EMERGENZA BALLISMO. UN CITTADINO RUBA IL NOME DI TUTTO UN POPOLO, NE FA LA BANDIERA DEL PROPRIO PARTITO PERSONALE E REALIZZA LA PIU’ GRANDE BOLLA DELLA STORIA DELLA SPECULAZIONE ITALIANA...

UNA SOLA SCUOLA E UNA SOLA NOTTE BIANCA. TUTTA L’ITALIA A SCUOLA, PER RISCRIVERE IL PRESENTE E IL FUTURO. Notizie dalla terra delle mille città - a cura di pfls

Berlusconi a Bruxelles parla della sua longevità politica: "Governerò per 19 anni quasi come quello là..."
giovedì 16 ottobre 2008.
 

[...] L’IDEA DELLA NOTTE bianca della scuola pubblica è partita da Bologna e in un baleno i coordinamenti nazionali di genitori e insegnanti hanno dato vita al «No Gelmini Day & Night». Da Milano a Castrovillari (Cosenza), passando per Brescia, Mestre, Viareggio, Parma, Roma, e Sassari, la protesta anti-Gelmini è scattata all’unisono: al mattino tutti in classe, poi dall’imbrunire a mezzanotte tutti nelle scuole per un pigiama-party o nelle piazze dei municipi a «far rumore», in corteo con fiaccolate o riunuti in assemblee con ospiti d’eccezione. Come all’elementare Francesco Crispi di Monteverde Vecchio, a Roma, dove Don Roberto Sardelli, il sacerdote che nel ‘68 fondò la «scuola 725» tra i figli dei barraccati dell’Acquedotto Felice e dal quale fu tratto il documentario «Non tacere», si è seduto tra le mamme e i papà del quartiere raccontando la sua esperienza unica. La ministra sottoaccusa, Mariastella Gelmini, intanto ieri mattina è salita al Quirinale per fornire chiaramenti al presidente Napolitano sui suoi provvedimenti che non piacciono neppure alle Regioni [...]

[...] Berlusconi. Al termine della conferenza stampa che ha chiuso la prima giornata del vertice europeo, non è riuscito a trattenere la battuta. Ha salutato i giornalisti, gli ha spiegato di considerarsi un «veterano» di questi summit e poi, sorridendo, ha fatto un po’ di conto. Dal 1994 (quando è sceso in campo) al 2013 (quando terminerà la legislatura) sono, appunto, 19 anni. Il Duce, in realtà, a Palazzo Venezia c’è stato per un po’ di più: quasi 21 anni ininterrotti, dal 31 ottobre del 1922 al 25 luglio del 1943.

Il Cavaliere, invece, ha omesso le sue «pause», ha fatto finta di essere stato a Palazzo Chigi per l’intero periodo. Nel ‘94 è stato presidente del Consiglio solo per 7 mesi e poi è tornato al governo nel 2001 fino al 2006. Sta di fatto che ai cronisti non è sfuggito il parallelo e gli hanno fatto notare che per pareggiare il «Ventennio» gli manca ancora un anno [...]

CARO BERLUSCONI HAI STRAVINTO!!! ORA BASTA: DIMETTITI. Ascolta (anche) le tue figlie!!! Sciogli il partito di "Forza Italia" e restituisci la parola "Italia" al Presidente della Repubblica e al Parlamento!!! [...]


Ansa» 2008-10-17 18:27

Scuola: Napolitano, non si puo’ dire solo no

ROMA - Giorgio Napolitano, intervistato da alcuni alunni nella Tenuta presidenziale di Castelporziano, invita tutti a guardare senza preconcetti ai progetti di riforma scolastica. "Non si possono dire soltanto dei ’no’, né bisogna farsi prendere dalla paura. Si può essere d’accordo su alcuni cambiamenti e non su altri", ha detto il capo dello Stato.

La questione è stata posta in modo serio da una bambina di una scuola di Milano che ha detto: "Caro Presidente, cosa ne pensa di tutti questi cambiamenti del sistema scolastico? Dei decreti con i quali molti insegnanti perderanno il lavoro? Cosa ne sarà dei loro figli?".

Napolitano ha precisato che le competenze in questa materia sono del ministro della Pubblica istruzione. "Io guardo quello che fanno Governo e Parlamento e quello che si discute con i rappresentanti della scuola e dei sindacati. Bisogna fare attenzione - ha detto - a non farsi prendere da nessuna esagerazione e da nessun allarme. Certamente ci sono alcune cose da cambiare nella nostra scuola, che non dà ai ragazzi tutto quello che dovrebbe sul piano della formazione e della preparazione al lavoro. Quindi bisogna discutere le cose per come stanno".


LA SCUOLA E’ MESSA A MORTE!!! IL DECRETO GELMINI E’ UN DECRETO DEL PARLAMENTO DEL PARTITO ASSOLUTO DEL CAVALIERE DI "FORZA ITALIA"!!!



la Repubblica, 16.10.2008

-  Notte bianca alle elementari, licei e università occupati
-  Scuole in rivolta contro la Gelmini: dalle elementari, ai licei, alle università.
-  Cortei, assemblee e fiaccolate: la protesta dilaga in tutta Italia E i sindacati chiamano anche l’università allo sciopero generale a metà novembre

di Marina Cavallieri

ROMA - Mamme combattive, padri con computer per aggiornare i blog, maestre preoccupate. E poi bambini, tanti, un po’ per giocare, un po’ per capire. È stata la giornata più insolita, la notte più lunga della scuola italiana.

Dal tramonto all’alba, tanto è durata una protesta spontanea e fantasiosa, una resistenza pacifica, esplosa in centinaia di aule di periferia, nelle strade di quartieri borghesi, negli istituti illuminati a tarda sera. In tutte quelle anonime cittadelle del sapere, piene di disegni, graffiti e buona volontà, che sono le scuole pubbliche, dalle elementari all’università, che in una Notte bianca, di luna piena, hanno ritrovato un sentimento comune e un inaspettato imprevisto scatto d’orgoglio. «Perché la scuola pubblica non sia ridotta ad un fantasma», questo lo slogan che ha unificato le proteste sbocciate come dal nulla che si sono diffuse a Bologna, Roma, Milano, Napoli, Pisa, Parma, Viareggio, Torino, Brescia e in tante altre città.

Nel "Gelmini night & day" hanno marciato insieme compatti genitori e insegnanti, è la nuova alleanza che si è formata contro i tagli e il maestro unico, a favore del tempo pieno, un movimento fluido, spontaneo, che preferisce i blog al ciclostile, odia le etichette politiche «non vogliamo strumentalizzazioni», favorisce le contaminazioni, infatti hanno aderito anche studenti delle medie e universitari che a loro volta hanno dato vita a mobilitazioni nei licei e negli atenei. Perché questa non è una battaglia generazionale ma trasversale contro «l’attacco al sapere pubblico», come si legge nel comunicato dei genitori di Pisa.

«Non è una protesta politicizzata, è un movimento spontaneo, istintivo, nato su un gigantesco passaparola», spiega Simona, madre di due bambini che frequentano la scuola elementare Crispi, di Roma, che ha aderito alla notte bianca. «Il maestro unico, i tagli al tempo pieno sono un passo indietro e incidono sulla qualità della scuola e della vita delle persone, perché né le madri né i bambini sono più quelli di una volta». Una protesta che si nutre di assemblee e di capannelli ma è su internet che si amplifica e corre veloce, nei siti improvvisati, nei blog dove si dibatte fino a notte fonda.

«È nato un movimento trasversale che sta crescendo anche se le possibilità di incidere sul decreto sono ormai poche ma ci saranno tutti i regolamenti, la gestione del dimensionamento, gli organici dove possiamo ancora fare qualcosa magari con una legge di iniziativa popolare», dice una maestra che sfila nella fiaccolata che si è tenuta nel quartiere Prati. A Bologna tra cene sociali, pic nic, assemblee permanenti dove sono stati invitati anche genitori e professori, la mobilitazione è stata contagiosa, tanti i licei occupati e le scuole elementari aperte perché da loro è partita la Notte bianca.

Fiaccolata anche a Napoli a piazza del Plebiscito mentre a Milano i primi a scendere in piazza, ieri pomeriggio, sono stati i bambini della «Casa del Sole», storico istituto dentro al parco Trotter, culla di ogni contestazione che si ricordi. Una ventina le scuole elementari coinvolte. Assemblee anche negli atenei di Roma, Milano, Pisa, Bologna dove Lettere è stata occupata. Nelle aule universitarie la protesta assume sfumature meno festose, forse più cupe. «Non saremo noi a pagare i tagli», era scritto in uno striscione alla Sapienza. Il 14 novembre ci sarà uno sciopero generale ma intanto si discute di quello dei Cobas di domani per capire chi va e chi no.


la Repubblica, 16.10.08

-  Le mamme delle elementari sulle barricate "Mai occupato prima, ma stavolta ci vuole"
-  "Se arriva la Digos torniamo a casa, non siamo martiri, ma l’importante è farci sentire"

di Michele Smargiassi

BOLOGNA - I sacchi a pelo sono a casa, «ma ci metto un attimo a andarli a prendere». Le bimbe sono eccitatissime: stanotte si dorme a scuola? Con mamma e papà, come in campeggio, però tra i banchi? Questa sì che è un’avventura. «Però ci leggerete lo stesso la favola della buonanotte?». Papà Angelo ha spiegato alle due figlie, prima e terza elementare, che sarà un po’ una festa e un po’ una protesta, che «vogliamo tanto bene alla scuola che ci dormiamo dentro perché non ce la rovinino». E adesso sarebbero deluse se non accadesse, anche se questo alle ore 17 è solo il programma provvisorio della famiglia Guerriero e di un’altra ventina: «Stanotte vediamo, se all’una arriva la Digos ci diamo la mano e andiamo a casa, mica siamo martiri anti-Gelmini, quel che conta è farci sentire». Tra le decine di scuole elementari bolognesi che hanno proclamato la «notte bianca» contro i decreti del ministro dell’Istruzione, la Mattiuzzi-Casali è una di quelle dove i genitori hanno (quasi) deciso di occupare davvero la scuola «fino all’alba» come c’è scritto sui volantini. Ma non sono un covo di rivoluzionari. Angelo forse è l’unico che al liceo abbia «fatto qualcosina», ma non ha mai avuto tessere. Veronica, architetto, politica invece non ne ha mai fatta, ma ora brandisce lo striscione ideato col figlio che va in prima ("Non voglio una scuola fatta coi piedi", e sotto impronte colorate), e solo altri due figli piccoli le impediscono di stendersi anche lei in corridoio: «Occupare una scuola è più necessario adesso di quand’ero studentessa io».

Per mobilitare le mamme (più le mamme dei papà), le mamme tassiste cuoche colf e lavoratrici, e farle diventare anche mamme protestatarie, cos’è scattato? «Non ho mai fatto politica, è questo che mi dà la carica», Simona Blosi ha due figlie alle Fortuzzi, «sono una professionista, da vent’anni lavoro sola in un ufficio, per la prima volta capisco che le cose si cambiano insieme, e quel che non ho fatto a diciott’anni lo devo fare adesso». Ma perché adesso? «Perché stavolta la scuola non la cambia, la vogliono tagliano»: anche Sandra, commessa, è al suo primo corteo, quello che esce dalle Romagnoli, una delle scuole più di frontiera della città, quartiere Pilastro, più immigrati che italiani in molte classi. In testa i maestri sindacalizzati scandiscono slogan, più pratici di queste cose. I genitori con carrozzine e bici seguono un po’ esitanti. «Siamo ancora pochi», non s’accontenta Mirella, rappresentante d’istituto. Ma un movimento di mamme auto-organizzato non nasce già bell’e pronto. È un "partito" cresciuto pian piano in quei minuti quotidiani di chiacchiera libera davanti ai cancelli prima della campanella, «Ma è vero che dall’anno prossimo escono alla mezza? Dovrò comprarmi una nonna», battute e paure, si chiedono lumi alle maestre, «dai tigì non si capisce», giri di email, riunioni in pizzeria, «bisogna fare qualcosa», l’emozione del primo volantinaggio a quarant’anni, come ciclostile le stampanti dei computer domestici, «ciascuno faccia cinquanta copie», tutto nel clima un po’ goliardico da prove per la festa di fine anno, «vince una pizza chi disegna il simbolo più bello della notte bianca»; per la cronaca ha vinto un piccolo spettro che sta sveglio la notte «perché la scuola pubblica non sia ridotta a un fantasma».

«Movimento trasversale» per la maestra Laura delle Romagnoli, «perché non è più in gioco un’idea diversa di scuola, come con la Moratti, ma un’idea di meno scuola, e questo non piace neppure a chi vota Berlusconi». L’importante è «non cadere in politica», spiega Marina D’Altri, figlie in seconda e terza; nel suo gruppo è stata decisa questa regola: «si criticano i ministri ma non il premier». Tiro libero su "Gel/mini, il gel che fa rizzare i capelli", zitti su Silvio. Se poi la politica reagisce, ignorarla: Daniele Turchi, papà alle Longhena, è stato decorato sul campo, qualche giorno fa, da un uovo che gli ha centrato la giacca durante un incontro non proprio cordiale col deputato Pdl Garagnani ben difeso dai suoi, ma non ne vuol parlare perché «l’obiettivo non è far la guerra a un governo, ma difendere un bene necessario ai nostri bambini».

Per questo si portano i figli in corteo. «Strumentalizzati», si sentono rinfacciare. «Coinvolti», ribatte Angelo, «c’è differenza. Chiaro che vengono, se glielo chiedono mamma e papà, ma sono in grado di capire che lo facciamo per loro. E poi siamo stati chiari: se i bimbi sono in imbarazzo, non li si porta». «I bambini strumentalizzati sono quelli piazzati per ore davanti alla tivù», è più netta Veronica, «come accadrà in tante case dopo i tagli della Gelmini». Verso sera i cortei s’incrociano, clown bande palloncini, poi entrano nelle scuole concesse dai dirigenti per assemblee e spettacoli, ma solo fino a mezzanotte, chissà come finirà. Sgomberare occupanti di scuola che magari hanno passato gli anta, anche per la Digos sarebbe un debutto.

-  www.retescuole.net
-  www.udu.it


l’Unità. 16.10.2008

-  Proteste negli atenei, il 14 novembre lo sciopero
-  Agitazione contro le norme che bloccano la
-  stabilizzazione dei precari degli enti di ricerca

SONO USCITI DALLE UNIVERSITÀ, a Torino, Napoli, Roma. Studenti, dottorandi, ricercatori, personale non docente. Gli atenei hanno iniziato a far sentire la propria voce contro la coversione in legge di un decreto passato in aula ad agosto, mentre le università erano chiuse, e che rischia di mettere in pericolo i già disastrati bilanci degli atenei italiani.

Le parole del ministro Mariastella Gelmini sul fatto che «gli studenti vanno rimessi al centro della nostra missione, tornando a fare dell’università uno strumento straordinario di mobilità sociale e concentrando i nostri sforzi sulla qualità dell’offerta», non coincidono con i tagli previsti da quella «legge 133 del 6 agosto 2008». Da più parti, come all’università «La Sapienza» di Roma si chiede ai Rettori il blocco della didattica. Oggi il rettore della prima università romana Luigi Frati discuterà con loro nell’assemblea di ateneo. Le richieste che arrivano dalle facoltà in mobilitazione chiedono lo stop della didattica. In caso di risposta negativa gli studenti potrebbero anche decidere di occupare l’università.

Gli appuntamenti per far sentire la propria voce non mancano. Già domani a Roma, nell’ambito del corteo organizzato dalle rappresentanze di base ci sarà uno spezzone organizzato dagli studenti. Ma è di ieri anche la notizie di un’ulteriore mobilitazione dei sindacati confederali, che, dopo lo sciopero generale del 30 ottobre, potrebbero proclamarne uno di settore il 14 novembre: «Sarà il culmine di una grande fase di mobilitazione sociale - spiega Domenico Papaleo, segretario generale Slc-Cgil - che vedrà unite tutte le sigle sindacali per difendere i tagli indiscriminati che il Governo vuole applicare ad università, ricerca e conservatori». La spinta ad accelerare la richiesta di uno sciopero è arrivata proprio dal basso, dalle contestazioni spontanee di questi giorni. «Non c’è un progetto che si possa chiamare tale - sostiene Luigia Melillo, responsabile dell’associazione professionale universitaria - mentre si stanno applicando forti tagli che assieme al blocco del turn-over metteranno in ginocchio il sistema universitario italiano».

e.d.b.


l’Unità, 16.10.2008

Nel fortino della Sapienza: «Pronti al blocco, non vogliamo l’università in mano alle banche»

La lezione di Diritto pubblico sullo Statuto Albertino del professor Francesco D’Onofrio, esponente Udc già ministro della Pubblica Istruzione, è interrotta intorno alle undici e mezza dall’assemblea degli studenti arrivati in massa nell’aula A al secondo piano di Scienze Politiche della Sapienza. L’ex ministro dell’Istruzione si ferma ad ascoltare l’assemblea ed interviene solo per una breve nota: «Almeno qui si discute, al Senato non è stato possibile». Già, perché l’obiettivo principale della protesta che qui come in altre parti d’Italia ha già acceso focolai nelle facoltà di Psicologia, Fisica e Lettere, è la legge 133 del 2008, ennesima conversione di un decreto legge (questa volta di finanza), passata a Palazzo Madama in pochi minuti nell’agosto trascorso. Una legge che tiene dentro, per quanto riguarda l’università, tagli di 1,5 miliardi in 5 anni, la possibilità per gli atenei di trasformarsi in fondazioni di diritto privato e un rallentamento del turn-over al 20% (ogni cinque professori pensionati se ne potrà assumere uno).

Eppure non c’è solo questo nelle parole di Dario, Vanessa, Luca, Francesco e Carlo. Non c’è solo questo nello slogan della protesta che all’una del pomeriggio parte dall’aula di Scienze Politiche per arrivare in un corteo interno a Lettere e poi uscire per strada, su un percorso concordato che gira attorno all’università seguendo la direzione del traffico.

Lo slogan che afferma «Noi la crisi non la paghiamo» è il manifesto di questa generazione tenuta a mollo negli atenei italiani, convinta che in un diverso modello di sviluppo potrebbe essere considerata una risorsa per il Paese. E invece è messa dietro «la competizione dei tondini di ferro con la Cina». E alle beghe di cassa. «Questa crisi non l’abbiamo determinata noi, ma gli speculatori. Le banche a cui questo decreto vorrebbe dare la possibilità di entrare all’università». Luca Cafagna ha 24 anni, studia a Scienze Politiche, e vede che nel suo futuro si sta facendo strada un modello «americano», con lo Stato che toglie soldi dal Welfare, da Sanità, Scuola e Istruzione per darlo in mano alle banche «e non coglie il segno storico di quello che sta succedendo». Con le banche che arrancano davanti alla crisi di prestiti e mutui «di quelle famiglie che devono pagare l’assicurazione per gli ospedali e mettere da parte i soldi per iscrivere i figli all’università».

Un’idea condivisa da Francesco Raparelli, che di anni ne ha 30 e prende 800 euro al mese per fare un dottorato di ricerca in filosofia politica a Firenze: «340 euro se ne vanno per l’affitto, 250 per spostarsi ogni mese tra Roma e Firenze. E questo è solo il presente perché il futuro non c’è. Siamo passati dall’incertezza alla catastrofe». Certo, afferma, quando iniziò l’università aveva idea di concentrarsi sullo studio, di avviarsi sul percorso scivoloso della ricerca che in Italia non ha mai pagato in termini economici. Oggi, però, raggiunto quel primo obiettivo, davanti non vede niente. E non è colpa solo di questa legge 133 che toglie soldi all’università senza nemmeno disegnarne un assetto coerente. È che da anni il Paese ha scelto di concentrarsi su altro. Vanessa, che di anni ne ha 24 e frequenta Scienze Politiche, è convinta di stare studiando a vuoto, che quelle lezioni che segue giorno per giorno alla fine non la porteranno nel posto che meriterebbe. Che gli stessi insegnamenti a volte siano «troppo specifici» per essere spendibili nel mondo del lavoro. Che loro, alla fine, saranno dei precari che non si spenderanno nelle cose che hanno studiato. Ma che si fa? Cosa chiedono questi ragazzi? Risponde sempre lei: «Chiediamo che lo Stato investa sull’università e sulla ricerca. Che investa su di noi e che non ci tratti come una questione finanziaria. Guarda, già ci hanno abituato con la messa in funzione dei “crediti” e dei “debiti” scolastici». Come dice Stefano, 25 anni, due esami alla tesi e un presente da studente-lavoratore (proiezionista e gestore di un banchetto che vende libri): «Non è possibile che a questa età dobbiamo ancora vivere con i genitori perché non riusciamo ad avere i soldi in tasca per andarcene di casa». È lui che nell’aula di Scienze Politiche ha lanciato intorno all’una l’idea del corteo interno, mentre nei plessi di fianco continuavano a tenersi assemblee pubbliche.

Dietro a queste proteste non ci sono partiti, come spiega Dario, ma reti e movimenti di studenti. Nell’immaginario collettivo c’è ancora la Francia. Non quella del maggio di quarant’anni fa, ma quella degli studenti che nel 2005 misero all’angolo il «contratto di primo impiego» (Cpe) del governo di Dominique De Villepin (Nicolas Sarkozy ministro dell’Interno). Quella delle occupazioni e dell’ultima lotta studentesca vinta. Prima di tutto, però, la battaglia va combattuta contro il luogo comune che sta sommergendo, in nome di una bizzarra efficienza economica, una parte delle battaglie della sinistra nel nostro Paese. Quello che tiene tutto sullo stesso piano. Sintetizzato nello slogan di ribellione del personale non docente rivolto all’assemblea di Scienze Politiche: «Noi non siamo fannulloni, voi non siete bamboccioni».

Eccolo il nodo del problema. Sottolineato anche dalle parole di Vanessa che spiegano quel «Noi la crisi non la paghiamo». Non è una ritirata dei ragazzi dalle proprie eventuali responsabilità: «È al contrario una presa di coscienza. Noi vogliamo impegnarci. Vogliamo fare la nostra parte. Vogliamo solo che qualcuno creda in noi». La legge 133 è la prima battaglia di una lotta politica che appare lunga e che non tiene dentro, per ora, nemmeno tutto il corpo studentesco.

Dario spiega: «Vogliamo il blocco della didattica. È l’unico segnale possibile per dire che l’università reagisce a questo ennesimo taglio». Oggi il Pro-rettore Luigi Frati risponderà alla richiesta degli studenti. Non sembra ci si orienti su questa linea. Come spiega Fulco Lanchester, preside di Scienze Politiche: «Io verrò all’assemblea, ma devo anche garantire che chi voglia fare lezione possa farlo».

l’Unità 16.10.2008

-  «No Gelmini day and night», notte di lotta per la scuola
-  Cortei, fiaccolate e assemblee da Bologna a Cosenza, da Milano a Roma. Dove è stato occupato il Mamiani
di Maristella Iervasi

L’IDEA DELLA NOTTE bianca della scuola pubblica è partita da Bologna e in un baleno i coordinamenti nazionali di genitori e insegnanti hanno dato vita al «No Gelmini Day & Night». Da Milano a Castrovillari (Cosenza), passando per Brescia, Mestre, Viareggio, Parma, Roma, e Sassari, la protesta anti-Gelmini è scattata all’unisono: al mattino tutti in classe, poi dall’imbrunire a mezzanotte tutti nelle scuole per un pigiama-party o nelle piazze dei municipi a «far rumore», in corteo con fiaccolate o riunuti in assemblee con ospiti d’eccezione. Come all’elementare Francesco Crispi di Monteverde Vecchio, a Roma, dove Don Roberto Sardelli, il sacerdote che nel ‘68 fondò la «scuola 725» tra i figli dei barraccati dell’Acquedotto Felice e dal quale fu tratto il documentario «Non tacere», si è seduto tra le mamme e i papà del quartiere raccontando la sua esperienza unica. La ministra sottoaccusa, Mariastella Gelmini, intanto ieri mattina è salita al Quirinale per fornire chiaramenti al presidente Napolitano sui suoi provvedimenti che non piacciono neppure alle Regioni.

Il movimento anti-Gelmini non si ferma. Dalle elementari la mobilitazione sta facendo breccia anche nelle medie, mentre tra gli studenti delle superiori è già in atto. Tant’è che ieri è partita la prima occupazione, il liceo Classico «Mamiani» di Roma lo definisce «presidio permanente», una nuova forma di autogestione, volta a far comprendere a tutti cittadini i reali disagi e i punti critici della controriforma sulla scuola.

Parate rumorose e colorate nel quartiere multietnico di Piazza Vittorio, nel primo municipio capitolino. In 300 tra mamme, papà e bambini della Beccarini e della Donati hanno ribadito la loro contrarietà al maestro unico. «Il modo migliore per l’integrazione e per imparare l’italiano - sottolinea un genitore bengalese - è quello di di vivere insieme e non di creare classi separate». Un chiaro riferimento alla mozione leghista sulle classi differenziate per gli immigrati, da poco passata alla Camera. E non finisce qui. Il Coordinamento «Non rubateci il futuro» sottolinea che una una riforma della scuola è necessario, «ma non così: tagliano i fondi, tagliono le ore e rifiutano qualsiasi confronti in Parlamento e nel paese con chi la scuola la fa e la vive tutti i giorni». Così ecco che solo a Roma i concentramenti anti-Gelmini erano oltre una decina. E L’elementare «Andersen» di Roma Nord va avanti l’occupazione senza interrompere la didattica. Intanto al Senato non è escluso il bis della fiducia sul decreto 137 la commissione Affari Costituzionali ha dato parere favorevole (Pd, Idv e Udc hanno votato contro). Il popolo della scuola ne è cosciente. Tant’è che domani riponderà all’appello dei Cobas e il 30 ottobre allo sciopero generale dei confederali.


l’Unità, 16.10.2008

Apartheid scolastico, Lega isolata Classi differenziali, sdegno da tutte le forze politiche. Epifani: atto di inciviltà

di Simone Collini

JEAN LEONARD TOUADI parlamentare del Pd che è nato nella Repubblica del Congo e che certe dinamiche le conosce bene, racconta che «la Lega non si è inventata niente». E spiega: «Le ‘classi ponte’ proposte dal Carroccio esistevano già qualche anno fa, nel Sudafrica delle discriminazioni. La stessa parola “Apartheid” significa, in lingua boera, “sviluppo separato”. Stiamo giocando con il fuoco».

L’eurodeputato della Sinistra europea Vittorio Agnoletto ricorre invece agli studi storici: «Prima di Cota ci aveva già pensato Goebbels». Il riferimento al ministro della Propaganda nazista viene argomentato col fatto che «classi ebraiche statali» e per stranieri «furono istituite dal regime nazista»: «La propaganda spiegò al popolo tedesco che i cambiamenti avrebbero migliorato le condizioni di vita tanto dei cittadini del Reich quanto degli stranieri», ricorda. «Oggi Cota usa parole non molto diverse».

In realtà, la mozione presentata dal parlamentare leghista e approvata l’altro ieri alla Camera con i voti del centrodestra fa di più. Per giustificare la norma delle classi separate per gli alunni stranieri che non abbiano superato dei test ad hoc, il provvedimento introduce una formula piuttosto circonvoluta: «La scuola italiana deve essere in grado di supportare una politica di “discriminazione transitoria positiva”, a favore dei minori immigrati». Per l’opposizione, ma anche per pezzi della maggioranza, per il sindacato, per amministratori locali di diverso colore politico, per associazioni le più diverse e per il Vaticano, questa mozione introduce una «discriminazione» punto e basta.

«Dio ci scampi dall’idea di classi separate», dice Walter Veltroni definendo «inconcepibile» il documento approvato. Il segretario del Pd invita ad immaginare cosa sarebbe accaduto se «nella Torino degli anni 60 fossero state fatte delle classi differenziate per i figli di immigrati che non parlavano bene l’italiano. Che Italia avremmo costruito?». Il leader dei democratici promette che se il Pdl tenterà di trasformare la mozione leghista in una legge, il suo partito «farà in aula tutto quello che è possibile fare per bloccarla».

Il destino della mozione è tutt’altro che chiaro. È esclusa la riconversione del testo in emendamento al decreto Gelmini, che martedì sarà discusso al Senato. Piuttosto, le voci critiche che si levano nello stesso centrodestra e anche in ambienti esterni al mondo politico fanno prevedere un percorso quantomeno ad ostacoli.

La presidente della commissione Bicamerale per l’infanzia Alessandra Mussolini parla di «provvedimento razzista» e chiede un incontro urgente con il ministro dell’Istruzione Gelmini. Gianni Alemanno definisce «necessaria una pausa di riflessione prima che la mozione si traduca in norma di legge». Il sindaco di Roma auspica anche «un confronto con il mondo del volontariato, l’associazionismo cattolico e con tutti coloro che operano nel campo dell’istruzione e dell’immigrazione».

Tutti settori che hanno già espresso dure critiche. Il segretario della Cgil Guglielmo Epifani parla di «atto di inciviltà verso tutti i bambini, siano essi figli di immigrati o di italiani» e di una divisione che «richiama gli aspetti bui dell’apartheid». «L’idea di ghettizzare bimbi immigrati in classi differenziate» non piace neanche al segretario dell’Ugl Renata Polverini. Preoccupazione viene espressa dall’Anci, dall’Arci, da Legambiente e da tante altre associazioni e sigle del mondo del volontariato. E anche il Vaticano è intervenuto auspicando adeguate politiche per l’integrazione: «Un indicatore molto importante del grado di inserimento dei giovani - dice l’arcivescovo Agostino Marchetto, segretario del Pontificio Consiglio per la Pastorale dei Migranti e degli itineranti - è la loro integrazione nel sistema formativo del Paese di residenza».


l’Unità, 16.10.2008

-  Nel mondo 70 milioni di bimbi senza scuola, 250mila sono soldati
-  Il rapporto di Save the Children. Dure accuse al governo italiano avaro di fondi ma «generoso» nella vendita di armi ai Paesi in guerra

di Emiliano Dario Esposito

UN FUTURO Riscrivere il futuro, quando quello che si prospetta per milioni di bambini è senza speranza, segnato. Ci sta provando Save the Children, che ha presentato ieri il rapporto sui primi due anni della campagna «Riscriviamo il Futuro», incentrata sullo sviluppo scolastico e la cessazione dell’uso di bambini soldato nei paesi in conflitto. Un tentativo che sta dando i suoi frutti, ma che vede le istituzioni - mondiali, ma italiane in particolare - insensibili, assenti.

La fotografia della realtà presentata dall’associazione è inquietante. L’indifferenza dei Paesi ricchi fa sì che 70 milioni di bambini non possano andare a scuola, ipotecandone la vita, svalutandone ogni potenzialità. Facendone facile preda di fondamentalismi, di promesse di «giochi di guerra» da parte di uomini senza scrupoli. Le cifre sono terribili: 250 mila minori suono attualmente arruolati in eserciti non governativi. Di recente in guerra due milioni sono morti, sei milioni sono stati feriti, resi invalidi o hanno subito gravi traumi psicologici.

E sotto il fuoco delle armi e della violenza collassa anche il sistema scolastico dei paesi in conflitto: insegnanti uccisi, scuole distrutte o trasformate in caserme. In Afghanistan, ad esempio, solo la metà dei bambini tra i 7 ed i 13 anni frequenta la scuola. In Nepal i maoisti, ora al governo, chiusero mille scuole e rapirono 12 mila studenti per indottrinarli o arruolarli nell’esercito ribelle.

Vernor Munoz - responsabile delle Nazioni Unite per il diritto all’educazione - parla della scolarizzazione come del primo dei diritti inalienabili. «La Dichiarazione Universale dei diritti umani, la Carta dei diritti dell’infanzia e lo Statuto di Roma affermano chiaramente - spiega Munoz - che il diritto all’educazione non è suscettibile di sospensioni, la guerra non può tenere i bambini lontani dalla scuola. L’istruzione riunisce le giovani vittime della guerra, ne ricuce il tessuto sociale».

A proposito di quanto la campagna «Riscriviamo il Futuro» non sia sostenuta dal governo italiano, Valerio Neri - direttore generale di Save the Children Italia - è chiaro: «Nel 2007 Save The Children da sola in Italia ha raccolto 2,5 milioni di euro, laddove il governo italiano ne ha stanziati soltanto tre». Il nostro Paese, del resto, è al terz’ultimo posto nella lista dei grandi donatori in aiuti all’istruzione di base. «Siamo una nazione ipocrita - continua Neri - noi, come gli altri del G8, vendiamo armi a stati che non rispettano i diritti umani, stati che fanno imbracciare queste armi ai bambini.

L’Italia tra il 2002 ed il 2007 ha venduto armi in Uganda, Eritrea, Algeria, Colombia, Congo». Ma anche Afghanistan, Burundi, Ciad, Nepal, Nigeria, Pakistan, Sierra Leone. Soprattutto bombe a grappolo, «dormienti» fino a che non vengono calpestate, spesso proprio da bambini. E intanto il nostro governo riduce i fondi per la cooperazione internazionale. I Paesi del G8, Italia compresa, detengono l’84% delle esportazioni di armi nel mondo. I compratori, d’altra parte, sono Stati che spendono 18 milioni di dollari l’anno in armamenti e nulla per le proprie scuole: considerano i figli delle loro terre come niente più che soldati.

Non c’è soltanto denuncia, nel rapporto di Save the Children: a due anni dalla partenza dell’iniziativa «Riscriviamo il futuro» l’associazione ha raggiunto risultati concreti. Sei milioni di bambini hanno adesso garantita un’educazione primaria, grazie a donazioni per un totale di 300 milioni di euro. La raccolta di fondi continua, ma l’obiettivo di creare un movimento, di coinvolgere i governi dei paesi più sviluppati, è ancora lontano.


la Repubblica, 16.10.2008

-  Berlusconi a Bruxelles parla della sua longevità politica
-  "Governerò per 19 anni quasi come quello là..."

di c.t.

BRUXELLES - «Ho fatto i conti. E alla fine di questa legislatura sono quasi 19 anni che sto qui. Quanti anni è stato invece. quel signore là?». E «quello là» sarebbe Benito Mussolini. Che, senza elezioni democratiche e con poteri dittatoriali, ha guidato l’Italia per un «Ventennio». Ad azzardare il paragone è stato Silvio Berlusconi. Al termine della conferenza stampa che ha chiuso la prima giornata del vertice europeo, non è riuscito a trattenere la battuta. Ha salutato i giornalisti, gli ha spiegato di considerarsi un «veterano» di questi summit e poi, sorridendo, ha fatto un po’ di conto. Dal 1994 (quando è sceso in campo) al 2013 (quando terminerà la legislatura) sono, appunto, 19 anni. Il Duce, in realtà, a Palazzo Venezia c’è stato per un po’ di più: quasi 21 anni ininterrotti, dal 31 ottobre del 1922 al 25 luglio del 1943.

Il Cavaliere, invece, ha omesso le sue «pause», ha fatto finta di essere stato a Palazzo Chigi per l’intero periodo. Nel ‘94 è stato presidente del Consiglio solo per 7 mesi e poi è tornato al governo nel 2001 fino al 2006. Sta di fatto che ai cronisti non è sfuggito il parallelo e gli hanno fatto notare che per pareggiare il «Ventennio» gli manca ancora un anno. Il tutto è nato dal ruolo che a suo giudizio svolge l’Italia nel Consiglio europeo. «Noi siamo i più esperti. Io e Giulio (Tremonti, ndr) siamo una grande coppia. Io con la mia esperienza da imprenditore, lui con la sua genialità». Anche perché, osserva, oltre ai «big» dei paesi fondatori, «ci sono quelli dell’Est, ragazzi nuovi. Noi, ahimé, siamo dei veterani. Se penso che con ancora 5 anni, io alla fine sarò stato qui 19 anni».

Chi sa se facendo tornare la memoria a 60 anni fa, non abbia avuto un peso l’ultimo sondaggio citato da Berlusconi. Sulla sua scrivania, infatti, spunterebbero cifre «bulgare», o per meglio dire «nostalgiche». «Io - ha riferito - ho dei sondaggi affidabili, che hanno sempre avuto ragione, e che mi danno il consenso al 70,2%. E’ una cosa francamente imbarazzante, da lì non si può che scendere, lo so». Eppure, in passato, aveva accuratamente evitato toccare la materia. Da Fascismo e Resistenza si era sempre tenuto alla larga. «Non voglio entrare in questa discussione che va lasciata in un angolo - aveva detto il 15 settembre scorso dribblando le polemiche suscitate dai richiami di Ignazio La Russa e Gianni Alemanno alla Repubblica di Salò - . Sono abituato a guardare avanti e non mi attardo in questi problemi che non mi toccano, lascio questa discussione ad altri».


la Repubblica 16.10.08

"Con le norme taglia-precari il ministro non sarebbe professore"

ROMA - «Con le norme "ammazza precari" il ministro Brunetta non sarebbe diventato professore». Lo ha denunciato nel suo intervento alla Camera il deputato del Pd componente della commissione Cultura, Giovanni Bachelet, che aggiunge: «Brunetta dovrebbe sapere più di altri che fermare simultaneamente i concorsi e la stabilizzazione di molti ricercatori negli enti di ricerca sarebbe una catastrofe. D’altronde, proprio lui, è diventato professore associato con i concorsi del 1981, quei concorsi anche detti "grande sanatoria", con i quali tutti quelli che a vario titolo erano precari nelle Università sono stati accettati come professori con un concorso riservato». «Quello che più critichiamo - prosegue Bachelet - è che il governo con la finanziaria blocca il turnover dell’Università ed impedisce nuovi concorsi e con l’emendamento "ammazza precari" ferma le stabilizzazioni».


SUL TEMA, NEL SITO, SI CFR.:

-  CARO BERLUSCONI HAI STRAVINTO!!! ORA BASTA: DIMETTITI.
-  Ascolta (anche) le tue figlie!!!
-  Sciogli il partito di "Forza Italia" e restituisci la parola "Italia" al Presidente della Repubblica e al Parlamento
!!!

-  EV-ANGELO, COSTITUZIONE... E L’UNTO DEL SIGNORE: L’ITALIA COME VOLONTA’ E RAPPRESENTAZIONE DI UN SOLO PARTITO: "FORZA ITALIA"!!!
-  L’IDEOLOGIA CATTOLICO-FASCISTA DEL MAESTRO UNICO E
-  L’ART. 7 DELLA COSTITUZIONE, UN BUCO NERO CHE DISTRUGGE L’ITALIA E LA STESSA CHIESA CATTOLICA. Per un ri-orientamento teologico-politico.

-  LA COSTITUZIONE, LE REGOLE DEL GIOCO, E IL GIOCO SPORCO (1994-2008) DEL MENTITORE ISTITUZIONALE - CONTRO L’ITALIA!!!
-  LA CRISI ITALIANA, LA STELLA POLARE E GIORGIO NAPOLITANO.
-  L’IMPARZIALITA’ DEL PRESIDENTE DELLA REPUBBLICA E’ BEN AL DI SOPRA DELLA PRESENZA MINACCIOSA DEL PARTITO CHE LO HA ESPROPRIATO DELLA STESSA POSSIBILITA’ DI DIRE ED ESCLAMARE: FORZA ITALIA!!!

-  EUROPA.ITALIA. Memoria della Liberazione e della Legge dei nostri Padri e delle nostre madri Costituenti.....
-  CARO PRESIDENTE NAPOLITANO ....PARLIAMO D’ITALIA E FACCIAMO CHIAREZZA.
-  IL PATRIOTTISMO COSTITUZIONALE E’ INCOMPATIBILE CON L’ESISTENZA DI UN PARTITO COL NOME "FORZA ITALIA"!!!


Ansa» 2008-10-17 18:27

Scuola: Napolitano, non si puo’ dire solo no

ROMA - Giorgio Napolitano, intervistato da alcuni alunni nella Tenuta presidenziale di Castelporziano, invita tutti a guardare senza preconcetti ai progetti di riforma scolastica. "Non si possono dire soltanto dei ’no’, né bisogna farsi prendere dalla paura. Si può essere d’accordo su alcuni cambiamenti e non su altri", ha detto il capo dello Stato.

La questione è stata posta in modo serio da una bambina di una scuola di Milano che ha detto: "Caro Presidente, cosa ne pensa di tutti questi cambiamenti del sistema scolastico? Dei decreti con i quali molti insegnanti perderanno il lavoro? Cosa ne sarà dei loro figli?".

Napolitano ha precisato che le competenze in questa materia sono del ministro della Pubblica istruzione. "Io guardo quello che fanno Governo e Parlamento e quello che si discute con i rappresentanti della scuola e dei sindacati. Bisogna fare attenzione - ha detto - a non farsi prendere da nessuna esagerazione e da nessun allarme. Certamente ci sono alcune cose da cambiare nella nostra scuola, che non dà ai ragazzi tutto quello che dovrebbe sul piano della formazione e della preparazione al lavoro. Quindi bisogna discutere le cose per come stanno".


LA SCUOLA E’ MESSA A MORTE!!! IL DECRETO GELMINI E’ UN DECRETO DEL PARLAMENTO DEL PARTITO ASSOLUTO DEL CAVALIERE DI "FORZA ITALIA"!!!


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