[...] l’intervento del Presidente si è mosso con la consueta lucidità dentro quel quadrilatero di rapporti da tempo fonte di ogni problema: politica-giustizia-governo-opposizione. Si è trattato di un discorso severo e fermo, soprattutto nei confronti della maggioranza di governo e di Silvio Berlusconi, al quale - espressa solidarietà «istituzionale e personale» - non ha certo risparmiato rilievi: dall’evocare complotti contro il governo, che la Costituzione rende impraticabili; all’aver «compresso» il ruolo del Parlamento (con il continuo succedersi di decreti-legge: 47 dall’inizio della legislatura); fino a ritenere la nuova legge elettorale una modifica di fatto della Costituzione che ne farebbe addirittura un premier eletto dal popolo [...]
di FEDERICO GEREMICCA (La Stampa, 22/12/2009)
Comincia a esserci qualcosa di fastidioso nel coro di elogi e consensi che fa puntualmente seguito a ogni importante discorso pronunciato dal Presidente della Repubblica.
Non che, naturalmente, ci sarebbe da augurarsi il contrario: più semplicemente - e considerato il punto cui è giunta la parabola - sarebbe forse tempo di veder tradotti, almeno per una volta, quegli elogi e quel consenso in atti politici coerenti e conseguenti.
A un tale pensiero si è stati forzosamente indotti ieri, ascoltando appunto il Capo dello Stato rivolgere - nello splendido Salone dei Corazzieri - il suo preoccupato discorso di fine anno alle alte magistrature della Repubblica. Il motivo è assai semplice: nel suo intervento, Napolitano è stato costretto a citarsi più volte e a ricordare come alcuni suoi allarmi (intorno ai quali, naturalmente, registrò il massimo del consenso...) sono ormai vecchi di anni: le «severe considerazioni» intorno alle storture che accompagnano il percorso in Parlamento della legge finanziaria, per esempio, risalgono addirittura ai discorsi svolti di fronte allo stesso consesso nel dicembre del 2006 e poi del 2007. Anche in quelle occasioni, grande sostegno alle preoccupazioni presidenziali e poi pagina voltata e tutto come prima.
Pur evitando pessimismi - dei quali per altro non si sente affatto il bisogno - occorre però dire che, al momento, non par di scorgere novità tali da far ipotizzare sostanziali cambiamenti rispetto al copione di questi ultimi anni. Eppure, l’intervento del Presidente si è mosso con la consueta lucidità dentro quel quadrilatero di rapporti da tempo fonte di ogni problema: politica-giustizia-governo-opposizione. Si è trattato di un discorso severo e fermo, soprattutto nei confronti della maggioranza di governo e di Silvio Berlusconi, al quale - espressa solidarietà «istituzionale e personale» - non ha certo risparmiato rilievi: dall’evocare complotti contro il governo, che la Costituzione rende impraticabili; all’aver «compresso» il ruolo del Parlamento (con il continuo succedersi di decreti-legge: 47 dall’inizio della legislatura); fino a ritenere la nuova legge elettorale una modifica di fatto della Costituzione che ne farebbe addirittura un premier eletto dal popolo.
Secondo il Capo dello Stato non è percorrendo queste vie che si favorisce una distensione del clima e non è così, soprattutto, che si costruisce un terreno favorevole alla realizzazione di riforme condivise, per le quali «purtroppo ancora non si vede un clima propizio nella nostra vita pubblica». E se quello delle riforme - istituzionali, costituzionali ed economiche - rimane, per dir così, un chiodo fisso nei ragionamenti di Napolitano, va annotato che un altro elemento di fortissima preoccupazione vi si è aggiunto negli ultimi giorni: il dovere di «prevenire ogni degenerazione verso un clima di violenza». Può apparire scontato far riferimento a questo dovere oggi, dopo l’inaccettabile episodio dell’aggressione a Berlusconi: ma Napolitano ha ricordato che appena qualche giorno prima del 13 dicembre aveva rivolto un ennesimo appello affinché venisse fermata «la spirale di una crescente drammatizzazione delle polemiche e delle tensioni tra le parti politiche e le istituzioni».
Quell’appello - come purtroppo testimoniò anche il durissimo intervento contro la magistratura, la Corte Costituzionale e gli ultimi presidenti della Repubblica svolto da Berlusconi appena tre giorni prima dell’aggressione milanese - rimase inascoltato: l’auspicio del Capo dello Stato è che almeno ora tutti riflettano sulla china imboccata. «Stiamo attenti - ha chiesto ai leader e alle autorità presenti nel Salone dei Corazzieri - a non lacerare quel fondo di tessuto unitario» decisivo per la tenuta democratica del Paese e il suo sviluppo. Anche stavolta l’appello è stato rivolto a tutti con tono appassionato ed è stato da tutti, naturalmente, apprezzato e condiviso. Il solito copione, verrebbe da dire: anche se, soprattutto dopo l’aggressione subita da Silvio Berlusconi, c’è da sperare che alla solita trama fatta di polemiche e tensioni, uomini di buona volontà decidano di cambiare almeno il finale.
LA CRISI ITALIANA, LA STELLA POLARE, E GIORGIO NAPOLITANO. L’IMPARZIALITA’ DEL PRESIDENTE DELLA REPUBBLICA E’ BEN AL DI SOPRA DELLA PRESENZA MINACCIOSA DEL PARTITO CHE LO HA ESPROPRIATO DELLA STESSA POSSIBILITA’ DI DIRE ED ESCLAMARE: FORZA ITALIA!!!
Sul tema, nel sito, si cfr.:
"PUBBLICITA’ PROGRESSO": L’ITALIA E LA FORZA DI UN MARCHIO REGISTRATO!!!
Patto scellerato e pessimismo del Colle
di MASSIMO GIANNINI *
Come Benedetto Croce, che nel ’48 invocava il suo celebre "Veni, creator spiritus" sull’assemblea convocata per scrivere la tavola delle leggi della Repubblica, così Giorgio Napolitano oggi sembra rievocare il ritorno di un impossibile "spirito costituente". Ma nelle parole del capo dello Stato c’è in realtà l’eco nostalgica per un tempo che non ritornerà.
È necessario auspicare che dall’aggressione al premier in Piazza Duomo possa nascere un "ripensamento collettivo". È giusto richiamare ancora una volta le forze politiche al senso di responsabilità e al "massimo di condivisione e di continuità nel tempo" che la gravità della fase economica e sociale richiederebbero. È doveroso appellarsi alle aspettative di quell’Italia sana che lavora e fatica, e all’esigenza di non lacerare quel "tessuto unitario" così solido e vitale.
È scontato, infine, rinnovare l’invito a fermare "la spirale di una crescente drammatizzazione delle tensioni tra le parti politiche e tra le istituzioni". Ma cosa può germogliare da tanta speranza, nel discorso pubblico italiano? Al di là della retorica sul "dialogo" e della polemica sull’"inciucio", maggioranza e opposizione parlano linguaggi incompatibili e alludono a scenari inconciliabili. Il presidente della Repubblica, da politico idealista ma realista, è il primo a rendersene conto, se si costringe ad ammettere che per le grandi riforme, economiche e politiche, non si vede "un clima propizio nella nostra vita pubblica". La ragione è più semplice di quello che la propaganda dominante vorrebbe far credere. Per il centrodestra, nella versione bellica di Berlusconi e a dispetto della sua fresca ispirazione "ghandiana", la parola "riforme" è una fantomatica esigenza collettiva che serve per vestire di qualche dignità una drammatica urgenza privata.
Questo è l’assioma intorno al quale il presidente del Consiglio dispiega la sua geometrica potenza: una legge ad personam, che salvandolo dai processi pendenti, trasformi lo stato di diritto in "stato di eccezione". Tutto il resto, dall’elezione diretta del premier al Senato federale, viene dopo.
Sono semplici corollari, utili alla sua biografia personale o alla sua geografia coalizionale. Se non c’è lo scudo processuale a breve per il suo capo, a prescindere dal tempo lungo delle modifiche per via costituzionale del Lodo Alfano e dell’immunità parlamentare, il Pdl non può concepire altre riforme di struttura. Per il centrosinistra, nella versione pragmatica di Bersani e a dispetto della controversa esegesi dell’intenzione dalemiana, si tratta di scegliere, molto semplicemente, se accedere o meno al "patto scellerato": fidarsi del Cavaliere, ingoiando la diciassettesima legge-vergogna per tentare uno sbocco all’eterna transizione italiana.
Per ora il Pd sembra resistere al canto delle sirene berlusconiane. Dice no allo scambio nelle camere oscure, e opportunamente rilancia una sua agenda di riforme politiche, istituzionali e sociali nelle Camere parlamentari. E fa bene: le riforme appartengono al patrimonio genetico e culturale della sinistra italiana. Sono il suo dna storico e politico. Non bisogna aver paura di avere coraggio, come diceva Aldo Moro negli anni di confronto più serrato con Enrico Berlinguer. Napolitano tutte queste cose le sa, anche se non può dirle in chiaro. Ma da questa consapevolezza nasce il suo attuale pessimismo della ragione. Che lo costringe a tamponare per l’ennesima volta le forzature costituzionali di Berlusconi e le storture politiche della sua maggioranza. La farsa di un "governo che non può governare", e che invece in questi due anni, con la clava di ben 47 decreti legge, "ha esercitato intensamente i suoi poteri e non ha trovato alcun impedimento" finendo con l’umiliare il Parlamento. La leggenda di una giustizia che non funziona solo perché abitata da toghe rosse e pm politicizzati, mentre il giusto processo riformato nell’articolo 111 della Costituzione esigerebbe ben altri interventi a beneficio dei cittadini. Nel rispetto dell’"intangibile principio di autonomia e indipendenza della magistratura", ma anche di quel "senso del limite" che dovrebbe caratterizzare sempre i magistrati, chiamati a non esorbitare mai dai propri compiti e a non sentirsi mai investiti di "missioni improprie" (come forse è accaduto ad esempio in qualche passaggio del parere rilasciato dal Csm sul processo breve).
Poi il romanzo del "presidenzialismo di fatto" e della sedicente "costituzione materiale" che ormai sopravanzerebbe la Costituzione formale: Napolitano, su questo, è stato netto come mai era stato, ripescando "l’illusione ottica" denunciata a suo tempo da Leopoldo Elia in quelli che scambiano "per mutamento costituzionale ogni modificazione del sistema politico", e aggiornandola con un esplicito riferimento alla modificazione della legge elettorale. E infine l’opera buffa del"complotto", tante volte messa in scena dal presidente del Consiglio e mai come stavolta sconfessata senza pietà dal presidente della Repubblica. Non c’è complotto possibile, di fronte a un governo che ha una maggioranza schiacciante. E persino di fronte alla tanto esecrata Costituzione, che per Berlusconi è un "ferrovecchio sovietico", mentre è il presidio più forte per le regole democratiche e per le istituzioni repubblicane.
Quale può essere il terreno per "riforme condivise", in questo abisso di sensibilità politica e di cultura costituzionale? Oggi non c’è risposta. O meglio, ce ne sarebbe una sola, da non confondere con il conservatorismo costituzionale. Nel suo discorso alle alte cariche Napolitano vi accenna, quando parla di una "visione costituzionale" che dovrebbe accomunarci tutti e di un "gioco politico democratico" che andrebbe ancorato alla stabilità delle istituzioni. Nel suo "Intorno alla legge" Gustavo Zagrebelski è più esplicito, quando scrive di "volontà di Costituzione o il nulla". La Costituzione come "pactum societatis", presupposto per una convivenza civile, pacifica e costruttiva.
Se manca questo presupposto, si precipita nella kantiana "repubblica dei diavoli". La Costituzione diventa campo di battaglia e di sopraffazione. Non è forse questa la deriva italiana di questi ultimi anni?
© la Repubblica, 22 dicembre 2009
ABUSO ISTITUZIONALE DEL NOME "ITALIA" DA PARTE DEL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO: DIMISSIONI SUBITO.
UNA QUESTIONE DI ECO. L’orecchio disturbato degli intellettuali italiani
TEOLOGIA-POLITICA LUCIFERINA... A SILVIO BERLUSCONI UN "NOBEL"
«Decreti hanno compromesso il ruolo del Parlamento» *
Giorgio Napolitano rivolgendo gli auguri alle alte magistrature dello Stato ha invitato a «guardare con ragionevolezza allo svolgimento di questa legislatura ancora nella fase iniziale» e ha ammonito «che non si paventino complotti che la Costituzione e le sue regole rendono impraticabili contro un governo che goda della fiducia della maggioranza in Parlamento».
«Ci incontriamo oggi a breve distanza di tempo dalla brutale aggressione al presidente del Consiglio, al quale rinnovo i sensi della mia solidarietà personale e istituzionale e fervidi auguri di pronto ristabilimento. È stato un fatto assai grave, di abnorme inconsulta violenza, che ha costituito motivo non solo di profondo turbamento ma anche di possibile (ne abbiamo visto i primi segni) ripensamento collettivo». È un passaggio dell’intervento del presidente della Repubblica Giorgio Napolitano pronunciato nel corso dell’incontro con le alte magistrature della Repubblica.
Giorgio Napolitano rivolge alle alte magistrature dello Stato presenti al Quirinale l’invito «alla più larga condivisione, strada maestra per realizzare le riforme istituzionali, strada percorribile» come dimostrano alcuni «non trascurabili momenti di unità», e ampie convergenze in Parlamento sul federalismo fiscale e sulla riforma della finanza pubblica.
Il Presidente ha poi sottolineato che «il largo uso di decreti da parte dei governi ha compromesso il ruolo del Parlamento». «È un fatto innegabile» che in questi due anni «il governo ha esercitato intensamente i suoi poteri» mentre invece il Parlamento è stato «compresso». Lo ha sottolineato il presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano nel corso di una cerimonia al Quirinale. Nel suo ragionamento il capo dello Stato è partito «dal rapporto tra governo e Parlamento, come rapporto funzionale e come cardine dell’equilibrio costituzionale».
«Esso presenta non da qualche anno ma da più legislature - ha osservato - seri elementi di criticità, e si discute se e come lo si possa ridefinire in sede di riforma della Costituzione. È tuttavia un fatto innegabile che nel 2008-2009 il governo ha esercitato intensamente i suoi poteri, non ha trovato alcun impedimento, a nessun livello, a decidere e attuare tutti i provvedimenti che ha giudicato opportuni per reagire alla crisi finanziarie ed economica».
Al contrario, ha affermato Napolitano, «è stato invece compresso, per le modalità adottate nel corso del tempo da parte di governi raprpesentativi di diversi e opposti schieramenti, l’esercizio del ruolo del Parlamento: ruolo che si esplica non solo con la libertà di discutere, ma con la libertà di pronunciarsi attraverso il voto sulle disposizioni di legge sottoposte al suo esame e sulle relative proposte di modifica. Ed è stata nello stesso tempo gravemente condizionata e colpita la qualità della produzione legislativa».
Giorgio Napolitano non sottovaluta il clima a volte esasperato del mondo della politica e dei rapporti tra le istituzioni, «una conflittualità che va ben oltre il tasso fisiologico delle democrazie mature». Ma tiene a sottolineare che «l’Italia non è, come talvolta si scrive, un paese ’diviso su tutto’». Davanti alle alte cariche dello Stato elenca le occasioni in cui l’Italia è stata unita: il G8, l’omaggio ai caduti in Afghanistan, i temi europei, il soccorso ai terremotati e agli alluvionati, il sostegno alle forze dell’ordine e a tutti i protagonisti della lotta contro la mafia, e anche le non trascurabili convergenze nelle regioni, negli enti locali, in Parlamento. Insomma, la via «della più larga condivisione».
«E allora - aggiunge - stiamo attenti a non lacerare quel fondo di tessuto unitario vitale e condizione essenziale per affrontare i problemi. Da qui è nato alcune settimane fa il mio richiamo perché si fermasse ’la spirale di un crescente drammatizzazione delle polemiche e delle tensioni tra le parti politiche e tra le istituzioni’. Un richiamo dettato anche dal dovere di prevenire ogni degenerazione verso un clima di violenza. Dovere cui nessuno può sottrarsi specialmente dopo quel che è accaduto a Milano il 13 dicembre».
Giorgio Napolitano ritiene non solo auspicabili, ma possibili «alcune essenziali e ben mirate» riforme istituzionali nell’attuale legislatura. Perciò, ha detto al Quirinale, «mi è sembrato saggio suggerire un approccio realistico e insisto su ciò perché mi preme che si giunga finalmente a dei risultati». Questa esigenza, ha sottolineato, «è un’ulteriore motivo per cercare la massima condivisione in Parlamento».
* l’Unità, 21 dicembre 2009