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TORINO, FIERA DEL LIBRO 2008. L’ITALIA, LE LEGGI RAZZIALI DEL 1938, E UNA CUPA SINDROME DI IMBARBARIMENTO E REGRESSIONE. Una riflessione di Adriano Prosperi - a cura di Federico La Sala

martedì 6 maggio 2008.
 
[...] per l’Italia in particolare si tratta di fare i conti una volta per tutte, in modo aperto e senza le consuete facili auto-assoluzioni, con una grande tragedia rimossa della nostra storia. Si pone per questo nostro Paese, dove una maggioranza di destra ha appena ammesso (un po’ a denti stretti, ma tant’è) il valore fondante della Liberazione antifascista del 25 aprile 1945, il problema di capire quale deposito nascosto di violenza, quale profondo, inconsapevole ma non incolpevole fondo di intolleranza e di antisemitismo condiviso dalla maggioranza degli italiani abbia fatto accettare a un popolo generalmente ritenuto mite e civile le leggi razziali del 1938 - punto di partenza da cui si sono via via srotolati gli anelli successivi, inclusa la grande retata degli ebrei anche nella capitale del mondo cattolico, anche sotto le finestre del Vaticano. Finché quel problema resta irrisolto, ci toccherà voltare altrove lo sguardo e fingere di non vedere le manifestazioni del risorgere dell’orrore dell’antisemitismo [...]

L’analisi

LA SORGENTE ANTICA DELL’INTOLLERANZA

di Adriano Prosperi (la Repubblica, 06.05.2008).

La fiera internazionale del libro di Torino è una manifestazione bella, ricca di incontri tra autori, editori e lettori, una festa del libro e della lettura, una celebrazione del valore positivo del dialogo tra culture che ha trovato il suo luogo nella città e nell’edificio - il Lingotto - simboli della modernità italiana.

La proposta del boicottaggio del Salone perché l’ospite d’onore era Israele è stata la spinta decisiva per convincermi a partecipare. Anzi a considerare assolutamente obbligatoria la partecipazione, come atto di civile responsabilità. Ero stato invitato a una discussione a più voci su di una grande realizzazione editoriale dedicata alla storia della Shoah. Mi si proponeva di contribuire alla riflessione comune offrendo qualche traccia di risposta alla questione delle origini remote dell’antisemitismo nella cultura del popolo italiano.

Ho accettato senza nemmeno un attimo di incertezza. Ma non perché ritenessi di avere cose importanti da dire o aspetti inediti da rivelare. Certo, il problema non è irrilevante, non riguarda solo il passato. Anche nei fenomeni storici maggiori c’è, come nei grandi fiumi, una piccola sorgente da scoprire. Chi celebra il Po recandosi alla sua sorgente può capire questa metafora (meglio, forse, di quanto non capisca le origini e i valori storici incarnati da simboli come le camicie verdi; ma questo è un altro discorso). Risalire alle sorgenti dell’antisemitismo significa cercare di capire quando, dove e perché è affiorato il primo rivolo della fiumana nera che ha travolto la cultura e la civiltà europea nell’immane abisso che va sotto il nome di Auschwitz.

E per l’Italia in particolare si tratta di fare i conti una volta per tutte, in modo aperto e senza le consuete facili auto-assoluzioni, con una grande tragedia rimossa della nostra storia. Si pone per questo nostro Paese, dove una maggioranza di destra ha appena ammesso (un po’ a denti stretti, ma tant’è) il valore fondante della Liberazione antifascista del 25 aprile 1945, il problema di capire quale deposito nascosto di violenza, quale profondo, inconsapevole ma non incolpevole fondo di intolleranza e di antisemitismo condiviso dalla maggioranza degli italiani abbia fatto accettare a un popolo generalmente ritenuto mite e civile le leggi razziali del 1938 - punto di partenza da cui si sono via via srotolati gli anelli successivi, inclusa la grande retata degli ebrei anche nella capitale del mondo cattolico, anche sotto le finestre del Vaticano. Finché quel problema resta irrisolto, ci toccherà voltare altrove lo sguardo e fingere di non vedere le manifestazioni del risorgere dell’orrore dell’antisemitismo.

Ma non confondiamo la farsa con la tragedia. C’è chi oggi approfitta dello sciagurato protagonismo di intellettuali che si fregiano ingiustamente di un titolo che indicherebbe di per sé l’esercizio dell’intelletto; e ne approfitta abilmente per proporre una specie di scambio di prigionieri. Da una parte l’intolleranza di chi chiede da sinistra il boicottaggio della Fiera internazionale del libro di Torino, dall’altra la violenza neonazista di chi uccide per il piacere di uccidere in nome dei simboli e delle idee che hanno prodotto la Shoah.

L’intolleranza ha un volto antico. Lo si può facilmente riconoscere al di là delle giustificazioni con cui si copre e delle sue mutevoli maschere ideologiche: il rogo dei libri ordinato dall’Inquisizione che distrusse più di ventimila testi ebraici nella città di Cremona a metà Cinquecento è parente stretto degli altri roghi che nella Germania nazista inaugurarono il percorso che doveva condurre ad Auschwitz. Quando si tratta di libri, non si parli di boicottaggio: si parli di elogio dell’ignoranza, di volontà di non sapere e di non ascoltare.

Come tutte le forme di stupidità, anche questa ha trovato credito e seguaci. Si è fatta incombente, ossessiva, tanto povera di argomenti quanto intimidatoria nel tono. Se ci fosse un contesto di civile confronto sarebbe facile smontarne gli argomenti. Per esempio: si può criticare la politica dello Stato di Israele così come si può criticare quella di qualsiasi Stato. E del resto questo lo fanno molto bene alcune voci che vengono proprio dalla cultura e dalla letteratura di Israele. Tuttavia, finché la minaccia che pende sullo Stato di Israele è quella della sua distruzione, l’indiscutibile dovere primario di ogni essere umano memore della storia che ha alle spalle è quello di solidarizzare col popolo che vi ha ritrovato la sua unità e ricomposto le forme della sua esistenza dopo l’immane genocidio di cui noi, gli europei, i figli della civiltà cristiana, portiamo la responsabilità storica.

Portiamo anche qualcosa di più. Molti lo scoprono solo adesso, perché la violenza, il razzismo, l’antisemitismo come figli legittimi dell’ideologia nazifascista hanno fatto un’altra vittima. Un giovane uomo è morto per le strade di una bella e civilissima città italiana. Ma quanti anni sono che negli stadi italiani, nelle piazze e per le vie e i vicoli delle nostre città apparentemente più ricche e civili l’antisemitismo più sgangherato e il razzismo più becero hanno costituito la carta di presentazione di movimenti giovanili alimentati o addirittura appoggiati da forze politiche impegnate nel gioco del potere nazionale?

Oggi le carte del gioco sono quasi tutte nelle mani di quelle forze politiche. Dopo avere vinto, ci aspettiamo che ci convincano. E questo deve avvenire a caldo, nella lettura dei sintomi della crisi italiana e nelle decisioni necessarie e urgenti con cui quei sintomi devono essere contrastati e curati. Ci aspettiamo non l’ennesimo scaricabarile, non la finzione del non sapere, non la caricatura dell’argomento di chi ha osato opporre una ipoteticamente maggiore colpevolezza delle idee dei gruppi sedicenti di sinistra rispetto all’assassinio compiuto da giovani nazifascisti. Ben altro è quello che occorre se davvero si vuole rimuovere la cupa sindrome di imbarbarimento e di regressione che - non da oggi - grava sul nostro Paese.


Sul tema, nel sito, si cfr.:

ISRAELE E PALESTINA... LA TERRA PROMESSA.

Il lato oscuro di una storia....

SALVIAMO LA COSTITUZIONE....


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