[...] in un periodo nel quale sul tema dell’unità nazionale pesano sia il persistere e l’acuirsi di problemi reali rimasti irrisolti, sia il circolare di giudizi sommari (in taluni casi, fino alla volgarità) sul processo che condusse alla nascita del nostro Stato unitario e anche sul lungo percorso successivo, vissuto dall’Italia da quel momento, da quel lontano 1861 a oggi. Siamo in presenza di tensioni politiche, di posizioni e manovre di parte, di debolezze e confusioni culturali, di umori ostili, che ruotano attorno alla questione dell’unità nazionale e che le istituzioni repubblicane debbono affrontare cogliendo un’occasione come quella del 150° anniversario del 17 marzo 1861 [...]
L’UNITA’ NAZIONALE E’ LA MIA STELLA POLARE
Un brano dell’intervento di ieri del presidente della Repubblica Giorgio Napolitano all’École Normale Supérieure di Parigi. *
Nell’Assemblea Costituente del 1946-47, si discusse ampiamente sul come caratterizzare la figura del Presidente della Repubblica; se ne discusse prendendo in considerazione, con apertura e ricchezza di riferimenti e argomenti, diverse ipotesi e possibilità di scelta, non esclusa l’opzione presidenzialista.
La conclusione di quel dibattito fu nettamente favorevole a un Capo dello Stato eletto dal Parlamento e non direttamente dai cittadini, titolare di rilevanti prerogative e attribuzioni ma non di poteri di governo, chiamato a intrattenere col Paese un rapporto non condizionato da appartenenze politiche e logiche di parte. La Costituzione pone in cima all’articolo che sancisce caratteri e compiti del Presidente della Repubblica, l’espressione-chiave: «rappresenta l’unità nazionale». Egli la rappresenta e la garantisce svolgendo un ruolo di equilibrio, esercitando con imparzialità le sue prerogative, senza subirne incrinature ma rispettandone i limiti, e ricorrendo ai mezzi della moral suasion e del richiamo a valori ideali e culturali costitutivi dell’identità e della storia nazionale.
E chiudo qui questa digressione, della cui lunghezza e apparente estraneità al nostro incontro di oggi spero vorrete scusarmi. Ma se il rappresentare l’unità nazionale è la stella polare del ruolo che mi è stato affidato dal Parlamento, è lì anche - questo volevo sottolineare - la ragione prima del mio impegno per le celebrazioni del 150° anniversario dello Stato italiano.
A maggior ragione in un periodo nel quale sul tema dell’unità nazionale pesano sia il persistere e l’acuirsi di problemi reali rimasti irrisolti, sia il circolare di giudizi sommari (in taluni casi, fino alla volgarità) sul processo che condusse alla nascita del nostro Stato unitario e anche sul lungo percorso successivo, vissuto dall’Italia da quel momento, da quel lontano 1861 a oggi. Siamo in presenza di tensioni politiche, di posizioni e manovre di parte, di debolezze e confusioni culturali, di umori ostili, che ruotano attorno alla questione dell’unità nazionale e che le istituzioni repubblicane debbono affrontare cogliendo un’occasione come quella del 150° anniversario del 17 marzo 1861.
Coglierla attraverso un’opera di ampia chiarificazione, riproponendo e arricchendo le acquisizioni della cultura storica, e collegandovi una riflessione matura sulle tappe essenziali della successiva nostra vicenda nazionale. Dovrebbe trattarsi - come ho avuto occasione di dire - di un autentico esame di coscienza collettivo, che unisca gli italiani nel celebrare il momento fondativo del loro Stato nazionale. Riuscirvi non sarà facile, l’inizio è risultato difficile, ma cominciamo a registrare una crescita di interesse e di impegno, una moltiplicazione di iniziative anche spontanee.
Non ho voluto tacervi il quadro delle preoccupazioni che mi muovono. Ma debbo aggiungere che esse non nascono da timori di effettiva rottura dell’unità nazionale. Polemiche e contese sui rapporti tra il Nord e il Sud, per quanto si esprimano talvolta in termini e in toni estremi, e rumorose grida di secessione, trovano il loro limite obiettivo nel fatto che prospettive separatiste o indipendentiste sono - e tali appaiono anche a ogni italiano riflessivo e ragionevole - storicamente insostenibili e obiettivamente inimmaginabili nell’Europa e nel mondo d’oggi.
Quel che preoccupa è dunque altro: è il possibile oscurarsi della consapevolezza diffusa di un patrimonio storico comune, il tendenziale scadimento culturale del dibattito e della comunicazione. Quel che preoccupa è il seminare motivi di sterile conflittualità e di complessivo disorientamento in un Paese che ha invece bisogno di confermare e rafforzare la fiducia in se stesso e di veder crescere tra gli italiani il sentimento dell’unità: nell’interesse dell’Italia e - lasciate che aggiunga - nell’interesse dell’Europa. [...]
Rispetto a tendenze che circolano in Italia, come quelle che ho evocato, e anche tenendo conto del loro sorprendente provincialismo, è particolarmente importante un contributo quale il vostro, di riflessione sul respiro europeo del movimento per l’unità italiana e dei suoi maggiori protagonisti, e sul quadro delle vicende europee in cui quel movimento si collocò. Come si può ignorare l’impronta ginevrina e parigina, e anche londinese, della formazione - diciamo pure tout court europea - di Cavour? O l’influenza della storia e del pensiero francese sul maturare del bagaglio culturale e del disegno politico di Giuseppe Mazzini, per non parlare del suo radicamento nell’Inghilterra di quel tempo? Il flusso dei grandi messaggi ideali provenienti dalla Francia dell’epoca rivoluzionaria e del periodo napoleonico fu retroterra essenziale del Risorgimento.
Cavour vide più lucidamente di chiunque il quadro internazionale - con i condizionamenti oggettivi che ne derivavano - in cui collocare la strategia del piccolo e ambizioso Regno di Sardegna e la questione italiana. Erano in giuoco in Europa - allora teatro privilegiato e decisivo della politica mondiale - gli equilibri usciti dalla prima e dalla seconda Restaurazione, i moti per le libertà costituzionali contro il dispotismo, gli equilibri sociali sotto il premere di nuovi conflitti, l’affermazione del principio di nazionalità e le lotte per l’indipendenza contro il dominio imperiale austriaco. Il sapersi muovere con audacia e duttilità, e con i necessari adattamenti, in questo contesto fu per Cavour fattore determinante di superiorità ai fini della guida del movimento nazionale italiano, e fattore non meno determinante per il successo ultimo della sua strategia al servizio della causa dell’Unità italiana.
L’asse della politica europea di Cavour fu l’alleanza con la Francia di Napoleone III, senza peraltro trascurare l’importanza, in momenti significativi, del rapporto con l’opinione pubblica, ambienti politici e governanti della liberale Inghilterra. E sappiamo anche come fu non lineare, e quali tormenti suscitò in Cavour, la ricerca dell’intesa con l’imperatore francese - basti pensare a quei drammatici giorni dell’aprile 1859 quando Cavour vide il suo disegno sul punto di crollare e visse momenti di estremo sconforto. Poi gli eventi presero il corso da lui voluto della II Guerra d’indipendenza. E le battaglie di Solferino e San Martino cementarono nel sangue un’alleanza che cento anni più tardi, nel 1959, il Presidente francese eletto l’anno precedente, il generale De Gaulle, volle, venendo in Italia per quelle celebrazioni, indicare come il «trovarsi insieme dei campioni di un principio grande come la terra, quello del diritto di un popolo a disporre di se stesso quando ne abbia la volontà e la capacità».
Infine, vorrei ribadire come l’altro fattore decisivo dell’affermarsi della funzione egemone di Cavour in Italia e del progredire della causa italiana, fu - come ha scritto Rosario Romeo - che «Cavour stette indubbiamente dalla parte del realismo e della moderazione, ma ebbe l’intuizione di ciò che valessero le forze e i motivi ideali nella costruzione dell’edificio italiano». E mi permetto di aggiungere, reagendo a una certa moda attuale di esaltare, rispetto a Cavour, altre personalità del Risorgimento e del movimento per l’Unità, che la grandezza del moto unitario in Italia sta precisamente nella ricchezza e molteplicità delle sue ispirazioni e delle sue componenti; la grandezza di Cavour sta nell’aver saputo governare quella dialettica di posizioni e di spinte divergenti, nell’aver saputo padroneggiare quel processo fino a condurlo allo sbocco essenziale della conquista dell’indipendenza e dell’unità nazionale.
Quando, logorato da anni di dure fatiche e di «dolori morali», scrisse, «d’impareggiabile amarezza», cessò di vivere il 6 giugno 1861, Cavour poté senza dubbio lasciare come suo estremo messaggio quello che «l’Italia era fatta». Ma nel grande discorso per Roma capitale tenuto in Parlamento il 25 marzo, otto giorni dopo la proclamazione del Regno d’Italia, egli aveva affermato: «L’Italia ha ancor molto da fare per costituirsi in modo definitivo, per isciogliere tutti i gravi problemi che la sua unificazione suscita, per abbattere tutti gli ostacoli che antiche istituzioni, tradizioni secolari oppongono a questa grande impresa». Tra quei «gravi problemi» era destinato a risultare come il più complesso, aspro e di lunga durata il problema del Mezzogiorno, dell’unificazione reale, in termini economici, sociali e civili, e dei suoi possibili modi, tra Nord e Sud. Possiamo dire oggi che quella resta la più grave incompiutezza del processo unitario.
* LA STAMPA, 30/9/2010
.. Lunedì al Quirinale un incontro su “la lingua italiana fattore portante dell’identità nazionale” nel 150° anniversario dell’Unità d’Italia *
Il 21 febbraio 2011 alle ore 11.00 avrà luogo al Palazzo del Quirinale un incontro su "la lingua italiana fattore portante dell’identità nazionale", nell’ambito delle celebrazioni del 150° anniversario dell’Unità d’Italia.
L’evento è promosso dalla Presidenza della Repubblica con la collaborazione dell’Accademia dei Lincei, dell’Accademia della Crusca, dell’Istituto dell’Enciclopedia Italiana e della Società Dante Alighieri.
L’incontro sarà aperto da Gianni Letta in rappresentanza del Governo. Seguirà un filmato realizzato da Giovanni Minoli con i materiali d’archivio della Rai. Quindi Giuliano Amato, Presidente del Comitato dei Garanti del 150° anniversario dell’Unità d’Italia, introdurrà l’iniziativa affrontando il tema "La lingua italiana e l’unità nazionale". Seguiranno gli interventi di personalità del mondo accademico e culturale: Tullio De Mauro su "L’Italia linguistica dall’Unità all’età della Repubblica", Vittorio Sermonti su "La voce di Dante", Luca Serianni su "La lingua italiana nel mondo", Carlo Ossola su "I libri che hanno fatto gli italiani", Nicoletta Maraschio su "Passato, presente e futuro della lingua nazionale" e Umberto Eco su "L’italiano del futuro". L’ultimo intervento sarà del Presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano.
Le riflessioni sul rapporto tra la lingua italiana e l’identità della nazione saranno intervallati da letture di brani letterari che hanno segnato l’evoluzione della lingua nazionale, da parte di Fabrizio Gifuni, Umberto Orsini, Ottavia Piccolo, Toni Servillo e Pamela Villoresi. Due pagine musicali saranno interpretate da Roberto Abbondanza (baritono) e da Federico Amendola (pianoforte).
Nella stessa giornata sarà aperta nella Sala delle Bandiere del Quirinale la mostra "Viaggio tra i capolavori della letteratura italiana. Francesco De Sanctis e l’Unità d’Italia", promossa dalla Fondazione De Sanctis, che sarà aperta al pubblico da martedì 22 febbraio a domenica 3 aprile: "Un viaggio - ha scritto il Capo dello Stato nel catalogo della esposizione - tra i capolavori che hanno radicato in noi il sentimento di appartenere a una comunità di lingua e di ideali".
SITO: PRESIDENZA DELLA REPUBBLICA: http://www.quirinale.it/elementi/Continua.aspx?tipo=Notizia&key=14465
ROMA - Il 17 marzo, festa del tricolore per le celebrazioni dei 150 anni dell’Unità d’Italia, sarà festa nazionale. Lo ha annunciato il sottosegretario alla presidenza del Consiglio Gianni Letta: «Penso che non si andrà a scuola né al lavoro. Ma sarà festa nazionale solo per il 2011, l’anno della ricorrenza», ha precisato.
Letta ha poi spiegato alcuni dettagli: «Il 2 giugno prossimo saranno invitati 26 capi stato europei, più quelli degli Stati Uniti e Russia, a cui si aggiungeranno quelli dei paesi in cui ci sono le comunità italiane più numerose, più radicate e più legate all’Italia. I capi di stato parteciperanno alla parata del 2 giugno caratterizzata sui 150 anni, poi, dopo la colazione al Quirinale, in Campidoglio daranno un saluto all’Italia».
Ancora il 17 marzo il presidente Napolitano si recherà non solo all’Altare della patria, ma anche al Pantheon, dove è sepolto re Vittorio Emanuele II che fu il primo Capo di Stato italiano. Ma, prevenendo ogni ulteriore quesito o polemica, Giuliano Amato, presidente del comitato per le celebrazioni, ha precisato: «Questo non significa che altri successori potranno essere più o meno traslati nella stessa sede. L’Italia - ha sottolineato - fu fatta da Mazzini, Cavour, Garibaldi e da Vittorio Emanuele».
* Il Messaggero, Giovedì 20 Gennaio 2011 - 14:44 Ultimo aggiornamento: Venerdì 21 Gennaio - 14:54
COSTITUZIONE DELLA REPUBBLICA ITALIA:
ART. 54:
Tutti i cittadini hanno il dovere di essere fedeli alla Repubblica e di osservarne la Costituzione e le leggi.
I cittadini cui sono affidate funzioni pubbliche hanno il dovere di adempierle con disciplina ed onore, prestando giuramento nei casi stabiliti dalla legge.
di Stefano Rodotà (la Repubblica, 01.02.2011)
L’Italia s’è desta? Le parole un po’ logore dell’Inno di Mameli sono forse quelle che meglio descrivono un panorama sociale che ha visto in queste ultime settimane appunto un risveglio civile. Un risveglio persino inatteso, e che fa riemergere una idea e una pratica della politica che sembravano scomparse, sequestrate dall’intreccio perverso tra derive oligarchiche, uso privato del potere, perdita dell’etica pubblica, degrado del linguaggio, azzeramento della dimensione argomentativa.
E’ sempre opportuno non abbandonarsi ad entusiasmi frettolosi. Ma è altrettanto sbagliato non cogliere i segni del mutamento, sottovalutarli solo perché non stanno negli schemi canonici, e anzi se ne distaccano.
Nei mesi passati avevamo sofferto il silenzio della democrazia, emblematicamente testimoniato dalla chiusura del Parlamento, e l’assenza della politica come capacità di guardare a fondo nelle dinamiche reali. Ora quel silenzio è stato rotto, la voce è quella di persone che trasformano l’indignazione in richiesta perentoria di cambiamento, restituendo così alla politica quella presenza che sembrava scomparsa.
Elogio tardivo del movimentismo? Ricordiamo, allora, le parole che aprono Millennium People di
James Ballard: "Una piccola rivoluzione stava avendo luogo, così modesta e beneducata che quasi
nessuno l’aveva notata".
Chi sottovaluta, o pensa solo di strumentalizzare, il variegato mondo di quelli che protestano,
manifestano, si organizzano, non si rende conto che questa novità sociale interviene nel cuore di
una crisi drammatica, ne denuncia la gravità foriera di grandissimi rischi, e indica pure una via
d’uscita. Proprio la drammaticità della situazione che stiamo vivendo obbliga a cogliere la
profondità di un malessere che non si vuole più sopportare. Le persone rifiutano d’essere
considerate solo "carne da sondaggio", "consumate" da distruttive logiche di mercato, frammentate
dall’abbandono d’ogni logica sociale.
In un paese afflitto da egoismi e corporativismi, nessuno tra quelli che si uniscono per protestare sta rivendicando un interesse particolare. E’ una novità importante. Gli studenti, i professori, il mondo della cultura si sono fatti sentire perché non sia fatto tacere il sapere critico, per rivendicare la conoscenza come bene comune.
Gli operai hanno ridato forza alla parola "dignità", la stessa che guida le donne, che sono poi quelle che hanno individuato con più nettezza l’effetto devastante di un uso del corpo femminile che segna il punto estremo del degrado culturale e porta con sé una devastante idea del potere. E’ questa la ragione che spinge tanti uomini ad associarsi alle loro iniziative, nelle quale ricompaiono, inattese e benvenute, le ragazze, che tuttavia non si chiudono solo in questa "rivendicazione", ma sono presenti ovunque.
Si ricostruiscono così legami sociali, ceti e generazioni diverse tornano a parlarsi, parole che sembravano perdute, come "solidarietà", "interesse generale", "bene comune", "moralità" si ripresentano come ineludibili punti di riferimento.
Siamo al di là della categoria dei "ceti medi riflessivi" con la quale Paul Ginsborg aveva correttamente analizzato un’altra fase del risveglio della società civile. Quel che sta avvenendo in questo momento, infatti, è proprio l’emergere di una diversa società civile, composita, con una crescente capacità di auto-organizzazione, con una marcata autonomia.
Novità che hanno le loro radici soprattutto nell’uso della Rete, dov’è tutto un ribollire di iniziative, di discussioni magari sgangherate ma vitalissime. E, muovendo dalle piazze virtuali, i cittadini tornano ad affollare le piazze reali.
Vi sarà qualcuno, nello stanco ceto politico, capace di misurarsi con questo magma ribollente, realizzando quell’alleanza che tanto ha contato nel successo di Obama? Oggi, infatti, si fa più urgente il problema dell’"interlocutore politico" di questa nuova società.
Un interlocutore che dev’essere attento e umile, nel senso del rispetto dovuto a chi sta mettendo in gioco se stesso e, giustamente, rifiuta mediazioni troppo interessate. L’esempio è venuto dal Presidente della Repubblica quando, ricevendo gli studenti, ha colto la novità dei tempi, la richiesta, insieme, di un rapporto con le istituzioni e di un loro rinnovamento.
Non è un caso che i diversi movimenti siano unificati da un riferimento convinto alla Costituzione. Un’altra rilevante novità, infatti, è rappresentata proprio dal fatto che la Costituzione sta di nuovo incontrando il suo popolo. Se si vuole costruire una vera agenda politica, è da questo dato fondativo che bisogna partire, che illumina le diverse, puntuali indicazioni che vengono dai diversi soggetti del movimento in corso e che compongono un quadro programmatico selettivo e convincente.
Così, e non con improbabili alchimie, si costruisce un vero consenso politico. E si può contrastare un vizio impunito nella politica italiana, che si manifesta ciclicamente, e che consiste nel tentativo di cogliere qualsiasi occasione per cercare di liberarsi proprio del "programma costituzionale".