Decreto salva liste, Napolitano firma
Di Pietro: "Valutare impeachment"
Il Pd: "In piazza e poi la Corte Costituzionale" *
Resta altissima la tensione ntorno alla vicenda delle liste del Pdl stoppate e poi riammesse per decreto dal governo.
Il Pd sta organizzando una manifestazione di tutto il centrosinistra contro il decreto.
Di Pietro: "C’è la necessità di capire bene il ruolo di Napolitano in questa sporca faccenda onde valutare se non ci siano gli estremi per promuovere l’impeachment".
Bonino: "Il decreto è incostituzionale".
Maroni: "Non porta alcuna modifica di norme di legge" ma da"un’interpretazione corretta" alle norme.
In corso l’udienza del Tar lombardo; lunedì in camera di Consiglio quello del Lazio. Stamani di nuovo in piazza il popolo viola dopo la manifestazione di protesta della notte scorsa sotto il Quirinale.
* la Repubblica, 06.03.2010 (ripresa parziale - per aggiornamenti, cliccare sul rosso).
IL TESTO DEL DECRETO: DECRETO-LEGGE 5 MARZO 2010, N. 29. INTERPRETAZIONE AUTENTICA DI DISPOSIZIONI DEL PROCEDIMENTO ELETTORALE E RELATIVA DISCIPLINA DI ATTUAZIONE.
Napolitano: "Norme e diritti dei cittadini sono beni ugualmente preziosi" *
ROMA - C’erano "in gioco le norme e diritti dei cittadini", che sono "ugualmente preziosi", e "l’esclusione del candidato e della lista del Pdl" rappresentava una situazione "non sostenibile". Così il presidente della Repubblica Giorgio Napolitano, spiega le ragioni per cui ha firmato il decreto salva-liste, approvato ieri sera. Lo fa sul sito del Quirinale, rispondendo al messaggio di due cittadini, uno a favore e uno contro un provvedimento legislativo.
"Egregio signor Magni, gentile signora Varenna, ho letto con attenzione le vostre lettere - scrive Napolitano - e desidero, vostro tramite, rispondere con sincera considerazione per tutte le opinioni dei tanti cittadini che in queste ore mi hanno scritto. Il problema da risolvere era, da qualche giorno, quello di garantire che si andasse dovunque alle elezioni regionali con la piena partecipazione dei diversi schieramenti politici".
Il capo dello Stato continua: "Non era sostenibile che potessero non parteciparvi nella più grande regione italiana il candidato presidente e la lista del maggior partito politico di governo - sottolinea il presidente della Repubblica - per gli errori nella presentazione della lista contestati dall’ufficio competente costituito presso la corte d’appello di Milano".
"Erano in gioco due interessi o ’beni’ entrambi meritevoli di tutela: il rispetto delle norme e delle procedure previste dalla legge e il diritto dei cittadini di scegliere col voto tra programmi e schieramenti alternativi. Non si può negare che si tratti di ’beni’ egualmente preziosi nel nostro Stato di diritto e democratico".
* la Repubblica, 06 marzo 2010
* Il sito del Quirinale con la risposta del capo dello Stato
A larghissima maggioranza ("no" dei laici del Pdl) approvato
il documento che accusa il presidente del Consiglio
"Attacchi inaccettabili che delegittimano le istituzioni. Il premier non può insultare e intimidire"
"Premier denigra, a rischio democrazia"
Sì del plenum del Csm alla delibera *
ROMA - A larghissima maggioranza, con il solo scontato "no" dei laici del Pdl, il plenum del Csm ha approvato il documento che accusa il presidente del Consiglio Silvio Berlusconi di aver denigrato e delegittimato la magistratura.
Tra i favorevoli alla delibera, il vice presidente del Csm Nicola Mancino. Che fa sentire la sua voce: "Il presidente del Consiglio è un organo istituzionale, ha responsabilità politica, non può usare un linguaggio di insulti e talvolta di intimidazioni nei confronti del libero esercizio dell’attività giudiziaria".
Il documento approvato è la conseguenza dei frequenti attacchi del premier verso le toghe. Un fascicolo che è andato via via ingrossandosi. Attacchi con un unico filo conduttore. Nel mirino del premier erano finiti tra gli altri i magistrati "comunisti" del processo Mills, i pm che hanno riaperto le indagini sulle stragi mafiose (accusati da Berlusconi di cospirare contro di lui), le toghe di Firenze che hanno messo sotto inchiesta Guido Bertolaso ("si vergognino"), la Corte Costituzionale e da ultimo le "bande" dei pm "talebani" "che perseguono fini eversivi". All’opposto il Csm elogia "la compostezza" e il "silenzio" opposto ad accuse "generiche e ingiuste" da questi magistrati.
Nei confronti del premier i consiglieri non usano giri di parole: l’assunto di una magistratura che vuole "sovvertire l’assetto istituzionale" è "la più grave delle accuse" e "una obiettiva delegittimazione della funzione giudiziaria nel suo complesso e dei singoli magistrati". E il pericolo per l’equilibrio tra poteri dello Stato, che è il fondamento della democrazia, è legato proprio al fatto che queste affermazioni ("inaccettabili") provengano "dal massimo rappresentante del potere esecutivo". Perché "non è ammissibile una delegittimazione di un’istituzione nei confronti dell’altra, pena la caduta di credibilità dell’intero assetto costituzionale".
I consiglieri si appellano a tutte le istituzioni "perché, sia ristabilito un clima di rispetto dei singoli magistrati e dell’intera magistratura, condizione imprescindibile di un’ordinata vita democratica". Un passo indispensabile anche per poter affrontare "serenamente le auspicate riforme in materia di giustizia".
* la Repubblica, 10 marzo 2010
Cei: "Scorretto cambiare le regole in corsa"
Di Pietro scatenato: "Ipocrita chi mi attacca" *
"Dovevo firmare per garantire la partecipazione". Così Giorgio Napolitano spiega il suo via libera al decreto salva liste. Ma le parole del capo dello Stato non bastano ad Antonio Di Pietro che ieri aveva chiesto l’empeachment e oggi torna ad attaccare Napolitano e "gli ipocriti" che lo difendono. E scende in campo anche la Cei: "Cambiare le regole del gioco mentre il gioco è in corso è un atto altamente scorretto" dice mons. Domenico Mogavero, responsabile della Conferenza episcopale italiana per gli affari giuridici
13:59 Monsignor Mogavero: "Dalla maggioranza atteggiamento arrogante" Un "brutto precedente", frutto di "un atteggiamento arrogante della maggioranza". Così mons. Domenico Mogavero, vescovo di Mazara del Vallo e presidente per gli affari giuridici della Cei
* la Repubblica, 07.03.2010 (ripresa parziale, per ulterio aggiornamenti, cliccare sul rosso).
IL SONNO DELLA RAGIONE COSTITUZIONALE!!! CHE LE ISTITUZIONI DEL NOSTRO PAESE ABBIANO PERMESSO UN PARTITO CON IL NOME DI "FORZA ITALIA" PRIMA, E CON IL "POPOLO DELLA LIBERTA’" POI, SIGNIFICA CHE E’ GIA MORTO!!!
di BARBARA SPINELLI (La Stampa, 7/3/2010)
Fa una certa impressione rileggere gli articoli che Norberto Bobbio scrisse nelle pagine di questo giornale, tra il 1994 e il 1996, sulla forza politica edificata da Berlusconi a seguito di Tangentopoli: sull’inconsistenza dei club e circoli da lui creati, sulla loro vacuità, sullo spregio delle forme, tanto fieramente vantato.
Sulla violenza protestante della sua ribellione a liturgie e convenzioni della democrazia rappresentativa, vorremmo aggiungere: una violenza di tipo russo, alla Bakunin, che ricorda la vastità informe (la gestaltlose Weite) criticata nel 1923 dal giurista Carl Schmitt. Fa impressione rivedere quei testi perché molte storture sono le stesse. Non furono curate allora per il semplice fatto che erano ritenute virtù nuove, e adesso la stortura s’è estesa divenendo non solo questione di codice penale ma di riti elettorali prima trasgrediti, poi mal rappezzati con leggi ad hoc. Quel che Bobbio rimproverava ai club era in sostanza questo: il disdegno delle regole, tanto più indispensabili nel regime democratico, che al popolo affida un’amplissima sovranità.
E l’ideazione di una forza non solo dipendente da un’unica persona («Un partito a disciplina militare, anzi aziendale», così Dell’Utri nel novembre ’94), ma priva di statuti, progetti, chiarezza innanzitutto sui finanziamenti.
Bobbio era pienamente consapevole del discredito che la corruzione rivelata da Mani Pulite aveva inflitto ai partiti, annerendoli tutti mortalmente e rendendo ancor più pertinente il termine partitocrazia.
Tuttavia i partiti restavano essenziali per la democrazia, secondo lui, perché senza partiti il potere si fa opaco, arbitrario, imprevedibile. Il non-partito propagandato da Forza Italia minacciava d’essere un’accozzaglia senza storia, una «rete di gruppi semiclandestini»: incompatibile con la «visibilità del potere» che «distingue la democrazia dalle dittature» (Stampa, 3-7-94). La pura negazione (non-partito) non diceva nulla perché infinite sono le possibilità da essa racchiuse: «Se dico “non bianco” comprendo in queste parole tutti i colori possibili e immaginabili (...). La democrazia rifiuta il potere che si nasconde», dirà il filosofo in un’intervista a Giancarlo Bosetti nel 2001. Il non-bianco equivale all’amorfa vastità descritta da Schmitt.
Agli esordi anche i professionisti della politica erano invisi, e lo sono a tutt’oggi: gli uomini che si dedicano alla causa pubblica e ne vivono. Come nel film di Elia Kazan, meglio era scovare un Volto nella Folla, trasformarlo in talentuoso comunicatore, e la fabbrica del consenso partiva. Già nel 1957, Kazan crea il prototipo del manipolatore nichilista delle folle, eterno homo ridens, dandogli il nome di Lonesome Rhodes, il «Solitario» venuto dal nulla o meglio dalla galera. Di uomini così era fatto il non-partito escogitato da Mediaset, e lo è tuttora. Tuttora si avvale dei consigli di Previti, condannato definitivamente per corruzione in atti giudiziari. O di Verdini, indagato per corruzione.
Il politico di professione è considerato da costoro parassita, incapace di fare. La cerchia attorno a Berlusconi è piena di uomini che agiscono al riparo della politica e della legge: imprenditori o avvocati (soprattutto avvocati del Capo). Lo stesso Stato è sospettato, se non li serve: tanto che la sede del governo non è più Palazzo Chigi ma il domicilio del Capo a Palazzo Grazioli. Bobbio dà a questo fantasmatico potere il nome di partito personale di massa, e nel ’94 chiede al suo leader precisazioni: se il suo non è un partito cos’è, esattamente? Come s’è finanziato? Cosa farà per dare al proprio potere visibilità: dunque forme, regole rispettose del codice penale e di procedure elettorali che non avvantaggino i più forti o ricchi? Si vede in questi giorni come i riti, le sequenze formali, le procedure, siano sviliti e lisi.
Il disastro delle liste presentate tardi o malamente nel Lazio e in Lombardia conferma difetti congeniti, non sanati dal partito creato con Alleanza nazionale. All’origine: una politica al tempo stesso autoritaria e informe al punto di smottare di continuo come la terra semovente di Maierato in Calabria. Diciotto anni sono passati da Mani Pulite e i club di Mediaset hanno per questa via privatizzato la politica, screditandola agli occhi degli italiani e convincendo anch’essi che il privato è tutto, il pubblico niente. Si ascolti Verdini, sull’Espresso del 23-5-08. All’obiezione sul conflitto d’interessi replica, ardimentoso: «Il conflitto d’interessi non interessa più a nessuno. Neanche a chi non ha votato il Cavaliere. Diamo cento euro in più nella busta paga, detassiamo gli straordinari, favoriamo i premi aziendali senza tassazione e poi vediamo. Alla fine, la gente fa i conti con la propria famiglia».
La famiglia, l’affare, il favore chiesto per figli, mogli, cognati: son tutte cose che vengono prima, e se farsi strada affatica ci si serve della politica come di una scatola d’utensili cui si attinge per proteggersi dalla legge e aggirarla. Dell’Utri lo ammette: «A me della politica non frega niente, io mi sono candidato per non finire in galera» (intervista a Beatrice Borromeo, Il Fatto 10-2. La dichiarazione non è stata smentita né ha fatto rumore).
Bobbio disse ancora che il berlusconismo è «una sorta di autobiografia della nazione». Autobiografia non solo collettiva ma di ciascuno di noi: cittadini evasori, onesti, non per ultimo cittadini-giornalisti. Un giorno o l’altro dovremo domandarci ad esempio, nelle redazioni, come mai inondiamo i lettori di pagine di intercettazioni che nulla c’entrano con reati penalmente perseguibili. Come mai riceviamo dai giudici 20.000 pagine di telefonate, solo in parte cruciali. Se davvero si difende il diritto degli inquirenti a tutte le intercettazioni utili, per render visibili crimini e poteri nascosti, vale la meta mettere un muro fra le intercettazioni rilevanti e quelle concernenti il privato come le scelte sessuali, a meno che le prestazioni non avvengano in cambio di favori illeciti. Anche questo innalzare muri era pensiero dominante, in Bobbio. Citando Michael Walzer ripeteva: «Il liberalismo è un universo di “mura”, ciascuna delle quali crea una nuova libertà». Il lettore non capisce più nulla, alle prese con faldoni di intercettazioni, e rischia una nausea senza più indignazione.
Il disprezzo delle forme e delle leggi caratterizza ieri come oggi il berlusconismo (con l’eccezione di Fini, da qualche tempo) e sempre ha generato regimi carismatici autoritari. Fu l’estrema destra francese, negli Anni 30, ad anteporre il «Paese reale» (o sostanziale) al «Paese legale».
Anch’essa formò Leghe, non partiti. Il partito è una parte, non rappresenta un’interezza, per natura si dà un limite. Nella stessa trappola dell’informe cade oggi il governo, e il vecchio istinto del non-partito fa ritorno. Con disinvoltura ineguagliata Schifani, di fronte all’intrico delle liste, si augura «che venga garantito il diritto di voto a tutti e che la sostanza prevalga sulla forma». Augurio comprensibile il primo, pernicioso il secondo.
Il rigetto delle forme va di pari passo con il rifiuto della legalità, con il primato dato ai diritti privati o corporativi sugli obblighi comuni, con la separazione dei poteri. Si combina alla sfrontatezza con cui l’homo ridens di Kazan, sicuro com’è del proprio talento, si sente legibus solutus, sciolto dai vincoli delle leggi. Talmente sciolto che Berlusconi non esita a dichiarare, nel novembre 1994: «Chi è scelto dalla gente è come unto dal Signore». La Chiesa non ebbe mai alcunché da dire. Anche questa domanda, che Bobbio pose al Vaticano, resta senza risposta.
Tanta sicurezza può dare alla testa. Se ce ne fosse un po’ di meno, se non continuasse la pratica dei «gruppi semiclandestini», si potrebbe chiedere semplicemente scusa agli italiani e alle istituzioni, per la cialtrona gestione delle liste. Aiuterebbe. Ma forse, come scrive Gian Enrico Rusconi sulla Stampa, sognare non ci è dato.
di Alfredo Reichlin
La grottesca vicenda delle liste elettorali è la spia del tramonto di un’era politica. Ma che cosa si lascia dietro questa sorta di cesarismo e di populismo? Dopo anni di confusione tra pubblico e privato e di disprezzo per la certezza e l’uguaglianza della legge è la «casa comune», lo Stato, che si sta sgretolando e rischia di caderci addosso. Io credo che si tratta della crisi più grave di questo paese dopo l’8 settembre. Adesso tutti lo dicono e quelli che più strillano sono proprio quelli che hanno partecipato, arricchendosi, a questo banchetto del bene pubblico, oppure l’hanno coperto e giustificato con l’eterno cinico argomento che «i politici sono tutti uguali». Invece non sono tutti uguali, anzi c’è perfino qualcuno che non si limita a esprimere il suo schifo ma si chiede che cosa a questo punto bisognerebbe fare.
Mi scuso, ma essendo tra questi, parto non da loro (il mondo della corruzione) ma da noi. Fino a che punto noi siamo consapevoli che l’Italia è arrivata a un appuntamento con la sua storia? Sì, nel senso che l’armatura materiale e culturale, etica addirittura, del paese, ridotta com’è al degrado e quindi all’impotenza sembra non più in grado di fronteggiare la sfida più grande: quella del mondo. La domanda è molto semplice. Come ci collochiamo rispetto a un cambiamento così radicale della geo-politica e della geo-economia? Come si ridefinisce l’identità e il ruolo di questo Stato, come sappiamo, si è formato e poi sviluppato in un contesto storico del tutto diverso, nell’epoca della potenza soverchiante della vecchia Europa, a quel tempo «officina del mondo»? E, quindi, cosa fa e cosa pensa la sinistra? È alla luce di interrogativi come questi che il Pd dovrebbe a mio parere ridefinire il suo profilo ideale e la sua presenza nella società italiana a un livello più alto. Più a destra, più a sinistra? È un vano quesito. Si tratta di fissare l’asticella dell’alternativa a livello di quello che è il problema cruciale di oggi: difendere il futuro degli italiani (o dobbiamo mandare i nostri figli a vivere e studiare all’estero?); il nostro contare nel mondo. Stiamo attenti perché il tempo non lavora per noi.
È così? Se le cose stanno così, affrontare il problema della crisi dell’unità nazionale diventa la stessa ragion d’essere del Pd, ciò che ridefinisce la sua presenza e il suo ruolo storico. Cioè quella ragion d’essere che non consiste affatto come si continua a dire nella scelta tra non si sa quale neo-partito socialdemocratico che minaccerebbe la «presenza cattolica» o non si sa quale partito del presidente. Chiacchiere politologiche sulla base delle quali non formerà mai il collante di un partito nuovo, né si rendono credibili le sue politiche. Noi possiamo cantare l’inno di Mameli quante volte vogliamo ma se restiamo ai margini dei nuovi processi mondiali la «Padania» e il «Regno del Sud» non troveranno più le ragioni del loro stare insieme. Perché non parliamo al Paese con questa chiarezza?
La semplice verità è che non siamo di fronte solo a un problema di modello economico, ma alla necessità di mettere in campo una nuova cultura politica perché solo forti identità potranno affrontare con successo la fase sempre più aspra di competizione che si è aperta. Questo è il problema della sinistra, non quello di storcere il naso di fronte alle forze che cercano di rompere il blocco di potere berlusconiano. Ci confronteremo. L’importante è che sia chiara in noi un’idea forte dell’Italia. Quale Italia dunque? Certamente un paese sempre più integrato in un disegno europeo ma non come un’appendice passiva. Ricordiamoci che il solo terreno possibile di identità della nazione è il suo rapporto con la storia repubblicana, cioè con quella rivoluzione democratica, la sola che abbiamo conosciuta e che può restituire al Paese il senso del suo cammino e quindi un’idea del suo futuro. Altrimenti come usciamo da questa crisi? Con una nuova avventura cesarista? Con un ritorno al neo-guelfismo sotto il protettorato del cardinal Ruini?
Non so se la legislatura arriverà alla fine. So che diventa sempre più attuale una nuova alleanza tra le forze più vitali del lavoro, dell’impresa e dell’intelligenza creatrice disposte a battersi contro il grumo di tentazioni sovversive che attraversano la società italiana. Si è ben visto che in Italia non si difende la democrazia se si indebolisce il regime parlamentare. Se non tornano in campo, quindi, partiti veri, organizzati. Non uffici stampa del capo. E tuttavia partiti nuovi, meno assillati dalla gestione dell’esistente e più sociali, cioè più «culturali». È ciò anche perché meno di prima i soggetti si definiscono in base al reddito e più che mai contano la coscienza di sé, i valori, la consapevolezza che i propri interessi immediati non sono difendibili se non teniamo conto di quella fondamentale osservazioni di Amartya Sen, il quale ci ricorda che è tempo di concepire lo stesso sviluppo economico «come un processo di espansione delle libertà reali godute dagli esseri umani». Non si tratta di sottovalutare l’importanza dei fattori economici in senso stretto, ma di prestare più attenzione alla necessità di «rimuovere tutte quelle situazioni di esclusione, di non libertà, che condizionano la creatività umana e che concernano la miseria come la tirannia, l’ingiustizia come la mancanza di beni pubblici».
Bisogna puntare su un nuovo rapporto tra gli individui e la comunità, e quindi sulla rinascita della società civile, per ricostituire quei legami sociali e quei poteri democratici che la lunga ondata della destra ha distrutto.
* l’Unità, 06 marzo 2010
Lo afferma un documento, votato all’unanimità, della Prima Commissione
del Consiglio Superiore della Magistratura che dovrà essere ratificato dal plenum
Il Csm: "Il premier denigra la magistratura
è a rischio l’equilibrio fra i poteri dello Stato" *
ROMA - Il Csm reagisce ai ripeturi pronunciamenti di discredito, da parte di Silvio Berlusconi, nei confronti dei giudici e dice: "Episodi di denigrazione e di condizionamento della magistratura e di singoli magistrati" sono "del tutto inaccettabili" perchè cosi si mette "a rischio l’equilibrio stesso tra poteri e ordini dello Stato, sul quale è fondato l’ordinamento democratico di questo Paese". E’ quanto scrive la Prima Commissione del Csm nella pratica a tutela di diversi magistrati accusati da Silvio Berlusconi di agire per finalità politiche.
Il giudizio unanime. Il documento, approvato all’unanimità e che sarà discusso domani pomeriggio dal plenum, contiene anche un "un pressante appello a tutte le Istituzioni perché, sia ristabilito un clima di rispetto dei singoli magistrati e dell’intera magistratura, che è condizione imprescindibile di un’ordinata vita democratica". La pratica aperta in Commissione si è arricchita di mese in mese dei vari attacchi del premier alle varie toghe, da quelle del processo Mills a quelle di Napoli e Milano.
Delegittimati. "L’assunto di una magistratura requirente e giudicante che persegue finalità diverse da quelle sue proprie e, per di più, volte a sovvertire l’assetto istituzionale democraticamente voluto dai cittadini costituisce la più grave delle accuse - scrive la Commissione - ed integra, anche per il livello istituzionale da cui tali affermazioni provengono, una obiettiva e incisiva delegittimazione della funzione giudiziaria nel suo complesso e dei singoli magistrati".
Rispetto tra organi istituzionali. E il "discredito" gettato "sulla funzione giudiziaria nel suo complesso e sui singoli magistrati", può produrre, "oggettivamente, nell’opinione pubblica la convinzione che la magistratura non svolga la funzione di garanzia che le è propria, così determinando una grave lesione del prestigio e dell’indipendente esercizio della giurisdizione". Facendo proprie le preoccupazioni espresse in più occasioni dal Capo dello Stato, da ultimo nella sua lettera al vice presidente del Csm, i consiglieri affermano che per affrontare "serenamente le auspicate riforme in tema di giustizia è necessario il rispetto tra gli organi Istituzionali, che devono contribuire a garantire un clima sereno e costruttivo".
Episodi che non devono ripetersi. "Non è ammissibile una delegittimazione di una Istituzione nei confronti dell’altra, pena - avverte la Commissione - la caduta di credibilità dell’intero assetto costituzionale". Ed "è indispensabile che non si ripetano episodi di denigrazione e di condizionamento della magistratura e di singoli magistrati", perché "lo spirito di leale collaborazione Istituzionale - implica necessariamente che nessun organo Istituzionale denigri liberamente altra funzione di rilevanza costituzionale".
Il silenzio dei "Pm comunisti". Le toghe accusate da Berlusconi hanno dimostrato "la compostezza del corpo giudiziario, in generale, e dei singoli magistrati. Giudici che hanno continuato a svolgere in silenzio il proprio dovere, senza replicare alle generiche ed ingiuste accuse", nei loro confronti. In particolare, i consiglieri si riferiscono ad accuse precise: quella di "pm comunisti" fatta dal premier durante la trasmissione Ballarò o quella di "Pm talebani" fatta all’indomani della pronuncia della Cassazione sul caso Mills. E tra le altre, le accuse formulate in occasione del congresso del Partito Popolare europeo di Bonn, quando il premier parlò di un partito dei giudici nella sinistra, attaccando la Corte costituzionale. E ancora la definizione di "plotone di esecuzione" destinata ai giudici di Milano.
* la Repubbblica, 09 marzo 2010