COSTITUZIONE DELLA REPUBBLICA ITALIANA: L’ITALIA E’ UNA REPUBBLICA (ART. 1), UNA E INDIVISIBILE (ART. 5). LA SUA BANDIERA E’ IL TRICOLORE (ART. 12)... E IL PRESIDENTE DELLA REPUBBLICA E’ IL CAPO DELLO STATO E RAPPRESENTA L’UNITA’ NAZIONALE (ART. 87)
STORIA D’ITALIA (1994-2010). CON un Partito camuffato (e tuttavia autorizzato dalle Istituzioni, non una ma due volte!) da PARTITO DEL PRESIDENTE DELLA REPUBBLICA, IL CAVALIERE SFERRA L’ATTACCO AL QUIRINALE E ALLA COSTITUZIONE: "FORZA ITALIA"!, FORZA "POPOLO DELLA LIBERTA’"! - "L’ITALIA SONO IO" E IL DIRITTO E’ "UN DIRITTO AD PERSONAM"!!!
SIG. PRESIDENTE
DELLA REPUBBLICA ITALIANA
CARISSIMO CITTADINO
GIORGIO NAPOLITANO
A LEI ARBITRO IMPARZIALE DELLA VITA POLITICA DELLA NOSTRA SOCIETA’ DI CITTADINI-SOVRANI E DI CITTADINE-SOVRANE CHIEDIAMO UN INTERVENTO E UN MESSAGGIO CHIARO E FORTE INDIRIZZATO A TUTTO IL PARLAMENTO E A TUTTO IL PAESE.
L’ITALIA HA UN SOLO PRESIDENTE DELLA REPUBBLICA E LA PAROLA "ITALIA" E’ COSTITUZIONALMENTE SOLO SUA. NESSUNO PUO’ APPROPRIARSENE PER FARNE PAROLA DI PARTITO O SCUDO PER COPRIRE INTERESSI DI PARTE, COME E’ AVVENUTO E CONTINUA AD AVVENIRE SOTTO GLI OCCHI SUOI E DI TUTTI I CITTADINI E DI TUTTE LE CITTADINE D’ITALIA.
NON E’ PIU’ POSSIBILE TEMPOREGGIARE E GIOCARE CON IL FUOCO E CON LA MORTE CIVILE CULTURALE E POLITICA SUA E DELL’INTERA ITALIA.
LA "LOGICA" E IL SOFISMA DEL MENTITORE ISTITUZIONALE HA ASSICURATO AL PARTITO "FORZA ITALIA" UNA MAGGIORANZA FALSA E BUGIARDA, CAMUFFATA DA LEGALITA’ E LEGITTIMITA’, E PRODOTTO UNO STRAVOLGIMENTO DELLE STESSE REGOLE COSTITUZIONALI.
NON SI PUO’ PIU’ PROCEDERE OLTRE SU QUESTA STRADA DI DEVASTAZIONE E MORTE CULTURALE POLITICA E CIVILE. E’ L’ORA DI DIRE SEMPLICEMENTE E DECISAMENTE: BASTA!!!
OLTRE C’E’ SOLO LA FINE DI OGNI DIGNITA’, COME DELLA SUA COSI’ DELL’INTERA ITALIA.
PER UNA VERA PACIFICAZIONE E UN VERO DIALOGO TRA LE FORZE IN CAMPO CHIEDIAMO UN SUO IMMEDIATO INTERVENTO E UN SUO MESSAGGIO DI CHIARIFICAZIONE E DI ESORTAZIONE IN MERITO.
IL NOSTRO AUGURIO E LA NOSTRA SOLLECITAZIONE E’ CHE ELLA INTERVENGA IMMEDIATAMENTE E CHE FINALMENTE
LA PAROLA "ITALIA" VENGA RESTITUITA
AL PRESIDENTE DELLA REPUBBLICA,
AL CITTADINO GIORGIO NAPOLITANO,
ALL’INTERO PARLAMENTO
E A TUTTI I CITTADINI E A TUTTE LE CITTADINE D’ITALIA!!!
E CHE SOTTO LA SUA IMPARZIALE E COSTITUZIONALE GUIDA
E CON LEI TUTTI I CITTADINI E TUTTE LE CITTADINE, TUTTI I GIOVANI E TUTTE LE GIOVANI, TUTTI GLI STUDENTI E TUTTE LE STUDENTESSE D’***ITALIA***
POSSANO RICOMINCIARE A GRIDARE IN MODO CHIARO, SERENO,
DIGNITOSO E FIERO
COME GIA’ IL NOSTRO E SUO PRESIDENTE SANDRO PERTINI:
FORZA ***ITALIA***
Che l’Italia viva: Forza ***Italia***!!!
VIVA L’ITALIA!!!
Federico La Sala
Sul tema, nel sito, si cfr.:
Napolitano: "In Italia troppa partigianeria E i leader politici non siano gelosi di me" *
ROMA - In Italia c’è un eccesso di partigianeria politica. Lo ha detto il presidente della Repubblica Giorgio Napolitano nel suo incontro stamattina con i giornalisti della stampa estera.
All’incontro ha partecipato una rappresentanza di giornalisti di diverse testate internazionali e secondo quanto si è appreso il capo dello stato avrebbe fatto riferimento, come gli è capitato altre volte, a una partigianeria politica esasperata usando il termine inglese "hyperpartisanship".
"Penso che non ci sia per i politici italiani motivo di ingelosirsi, perchè viaggiamo su pianeti diversi, non ci sono comparazioni possibili, che non siano invece arbitrarie", ha aggiunto il capo dello Stato a proposito del suo ruolo. Spiegando poi che il compito del Colle è quello di "rappresentare l’unità nazionale" ed è "completamente diverso da quello dei leader politici".
* la Repubblica, 23 maggio 2011
RIFORMA DELLA GIUSTIZIA
Napolitano rassicura i magistrati
"L’autonomia delle toghe è inderogabile"
L’Anm soddisfatta dopo l’incontro al Quirinale. Il capo dello Stato ribadisce: "Riforma possibile se rispetta divisione dei poteri". Palamara: "Preoccupati per le manifestazioni davanti ai tribunali, dal presidente grande attenzione" *
ROMA - "L’autonomia e l’indipendenza della magistratura costituiscono principi inderogabili in rapporto a quella divisione tra i poteri che è parte essenziale dello Stato di diritto". Lo ha assicurato il presidente della Repubblica Giorgio Napolitano, ricevendo questa mattina al Quirinale i vertici dell’Anm. Ai rappresentanti del sindacato delle toghe, il capo dello Stato ha spiegato di sperare in "un più sereno clima istituzionale", precisando di non avere ancora ricevuto però da palazzo Chigi il testo della riforma costituzionale approvato dal Consiglio dei ministri lo scorso 11 marzo. Puntualizzazione alla quale ha risposto a breve giro il governo, assicurando che il ddl costituzionale sarà entro oggi nella disponibilità del presidente della Repubblica.
"In termini più generali - precisa ancora una nota del Colle - il capo dello Stato ha riaffermato la legittimità di interventi di revisione di norme della Seconda Parte della Costituzione che possano condurre a una rimodulazione degli equilibri tra le istituzioni quali furono disegnati nella Carta del 1948". Rimodulazione, sottolinea ancora il presidente della Repubblica, "che in tanto può risultare convincente in quanto comunque rispettosa della distinzione tra i poteri e delle funzioni di garanzia".
"Ci sentiamo rinfrancati, abbiamo colto una grande attenzione da parte del capo dello Stato", hanno commentato al termine del faccia a faccia i vertici dell’Associazione nazionale magistrati. Un appuntamento nel corso del quale i dirigenti del sindacato dei giudici hanno avuto modo di esprimere tutte le loro preoccupazioni in merito alla riforma della giustizia. Un provvedimento che, secondo l’Anm, incide profondamente sul complessivo assetto costituzionale della magistratura.
A chiedere un incontro al capo dello Stato era stato proprio il presidente del sindacato delle toghe, Luca Palamara, con una lettera inviata al Colle il 16 marzo scorso, dopo il varo della riforma Alfano in Consiglio dei ministri. Un progetto che nelle valutazioni dell’Anm "rischia di minare in radice l’indipendenza e l’autonomia" dei magistrati, facendo scattare da parte dei giudici lo "stato di agitazione". A seguire erano poi arrivate altre iniziative parlamentari della maggioranza altrettanto preoccupanti agli occhi dell’Anm, come gli emendamenti al ddl sul processo breve e alla legge Comunitaria 2010.
Ma a destare l’allarme del sindacato non ci sono solo le nuove norme. "Abbiamo espresso al presidente - ha detto ancora Palamara - la nostra forte preoccupazione anche per il clima di manifestazioni di piazza in prossimità dei tribunali e anche nelle aule di giustizia, che rischiano di minare la serenità e l’equilibrio dei giudici chiamati a decidere importanti controversie". "La posizione dell’Anm - ha aggiunto - non è di chiusura corporativa ma di volontà di mantener fermi quei principi che riteniamo capisaldi dello Stato di diritto e che sono a garanzia e tutela dei cittadini come l’autonomia e l’indipendenza della magistratura che riteniamo fortemente alterata nell’eventuale approvazione del disegno di legge sulla riforma costituzionale della giustizia".
Al Capo dello Stato i rappresentanti dell’Anm hanno voluto inoltre rilanciare quelle che ritengono priorità per far funzionare meglio la macchina della giustizia e cioè la revisione delle circoscrizioni giudiziarie, l’informatizzazione della giustizia, e maggiori risorse. "Abbiamo espresso a Napolitano - ha detto ancora il presidente dell’Anm - i nostri timori anche per la riforma per legge ordinaria che per la disorganicità rischia ulteriormente di danneggiare il processo, in particolare quello penale. Ci siamo soffermati sul tema della responsabilità civile dei giudici che riteniamo sia stato malposto ai cittadini in quanto non è vero che il magistrato se sbaglia non paga".
* la Repubblica, 05 aprile 2011
FEDERALISMO
Berlusconi di nuovo all’attacco
"L’Italia commissariata dalle Procure"
Il premier: "Federalismo? La bicamerale era solo un artifizio, spero che non ci siano problemi con Napolitano". "L’opposizione è contraria agli interessi del Paese". "La maggioranza sta per allargarsi". "Ruby? Mai avuto colloqui diretti". E rilancia il nome di Forza Italia *
ROMA - "L’Italia è una repubblica giudiziaria commissariata dalle Procure". Silvio Berlusconi abbandona rapidamente la linea del "dialogo" e torna ai consueti affondi aggressivi contro toghe e opposzione. Lo fa a proposito del caso Ruby, parlando con i giornalisti al suo arrivo a Bruxelles per il vertice Ue. Dopo le toghe tocca all’opposizione, "contraria agli interessi del Paese".
Ieri sera, invece, il premier aveva cenato con i deputati che hanno formato il gruppo dei cosidetti "responsabili", definendo la commissione bicamerale 1 "un semplice artifizio", e negando "forzature sul federalismo". "Abbiamo la maggioranza sia alla Camera che al Senato, la Commissione bicamerale è un artificio" aveva aggiunto il Cavaliere, sostenendo che da parte del Quirinale non dovrebbero esserci problemi a firmare il decreto legislativo. Tesi ribadita anche oggi a Bruxelles: "Contrasti con Napolitano? Spero di no".
"Maggioranza più larga". "Presto arriveranno altri quattro parlamentari a rafforzare i ’Responsabili’, due dall’opposizione e due dai liberaldemocratici". Così il premier, che ha poi annunciato ai suoi alleati di voler rompere ogni rapporto con l’Udc anche sul territorio. Da Bruxelles conferma: "Abbiamo una maggioranza per potere lavorare e credo che potremo lavorare bene su molti temi anche per riforme importanti per il Paese. Senza Fli è più facile lavorare".
Caso Ruby: "Facciamo cappotto...". "Se continua così, la prossima volta facciamo cappotto...". il presidente del Consiglio ha gioito per il voto positivo per l’esecutivo ottenuto alla Camera sulla richiesta per il caso Ruby. E, nel merito, avrebbe assicurato di non aver mai avuto colloqui diretti con la ragazza: "E’ solo una ragazza che mi è stata segnalata, nulla di più". Colloqui e incontri diretti che invece sarebbero testimoniati dai tabulati dell’inchiesta di Milano. "Il fatto è - ha concluso - che sono uno generoso, se qualcuno mi dice che non può comprare una macchina io la regalo. Di solito regalo mini Cooper...".
Torna Forza Italia? Il nuovo partito di Silvio Berlusconi si dovrebbe chiamare Forza Italia. Secondo quanto viene riferito dalla cena è stato lo stesso Cavaliere a dirlo, sottolineando che ora si tratta di "convincere gli ex An".
IL RETROSCENA
L’ira di Berlusconi sul Colle:
Scorretto, non doveva intervenire
Il Cavaliere ora teme lo scenario del ’94, una soluzione "alla Dini". Irritazione per la scelta dell’intervista all’Unità: "Proprio il giornale che mi denigra sempre". Su Fini: "La storia della casa gli ha tolto la maschera, perderà anche la poltrona"
di CARMELO LOPAPA *
È il fantasma del ’94 che ritorna. La soluzione "alla Dini" che si staglia all’orizzonte. Il premier Silvio Berlusconi intravede l’uno e l’altra e lo sfogo è denso di rabbia. "Napolitano è stato scorretto".
L’intervista del capo dello Stato all’Unità fa vedere nero, al presidente del Consiglio. La legge di primo mattino e la mette via: "È una intromissione indebita" è stata la reazione a caldo, riferita da alcuni fra i tanti capigruppo, ministri e semplici deputati che lo hanno sentito al telefono per sondarne gli umori, cogliere le sfumature, prevedere l’andazzo.
Il monito del Colle è sceso giù sull’inner circle berlusconiano come una doccia fredda. "Proprio all’Unità doveva concedere l’intervista?" si è chiesto retoricamente il Cavaliere. "Proprio al giornale che da sempre conduce una campagna denigratoria contro di me? È una provocazione". Ma non è solo il "mezzo" ad aver indispettito il capo del governo, ancora ieri ad Arcore e in procinto di trasferirsi da oggi in Sardegna giusto per la pausa di Ferragosto. Quell’evocazione del "vuoto politico" che metterebbe a rischio il Paese in caso di ricorso alle urne, l’invito a fermare la campagna di delegittimazione nei confronti del presidente della Camera, sono per Berlusconi la conferma che l’obiettivo del voto anticipato, in caso di crisi politica in autunno e dimissioni, non sarà tanto facile da raggiungere. Non è insomma una soluzione scontata, per il Quirinale. Prendono così corpo nuovamente, nel giro di poche ore, tutti i sospetti del leader Pdl sulle chances crescenti di un governo tecnico o di transizione. "Ma se danno vita a un altro esecutivo al posto mio, sarà un colpo di Stato e come tale io lo denuncerò" ha confessato il premier a uno dei maggiorenti del partito nel corso della giornata. "E di fronte a un golpe io mando la gente in piazza". Richiamo non nuovo alla mobilitazione, arma finale che Berlusconi in più di un’occasione ha ventilato. Questa volta al cospetto del Colle. Non a caso, poche ore dopo la pubblicazione dell’intervista a Napolitano, proprio il capogruppo Cicchitto viene lanciato subito alla carica, col richiamo alle "menifestazioni" di piazza. Poi tutti i falchi a seguire. Bondi, Gasparri, Napoli, tra gli altri.
Ma ad aver irritato altrettanto Berlusconi è stato anche l’invito a frenare la campagna in corso sull’inquilino di Montecitorio. "Sono stati usati due pesi e due misure. Nulla in mia difesa quando un anno fa sono stato al centro di un attacco politico e mediatico senza precedenti - si è sfogato ancora - adesso l’invito a fermare un’inchiesta su Fini sulla quale io nulla ho a che fare". Di più. "Il presidente della Repubblica avrebbe dovuto invitarlo piuttosto a fare chiarezza sulla faccenda della casa, e allora sì che Gianfranco sarebbe stato sull’orlo delle dimissioni". Il sospetto neanche tanto velato che il premier non riesce a cacciare è che l’asse Quirinale-Montecitorio, l’intesa solidissima tra Napolitano e Fini, resista e trami alle sue spalle. Magari per disarcionarlo. Magari per affidare le redini di un esecutivo di emergenza, di solidarietà nazionale, a una figura terza, al governatore di Bankitalia Mario Draghi, per esempio.
Quel che anche ieri il premier andava ripetendo ai più stretti collaboratori è che "con Fini non farò mai la pace". Toni ancora più aspri del solito: "Con questa storia della casa gli è stata tolta la maschera, io gli toglierò la poltrona". Il leaeder Pdl resta infatti convinto che il presidente della Camera "sarà costretto a dimettersi: e in ogni caso, lo porterò al voto, gli farò fare la fine di Rifondazione comunista". Su questo, sul ricorso al più presto alle urne, l’intesa con Bossi resta piena. Col Senatur si sono sentiti nel pomeriggio, concordando per il 25 agosto un vertice informale tra dirigenti di Pdl e Carroccio, nella villa berlusconiana sul lago Maggiore. Le parole di Napolitano, neanche a dirlo, sono state lette al contrario con grande apprezzamento da Gianfranco Fini. "Bisognerebbe ascoltare le sue parole anziché giocare allo sfascio" sarebbe stato uno dei suoi commenti. Il capogruppo Italo Bocchino ha da poco lasciato Ansedonia, casa di vacanza del presidente della Camera, quando viene diffusa una sua nota in cui, prendendo spunto dall’intervista al capo dello Stato, si sottolinea non a caso come sia "facile capire chi gioca allo sfascio e vuol trascinare il paese in una ulteriore avventura elettorale nel più assoluto disprezzo dell’interesse nazionale". La convinzione dei finiani - anche alla luce delle ultime prese di distanza di Montezemolo e della Marcegaglia dal governo Berlusconi - è che il premier sia "ormai isolato: ha capito che il suo progetto di elezioni anticipate non avrà sbocco".
* la Repubblica, 14 agosto 2010
La Costituzione secondo Berlusconi
L’inferno del demagogo
di Nicola Tranfaglia (l’Unità, 12.06.2010)
Sapevamo da tempo che il presidente del Consiglio non ama la Costituzione repubblicana. Negli ultimi vent’anni o quasi, a partire dal marzo 1994 in cui ha vinto per la prima volta le elezioni politiche nazionali, l’imprenditore milanese ha sempre parlato il peggio possibile della carta costituzionale. Gli italiani ricorderanno che anni fa la definì una “costituzione sovietica” perché troppo attenta alle esigenze delle masse lavoratrici italiane e, giorni fa, ha sottolineato che in essa si parla di lavoro ma non di imprese e tanto meno di mercato: cioè delle due parole che hanno fino a ieri contrassegnato la sua vita. Avrebbe forse potuto aggiungere che la costituzione non parla neppure di “amici degli amici”: espressione particolarmente cara a chi si iscrive negli anni Settanta alla Loggia massonica coperta P2 di Licio Gelli e a chi ha come amico particolarmente caro un uomo come il senatore Marcello Dell’Utri che di amici siciliani si intende molto,a leggere gli atti che lo riguardano nei processi di Palermo.
Ma oggi non è il caso di polemizzare con le strane amicizie di Silvio Berlusconi quanto di constatare che la sua concezione dello Stato e della democrazia è del tutto incompatibile con i principi e i valori della Costituzione repubblicana come altrettanto incompatibili appaiono i comportamenti dei suoi ministri leghisti che non festeggiano l’anniversario della Repubblica. Peccato che Berlusconi,come del resto i ministri Maroni e Calderoli,abbiano giurato fedeltà al testo costituzionale e dovrebbero comportarsi in maniera coerente: se se ne ha un giudizio negativo o non si riesce ad osservarne i dettami,l’unica soluzione è lasciare il proprio incarico e presentare le dimissioni al Capo dello Stato.
Ma non ci troviamo,a quanto pare,di fronte a persone coerenti e preoccupate della tenuta democratica del paese. Siamo al contrario di fronte a un demagogo populista che da tempo vuole svuotare gli articoli fondamentali della Costituzione e trasformare il nostro Paese in una sorta di regime autoritario dominato dalle televisioni e dai giornali asserviti al governo e alla sua ampia maggioranza parlamentare.
Sicchè gli attacchi alla Costituzione fanno parte della campagna di propaganda che dovrebbe servire a convincere sempre di più la maggioranza degli italiani che la Carta è inutile o peggio dannosa e che Berlusconi ha ragione a lamentarsi sempre di più per i lacci e i lacciuoli che il testo contiene impedendogli di fare tutto quello che vuole come “unto del popolo”. Basterebbe in fondo eliminare dalla Costituzione che all’articolo 1 recita «La sovranità appartiene al popolo che la esercita nelle forme e nei limiti della Costituzione» quell’affermazione pignola sui limiti e le forme.
Il sipario sugli scandali
di MARIO CALABRESI (La Stampa, 11/6/2010)
Ora cala il sipario. Il nostro lavoro si farà più incerto e faticoso e gli avvocati diventeranno compagni di banco di direttori e editori. Nonostante dibattiti, correzioni e appelli di ogni tipo, la legge che detta nuove regole per le intercettazioni e l’informazione viaggia spedita verso i suoi obiettivi.
Abbiamo più volte scritto e riconosciuto che in Italia ci sono stati problemi di rispetto delle vite private di persone coinvolte in indagini, ma ciò non può cambiare il giudizio totalmente negativo che abbiamo della nuova legge.
Il dovere di informare i lettori e il mestiere di giornalisti saranno resi più difficili perché le possibilità di raccontare le inchieste si ridurranno notevolmente, potremo darvi resoconti minimi e parziali, dovremo destreggiarci a fare brevi riassunti e mai citare dettagli o particolari determinanti. Tutto in una grande incertezza, che spingerà gli editori a sollecitare continui pareri legali per evitare le maximulte.
E’ forte l’amarezza per un gesto che non ha nulla a che fare con la privacy e la civiltà giuridica, ma ci parla solo della volontà urgente della politica di calare il sipario sulle inchieste e di mettersi al riparo dagli scandali, per garantirsi un tranquillo futuro di impunità e mani libere.
ITALIA. USCIRE DALLA CONFUSIONE
L’amarezza del presidente emerito della Repubblica Ciampi
"Aberrante episodio di torsione del sistema democratico"
"E’ il massacro delle istituzioni
ora proteggiamo il Quirinale"
di MASSIMO GIANNINI *
ROMA - Benvenuti nella Repubblica del Male Minore. Cos’altro si può dire di un Paese che ormai, per assecondare i disegni plebiscitari di chi lo governa, è costretto ogni giorno ad un nuovo strappo delle regole della civiltà politica e giuridica, nella falsa e autoassolutoria convinzione di aver evitato un Male Maggiore? Carlo Azeglio Ciampi non trova altre formule: "La strage delle illusioni, il massacro delle istituzioni...". Ancora una volta, l’ex presidente della Repubblica parla con profonda amarezza di quello che accade nel Palazzo. Dopo il Lodo Alfano, il processo breve, lo scudo fiscale, il legittimo impedimento, il decreto salva-liste è solo l’ultimo, "aberrante episodio di torsione del nostro sistema democratico". Il "pasticciaccio di Palazzo Chigi" non è andato giù all’ex capo dello Stato, che considera il rimedio adottato (cioè il provvedimento urgente varato venerdì scorso) ad alto rischio di illegittimità costituzionale. E la clamorosa sentenza pronunciata ieri sera dal Tar del Lazio, che respinge il ricorso per la riammissione della lista del Pdl nel Lazio, non arriva a caso: "È la conferma che con quel decreto il governo fa ciò che la Costituzione gli vieta, cioè interviene su una materia di competenza delle Regioni. Speriamo solo che a questo punto non accadano ulteriori complicazioni...", dice.
Dopo il ricorso già avanzato da diverse giunte regionali, potrebbe persino accadere che, ad elezioni già svolte, anche la Consulta giudichi quel decreto illegittimo, con un verdetto definitivo e a quel punto davvero insindacabile. Questo preoccupa Ciampi: "Il risultato, in teoria, sarebbe l’invalidazione dell’intero risultato elettorale. Il rischio c’è, purtroppo. C’è solo da augurarsi che il peggio non accada, perché a quel punto il Paese precipiterebbe in un caos che non oso immaginare...". Il presidente emerito non lo dice in esplicito, ma dal suo ragionamento si evince che qualche dubbio lui l’avrebbe avuto, sulla percorribilità giuridica e politica di un decreto solo apparentemente "interpretativo", ma in realtà effettivamente "innovativo" della legislazione elettorale.
Ora si pone un interrogativo inquietante: questo disastro si poteva evitare? E se sì, chi aveva il potere di evitarlo? Detto più brutalmente: Giorgio Napolitano poteva non autorizzare la presentazione del decreto legge del governo? Ciampi vuole evitare conflitti con il suo successore, al quale lo lega un rapporto di affetto e di stima: "Non mi piace mai giudicare per periodi ipotetici dell’irrealtà. Allo stesso tempo, trovo sbagliato dire adesso "io avrei fatto, io avrei detto...". Ognuno decide secondo le proprie sensibilità e secondo le necessità dettate dal momento. Napolitano ha deciso così. Ora, quel che è fatto è fatto. Lo ripeto: a questo punto è stata imboccata una strada, e speriamo solo che ci porti a un risultato positivo...". Ma in questa occasione non si può negare che il Quirinale sia dovuto passare per la cruna di un ago particolarmente stretta, e che secondo molti ne sia uscito non proprio al meglio. In rete e sui blog imperversano le critiche: Scalfaro e Ciampi, si legge, non avrebbero mai messo la firma su questo "scempio". Al predecessore di Napolitano questo gioco non piace: "Queste sono cose dette un po’ a sproposito". Come non gli piacciono le rischieste di impeachment che piovono sull’inquilino del Colle dall’Idv: "Ma che senso ha, adesso, sparare sul quartier generale? Al punto in cui siamo, è nell’interesse di tutti non alimentare la polemica sul Quirinale, e semmai adoperarsi per proteggere ancora di più la massima istituzione del Paese...".
Premesso questo, Ciampi non si nega una netta censura politica di quanto è accaduto: "Io credo che la soluzione migliore sarebbe stata quella di rinviare la data delle elezioni. Ma per fare questo sarebbe stata necessaria una volontà politica che, palesemente, nella maggioranza è mancata. Ma soprattutto io credo che sarebbe stato necessario, prima di tutto, che il governo riconoscesse pubblicamente, di fronte al Paese e al Parlamento, di aver commesso un grave errore. Sarebbe stato necessario che se ne assumesse la responsabilità, chiedendo scusa agli elettori e agli eletti. Da qui si doveva partire: a quel punto, ne sono sicuro, tutti avrebbero lavorato per risolvere il problema, e l’opposizione avrebbe dato la sua disponibilità a un accordo. Bisognava battersi a tutti i costi per questa soluzione della crisi, e inchiodare a questo percorso chi l’aveva causata. Ma purtroppo la maggioranza, ancora una volta, ha deciso di fuggire dalle sue responsabilità, e di forzare la mano". I risultati sono sotto gli occhi di tutti: "Di nuovo, assistiamo sgomenti al graduale svuotamento delle istituzioni, all’integrale oblio dei valori, al totale svilimento delle regole: questo è il male oscuro e profondo che sta corrodendo l’Italia".
Su questo piano inclinato, dove si fermeranno lo scivolamento civico e lo smottamento repubblicano? "Vede - osserva Ciampi - proprio poco fa stavo rileggendo il De senectute di Cicerone: ci sarebbe bisogno di quella saggezza, di quell’amore per la civiltà, di quell’attenzione al bene pubblico. E invece, se guardiamo alle azioni compiute e ai valori professati da chi ci governa vediamo prevalere l’esatto opposto". Aggressione agli organi istituzionali, difesa degli interessi personali: l’essenza del berlusconismo - secondo l’ex capo dello Stato - "è in re ipsa, cioè sta nelle cose che dice e che fa il presiedente del Consiglio: basta osservare e ascoltare, per rendersi conto di dove sta andando questo Paese". Già qualche mese fa Ciampi aveva rievocato, proprio su questo giornale, l’antico principio della Rivoluzione napoletana di Vincenzo Cuoco sulla felicità dei popoli "ai quali sono più necessari gli ordini che gli uomini", e poi il vecchio motto caro ai fratelli Rosselli, "non mollare", poi rideclinato da Francesco Saverio Borrelli nel celebre "resistere, resistere, resistere".
Oggi l’ex presidente torna su queste "urgenze morali", per ribadire che servono ancora tanti "atti di coraggio", se vogliamo difendere la nostra democrazia e la nostra Costituzione. "I miei sono lì, sono le firme che non ho voluto apporrre su alcune leggi che mi furono presentate durante il settennato, e che successivamente mi sono state rinfacciate in Parlamento, come se si fosse trattato di atti "sediziosi", o decisioni "di parte". E invece erano ispirati solo ai principi del vivere civile in cui ho sempre creduto, e che riposano sulla sintesi virtuosa dei valori e delle istituzioni". Tra i 2001 e il 2006 Ciampi non potè rinviare alle Camere tutte le leggi-vergogna del secondo governo Berlusconi, perché in alcune di esse mancava il vizio della "palese incostituzionalità" che solo può giustificare il diniego di firma da parte del capo dello Stato. Ma dalla riforma Gasparri sul sistema radiotelevisivo alla riforma Castelli sull’ordinamento giudiziario, Ciampi pronunciò alcuni "no" pesantissimi.
Nonostante questo, anche a lui tocca oggi constatare che quella forma di "pedagogia repubblicana", necessaria ma non sufficiente, è servita a poco o a nulla. "Cosa vuole che le dica? Purtroppo questo è il drammatico paesaggio italiano, né bello né facile. E questo è anche il mio più grande rimpianto di vecchio: sulla soglia dei 90 anni, mi accorgo con amarezza che questa non è l’Italia che vagheggiavo a 20 anni. Allora ci svegliavamo la mattina convinti che, comunque fossero andate le cose, avremmo fatto un passo avanti. Oggi ci alziamo la mattina, e ogni giorno ci accorgiamo di aver fatto un altro passo indietro. E’ molto triste, per me che sono un nonuagenario. Ma chi è più giovane di me non deve perdersi d’animo, e soprattutto non deve smettere di lottare". Sabato prossimo Ciampi non andrà in piazza, per sfilare in corteo contro il "pasticciaccio" di Berlusconi: "Non ho mai aderito a manifestazioni, e comunque le gambe non mi reggerebbero...", dice. Ma chissà: magari con vent’anni di meno ci sarebbe andato anche lui.
*
m.giannini@repubblica.it
© la Repubblica, 09 marzo 2010
Lo afferma un documento, votato all’unanimità, della Prima Commissione
del Consiglio Superiore della Magistratura che dovrà essere ratificato dal plenum
Il Csm: "Il premier denigra la magistratura
è a rischio l’equilibrio fra i poteri dello Stato" *
ROMA - Il Csm reagisce ai ripeturi pronunciamenti di discredito, da parte di Silvio Berlusconi, nei confronti dei giudici e dice: "Episodi di denigrazione e di condizionamento della magistratura e di singoli magistrati" sono "del tutto inaccettabili" perchè cosi si mette "a rischio l’equilibrio stesso tra poteri e ordini dello Stato, sul quale è fondato l’ordinamento democratico di questo Paese". E’ quanto scrive la Prima Commissione del Csm nella pratica a tutela di diversi magistrati accusati da Silvio Berlusconi di agire per finalità politiche.
Il giudizio unanime. Il documento, approvato all’unanimità e che sarà discusso domani pomeriggio dal plenum, contiene anche un "un pressante appello a tutte le Istituzioni perché, sia ristabilito un clima di rispetto dei singoli magistrati e dell’intera magistratura, che è condizione imprescindibile di un’ordinata vita democratica". La pratica aperta in Commissione si è arricchita di mese in mese dei vari attacchi del premier alle varie toghe, da quelle del processo Mills a quelle di Napoli e Milano.
Delegittimati. "L’assunto di una magistratura requirente e giudicante che persegue finalità diverse da quelle sue proprie e, per di più, volte a sovvertire l’assetto istituzionale democraticamente voluto dai cittadini costituisce la più grave delle accuse - scrive la Commissione - ed integra, anche per il livello istituzionale da cui tali affermazioni provengono, una obiettiva e incisiva delegittimazione della funzione giudiziaria nel suo complesso e dei singoli magistrati".
Rispetto tra organi istituzionali. E il "discredito" gettato "sulla funzione giudiziaria nel suo complesso e sui singoli magistrati", può produrre, "oggettivamente, nell’opinione pubblica la convinzione che la magistratura non svolga la funzione di garanzia che le è propria, così determinando una grave lesione del prestigio e dell’indipendente esercizio della giurisdizione". Facendo proprie le preoccupazioni espresse in più occasioni dal Capo dello Stato, da ultimo nella sua lettera al vice presidente del Csm, i consiglieri affermano che per affrontare "serenamente le auspicate riforme in tema di giustizia è necessario il rispetto tra gli organi Istituzionali, che devono contribuire a garantire un clima sereno e costruttivo".
Episodi che non devono ripetersi. "Non è ammissibile una delegittimazione di una Istituzione nei confronti dell’altra, pena - avverte la Commissione - la caduta di credibilità dell’intero assetto costituzionale". Ed "è indispensabile che non si ripetano episodi di denigrazione e di condizionamento della magistratura e di singoli magistrati", perché "lo spirito di leale collaborazione Istituzionale - implica necessariamente che nessun organo Istituzionale denigri liberamente altra funzione di rilevanza costituzionale".
Il silenzio dei "Pm comunisti". Le toghe accusate da Berlusconi hanno dimostrato "la compostezza del corpo giudiziario, in generale, e dei singoli magistrati. Giudici che hanno continuato a svolgere in silenzio il proprio dovere, senza replicare alle generiche ed ingiuste accuse", nei loro confronti. In particolare, i consiglieri si riferiscono ad accuse precise: quella di "pm comunisti" fatta dal premier durante la trasmissione Ballarò o quella di "Pm talebani" fatta all’indomani della pronuncia della Cassazione sul caso Mills. E tra le altre, le accuse formulate in occasione del congresso del Partito Popolare europeo di Bonn, quando il premier parlò di un partito dei giudici nella sinistra, attaccando la Corte costituzionale. E ancora la definizione di "plotone di esecuzione" destinata ai giudici di Milano.
* la Repubbblica, 09 marzo 2010
Dopo la frase sui pm "talebani", lettera del presidente della Repubblica a Mancino
Il vicepresidente del Csm: "E’ necessario impegnarsi in un confronto civile e rispettoso"
Giustizia, Napolitano al premier:
"Basta polemiche e accuse pesanti"
Bersani contro Berlusconi: "Sui giudici ormai sragiona"
L’Idv: "Non possiamo accettare che i magistrati siano offesi. Siamo al golpe" *
ROMA - Dopo l’attacco di Berlusconi ai giudici che il premier ha definito "talebani", il presidente della Repubblica con una lettera inviata al vicepresidente del Csm Mancino interviene perché vengano evitate "in tema di giustizia esasperazioni polemiche e accuse pesanti tra parti politiche, istituzioni, poteri e organi dello Stato". Invito che Mancino accoglie con sollievo, sottolineando come "il forte ed autorevole messaggio del presidente della Repubblica esorta tutte le istituzioni a guardare oltre i confini delle rispettive competenze e a impegnarsi in un confronto civile e rispettoso rivolto a realizzare il bene comune in un momento tanto difficile per il nostro Paese". Protesta anche l’opposizione: il segretario del Pd Pierluigi Bersani definisce quelle del premier "frasi inaccettabili".
La lettera di Napolitano. Nella lettera inviata a Mancino Napolitano esprime il "vivissimo auspicio che prevalga in tutti il senso della responsabilità e della misura, e che in particolare nelle prossime occasioni di dibattito, sotto la sua guida, nel Consiglio Superiore della Magistratura l’attenzione si concentri su segni positivi che pure si sono registrati, anche in Parlamento, di maggiore ascolto fra esigenze e posizioni diverse".
"Anche la causa delle riforme necessarie per rendere più efficiente, al servizio dei cittadini, l’amministrazione della giustizia in un quadro di corretti rapporti istituzionali, non può trarre alcun giovamento - sottolinea napolitano - da esasperazioni polemiche, da accuse quanto mai pesanti che feriscono molti e che possono innescare un clima di repliche fuorvianti: clima nel quale la magistratura associata apprezzabilmente dichiara di non voler farsi trascinare".
"Sarà questo il modo migliore di essere vicini a tutti i magistrati - conclude il Capo dello Stato - che sono impegnati con scrupolo e imparzialità nell’accertamento e nella sanzione di violazioni di legge da cui traggono forza la criminalità organizzata e la corruzione".
La risposta di Mancino. "Non nasconde il Capo dello Stato - sottolinea Mancino nella lettera di risposta a Napolitano - il rischio di drastiche contrapposizioni tra le forze politiche e di ritorsioni esasperate. Anche un linguaggio più sobrio e austero può, infatti, aiutare a far prevalere un clima di dialogo costruttivo rispetto a tentazioni o a repliche giustamente definite fuorvianti"
Le proteste dell’opposizione. Contro le parole di Berlusconi insorge anche l’opposizione. Duro il segretario del Pd Pierluigi Bersani. "Penso - ha detto - quello che pensa una persona normale. Ormai siamo alle sparate, si sragiona. E’ preoccupante, sono frasi inaccettabili". "Dire che ormai ci siamo abituati, no - ha aggiunto Bersani - perché restano inaccettabili. Credo che veramente gli italiani debbano cominciare a pensare come andare oltre questa fase. Noi non possiamo essere tutti i giorni dentro a questa vicenda. Abbiamo un sacco di problemi, siamo davanti a fabbriche che chiudono. Non possiamo parlare sempre di Berlusconi e delle sue beghe coi magistrati". "E questa - ha ripetuto il segretario Pd - è una responsabilità che lui porta: mettere sempre al centro se stesso e le sue questioni". Bersani ha ricordato che "c’è un appuntamento elettorale. Non chiedo che il governo venga mandato a casa, ma chiedo che i cittadini mandino una letterina al governo per dire basta, cerchiamo di occuparci dei problemi nostri".
Ancor più allarmato l’Idv che parla per bocca del suo portavoce Leoluca Orlando. "Non possiamo accettare - dice - che i magistrati che amministrano la giustizia in nome del popolo italiano siano offesi solo perché svolgono con onestà il proprio dovere. Ci rivolgiamo al presidente della Repubblica, nella sua veste di garante della costituzione e dell’equilibrio dei poteri, nonché di presidente del consiglio superiore della magistratura, affinché difenda l’onorabilità delle toghe". "Siamo al golpe - avverte il portavoce di Idv - ad opera di un politico corruttore a capo di una banda di lestofanti e di rappresentanti nelle istituzioni di mafia, camorra e ’ndrangheta. Della banda di talebani fanno parte i corrotti, i corruttori, coloro che ridevano nel letto durante il terremoto dell’aquila e tutti coloro che, sentendosi al di sopra della legge, usano le istituzioni per far soldi a sfregio della costituzione e umiliando tutti i cittadini onesti".
* la Repubblica, 27 febbraio 2010
’Pm come Tartaglia’: interviene il Csm
Parole Berlusconi in dossier a tutela magistrati gia’ attaccati dal premier *
ROMA - Il Csm si occuperà delle frasi pronunciate ieri dal presidente del Consiglio, che ha paragonato "l’aggressione" giudiziaria nei suoi confronti a quella fisica subita in piazza Duomo a Milano per mano di Tartaglia. La prima commissione di Palazzo dei Marescialli ha infatti deciso di acquisire i giornali che riportano le dichiarazioni di Berlusconi e di inserirle nell’ampia pratica a tutela di magistrati oggetto in passato di accuse rivolte dal premier. Questo fascicolo pende da tempo e riguarda in particolare i giudizi espressi dal presidente del Consiglio sui magistrati delle Procure di Palermo e di Milano che hanno riaperto le indagini sulle stragi mafiose e sui giudici del processo Mills.
Berlusconi, parlando ieri dopo la riunione del Consiglio dei ministri, ha definito le aggressioni giudiziarie "parificabili a quelle di piazza del Duomo, se non peggio’’.’’Mi attaccano sul piano della persona con la ’character assassination’ che e’ stata messa in campo - ha detto ancora Berlusconi riferendosi ora a un ambito più generale -, mi attaccano sul piano patrimoniale, ora non gli resta che attaccarmi sul piano fisico, come hanno iniziato a fare, ma - ha avvertito - ’non praevalebunt’’’.
Sempre parlando di giustizia il Presidente del Consiglio ha annunciato che il governo ’’riproporra’ l’inappellabilita’ delle sentenze di primo grado nella riforma della giustizia che stiamo esamindando’’. Per quanto riguarda la riforma fiscale, ha invece parlato di tempi lunghi. Per ora - ha detto - la crisi non consente una riduzione delle tasse.
Di giustizia e molto altro, Berlusconi parlera’ oggi in un faccia a faccia con il presidente della Camera Gianfranco Fini, durante una colazione in programma a Montecitorio. All’ordine del giorno anche una ricognizione su equilibri nel Pdl, agenda di governo, regionali, innesti nel governo di nuovi sottosegretari, alleanze con l’Udc.
* Ansa, 14 gennaio, 10:57
Il presidente della Repubblica scrive all’associazione delle toghe "Servono riforme non occasionali e che siano per i cittadini"
Napolitano: "Garante della magistratura
l’Anm sia sempre aperta al dialogo" *
ROMA - "Sono e resto garante dei principi fondamentali di indipendenza ed autonomia della magistratura". Il presidente della Repubblica Giorgio Napolitano, in una lettera al Presidente dell’Anm Luca Palamara, riafferma il ruolo del Colle sul delicato tema della giustizia. E lo fa mentre le tensioni tra toghe e governo sono acuite dall’intenzione dell’esecutivo di mettere mano alla riforma. Non dimenticando "l’inquietante attacco mediatico" al giudice Mesiano. "Serve un confronto equilibrato, l’Anm sia aperta al dialogo" dice Napolitano che risponde così alla lettera che l’Anm gli aveva inviato il 16 ottobre scorso.
Quelle che servono sono "riforme nè occasionali nè di corto respiro", le stesse che si augurano quelli "che hanno a cuore un soddisfacente esercizio della fondamentale funzione di presidio della legalità, al servizio del cittadino e dei suoi diritti, nel rispetto reciproco e nella leale collaborazione tra tutte le istituzioni".
Per realizzare riforme del genere, è questo l’invito del capo dello Stato all’associazione dei magistrati, "l’Anm deve continuare a guardare a tutti i motivi e gli aspetti della crisi del sistema giustizia, offrendo,con rigore, con misura e senza scendere sul terreno dello scontro, la sua disponibilità a concreti contributi propositivi, come un interlocutore attento e credibile, fermo nella difesa dei principi fondamentali di indipendenza e autonomia".
Principi di cui Napolitano si dice "garante", non mancando di sottolineare le preoccupazioni per "l’acuirsi della tensione tra le istituzioni della Repubblica, e in particolare tra quelle in cui s’incarnano i rapporti tra politica e giustizia".
Immediata la reazione dell’Anm che si dice "impegnata" a contribuire ad una riforma per i cittadini, sottolineando "le parole chiare" di Napolitano sull’indipendenza dei giudici.
* la Repubblica, 6 novembre 2009
La memoria perduta dell’Unità d’Italia
di Mario Pirani (la Repubblica, 04.08.2009)
LE LAMENTAZIONI sulle sorti d’Italia rappresentano quasi un genere letterario da molto prima che si realizzasse l’unità della Penisola. Da Dante a Petrarca, da Leopardi a Manzoni è un inseguirsi di appassionate strofe: da «Ahi serva Italia, di dolore ostello» a «Italia mia, benché ‘l parlar sia indarno», da «O patria mia, vedo le mura e gli archi/e le colonne, ma la gloria non vedo» fino alla breve speranza di «O giornate del nostro riscatto!»: è tutto un disperato anelito all’inveramento della nazione lacerata.
Anelito, peraltro, sofferto da minoranze che sognavano una patria, da ristrette aristocrazie del pensiero e del lignaggio, da spiriti liberi indipendenti e rari; la maggioranza, in gran parte analfabeta e sepolta nel duro lavoro dei campi e nel servaggio, non potendo che riconoscersi, invece, nel cinico «Franza o Spagna, purché se magna». Motto seicentesco degli italiani soggiogati e divisi, ma che potrebbe esser stato scritto da Alberto Sordi e lasciato a perenne eredità per quei più, che sprezzano ogni poetico idealismo (o altro “ismo” che sia) in nome dei prosaici interessi, misurabili su scala individuale o familistica.
Tale preambolo può essere utile per rammentare come la poetica sulle peculiari sorti del nostro Paese, accompagnata, lungo tutto l’Ottocento, dal trionfo popolare del melodramma verdiano, che a essa si affiancava e a una letteratura formativa del carattere, dei valori e della lingua, dai Promessi sposi al Cuore, declinò quel “racconto italiano” scandito dalla formazione scolastica universale.
Quel “racconto italiano” che servì, almeno fino agli anni del secondo dopoguerra, a plasmare, in continuità con quel loro passato, finalmente riscattato, il profilo dei cittadini di una Nazione ritrovata.
Delineata nel 1861, coronata con Roma capitale nel 1870, completata nel 1918 con Trento e Trieste, esaltata nel ventennio fascista, che la dilatò in un nazionalismo catastrofico e in un vacuo quanto magniloquente richiamo augusteo, l’unità d’Italia, salvata dalla Resistenza, sembrò recuperata e messa in sicurezza dall’avvento repubblicano e costituzionale del 1947.
Storia e geografia parvero comporsi lungo la dorsale appenninica e l’arco alpino. La lingua unica si diffuse e radicò, accanto ai vecchi dialetti, grazie alla formazione di base universale e, soprattutto, alla tv. Tutto questo patrimonio culturale ed emotivo, riferimento primario che ha forgiato per generazioni l’auto identificazione degli italiani, sembra improvvisamente dissolversi, uscire dalla memoria collettiva e individuale di milioni di persone, regredite da cittadini ad abitanti di una penisola lobotomizzata. Molti commentatori, sollecitati dalle traversie celebrative del 150° anniversario e dall’esplodere del malcontento siciliano hanno affrontato il fenomeno. Gli ottimisti di natura, come Giuseppe De Rita, giurano che tutto andrà per il meglio: l’Italia sarebbe «una nazione in corso d’essere, un semenzaio di nazioni che continuano a cercare faticose convergenze». Altri, come Angelo Panebianco, vedono «il riacutizzarsi delle storiche fratture» di cui solo la Dc aveva impedito il dispiegarsi.
Giorgio Ruffolo, invece, riconduce la crisi al venir meno di ogni attenzione alla pur irrisolta questione meridionale, giustamente vista come «la questione critica dell’unità nazionale, oggi praticamente uscita dall’agenda politica e sostituita da una questione settentrionale che punta piuttosto alle divergenze che all’unità».
Sono contributi che denotano la sensibilità verso un tema che tutti sentiamo incombere. Il sottoscritto, ad esempio, reputa che il disgregarsi dei principi che ressero per quasi un secolo l’unità della nazione italiana sia di natura politica ma non corrisponda affatto a un preciso disegno. Come quasi sempre accade è il risultato di errori, sedimentatisi nel tempo, di coincidenze casuali, di esiti eterogenei rispetto ai fini, di nefandezze culturali concimate per insipienza che hanno fecondato uova di serpente. È pur vero che l’intelaiatura del nostro Paese si reggeva su un sistema partitocratico e che la Dc vi svolgeva un ruolo decisivo, finalizzato in primo luogo a legittimare l’apporto cattolico alla gestione dello Stato, ma questo non era affatto esclusivo. Anche più incisivo, ai fini di far vestire ai ceti popolari gli abiti della storia patria e della Costituzione unitaria, fu l’apporto della sinistra e principalmente del Pci.
Collocati dalla genialità del Togliatti 1944-1948 in un prospettiva atemporale, sia il vecchio internazionalismo socialista che il legame con l’Urss, il motore propulsivo del partito fu attivato in ogni sua potenzialità per raggiungere la identificazione della sinistra con la storia d’Italia. I partigiani si chiamarono nona caso garibaldini, Gramsci fu declinato come inventore dell’alleanza permanente tra contadini del Sud e operai del Nord, Togliatti si spese per allargare l’alleanza ai ceti medi (teorizzata in un celebre discorso, “Ceti medi e Emilia rossa”). Non si trattò mai di una edificazione di facciata ma di una costruzione a tutto tondo con solide fondamenta per allineare il recepimento di una politica nazionale a un impianto sociale che tendesse a rendere, quanto meno sul piano dei principi, gli italiani eguali, dalle Alpi alla Sicilia. Le leggi,i salari, le riforme, la scuola e in genere il Welfare state si svilupparono con questa impronta egualitaria e nazionale a un tempo.
Ancor più intrinseca alla storia d’Italia fu l’elaborazione di quella che si chiamò l’egemonia culturale, imperniata sulla triade De Sanctis-Labriola-Gramsci, affiancata in dialettico rapporto al duo Croce-Gentile. Migliaia di intellettuali, di riviste, di centri studi vi apportarono arricchimenti continui.
Mentre scandirono i tempi della questione meridionale, concepita come centrale questione nazionale, uomini come Fortunato e Salvemini, Dorso e De Martino, Amendola e Rossi Doria, Compagna e Saraceno.
Non era scritto da nessuna parte che tutto ciò dovesse venir meno con il crollo del vecchio sistema partitocratico. Non era scritto che il Pci dovesse tentare il proprio rinnovamento gettando alle ortiche non solo Stalin ma anche Cavour e Garibaldi, riducendosi a soggetto immemore dalla incerta identità.
Non stava scritto che alla Dc dovesse subentrare non un altro movimento di centro, orientato o menoa destra, liberaleo populista che fosse, ma un partito-azienda, partorito da Mediaset e guidato da un personaggio la cui filosofia politica e di vita è priva di retroterra storico come di prospettive future, ma tutta appiattita sul presente, sull’ hic et nunc misurabili in termini massmediatici e di potere. Non stava scritto che anche la destra nazionale abdicasse all’unica parte valida del proprio passato per un piatto di lenticchie berlusconiano, da cui rifugge il solo Fini, rassegnato a sbandierare le sue buone ragioni dalla presidenza di Montecitorio.
Un assieme di eventi che sarebbero stati probabilmente metabolizzati col tempo se non si fossero incrociati in un punto di coincidenza del tutto casuale: la comparsa della Lega. Fenomeno di per sé nient’affatto eccezionale ma apparentabile ad altri simili, ispirati al localismo e alle “piccole patrie”, in Austria, in Catalogna, in Belgio, in Slovacchia e, con effetti sanguinosi e dirompenti, in Jugoslavia.
Da noi la Lega poteva restare nell’ambito della Padania, recependo e realizzando concreti miglioramenti regionali per il suo elettorato. Invece, come quei virus che diventano mortali quando passano dall’animale all’uomo, così la Lega incrociando un Pd senza memoria e un PdL privo di radici storiche, ha infettato gli uni e gli altri. Da un lato la deplorevole riforma del Titolo V della Costituzione, con la cancellazione del principio prioritario dell’interesse nazionale, dall’altra il recepimento di dosi massicce di velenosità anti nazionali, atte a produrre esplosioni incontrollate di fronte alla crisi economica e alla appropriazione da parte del Nord delle scarse risorse a disposizione. Così quella di Bossi si è trovata a essere l’unica ideologia che ispira il PdL e ha finito per condizionare il Pd.
Non basta il pessimismo leopardiano per lamentarne gli esiti.
La stampa europea segue con attenzione i nuovi sviluppi della vicenda Noemi
Durissimo editoriale del quotidiano di Murdoch su Berlusconi: "Disprezza gli italiani"
Il Times: "Cade la maschera del clown"
Libération: "Lo scandalo è alle calcagna"
dal nostro corrispondente ENRICO FRANCESCHINI *
LONDRA - Uno scandalo che non riguarda più solo gli italiani, ma anche i paesi partner dell’Italia, nell’Unione Europea, nella Nato, nel G8 che l’Italia si prepara ad ospitare. E’ questo il severo giudizio di un editoriale del Times di Londra sulla vicenda che ruota da settimane attorno a Silvio Berlusconi, al suo rapporto con la 18enne Noemi Letizia, alle feste in Sardegna e al divorzio con la moglie Veronica Lario. E non è solo il Times a occuparsi ancora una volta di questa storia, che la stampa inglese sta seguendo con particolare attenzione: ci sono nuovi articoli anche sul Financial Times, sul Daily Telegraph, sull’Independent.
"Cala la maschera del clown", s’intitola l’editoriale del Times, il secondo su questa vicenda dopo quello altrettanto duro del 18 maggio, pubblicato al primo posto fra i tre commenti del giorno nella pagina degli editoriali. "La qualità del governo Berlusconi non è una questione privata", afferma il sottotitolo. "L’aspetto più sgradevole del comportamento di Silvio Berlusconi non è che è un pagliaccio sciovinista, né che corre dietro a donne di 50 anni più giovani di lui, abusando della sua posizione per offrire loro posti di lavoro come modelle, assistenti o perfino, assurdamente, come candidate al parlamento europeo", comincia l’articolo. "Ciò che è più scioccante è il completo disprezzo con cui egli tratta l’opinione pubblica italiana. Il senile dongiovanni può trovare divertente agire da playboy, vantarsi delle sue conquiste, umiliare la moglie e fare commenti che molte donne troverebbero grottescamente inappropriati. Ma quando vengono poste domande legittime su relazioni scandalose e i giornali lo sfidano a spiegare legami che come minimo suscitano dubbi, la maschera del clown cala. Egli minaccia quei giornali, invoca la legge per difendere la propria ’privacy’, pronuncia dichiarazioni evasive e contraddittorie, e poi melodrammaticamente promette di dimettersi se si scoprisse che mente".
Il Times riconosce che la vita privata di Berlusconi è appunto un affare privato, ma osserva che, come è si è dovuto rendere conto Bill Clinton, scandali e alti incarichi pubblici non vanno d’accordo. "Molti potrebbero dire che l’Italia non è l’America, che l’etica puritana degli Stati Uniti non ha mai dominato la vita pubblica italiana, e che pochi italiani si scandalizzano davanti ai donnaioli. Ma questo è un ragionamento insensato e condiscendente. Gli italiani comprendono quanto gli americani cosa è accettabile e cosa non lo è. E, come gli americani, giudicano spregevole il cover-up".
L’editoriale del quotidiano londinese nota quindi che pochi media in Italia possono fare simili affermazioni, senza timore di un castigo. "A suo merito, la Repubblica ha continuamente sollevato domande al primo ministro sulla sua relazione con Noemi Letizia, e alla maggior parte di queste domande non ci sono state risposte soddisfacenti. Quando e dove egli ha conosciuto la famiglia della ragazza? Mr. Berlusconi chiese di avere fotografie da un’agenzia di modelle per iniziare i contatti con la signorina Letizia? Che cosa c’è di vero sulle notizie di party con decine di giovani donne nella sua villa in Sardegna? Mr. Berlusconi ha promesso di spiegare tutto in parlamento. Ma non ha certo riassicurato i suoi critici con la sua iniziativa per bloccare la pubblicazione di 700 fotografie che potrebbero mostrare cosa succedeva a quei party. Né lo aiuta il suo sventurato ministro degli Esteri, che ha provato a difenderlo sottolineando che l’età per il consenso (a rapporti sessuali, ndr.) in Italia è 14 anni, come se ciò fosse rilevante".
Qualcuno potrebbe dire, si conclude l’editoriale, che tutto ciò non riguarda i forestieri. Ma gli elettori italiani, alla vigilia delle elezioni europee, dovrebbero riflettere sul modo in cui è guidato il loro governo, sui candidati selezionati per Strasburgo e sul livello di sincerità del premier. E la faccenda "riguarda anche altri", afferma il Times. "L’Italia ospita quest’anno il summit del G8, dove si discuterà di maggiore cooperazione nella lotta al terrorismo e al crimine internazionale. E’ un importante membro della Nato. Fa parte dell’eurozona, che è confrontata dalla crisi finanziaria globale. Non sono soltanto gli elettori italiani a domandarsi cosa sta succedendo. Se lo chiedono anche i perplessi alleati dell’Italia".
Il Times pubblica anche una lunga corrispondenza dall’Italia, intitolata "Berlusconi blocca la pubblicazione di foto di giovani donne in bikini a un party nella sua villa". Un articolo sul Financial Times, invece, osserva che "l’ondata di gossip" e "l’odore di scandalo" intorno a Berlusconi distolgono l’attenzione dell’opinione pubblica italiana da questioni ben più gravi, come le cattive notizie sull’andamento dell’economia italiana.
Una corrispondenza sul Daily Telegraph afferma che "gli alleati di Berlusconi mettono nel mirino la moglie" per il divorzio, con la rivelazione che Veronica Lario avrebbe un partner da tempo, fatta da Daniela Santanché sul quotidiano Libero. E l’Independent riporta le pesanti critiche fatte dal premio Nobel per la letteratura Josè Saramago, che hanno spinto la casa editrice Einaudi, "parte dell’impero Modandori di Berlusconi", a non pubblicare il suo ultimo libro, che descrive tra l’altro il primo ministro come "un delinquente".
Francia. Il quotidiano Libération dedica la copertina alla vicenda: "Lo scandalo alle calcagna" e nelle due pagine interne: "Rivelando la tresca il quotidiano Repubblica ha fatto vacillare la popolarità del presidente del consiglio. E’ una battaglia portata avanti nel nome di una certa concezione dell’interesse pubblico".
Spagna. Il quotidiano El Pais torna a trattare la questione in una corrispondenza da Roma: "L’opposizione italiana chiede a Berlusconi che spieghi in parlamento se abbia portato nell’organizzazione elettorale del partito i suoi invitati delle feste private in Sardegna" e si chiede: "Berlusconi utilizza gli aerei ufficiali dello stato Italiano per portare gli artisti, ballerine e veline a Villa Certosa? Ha fatto uso improprio dei beni dello stato? È l’ultimo capitolo del Naomigate che ha trasformato l’Italia in un manicomio semplicemente portando allo scoperto l’abitudinaria mescolanza tra vita privata e pubblica di Berlusconi e la sua tendenza a conquistarsi amici e amiche dell’ambiente televisivo portandoli in quello politico".
Sferzante il pezzo della Vanguardia: "La campagna elettorale per le Europee continua in Italia, astrusa e noiosissima, incapace di competere quanto a contestazioni, incanto mediatico, spessore del tema con la vita personale della stella più sgargiante della politica italiana degli ultimi quindici anni: Silvio Berlusconi. Nelle cerchia del potere si parla più di questa commediola che delle vicende poltico-continentali a Bruxelles. A volte diverte. La maggior parte delle volte preoccupa ed esaurisce tanta banale frivolezza".
(Ha collaborato Flaminia Giambalvo)
* la Repubblica, 1 giugno 2009 (ripresa parziale - cliccare sul rosso, per gli allegati).
Il discredito dell’Italia
di Carlos Nadal
22/02/2009 para La Vanguardia, Barcelona
(traduzione dallo spagnolo di José F. Padova) *
Le dimissioni di Veltroni come capo dell’opposizione riconfermano sempre più Berlusconi nel godimento del potere
L’Italia va male. Le cifre della disoccupazione, della produzione, del deficit sono negative. Si attivano invece i bassi istinti della xenofobia. In compenso, per Berlusconi le cose vanno bene. Questo visibile contrasto dà la misura di un evidente degrado nazionale. Non soltanto economico, ma ugualmente politico. E, in fondo, morale. È una significativa coincidenza che nello stesso mercoledì scorso, mentre la stampa pubblicava la rinuncia di Walter Veltroni come capo del Partito Democratico, e quindi dell’opposizione, sui media compariva la notizia che un tribunale di Milano ha condannato l’avvocato britannico David Mills a quattro anni e sei mesi di carcere per aver accettato una mazzetta di 600.000 dollari allo scopo di prestare falsa testimonianza a favore di Berlusconi per atti commessi negli anni ’90.
Da una parte il Cavaliere assiste compiaciuto alla sostituzione del capo e conseguente tracollo del principale componente dell’opposizione, il Partito Democratico. Dall’altra, contempla, indenne, quanto l’avvocato Mills, che fu indotto a commetterlo mediante il pagamento sottobanco precedentemente fattogli dal Cavaliere , paghi con pena considerevole il suo delitto di falsa testimonianza [ndr.: e corruzione].
Dal muro di protezione il capo del governo partecipa come un tranquillo spettatore ai due eventi. Esce fortemente rafforzato nel suo potere per l’autodistruzione dell’opposizione parlamentare del centrosinistra. E vede un grave fatto giudiziario, nel quale dovrebbe rimanere coinvolto, risolversi senza danneggiarlo neppure minimamente. Nel primo caso, Berlusconi non ha avuto bisogno di muovere nemmeno un dito. È stato lo stesso capo del principale partito d’opposizione che gli ha servito su un vassoio la propria testa, come un san Giovanni Battista che si fosse decollato da sé per offrirla a Erode.
E neppure la condanna a carico di Mills lo sfiora, perché si prese cura molto tempo fa di fare approvare dal Parlamento una legge che concede l’impunità alle quattro più alte cariche dello Stato: il Presidente della Repubblica, il primo ministro e i presidenti di Camera e Senato.
Pochi giorni fa abbiamo finito di assistere allo spettacolo deplorevole di come il Capo del governo italiano ha manipolato indecorosamente il delicato caso di Eluana Englaro, la donna che si trovava da 17 anni in condizioni di coma irreversibile, assistita artificialmente. Berlusconi si intromise nel dibattito sulla legittimità di toglierle nutrizione e idratazione, per porre fine a una situazione totalmente patetica e in molti sensi disumana. Berlusconi lo fece mediante un decreto urgente che pretendeva passare sopra al criterio espresso chiaramente dal Tribunale Supremo, che stabiliva essere lecita l’interruzione dell’alimentazione forzata a Eluana.
Pretendendo di conseguenza di privare di validità il veto frapposto dal presidente della Repubblica, Giorgio Napoletano, contro il decreto governativo. Si trattava di sfruttare a favore del Cavaliere il movimento emozionale contro l’eutanasia e di collocarsi al fianco della Gerarchi cattolica e vaticana. Era un giocare senza scrupoli con sentimenti e convinzioni di grande radicamento, con la prospettiva di ultima istanza di andare a una riforma costituzionale che riduca i poteri del Presidente della Repubblica e stabilisca un regime presidenziale nella persona del Capo dell’Esecutivo, naturalmente Silvio Berlusconi.
Il Cavaliere conseguirà o no questo risultato. Però per ora gli si apre la via verso la permanenza senza ostacoli nell’uso del potere. Il popolo italiano lo vota con maggioranza. Lo fece nelle elezioni generali dell’aprile 2008, nelle amministrative parziali del Friuli Venezia Giulia e Foggia e nelle municipali di Roma e Brescia; in Sicilia, Trento e negli Abruzzi; e ultimamente in Sardegna, causando le dimissioni di Walter Veltroni.
Che succede in Italia? Perché vi è questo favore elettorale verso colui che ha ammassato, Dio sa come, la maggiore ricchezza del Paese, il personaggio che è sfuggito in numerose occasioni alla giustizia, sottraendosi reiteratamente all’obbligo di dimostrare la propria innocenza, il provocatore, il disinvolto populista che maneggia la pubblica opinione servendosi della proprietà dei principali mezzi audiovisivi di comunicazione?
Evidentemente le divisioni e debolezze dell’opposizione sono clamorose. Il suo partito principale, attualmente il Partito Democratico, proviene, nel suo nucleo principale, dall’antico e potente Partito Comunista ed è passato attraverso un lungo e continuo processo di purificazione e metamorfosi con il successivo cambio di sigle, come se non trovasse una collocazione sicura, perdendo in ogni cambio molti dei suoi motivi di credibilità. Diverse correnti, eredi del grande Partito Comunista originario o provenienti dai resti di ciò che fu la Democrazia Cristiana (DC), costituiscono importanti gruppi di opposizione minoritaria e pure in perpetua discordia.
Tuttavia il motivo per il quale Berlusconi ha raccolto in definitiva i vantaggi dell’alluvione che seguì all’operazione giudiziaria Mani Pulite, di fatto il seppellimento di un regime, occorre cercarlo in qualcosa di più profondo, nella miscela generalizzata di scetticismo, cinico realismo e degrado progressivo di una scala di valori affidabili, in un’Italia che si sta trasformando nell’anello screditato dell’Unione Europea.
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http://www.lavanguardia.es/premium/edicionimpresa/20090222/53645085060.html
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City angels
di Ida Dominijanni (il manifesto, 21 febbraio 2009)
Un militare per ogni bella donna, aveva detto qualche settimana fa Silvio Berlusconi mettendo in barzelletta la violenza sessuale con lo stesso spirito lieve con cui è solito trattare di Auschwitz o dei desaparecidos. Detto fatto, un decreto legge e avremo non un militare ma una pattuglia di ex militari, ex guardie, ex qualcosa in pensione, arruolati dai prefetti in funzione di angeli custodi delle (belle) donne. City Angels, nell’inglese dei serial polizieschi. In italiano, ronde. Nipotini delle camicie nere, nel lessico sbrigativo che circola nel Web.
Gli angeli custodi non saranno armati e non saranno volontari, anzi dovranno a loro volta passare qualche test ed essere schedati, tanto per prendere con una sola fava due piccioni sulla strada della società della sorveglianza. Che cosa faranno sul piano pratico ci verrà svelato da un altro decreto, di Maroni, a breve. Che cosa faranno sul piano simbolico invece è già chiarissimo. Primo, servono a dare un ennesimo colpo allo stato di diritto, cooptando un pezzo di società civile nelle funzioni statali di sorveglianza e repressione e dividendo la cittadinanza in controllori e controllati. Secondo, servono a nutrire l’immaginario collettivo, maschile e femminile, con una bella iniezione di rassicurazione. Non temete, donne, i vostri uomini vi proteggeranno. Non temete, uomini, siamo ancora in grado di proteggere le nostre donne.
Da chi? Dallo stupro migrante, s’intende. Se ci fossero dubbi, la costruzione del decreto legge di ieri parla da sé. Si chiama decreto antistupro, e mette in fila misure emergenziali contro la violenza sessuale, misure emergenziali contro gli immigrati, misure emergenziali a favore delle ronde. Una sequenza che è una filosofia: gli altri stuprano le nostre donne, noi le proteggiamo con i nostri uomini. In inglese non sapremmo. In italiano, paternalismo autoritario.
Lo stesso, né più né meno, che Berlusconi ha tirato fuori sul corpo inerme di Eluana Englaro, sostituendosi a spintoni al padre impotente per presentarsi come padre onnipotente, «io salverò questa vita per decreto». Non era vero, ovviamente, come non è vero che gli angeli custodi ci salveranno dagli stupri. Ed era improprio allora l’uso della decretazione d’urgenza contro un atto legittimato da alcune sentenze, com’è impropria oggi la decretazione d’emergenza contro un reato, lo stupro, che è - purtroppo - tra i meno emergenziali e i più banalmente normali.
Si dice spesso - è stato detto e ridetto, da destra, per legittimare le guerre «contro il patriarcato islamico» - che il livello di una civiltà si misura col termometro dei rapporti fra i sessi. Se questo è vero, la civiltà del nostro paese è scesa a un livello alquanto basso. Con l’assenso, va da sé, della ministra alle pari opportunità e di quante come lei penseranno che sì, finalmente un governo «che decide» sulla violenza sessuale. Finalmente un uomo forte che ci manda gli angeli custodi.
Ci servono armi nuove per contrastare un delitto antico che si presenta in forme nuove. Ci serve sapere che cosa autorizzi e legittimi, nella mente maschile «straniera» e «nazionale», una pulsione di asservimento, distruzione e revanche che si scarica nella violenza sessuale. Quale cultura nazional-popolare trasmessa ogni sera in tv, e quali attriti culturali transnazionali acuiti da fili spinati, centri di permanenza e barriere simboliche. Quale mito dell’uomo forte, nel ruolo dello stupratore e in quello dell’angelo, in combutta con quale mito della donna a corrente alternata, velina oggi vittima domani. Il resto è propaganda. Per decreto.
Sul tema, nel sito, si cfr.:
L’IMPORTANZA DELLA LEZIONE DEI "PROMESSI SPOSI"
MESSAGGIO EV-ANGELICO E SANTO PADRE?! ABUSO DEL TITOLO E MENZOGNA. L’ERRORE DI RATZINGER.
A piccoli passi verso l’inciviltà
di Gad Lerner (la Repubblica, 21.02.2009)
Un governo estremista e irresponsabile introduce d’urgenza nel nostro ordinamento le ronde dei cittadini, nonostante le perplessità manifestate dalle stesse forze di polizia, accampando la più ipocrita delle motivazioni: lo facciamo per contenere la furia del popolo. Spacciano le ronde come freno alla "giustizia fai-da-te", cioè alle ormai frequenti aggressioni di malcapitati colpevoli di essere stranieri o senza fissa dimora.
Ma tale premura suona come una cinica beffa: la violenza, si sa, è stata fomentata anche dai messaggi xenofobi di sindaci e ministri. Il decreto governativo giunge come una benedizione delle camicie verdi padane e delle squadracce organizzate dalla destra romana. Propone agli italiani di militarizzarsi nell’ambito di un "Piano straordinario di controllo del territorio" fondato sul concetto di "sicurezza partecipata". I benpensanti minimizzeranno, come già hanno fatto con le "classi ponte" per i bambini stranieri, i cancelli ai campi rom, l’incoraggiamento a denunciare i pazienti ospedalieri sprovvisti di documenti regolari. Cosa volete che sia? Norme analoghe sono in vigore altrove, si obietta. Mica vorremo passare per amici degli stupratori?
Così, un passo dopo l’altro, in marcia dietro allo stendardo popolare della castrazione chimica, cresce l’assuefazione all’inciviltà. La promessa del grande repulisti darà luogo a sempre nuove misure che lo stesso Berlusconi fino a ieri dichiarava inammissibili.
Il presidente del Consiglio era dubbioso anche sulle ronde, ma si è lasciato trascinare dai leghisti per istinto: forza e marketing non sono forse le materie prime del suo potere suggestivo? Poco importa se ciò lo pone in (momentanea) rotta di collisione con il Vaticano, che denuncia "l’abdicazione dallo stato di diritto". A lui la Chiesa interessa come potere, non come Vangelo: si adeguerà. Quanto al distinguo del presidente Napolitano, gli viene naturale calpestarlo: come prevede la forzatura berlusconiana della costituzione materiale del Paese.
Il capo del governo concede che gli stupri sono in calo del 10% nella penisola. Ma più della statistica vale per lui il "grande clamore suscitato da recenti episodi". Per la verità nel novembre 2007, dopo l’omicidio con stupro della signora Reggiani a Tor di Quinto, fu posseduto dal medesimo impazzimento mediatico anche il centrosinistra, guidato all’epoca dal sindaco di Roma. Mal gliene incolse.
La destra populista invece trova nell’insicurezza il suo principale fattore di radicamento territoriale. Prospetta la riconquista dell’ambito esterno al domicilio privato, vissuto da tanti come ostile. Le parole "ronda", "squadra", "pattuglia", "perlustrazione" � un incubo negli anni della violenza politica - vengono adesso sdoganate come potere calato dall’alto per guidare il popolo. Nuove milizie, nelle quali i volontari dei partiti di governo e gli uomini dello Stato si fondono e si confondono. Come avveniva nel regime fascista.
Lunedì scorso all’"Infedele" una giornalista rumena ha provocato un senatore leghista: «Noi le abbiamo conosciute già, le vostre ronde. Si chiamavano "Securitate"». Lungi dall’offendersi per tale paragone con le squadracce comuniste di Ceausescu, il senatore leghista le ha risposto: «All’epoca in Romania c’era molta meno delinquenza».
Ora anche il governo minimizza. Le ronde saranno disarmate (a differenza di quanto previsto nella prima versione, bocciata al Senato). Mentre la Lega esulta, gli altri cercano di ridimensionarle a contentino simbolico, poco rilevante nella gestione dell’ordine pubblico.
Fatto sta che è sempre l’estremismo a prevalere. Berlusconi si era opposto pubblicamente anche al rincaro della tassa sul permesso di soggiorno. Si sa com’è finita. La Gelmini aveva dichiarato che per i bambini stranieri prevede corsi di lingua pomeridiani anziché classi separate. Ma i leghisti stanno per riscuotere le classi separate. Tutte le peggiori previsioni si stanno avverando. La prossima tappa, c’è da scommetterci, saranno le normative differenziali sull’erogazione dei servizi sociali (agli italiani sì, agli stranieri no, e pazienza se pagano anche loro le tasse); seguirà il distinguo nei sussidi di disoccupazione (c’è la crisi, non possiamo mantenere gli stranieri, e pazienza se hanno versato i contributi).
Fantascienza? Ha davvero esagerato "Famiglia Cristiana" denunciando il ritorno al tempo delle leggi razziali?
Le ronde dei volontari guidate dagli ex funzionari di polizia annunciano un clima di guerra interna che non si fermerà certo agli stupratori e agli altri delinquenti. Quale che sia la volontà del presidente del Consiglio, cui la situazione sta già sfuggendo di mano.
La Loggia P2 e la memoria dei ragazzi
Proprio quando il suo piano pare realizzarsi nessuno parla più della loggia di Gelli
Ma dei giovani hanno cominciato a studiarla
di Maurizio Chierici (l’Unità, 19.02.2009)
Le città perdono la memoria che distingueva le passioni di chi le abitava: immense periferie omogeneizzate dal pensiero unico Tv. E i ragazzi cominciano a non capire. Perché rimpastare la Costituzione e svuotare le alte corti e sfidare il Capo dello Stato? Cosa serve incatenare la magistratura? Malgrado l’apparenza, Berlusconi non sta inventando niente: è solo il copista scrupoloso del programma disegnato trent’anni fa da Licio Gelli, maestro della loggia segreta P2.
Piano Rinascita. I nuovi elettori non sanno cos’è. La P2 ha avvelenato l’Italia eppure nessuno ne vuol parlare. I licei la trascurano, per il cinema è un thrilling pericoloso: meglio lasciar perdere mentre i poteri decidono il futuro. Mai un’inchiesta a puntate, o un film alla Oliver Stone o un giorno della memoria come per le foibe di Tito e Mussolini. Quel giorno potrebbe essere il 17 marzo perché il 17 marzo 1981 i carabinieri scoprono nella cassaforte di Gelli i documenti di una banda segreta e un elenco di nomi, 962, ma la numerazione fa capire che mancano 1559 affiliati, facce importanti anche se i notabili rivelati non sono niente male: generali, ministri, onorevoli, banchieri. Controllano Tv, ministri, case editrici. Tanti giornalisti, soprattutto del Corriere della Sera. Berlusconi è il numero due del settore informazione. Scrive per il Corriere fondini da seconda pagina. E sul Corriere Gelli annuncia il futuro. Interviste blindate: proibito tagliare una virgola. E appunti quotidiani che arrivano all’amministratore delegato Bruno Tassan Din, gerarca P2. Ordina a chi di dovere: articolo per domani. Piduisti sugli altari ma altri vengono suicidati: Sindona, Calvi, Pecorelli.
Poi Gelli scappa con baffi finti, arrestato, torna libero: «gravemente malato di cuore». Trentacinque anni dopo la salute è di ferro. Nessun osa sfiorarlo. I suoi segreti possono travolgere la politica mentre il Piano Rinascita diventa programma di governo: Berlusconi, presidente.
I ragazzi crescono con questo vuoto alle spalle com’erano cresciuti i ragazzi cileni: solo nel declino di Pinochet imparano l’orribile storia. «Quando ho scoperto cos’era la P2, chi erano i protagonisti e cosa sono diventati, è finita la mia adolescenza ed é cominciata una complicata maturità». Gianluca Grassi, studente lavoratore di Reggio Emilia, sta scrivendo la tesi che insegue le fortune dei signori passati a fil di spada dal maestro venerabile. «Un pugno allo stomaco». Compagni di studio mai illuminati su quel P e quel 2. Pensano a un dentifricio o alla pistola ultima generazione. «Assieme a loro mi sono sentito preso in giro dalla scuola, dai politici, dal silenzio dei giornali. Sorridono: storie del passato. Se fossero del passato se ne potrebbe parlare liberamente. Invece, silenzio, perché i protagonisti di ieri in buona parte restano protagonisti di oggi».
Gelli programmava una Tv privata più importante della Tv di Stato; mani sui giornali «per far pensare alla gente ciò che noi vogliamo. Nuove generazioni con le nostre idee». Fiori di plastica affidati alla pedagogia degli allievi del Maestro. Proibito ricordare. Parlando di quando scriveva per il Corriere, Vittorio Feltri confessa su Libero il rimpianto per Bruno Tassan Din: «Lo stimavo». E la P2? «Una bufala». A parte condanne e galera, Tassan Din nascondeva nelle banche di paesi lontani i tesori spariti dalla Rizzoli. Milioni di dollari, Banco Andino, Montevideo: finanziava le squadre della morte delle dittature dei generali con tessera P2, 30 mila ragazzi spariti solo in Argentina. La villa uruguayana di Tassan Din allungava i suoi giardini attorno alle ville di Gelli e di Ortolani, ministro delle finanze P2. Ma era anche il buen retiro di un ministro in divisa passato alla storia per i prigionieri svaniti nelle prigioni di Stato. Vicini di casa non immacolati anche in Italia.
Accanto alle aiuole di Tassan Din, Costa degli Dei calabrese, piedi dell’Aspromonte, negli anni ’70 (anni del trionfo P2) mafia e ‘ndrangheta s’incontravano. Riunioni nella villa Spagnola, antica proprietà del principe golpista Julio Valerio Borghese. Arriva clandestino Stefano Delle Chiaie, Avanguardia Nazionale, intoccabile all’ombra di Pinochet. Incontra mafiosi ma anche i generali Maletti e Miceli (P2), Lino Salvini, fiduciario di Gelli e le facce senza nome dei padrini. Tassan Din non appare fra gli ospiti, dorme lì accanto. Avrà offerto almeno un tè ai confratelli della loggia. Passano gli anni e si fa autorevolmente sapere «io stimavo Tassan Din». Poveri ragazzi 2000 che invecchiano inconsapevoli e tranquilli.
In difesa della Costituzione
Chi volesse comunicare il proprio appoggio alla posizione di Napolitano in difesa della Costituzione e delle prerogative del parlamento che rischia in questi giorni di far ricordare i tempi in cui si minacciava di fare di quest’aula sorda e grigia il bivacco dei manipoli fascisti, può farlo indirizzando un messaggio a questo indirizzo:
13:16 Berlusconi: "Ho giurato sulla Costituzione e la rispetto" *
L’associazione, costituita nel 2002 a Milano, lancia una raccolta di firme
per "rompere il silenzio" sugli ormai quotidiani attacchi alla Costituzione e alla legalità
Appello di "Libertà e Giustizia":
"La democrazia è in bilico: salviamola"
ROMA - "La democrazia è in bilico": l’allarme arriva da "Libertà e Giustizia", l’associazione nata nel 2002 a Milano per far fronte alla crescente insoddisfazione dei cittadini nei confronti della classe politica, cittadini che "non trovano gli strumenti culturali per unirsi e cambiarlo, per contare insieme, per far valere il loro impegno civile". "Libertà e Giustizia" ha pubblicato su Repubblica un appello per la difesa della democrazia, dal titolo "Rompiamo il silenzio". L’associazione invita chi intende aderire all’appello, che reca le firme di Gustavo Zagrebelsky, Gae Aulenti, Giovanni Bachelet, Sandra Bonsanti, Umberto Eco, Giunio Luzzatto, Claudio Magrisi, Simona Peverelli, Guido Rossi, Elisabetta Rubini e Salvatore Veca, a sottoscriverlo sul suo sito.
"Assistiamo a segni inequivocabili di disfacimento sociale: - si legge nel testo pubblicato su Repubblica - perdita di senso civico, corruzione pubblica e privata, disprezzo della legalità e dell’uguaglianza, impunità per i forti e costrizione per i deboli, libertà come privilegi e non come diritti".
I promotori dell’appello denunciano "il decadimento etico e istituzionale" del Paese, rispetto al quale la crisi economica è un’aggravante. La democrazia rischia di diventare demagogia, "l’investitura da parte di monarchie o oligarche di partito si mette al posto dell’elezione". Questo avviene in Italia, dove la selezione della classe politica è diventata "una cooptazione chiusa", il Parlamento "è in via di esautoramento", "la separazione dei poteri è gravemente minacciata".
"Libertà e Giustizia" denuncia i conflitti d’interesse, le commistioni sempre più pericolose: il risultato è "un regime chiuso di oligarchie rapaci, che succhia dall’alto, impone disuguaglianza, vuole avere a che fare con clienti-consumatori ignari o imboniti".
Che fare? La strada suggerita dai firmatari dell’appello è quella di "contrastare le proposte di stravolgimento della Costituzione, come il presidenzialismo e l’attrazione della giurisdizione nella sfera d’influenza dell’esecutivo", e di "difendere la legalità contro il lassimo e la corruzione". E infine, "promuovere la cultura politica, il pensiero critico, una rete di relazioni tra persone ugualmente interessate alla convivenza civile e all’attività politica, nel segno dei valori costituzionali".