di pari passo. Solo in questo modo si può evitare che coloro che si trovano in fondo alla scala sociale rimangano confinati in quella posizione. Questo è tanto più importante nei nostri paesi dove le differenze in termini di origini etniche, religiose e culturali sono aumentate. Qui, il rischio che queste differenze si traducano in un fattore di esclusione è sempre presente ed è aggravato dal diffondersi di una retorica pubblica che non esita - anche in Italia - ad incorporare accenti di intolleranza o xenofobia”.
“Abbiamo bisogno - ha concluso il Presidente Napolitano - di elaborare strategie innovative, nuovi metodi. Le fondazioni possono essere utili in questa funzione. La progettazione e la valutazione di nuove soluzioni non spetta esclusivamente alla politica; è una funzione che in società molto differenziate deve scaturire dal dialogo e dalla collaborazione tra tutti gli attori sociali”.
Immigrati urla e silenzi
di BARBARA SPINELLI (La Stampa, 17/5/2009)
Nel dichiarare guerra agli immigrati clandestini e alla tratta di esseri umani, il governo è sicuro di una cosa: dalla sua parte ha un gran numero di italiani, almeno due su tre. Ne è sicura la Lega, assai presente nel territorio. Ne è sicuro Berlusconi, che scruta in quotidiani sondaggi l’umore degli elettori. Non ci sono solo i sondaggi, d’altronde: indagini e libri (per esempio quello di Marzio Barbagli, Immigrazione e sicurezza in Italia, Mulino 2008) confermano che la paura - in particolare la paura della crescente criminalità tra gli immigrati - è oggi un sentimento diffuso, che il politico non può ignorare. A questo sentimento possente tuttavia i governanti non solo si adeguano: lo dilatano, l’infiammano con informazioni monche, infine lo usano. È quello che Ilvo Diamanti chiama la metamorfosi della realtà in iperrealtà.
Negli ultimi vent’anni l’iperrealismo ha caratterizzato tre guerre, fondate tutte sulla paura: la guerra al terrorismo mondiale, alla droga e alla tratta di esseri umani. Le ultime due son condotte contro mafie internazionali e italiane (la tratta di migranti procura ormai più guadagni del commercio d’armi) i cui rapporti col terrorismo non sono da escludere. Sono lotte necessarie, ma non sempre il modo è adeguato: contro il terrorismo e i cartelli della droga, la guerra non ha avuto i risultati promessi.
George Lakoff, professore di linguistica, disse nel 2004 che la parola guerra - contro il terrore - era «usata non per ridurre la paura ma per crearla». La guerra alla tratta di uomini rischia insuccessi simili. Le tre guerre in corso sono spesso usate dal potere politico, che nutrendosene le rinfocola.
Roberto Saviano lo spiega da anni, con inchieste circostanziate: ci sono forme di lotta alla clandestinità votate alla sconfitta, perché trascurano la malavita italiana che di tale traffico vive. Ed è il silenzio di politici e dei giornali sulle nostre mafie a trasformare l’immigrato in falso bersaglio, oltre che in capro espiatorio. Lo scrittore lo ha ripetuto in occasione dei respingimenti in mare di fuggitivi. Le paure hanno motivo d’esistere, ma per combatterle occorrerebbe andare alle radici del male, denunciare i rapporti tra mafie straniere e italiane: le prime non esisterebbero senza le seconde, e comunque la malavita viaggia poco sui barconi. Saviano dice un’altra verità: se ci mettessimo a osservare le condotte dei migranti, la paura si complicherebbe, verrebbe controbilanciata da analisi e sentimenti diversi. Una paura che si complica è già meno infiammabile, strumentalizzabile.
Saviano elenca precise azioni di immigrati nel Sud Italia. Negli ultimi anni, alcune insurrezioni contro camorra e ’ndrangheta sono venute non dagli italiani, ormai rassegnati, ma da loro. È successo a Castelvolturno il 19 settembre 2008, dopo la strage di sei immigrati africani da parte della camorra. È successo a Rosarno, in provincia di Reggio Calabria, dopo l’uccisione di lavoratori ivoriani uccisi perché ribelli alla ’ndrangheta, il 12 dicembre 2008. Ma esistono altri casi, memorabili. Il 28 agosto 2006, all’Argentario, una ragazza dell’Honduras, Iris Palacios Cruz, annega nel salvare una bambina italiana che custodiva. L’11 agosto 2007 un muratore bosniaco, Dragan Cigan, annega nel mare di Cortellazzo dopo aver salvato due bambini (i genitori dei bambini lasciano la spiaggia senza aspettare che il suo corpo sia ritrovato). Il 10 marzo 2008 una clandestina moldava, Victoria Gojan, salva la vita a un’anziana cui badava. Lunedì scorso, due anziani coniugi sono massacrati a martellate alla stazione di Palermo, nessun passante reagisce tranne due nigeriani, Kennedy Anetor e John Paul, che acciuffano il colpevole: erano giunti poche settimane fa con un barcone a Lampedusa. Può accadere che l’immigrato inoculi nella nostra cultura un’umanità e un senso di rivolta che negli italiani sono al momento attutiti (Saviano, la Repubblica 13 maggio 2009).
Questo significa che in ogni immigrato ci sono più anime: la peggiore e la migliore. Proprio come negli italiani: siamo ospitali e xenofobi, aperti al diverso e al tempo stesso ancestralmente chiusi. Sono anni che gli italiani ammirano simultaneamente persone diverse come Berlusconi e Ciampi. Oggi ammirano Napolitano; anche quando critica il «diffondersi di una retorica pubblica che non esita, anche in Italia, ad incorporare accenti di intolleranza o xenofobia». Son rari i popoli che hanno di se stessi un’opinione così beffarda come gli italiani, ma son rari anche i popoli che raccontano, su di sé, favole così imbellite e ignare della propria storia. L’uso che viene fatto della loro paura consolida queste favole. Nel nostro Dna c’è la cultura dell’inclusione, dicono i giornali; non c’è xenofobia né razzismo. Gli italiani non si credono capaci dei vizi che possiedono: il nemico è sempre fuori. Non vivono propriamente nella menzogna ma in una specie di bolla: in un’illusione che consola, tranquillizza, e non per forza nasce da mala fede. Nasce per celare insicurezze, debolezze. Nasce soprattutto perché il cittadino è molto male informato, e la mala informazione è una delle principali sciagure italiane. È vero, la criminalità tra gli immigrati cresce, ma cresce in un clima di legalità debole, di mafie dominanti, di degrado urbano. Un clima che esisteva prima che l’immigrazione s’estendesse, spiega Barbagli. Se la malavita italiana svanisse, quella dei clandestini diminuirebbe.
La menzogna viene piuttosto dai governanti, e in genere dalla classe dirigente: che non è fatta solo di politici ma di chiunque influenzi la popolazione, giornalisti in prima linea. Tutti hanno contribuito alla bolla d’illusioni, al sentire della gente di cui parla Bossi. Tutti son responsabili di una realtà davanti alla quale ora ci si inchina: che vien considerata irrefutabile, immutabile, come se essa non fosse fatta delle idee soggettive che vi abbiamo messo dentro, oltre che di oggettività. I fatti sono reali, ma se vengono sistematicamente manipolati (omessi, nascosti, distorti) la realtà ne risente, ed è così che se ne crea una parallela. La realtà dei fatti è che ogni mafia, le nostre e le straniere, si ciba di morte, di illegalità, di clandestinità. La realtà è un’Italia multietnica da anni. Il pericolo non è solo l’iperrealtà: è la manipolazione e la mala informazione.
Per questo è un po’ incongruo accusare di snobismo o elitismo chi denuncia le attuali politiche anti-immigrazione. Quando si vive in una realtà manipolata, chi si oppone non dice semplicemente no: si esercita ed esercita a vedere i fatti da più lati, non solo da uno. Rifiuta di considerare, hegelianamente, che «ciò che è razionale è reale, e ciò che è reale è razionale». Che ciò che è popolare è giusto, e ciò che è impopolare ingiusto o cervellotico. Bucare la bolla vuol dire fare emergere il reale, cercare le verità cui gli italiani aspirano anche quando s’impaurano rintanandosi. Accettare le loro illusioni aiuta poco: esalta la loro parte rinunciataria, lusinga le loro risposte provvisorie, non li spinge a interrogarsi e interrogare.
Lo sguardo straniero sull’Italia è prezioso, in tempi di bolle: ogni articolo che viene da fuori erode la mala informazione. Non che gli altri europei siano migliori: nelle periferie francesi e inglesi l’esclusione è semmai più feroce. Ma ci sono parole che lo straniero dice con meno rassegnazione, meno cinismo. Ci sono domande e moniti che tengono svegli. Per esempio quando Bill Emmott, ex direttore dell’Economist, ci chiede come mai accettiamo tante cose, dette da Berlusconi, manifestamente false. O quando Perry Anderson chiede come mai l’auto-ironia italiana non abbia prodotto una discussione sul passato vasta come in Germania (London Review of Books, 12-3-09). O quando l’Onu ci rammenta le leggi internazionali che stiamo violando.
Lettera aperta al Presidente della Repubblica
di Il "Centro di ricerca per la pace" di Viterbo
Affinché non ratifichi le incostituzionali e criminali misure razziste contenute nel cosiddetto "ddl sicurezza"
Signor Presidente della Repubblica,
qualora dopo la Camera dei Deputati anche il Senato della Repubblica dovesse approvare le misure razziste ed incostituzionali contenute nel cosiddetto "ddl sicurezza", con la presente la preghiamo di non ratificare lo scellerato tentativo di introdurre nel nostro paese il regime dell’apartheid e di legalizzare lo squadrismo.
La preghiamo di voler adempiere rigorosamente al suo ruolo istituzionale, ed in tal veste respingere il protervo e barbaro tentativo governativo di violare la legalità costituzionale per imporre norme razziste, criminali e criminogene.
Sia difensore e garante della Costituzione della Repubblica Italiana, e quindi della legalità democratica, della civiltà giuridica, dei diritti umani.
Respinga il razzismo, crimine contro l’umanità.
Distinti saluti,
Il "Centro di ricerca per la pace" di Viterbo
Viterbo, 15 maggio 2009
Mittente: Centro di ricerca per la pace di Viterbo
strada S. Barbara 9/E, 01100 Viterbo
tel. 0761353532
e-mail: nbawac@tin.it
web: http://lists.peacelink.it/nonviolenza/
Immigrazione, il monito di Napolitano: «Troppa retorica xenofoba» *
Giorgio Napolitano ha attaccato questa mattina «il diffondersi di una retorica pubblica che non esita - anche in Italia - ad incorporare accenti di intolleranza o xenofobia. La crisi economica globale - ha aggiunto il presidente aprendo il convegno del Centro Europeo delle Fondazioni - impone un maggiore impegno nella lotta contro la povertà che rischia di aggravarsi ed estendersi e richiede iniziative pubbliche e private di prevenzione, una mobilitazione a tutti i livelli a livello Europeo e nelle politiche nazionali».
Prima dell’intervento di Napolitano aveva parlatop da Gaeta il ministro degli Interni Roberto Maroni. «L’Italia è in prima linea nella lotta all’immigrazione clandestina, noi investiamo le nostre risorse per proteggere anche i paesi europei, ma vogliamo che la Ue prenda decisioni che finora non ha preso e aiuti i paesi più esposti su questo fronte». Il responsabile del Viminale ha anche sottolineato «l’obbligo morale di contrastare il traffico di clandestini con ogni mezzo».
«Questo non vuol dire - ha spiegato - chiudere le porte a chi scappa dalla guerra e dalla fame: l’Italia ha sviluppato il miglior sistema di accoglienza per chi viene nel nostro paese per lavorare. Ma opporremo un netto contrasto nei confronti di chi vuol venire per altri scopi. Tanti sono gli strumenti a nostra disposizione e, con l’approvazione in Parlamento del ddl sulla sicurezza, ne avremo di ulteriori».
Maroni si è detto convinto che «oggi è una giornata importante ed è una ulteriore tappa della svolta iniziata nella lotta all’immigrazione clandestina». «Le forze dell’ordine italiane - ha aggiunto - hanno molti strumenti a disposizione per il contrasto all’immigrazione clandestina, ma non sono sufficienti se manca la collaborazione internazionale che è indispensabile per contrastare il traffico di essere umani, il più indegno che ci sia».
E poi è tornato sulle critiche espresse dalla Cei: «Pregiudizi infondati».
«Napolitano? Io ascolto la gente» ha replicato Umberto Bossi, ministro per le Riforme e leader della Lega, rispondendo a Montecitorio ai giornalisti che gli chiedono di commentare le dichiarazioni del presidente della Repubblica sull’eccesso di retorica xenofoba. «Io ascolto la gente - dice Bossi - Non come Franceschini, il suo (intervento in aula, ndr) sembrava un suicidio in diretta. Non ascolta la gente».
«Avete scelto di trasformare barconi pieni di disperati che scappano da guerre e violenze in uno spot elettorale per guadagnare qualche voto in più» ha ribattuto Dario Franceschini annunciando alla Camera il «no» del Pd al ddl sicurezza. I respingimenti dei barconi, ha aggiunto Franceschini, «sono uno spot contro la vostra stessa legge, la Bossi-Fini, per la quale i respingimenti sono individuali». «Non avete ascoltato l’Unione Europea - ha aggiunto il segretario del Pd - delle organizzazioni umanitarie, dei vescovi, voi che siete così ipocritamente devoti». «Quando la politica - ha concluso - per la caccia morbosa al consenso schiaccia i valori, non eè più politica».
«Sono contro la xenofobia da sempre, così come lo è il governo» ha detto il premier Silvio Berlusconi. «Non ho conoscenza di queste critiche. Ho parlato più volte con i responsabili della Conferenza episcopale e ho sempre trovato un’accoglienza positiva da parte loro».
Intanto l’Aula della Camera ha approvato il disegno di legge in materia di sicurezza. Il testo, su cui ieri il governo ha incassato tre fiducie su altrettanti suoi maxiemendamenti, ora passa al Senato. I voti a favore sono stati 297, 255 i contrari, tre gli astenuti. Le minoranze linguistiche si sono astenute.
* l’Unità, 14 maggio 2009