L’Ufficio Stampa della Presidenza della Repubblica rende noto il testo del messaggio che il Presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, in occasione della Festa Nazionale della Repubblica ha rivolto dalle sale del Quirinale in cui è ospitata la mostra "L’Eredità di Luigi Einaudi":
"Per voi che ascoltate auguro innanzitutto che la festa del 2 giugno possa rappresentare un momento di serenità. Ricordiamo in queste settimane - con la mostra che vedete - la figura di Luigi Einaudi, grande studioso, maestro di vita civile e uomo delle istituzioni, che nel 1948 fu eletto Presidente della Repubblica. Ma questa giornata è l’occasione per ricordare anche come nacque, oltre sessant’anni fa, la Repubblica: tra grandi speranze e potendo contare sulla volontà allora diffusa tra gli italiani di ricostruire e far rinascere il paese, in un clima di libertà, attraverso uno sforzo straordinario di solidarietà e unità. E’ qualcosa che vale la pena di ricordare perché l’Italia, divenuta un paese altamente sviluppato, avrebbe oggi bisogno di uno sforzo simile, per la complessità dei problemi che sono dinanzi alla società e allo Stato, in un mondo profondamente mutato. Riuscimmo in quegli anni lontani a risalire dall’abisso della guerra voluta dal fascismo, e a guadagnare il nostro posto tra le democrazie occidentali. E abbiamo poi superato tante tensioni e prove.
Non possiamo ora permetterci di fare un passo indietro ; sapremo - ne sono certo - uscire dalle difficoltà e farci valere ancora una volta, grazie a un forte impegno e slancio comune. Su quali basi un rinnovato sforzo della nostra comunità nazionale debba poggiare, lo dicono i principi e gli indirizzi della Costituzione che la Repubblica si diede sessant’anni fa, in meno di due anni dal referendum e dalle elezioni del giugno 1946.
Ma non posso tacere la mia preoccupazione, in questo momento, per il crescere di fenomeni che costituiscono invece la negazione dei principi e valori costituzionali: fenomeni di intolleranza e di violenza di qualsiasi specie, violenza contro la sicurezza dei cittadini, le loro vite e i loro beni, intolleranza e violenza contro lo straniero, intolleranza e violenza politica, insofferenza e ribellismo verso legittime decisioni dello Stato democratico.
Chiedo a quanti, cittadini e istituzioni, condividano questa preoccupazione, di fare la loro parte nell’interesse generale, per fermare ogni rischio di regressione civile in questa nostra Italia, che sente sempre vive le sue più profonde tradizioni storiche e radici umanistiche. Costruiamo insieme un costume di rispetto reciproco, nella libertà e nella legalità, mettiamo a frutto le grandi risorse di generosità e dinamismo che l’Italia mostra di possedere. Buona festa della Repubblica a tutte le italiane e gli italiani."
Sul tema, nel sito, si cfr.:
La festa del 2 giugno
La democrazia a un bivio
di Guido Crainz (la Repubblica, 01.06.2018)
Mai come quest’anno il 2 giugno ci costringe a interrogarci sul nostro essere nazione e sulla tenuta della nostra democrazia, ed è difficile sfuggire alla sensazione di essere di fronte a un bivio. Mai infatti, neanche nelle fasi più aspre, questa data ha cessato di essere la festa di tutti gli italiani: il momento in cui ribadiscono i fondamenti culturali, politici e civili del proprio vivere collettivo. Mai qualcuno aveva pensato di utilizzare il 2 giugno per contestare le nostre regole costituzionali. Mai, neanche per un attimo, era stata proposto di lacerare questa giornata con una manifestazione di parte volta a colpire proprio quelle regole, assieme alla figura istituzionale che ne è garante ( e il vulnus resta, anche se la miserevole proposta è crollata grazie alla alta e necessaria fermezza del presidente della Repubblica, Sergio Mattarella).
Non avvenne neppure nel clima teso della Guerra fredda, nonostante le profonde divisioni e contrapposizioni di allora. E non avvenne negli anni cupi della strategia della tensione e del terrorismo degli anni Settanta: la centralità del 2 giugno verrà appannata semmai dalla smemoratezza degli anni Ottanta, nel prolungarsi dell’abolizione della festività decisa nel 1977 (discutibile conseguenza di esigenze di “austerità”).
Quell’appannarsi era in realtà il sintomo dell’indebolimento civile del Paese, malamente mascherato dalle euforie di quel decennio, e alla vigilia del crollo della “ prima Repubblica” Giorgio Bocca evocava a contrasto, su queste pagine, l’Italia uscita dalla guerra: eravamo divisi in fazioni, scriveva, in un Paese distrutto, eppure «uniti nel vivere, liberali, cattolici, monarchici, comunisti, padroni, operai, tutti certi di essere padroni del nostro destino. Ma questa voglia di avere un’identità, di essere noi, sembra esserci uscita dal corpo. Che Paese siamo? Che cosa significa essere italiani? » . In quella crisi il valore centrale del 2 giugno sembrò offuscarsi ancora e la sua decisa riaffermazione fu parte integrante della pedagogia civile avviata con forza dal presidente Ciampi e proseguita dai suoi successori.
Fu parte integrante del loro impegno a rifondare il “ patriottismo repubblicano” nella coscienza collettiva, collocandolo nella più ampia appartenenza europea e rafforzandone al tempo stesso i momenti simbolici e le date fondative. In primo luogo, appunto, la festa del 2 giugno, ripristinata da Ciampi nella sua interezza e accompagnata da una parata che poneva ora al centro l’impegno dell’esercito nelle calamità civili e nelle missioni di pace. Ciampi stesso ha ricordato: andai a quella prima, rinnovata sfilata «in una vettura scoperta, con al fianco il ministro della Difesa, Sergio Mattarella. Eravamo circondati da una folla festosa che mi diceva di andare avanti, mi ringraziava, era contenta » . Quella ispirazione è andata via via arricchendosi e sono ancora vive le immagini di un anno fa, con la folta presenza di sindaci e con quell’enorme tricolore che calava sul Colosseo.
È forte dunque la sensazione di essere oggi di fronte a una possibile, inquietante divaricazione, e nei giorni scorsi lo abbiamo compreso in maniera traumatica: in essi infatti il fantasma del populismo è uscito definitivamente dal limbo delle definizioni astratte o da territori ancora lontani. È diventato forza corposa e devastante, con la lacerante contrapposizione fra una “ sovranità del popolo” arbitrariamente interpretata e le istituzioni che la fanno realmente vivere, svilite e calpestate assieme alle loro regole. Questo abbiamo vissuto e viviamo, e quelle lontane parole di Giorgio Bocca sembrano di nuovo drammaticamente attuali.
Il riscatto della Repubblica
di Maurizio Viroli (il Fatto Quotidiano, 2 giugno 2011)
Oggi, 2 giugno, potrà essere ricordato come la data che segna l’inizio di una rinascita morale e civile della nostra Repubblica. Repubblica, lo ricordo a chi l’ha dimenticato o a chi non lo ha mai capito, non vuol dire soltanto che la sovranità appartiene al popolo e non ad un re, ma anche governo della legge, virtù civile, disprezzo per le corti, intransigenza nella difesa della libertà comune, amore per la propria città. Il voto dei cittadini italiani ha testimoniato, in realtà fra loro assai diverse come Milano e Napoli o Trieste e Cagliari, adesione a questi principi.
Sia Pisapia che De Magistris sono stati fin dall’inizio fermi sostenitori dell’idea che le leggi devono valere per tutti e che la Costituzione, legge fondamentale dello Stato, deve essere rispettata soprattutto da chi governa e da chi ha il potere legislativo. A dare esempio di virtù civile ci hanno pensato i cittadini in forme e modi tali da sorprendere tutti coloro che pensavano (e probabilmente continueranno a pensare) che gli Italiani sono, per varie ragioni, incapaci di forti passioni civili.
I cittadini che si sono impegnati per fare vincere candidati che non avevano alle spalle consolidati apparati di partito lo hanno fatto per passione, per quell’amore del bene comune che è il segno distintivo di un vero cittadino. Queste esigenze sono state valorizzate, finalmente, da leaders che hanno capito che la politica, soprattutto quella che mira all’emancipazione dal dominio di uomini potenti, non può essere soltanto razionalità, calcolo e competenza ma deve essere anche matura passione, spirito critico e sdegno in una cornice di sobrietà e serietà.
L’ASPETTO CHE PIÙ DI OGNI ALTRO EMERGE da queste elezioni amministrative (dalle primarie fino ad oggi) è che i cittadini hanno saputo identificare le corti grandi e piccole e le hanno respinte. Infine, hanno vinto i candidati che per la loro biografia e per il loro linguaggio sono sempre stati avversari intransigenti di Silvio Berlusconi a tal segno che bisogna riconoscere che se il primo grande sconfitto è il presidente del consiglio, i secondi sono gli alfieri di un’opposizione accomodante, tenue, grigia.
Negli interventi dei candidati che hanno vinto le elezioni tema ricorrente è stato l’impegno per ridare alle città dignità e bellezza, sottrarle alla ferocia devastatrice della speculazione che mira esclusivamente ai grandi profitti e farne luoghi di accoglienza, d’incontro e di memoria. Soltanto in una città armoniosa si può costruire la cittadinanza piena.
Nella sua storia, la Repubblica ha vissuto esperienze importanti di riscatto civile: le lotte dei lavoratori, i movimenti per la conquista dei diritti civili, la difesa della Costituzione contro il terrorismo, ma mai in passato era emerso così netto uno spirito repubblicano.
Le lotte dei decenni passati erano sostenute da forti ideologie e forti partiti e sindacati. Il movimento attuale è invece, in gran parte, il frutto di un’emancipazione delle coscienze individuali che diventa movimento di emancipazione collettiva di cui abbiamo osservato la prima scintilla nel referendum contro la riforma costituzionale vinto nonostante l’opposizione della maggioranza berlusconiana e la freddezza di quasi tutti i partiti di sinistra.
La ragione principale è facile da intendere: mai l’Italia aveva subito un attacco così pericoloso contro i fondamenti della vita repubblicana come quello di Silvio Berlusconi e dei suoi. Lo scontro politico dal 1994 ad oggi non è stato fra diverse ideologie e diversi partiti leali ai valori repubblicani, ma una lotta mortale fra la Repubblica ed un signore. Pare proprio che i cittadini lo abbiano capito e abbiano reagito.
A questo punto è evidente anche la lezione per il futuro. Per completare l’opera, e soprattutto per evitare che il patrimonio di energie morali e civili che queste elezioni hanno messo in moto si disperdano, è necessario rafforzare ulteriormente lo spirito repubblicano e non cedere alla tentazione del moderatismo. La politica dei compromessi e degli accomodamenti è valida con avversari leali, civili e dignitosi. Con chi insidia e corrode le istituzioni repubblicane l’unico modo per vincere è essere intransigenti.
I 60 anni della Carta. Che cosa resta della nostra Costituzione
di STEFANO RODOTA’ (la Repubblica, 02 gennaio 2008)
Stanno nascendo "costituzioni parallele" che, direttamente o indirettamente, mirano a mettere in discussione, o a cancellare del tutto, la prima parte della Costituzione italiana, quella dei principi, delle liberta’ e dei diritti - varata esattamente 60 anni fa. Il piu’ noto di questi tentativi e’ quello che le gerarchie cattoliche perseguono ormai da tempo, affermando la superiorita’ e la non negoziabilita’ dei propri valori e denunciando il relativismo delle carte dei diritti, a cominciare dalla Dichiarazione universale dell’Onu del 1948, considerate frutto di mediocri aggiustamenti politici. Ma non deve essere sottovalutato un prodotto di quest’ultima stagione, l’annuncio di "manifesti dei valori" ai quali le nuove forze politiche vogliono affidare una loro "ben rotonda identita’". Il mutamento di terminologia e’ rivelatore. Non piu’ "programmi" politici, ma manifesti, un tipo di documento che storicamente ha valore oppositivo, addirittura di denuncia dell’ordine esistente. E oggi proprio l’ordine costituzionale finisce con l’essere messo in discussione.
Viene abbandonata la politica costituzionale, gia’ indebolita, ma che pur nei contrasti aveva accompagnato la vita della Repubblica, contraddistinto battaglie come quella dell’"attuazione costituzionale", segnato stagioni come quella del "disgelo costituzionale". Al suo posto si sta insediando un dissennato Kulturkampf, una battaglia tra valori che sembra muovere dalla impossibilita’ di trovare comuni punti di riferimento. L’identita’ costituzionale repubblicana e’ cancellata, al suo posto scorgiamo la pretesa di imporre una verita’ o la ricerca affannosa di compromessi mediocri.
Nel linguaggio di troppi politici i riferimenti alle encicliche papali hanno sostituito quelli agli articoli della Costituzione. Nelle parole di altri si rispecchiano una regressione culturale, una corsa alle risposte congiunturali, piu’ che una matura riflessione sui principi che devono guidare l’azione politica. Ci si allontana dal passato senza la lungimiranza di chi sa cogliere il futuro. Questo e’ forse l’effetto di un inesorabile invecchiamento della Costituzione della quale, a sessant’anni dalla nascita, saremmo chiamati non a celebrare la vitalita’, ma a registrare la decrepitezza? L’intoccabilita’ della prima parte deve cedere ai colpi inflitti dal mutare dei tempi?
Ribadito che siamo di fronte a un tema distinto dalla buona "manutenzione" della seconda parte, che disciplina i meccanismi istituzionali, proviamo a saggiare la tenuta dei principi costituzionali considerando proprio questioni recenti, per vedere se non sia proprio li’ la bussola democratica, liberamente e concordemente definita, alla quale tutti devono riferirsi. Partiamo dall’attualita’ piu’ dura, dalle morti sul lavoro, delle quali la tragedia della Thyssen Krupp e’ divenuta l’emblema. L’articolo 41 della Costituzione e’ chiarissimo: l’iniziativa economica privata e’ libera, ma "non puo’ svolgersi in contrasto con l’utilita’ sociale e in modo da recare danno alla sicurezza, alla liberta’, alla dignita’ umana".
Questa sarebbe una incrostazione da eliminare perche’ in contrasto con la pura logica di mercato? Qualcuno lo ha proposto, ma spero che la violenza della realta’ lo abbia fatto rinsavire. Oggi e’ proprio da li’ che bisogna ripartire, da una sicurezza inscindibile dal rispetto della liberta’ e della dignita’, dalla considerazione del salario non solo come cio’ che consente di acquistare un lavoro sempre piu’ ridotto a merce, ma come il mezzo che deve garantire al lavoratore ed alla sua famiglia "un’esistenza libera e dignitosa" (articolo 36). Questione ineludibile di fronte ad un processo produttivo che, grazie anche alle tecnologie, si impadronisce sempre piu’ profondamente della persona stessa del lavoratore. La trama costituzionale ci parla cosi’ di una "riserva di umanita’" che non puo’ essere scalfita, ci proietta ben al di la’ della condizione del lavoratore, mette in discussione un riduzionismo economicistico che vorrebbe l’intero mondo sempre piu’ simile alla New York descritta da Melville all’inizio di Moby Dick, che "il commercio cinge con la sua risacca".
Altrettanto irrispettosa della vita e’ la decisione del Comune di Milano di non ammettere nelle scuole materne comunali i figli di immigrati senza permesso di soggiorno. E’ davvero violenza estrema quella che esclude, che nega tutto cio’ che e’ stato costruito in tema di eguaglianza e cittadinanza e, in un tempo di ripetute genuflessioni, ignora la stessa carita’ cristiana.
Di nuovo la trama costituzionale puo’ e deve guidarci, non solo con il divieto delle discriminazioni, ma con l’indicazione che vuole la Repubblica e le sue istituzioni obbligate a "rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale che, limitando di fatto la liberta’ e l’eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana" (cosi’ l’articolo 3). E cittadinanza ormai e’ formula che non rinvia soltanto all’appartenenza ad uno Stato. Individua un nucleo di diritti fondamentali che non puo’ essere limitato, che appartiene a ciascuno in quanto persona, che dev’essere garantito quale che sia il luogo in cui ci si trova a vivere. Hanno mai letto, al Comune di Milano, la Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea? Sanno che in essa vi e’ un esplicito riconoscimento dei diritti dei bambini? Trascrivo i punti essenziali dell’articolo 24: "I bambini hanno diritto alla protezione e alle cure necessarie per il loro benessere... In tutti gli atti relativi ai bambini, siano essi compiuti da autorita’ pubbliche o da istituzioni private, l’interesse superiore del bambino deve essere considerato preminente". Di tutto questo, e non solo a Milano, non v’e’ consapevolezza, segno d’una sorta di pericolosa "decostituzionalizzazione" che si e’ abbattuta sul nostro sistema politico-istituzionale.
Ma seguire le indicazioni della Costituzione rimane un dovere. Certo, serve una cultura adeguata, perduta in questi anni e che ora sta recuperando una magistratura colta e consapevole, che affronta le questioni difficili del nascere, vivere e morire proprio partendo dai principi costituzionali, ricostruendo rigorosamente il quadro in cui si collocano diritti e liberta’ delle persone, risolvendo casi specifici come quelli riguardanti l’interruzione dei trattamenti per chi si trovi in stato vegetativo permanente, il rifiuto di cure, la diagnosi preimpianto. Ma proprio questo serissimo lavoro di approfondimento sta rivelando la distanza tra cultura costituzionale e cultura politica. Sembra quasi che, prodighi di dichiarazioni, troppi esponenti politici non trovino piu’ il tempo per leggere le sentenze e le ordinanze che commentano, o non abbiano piu’ gli strumenti necessari per analisi adeguate. Fioccano le invettive e le minacce: "invasione delle competenze del legislatore", "ricorreremo alla Corte costituzionale".
Ora, se questi frettolosi commentatori conoscessero davvero la Corte, si renderebbero conto che le deprecate decisioni della magistratura seguono proprio una sua indicazione generale, che vuole l’interpretazione della legge "costituzionalmente orientata": Nel caso della diagnosi preimpianto, anzi, sono stati proprio i giudici a bloccare una pericolosa invasione da parte del Governo delle competenze del legislatore, che non aveva affatto previsto il divieto di quel tipo di diagnosi, poi introdotto illegittimamente da un semplice decreto ministeriale.
La stessa linea interpretativa dovrebbe essere seguita nella controversa materia delle unioni di fatto, al cui riconoscimento non puo’ essere opposta una lettura angusta dell’articolo 29, gia’ superata negli anni ’70 con la riforma del diritto di famiglia. Parlando di "societa’ naturale fondata sul matrimonio", la Costituzione non ha voluto escludere ogni considerazione di altre forme di convivenza, tanto che l’articolo 30 parla esplicitamente di doveri verso i figli nati "fuori del matrimonio"; e l’articolo 2, per iniziativa cattolica, attribuisce particolare rilevanza giuridica alle "formazioni sociali", di cui le unioni di fatto sono sicuramente parte.
Linea interpretativa, peraltro, confermata dall’articolo 9 della Carta dei diritti fondamentali che mette sullo stesso piano famiglia fondata sul matrimonio e altre forme di convivenza, per le quali e’ caduto il riferimento alla diversita’ di sesso. Che dire, poi, delle resistenze contro una piu’ netta condanna delle discriminazioni basate sull’orientamento sessuale, che costituisce attuazione degli impegni assunti con i trattati europei e la Carta dei diritti? Dopo esserci allontanati dalla nostra Costituzione, fuggiremo anche dall’Europa e ci sottrarremo ai nostri obblighi internazionali?
Nella Costituzione vi sono molte potenzialita’ da sviluppare, come gia’ e’ accaduto con il diritto al paesaggio e la tutela della salute. Quando si dice che la proprieta’ deve essere "accessibile a tutti", si leggono parole che colgono le nuove questioni poste dall’utilizzazione dell’enorme patrimonio di conoscenze esistente in Internet. E la rilettura delle liberta’ di circolazione e comunicazione puo’ dare risposte ai problemi posti dalle tecnologie della sorveglianza e dalle gigantesche raccolte di dati telefonici. Vi e’, dunque, una "riscoperta" obbligata di una Costituzione tutt’altro che invecchiata e imbalsamata, che regge benissimo il confronto con l’Europa, che rimane l’unica base democratica per una discussione sui valori sottratta alle contingenze ed alle ideologie. Questo richiede l’apertura di una nuova fase di "attuazione" costituzionale". Chi sara’ capace di farlo?
Ansa» 2008-06-02 16:03
NAPOLITANO: CARTA SIMBOLO E FONDAMENTO REPUBBLICA
ROMA - Con gli onori finali al capo dello Stato da parte di uno squadrone di corazzieri e di carabinieri a cavallo, si è conclusa la parata militare per la Festa della Repubblica: il presidente Giorgio Napolitano ha lasciato Via dei Fori Imperiali a bordo della Flaminia presidenziale, accompagnato dal ministro della Difesa Ignazio La Russa e dal Capo di Stato Maggiore della Difesa, Vincenzo Camporini.
La parata, che si è svolta come da programma, ha visto sfilare sotto la pioggia 7.200 persone, tra militari e civili. Una festa, anche di pubblico, rattristata però dalla morte dell’elicotterista Filippo Fornassi, ieri a Bracciano: lo stendardo del primo reggimento Antares dell’Aviazione dell’Esercito è sfilato listato a lutto. Ultimo atto della parata, il passaggio delle Frecce Tricolori.
La pioggia a intermittenza su Roma non ha scoraggiato i tantissimi cittadini, romani e non, e i turisti giunti ai Fori Imperiali e in piazza Venezia per assistere alla parata . Vengono un po’ da tutta Italia, molti si trovano a Roma per trascorre il ponte festivo, altri sono giunti nella Capitale proprio per l’evento. "Veniamo da Benevento - racconta Luigi Piccirillo, pensionato di 65 anni - Siamo partiti ieri sera. Io e mia moglie ci tenevamo ad essere qui perché i militari, le forze dell’ordine, fanno tanto, e lo fanno tutti i giorni dell’anno, per garantire la nostra sicurezza: è giusto ringraziarli".
Il presidente della Repubblica passato a pochi metri, le Frecce Tricolori, i gruppi a cavallo: per molti che sono qui ad assistere è un’emozione forte. "Non lo nego, mi sono commossa - dice Luisa Guiducci, casalinga romana - Non è vero che quella del 2 giugno è una festa poco percepita dai cittadini: oggi sono orgogliosa di esserci ma sono soprattutto fiera di questi ragazzi che si impegnano per noi".
NAPOLITANO, CARTA SIMBOLO E FONDAMENTO REPUBBLICA - "Il 2 giugno 1946, con il referendum istituzionale, prima espressione di voto a suffragio universale nella storia nazionale, gli italiani scelsero la Repubblica ed elessero l’Assemblea costituente, che, l’anno successivo, avrebbe approvato la Carta costituzionale, ispirazione e guida della ricostruzione materiale ed istituzionale dell’Italia e, da allora, simbolo e fondamento della democrazia del nostro paese".
Così il Capo dello Stato Giorgio Napolitano esordisce in un messaggio inviato al Capo di Stato maggiore della Difesa, Vincenzo Camporini, in occasione della Festa della Repubblica.
"Nel ricordo di quello storico evento di sessantadue anni fa che ha visto nascere la Repubblica Italiana, la nostra Repubblica, rivolgo il mio deferente omaggio, senza distinzione, a tutti gli uomini e le donne che sono caduti perché quel giorno potesse finalmente giungere ed a tutti quelli che, dopo di loro, hanno perso la vita perché i valori che avevano ispirato la conquista della democrazia potessero durare nel tempo e consolidarsi. Quei valori di libertà, giustizia, uguaglianza fra gli uomini, rispetto dei diritti, delle capacità e del merito di ognuno sono ancora oggi il fondamento della coesione della nostra società ed i pilastri su cui poggia la costruzione dell’Europa. Essi costituiscono l’essenza del forte e convinto contributo- prosegue Napolitano- che il nostro Paese fornisce alla convivenza pacifica tra i popoli ed allo sviluppo della comunità internazionale". "Ed è in questa nuova prospettiva di apertura verso il mondo e di concorso concreto alla risoluzione delle grandi problematiche poste dagli scenari della globalizzazione che le Forze Armate italiane del XXI secolo rinnovano il proprio fondamentale ruolo di custodi e garanti della Costituzione repubblicana, interpretandone il significato universale nelle innumerevoli missioni a sostegno dei diritti umani, della legge e dello sviluppo sociale ed economico in tante aree di crisi. Le Forze Armate sono cresciute ben oltre la loro tradizionale funzione di ultima risorsa, di capacità per l’emergenza. Sono divenute componente produttiva e costruttiva, strutturale e non occasionale, del sistema istituzionale del nostro Paese, sempre più impegnato in Europa e nelle organizzazioni internazionali, per l’attuazione di una strategia di cooperazione volta a garantire sicurezza, stabilità e pace". "Ed il 2 giugno le Forze Armate sono giustamente protagoniste, anche formalmente, di fronte al Paese ed alle sue massime autorità, circondate dalla stima e dall’affetto dei cittadini, dei quali costituiscono espressione diretta, sempre più consapevole e convinta. Ad esse, a nome di tutti gli italiani, esprimo la mia gratitudine e formulo il più fervido augurio. Viva le Forze Armate, viva l’Italia!".
LA RUSSA,TRICOLORE SI SERVE CON CORAGGIO E COSTANZA - "Il Tricolore si serve con coraggio, costanza e determinazione, facendo bene il proprio dovere fino in fondo". E’ quanto si legge nel messaggio del ministro della Difesa, Ignazio La Russa, inviato alle Forze armate e a tutto il personale civile della Difesa in occasione della Festa della Repubblica. "E’ questo - sottolinea La Russa - che oggi desidero ricordare a me e a tutti voi perché la stagione politica che si é aperta sia feconda per la nostra Repubblica, rafforzando le basi istituzionali e l’efficienza della Difesa. E’ questa la via che tutti dobbiamo seguire, nel solco dei più alti esempi delle nostre tradizioni militari e civiche". Le Forze armate, ricorda il ministro "in ogni occasione della storia repubblicana hanno testimoniato l’unità di spirito e di intenti del nostro popolo, dalla difesa dei confini al soccorso in caso di calamità, fino all’impegno all’estero nelle numerose missioni internazionali". "Siate sempre orgogliosi - è l’invito di La Russa alle Forze armate - di appartenere ad una istituzione impegnata in modo decisivo per il bene e la sicurezza della Patria e per la difesa degli inalienabili valori della sicurezza e della civiltà. Siate sempre all’altezza delle sfide che ci attendono e continuate ad operare con fermezza, intelligenza e fiducia nel sistema di sicurezza e di alleanze delle quali l’Italia fa parte, con la certezza che il paese vi segue e apprezza il vostro impegno e la vostra dedizione".
FEDERALISMO: SCHIFANI, SIA SOLIDALE PER NON DIVIDERE PAESE - L’attuazione, in questa legislatura, di un federalismo fiscale che sia però solidale per non aumentare le fratture tra la parte ricca e la parte povera del Paese, è auspicata dal presidente del Senato, Renato Schifani con un incontro con una rappresentanza di studenti cui dona una copia della Costituzione nella libreria del Senato. "Ci vuole - spiega Schifani - un federalismo che avvicini i cittadini alle istituzioni e alle decisioni su come spendere il denaro pubblico. I cittadini vogliono pagare ma in cambio chiedono servizi efficienti. Si tratta di un processo che responsabilizzi chi gestisce le risorse". "Ma - avverte il presidente del Senato - occorre che ci sia un federalismo fiscale solidale per evitare che il Paese si divida, salvaguardando le fasce più deboli".
FINI, MESSAGGIO NAPOLITANO ALTO E CONDIVISO - "Un messaggio, quello di ieri del capo dello Stato, alto, condiviso, certamente impregnato di quella passione civile che caratterizza il mandato del presidente Napolitano". Lo ha detto il presidente della Camera, Gianfranco Fini, rispondendo ad una domanda dei giornalisti prima di raggiungere il palco delle Autorità in via dei Fori Imperiali, dove tra poco comincerà la parata militare per la Festa della Repubblica. A chi poi gli chiedeva cosa ne pensasse della scarsa conoscenza che, secondo un sondaggio, gli italiani avrebbero della ricorrenza odierna, Fini ha risposto che "occorre ricordare, soprattutto ai più giovani, che cosa significa; non dare per scontato che sia una festa acquisita dal nostro popolo e ribadirne i valori di fondo, tra l’altro non solo riferiti al passato".
BERLUSCONI: ANDIAMO A PIEDI. PASSEGGIA TRA FOLLA
Come gli altri anni, nonostante la pioggia battente, Silvio Berlusconi non rinuncia alla passeggiata che dal palco delle Autorità della Parata per il 2 giugno lo porta fino a quasi sotto casa, a Palazzo Grazioli. All’inizio, proprio per le condizioni climatiche, il presidente del Consiglio sale nell’auto blindata. Ma la macchina non parte perché bloccata dagli altri cortei che attendono di farsi largo tra la folla per guadagnare piazza Venezia. Qualche attimo di esitazione, poi Berlusconi, incitato dai tanti sostenitori che circondano la vettura fa un cenno al capo scorta e dice: "andiamo a piedi". Inizia una lenta passeggiata fra due ali di folla con il cordone di sicurezza che a stento riesce a trattenere l’entusiasmo dei tanti che vogliono salutarlo o stringergli la mano.
Inizia così una lunga passeggiata fra due ali folla e un nutrito cordone di sicurezza. Per percorrere qualche centinaio di metri, Berlusconi impiega oltre quarantacinque minuti. Ogni passo c’é una foto da fare, una mano da stringere, una foglio su cui mettere un autografo. Moltissimi lo incitano ad andare avanti, a risolvere i problemi del Paese. Ma i più, vogliono soltanto una scatto ricordo. E pur di ottenerlo stanno sotto l’acqua. Berlusconi ha una parola per tutti, ringrazia, stringe centinaia di mani. Alcuni lo ringraziano per "aver mandato Prodi a casa". Altri gli chiedono di "ridurre le tasse". Altri ancora gli urlano "Silvio santo subito". Partono i cori: "Silvio, Silvio". C’é anche chi, una signora di mezza età, arriva a commuoversi per aver sfiorato il Cavaliere e lo dice emozionata all’amica. La pioggia insistente non frena l’entusiasmo dei fans del Cavaliere. Lo circondano, mettendo a dura prova il cordone di sicurezza eretto da uomini in divisa e in borghese che danno manforte alla scorta del premier. La passeggiata si interrompe poche decine di metri prima di piazza Venezia. Il presidente del Consiglio sale sulla blindata e parte. Ma un centinaio di metri dopo, davanti alla sua residenza di via del Plebiscito, scende dalla vettura perché ad aspettarlo ci sono un centinaio di persone. Ancora strette di mano, sorrisi, foto. Non è la prima volta che il Cavaliere si concede il bagno di folla dopo la parata. In qualche occasione aveva incontrato qualche fischio e contestazioni. Non stavolta. La ’luna di miele’ sembra reggere.
È la Festa della Repubblica La Lega non c’è, resta in Padania
Schifani: «maquillage» alla Carta *
È la Festa della Repubblica, e la Lega non c’è. Sessantadue anni fa nasceva, con il referendum, la Repubblica Italiana, «una e indivisibile»: ma i leghisti, nemmeno quelli “di governo” aprtecipamno alla tradizionale parata dei Fori Imperiali a Roma. Non è un’assenza annunciata, nessuno ha detto niente, ma, come fa notare il deputato dell’Italia dei Valoti e portavoce di Articolo21 Giuseppe Giulietti, «guardando i servizi televisivi non ho visto nessun ministro della Lega, ma anche leggendo i dispacci di agenzia non trovo traccia della Lega».
Giulietti però vuole risposte: «Si può decidere di andare o non andare - dice a proposito della parata - ma nel caso della Lega la questione è particolarmente delicata perché hanno spesso polemizzato sulla patria, sulla bandiera e sulle grandi feste nazionali, questioni tenute sotto traccia da Berlusconi e Fini perché creano un imbarazzo di tipo istituzionale. Quando il presidente della Camera Fausto Bertinotti - ricorda ancora Giulietti - presenziò alla sfilata del due giugno con la spilletta con il simbolo della pace dicendo che sarebbe stato presente per dovere istituzionale non rinunciando però a segnalare la propria opposizione ad ogni forma di guerra e violenza, si aprì un dibattito ferocissimo, decine di editoriali e speciali televisivi su questo. Voglio capire - conclude - se su questo tema si aprirà una discussione seria, o se la luna di miele prevede anche la censura, l’omissione, il girarsi dall’altra parte».
La Lega non c’era, in compenso Silvio Berlusconi ha approfittato della sfilata per uno show in pieno stile: è in macchina ma cerca il bagno di folla. Così scende e dice alla scorta: «Si va a piedi». Passano 45 minuti prima che concluda la sua personalissima parata sui Fori Imperiali, si fa prendere dall’entusiasmo e dice alla folla: «Risolveremo tutti i problemi».
Soddisfatto della giornata il ministro della Difesa, Ignazio La Russa, che si è complimentato «per la superba prova di entusiasmo, serietà e preparazione dei militari di ogni grado e specialità delle Forze Armate che hanno partecipato alla manifestazione. Dobbiamo essere fieri - ha aggiunto - del legame saldo fra popolo e Forze Armate; una testimonianza di affetto e di apprezzamento che ci stimola a guardare con fiducia verso sempre più ambiziosi traguardi di efficienza e affidabilità del nostro strumento militare. Gli risponde a stretto giro il presidente Napolitano che gli ricorda che, «in piena coerenza con il dettato costituzionale e con le esigenze della complessa fase storica che viviamo» la missione dell’esercito italiano è quella di «ripudiare la guerra con i fatti, lavorando concretamente per costruire la convivenza pacifica tra i popoli, attraverso la sicurezza, la certezza del diritto e un più equilibrato sviluppo mondiale».
Infine, una chicca dal presidente del Senato Schifani. Ha colto l’occasione del 2 giugno per spiegare che c’è bisogno di un’operazione di «maquillage» per la seconda parte della Costituzione «che avvicini di più i cittadini alla politica».
* l’Unità, Pubblicato il: 02.06.08, Modificato il: 02.06.08 alle ore 15.42
Il premier per la prima volta al ricevimento al Quirinale per la festa della Repubblica
Si lascia andare a una previsione per la successione: "Non io"
Berlusconi: "Dopo Napolitano?
Io propongo Gianni Letta"
Torna anche sul tema delle intercettazioni: "Multe per gli editori. Privacy sacrosanta"
Più di duemila invitati. E poi: "Come fa Moratti a pagare Mancini 12 milioni?"
ROMA - Il presidente del Consiglio, al ricevimento al Quirinale per la festa della Repubblica, parla delle legge sulle intercettazioni e chiede un "diritto prioritario alla privacy". E poi si lascia scappare una risposta sulla carica più alta dello Stato: "Io dopo Napolitano? Non è bello parlare di queste cose con un presidente in carica. Comunque no, io penso a Gianni Letta".
Un esordio quasi blindato quello del premier nei giardini del Quirinale per la festa del 2 giugno. In linea, del resto, con il nuovo modo di fare e di essere il Presidente del Consiglio: poche parole e per lo più solo attraverso canali istituzionali, o conferenza stampa o comunicati scritti. Alla fine gli scapperanno solo due battute: sui delfini nello stretto di Messina e sul caso Moratti-Mancini.
Dal 1994 infatti Berlusconi non era mai salito al Colle per le celebrazioni del 2 giugno. Ha sempre partecipato alla parata militare per la festa della Repubblica lungo i Fori Imperiali. Ma per un motivo o per l’altro ha sempre dato forfait al ricevimento nei giardini del Quirinale, una tradizione del tardo pomeriggio del primo giugno.
Stasera invece il Cavaliere è arrivato pochi minuti dopo le 18 passando dalla parte della loggia che dà su uno dei più straordinari panorami della Capitale accompagnato dal padrone di casa, Giorgio Napolitano. A poca distanza sua eminenza il cardinale Camillo Ruini, varie personalità dell’esecutivo a cominciare da Gianni Letta (scarsa la presenza dell’opposizione), c’è il presidente del Senato Renato Schifani ma è assente il presidente della Camera Gianfranco Fini. La Banda delle Forze Armate ha intonato l’Inno di Mameli. Circa duemila gli invitati tra cui molti nomi del cinema, della musica, della cultura. Tantissimi i giornalisti: Riotta, Mimun, Rizzo Nervo, Floris (che ha invitato Berlusconi in trasmissione ricevendone però un garbato no tra vari complimenti) giusto per citarne qualcuno. Buone le condizioni meteo, un sollievo per le molte signore che, memori degli anni precedenti, avevano portato lo scialle di lana.
Berlusconi si è intrattenuto per circa due ore ma è stato di pochissime parole. Almeno con i giornalisti. Ha concesso un paio di battute sul tema delle intercettazioni telefoniche tornato attualissimo dopo la pubblicazione delle telefonate tra gli indagati dell’inchiesta napoletana sui rifiuti. Ai giornalisti il premier ha detto di capire le ragioni della stampa e ha precisato che "non ci saranno cose straordinarie. Ci saranno invece multe agli editori che le pubblicano". Il premier ha spiegato come "in Europa le intercettazioni si facciano su organizzazioni criminali e terroristiche e basta. Noi - ha aggiunto - dobbiamo adeguarci a questo". Il presidente del Consiglio comunque "discuterà" sulla legge perchè "di natura sono uno che non ha pregiudizi".
La sua presenza al Quirinale ha solleticato fantasie e richiami. Prima fra tutte la possibilità che sia proprio berlusconi il prossimo inquilino del Colle. "Sono stato invitato e quindi sono qui" ha risposto a chi gli faceva notare che era la prima volta dopo tante assenze. "Questa volta ho ricevuto l’invito con una particolare cordialità e ho sentito il dovere di presenziare". Sul futuro, poi, ha glissato con: "Il mio candidato è e resta Gianni Letta". Di sicuro il profilo del premier è quasi presidenziale. Parlando con un ospite dell’Italia ferma, rallentata e impoverita ha detto: "E’ un lavoro immenso ma aggiusteremo l’Italia". E sul clima politico ha insistito "sulla grande collaborazione con l’opposizione, come dimostrano le nomine dei grandi enti". Il Ponte sullo Stretto "sarà fatto ma prima dovremo liquidare la società" ha spiegato a Piero Ciucci, presidente dell’Anas. A proposito, ha poi aggiunto il Presidente con una battuta, "con i delfini abbiamo risolto? Gli facciamo una corsia preferenziale...". Nessun problema, ha risposto Ciucci: "Noi passiamo più alti" rispetto al mare e quindi ai delfini.
Solo per un attimo Berlusconi è tornato ad essere Berlusconi. E parlando con alcuni tifosi interisti ha buttato là: "Ma come fa Moratti ha pagare Mancini dodici milioni di euro? Ora il guaio è che anche i commessi di palazzo Chigi mi chiedono l’aumento".
* la Repubblica, 1 giugno 2008.