NELL’EPOCA DELL’APPROPRIAZIONE INDEBITA DEL NOME DEL PAESE "ITALIA" DA PARTE DI UN PARTITO E DELL’ATTIVO SILENZIO DEI FILOSOFI E DEGLI INTELLETTUALI ....

A EUGENIO GARIN, IN OCCASIONE DEL CONVEGNO A FIRENZE, ALLA CUI APERTURA HA PARTECIPATO ANCHE IL PRESIDENTE NAPOLITANO. Un ricordo di Claudio Cesa - a cura di Federico La Sala

venerdì 6 marzo 2009.
 

Il Presidente Napolitano a Firenze

Il Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano partecipa, nel Salone dei Cinquecento di Palazzo Vecchio, all’apertura del convegno "Eugenio Garin. Dal Rinascimento all’Illuminismo", promosso dalla Scuola Normale di Pisa, dall’Istituto Nazionale di Studi sul Rinascimento e dal Comune di Firenze.

Ad aprire i lavori del convegno gli interventi del Sindaco Leonardo Domenici, del Direttore della Normale, Salvatore Settis e del Presidente dell’Istituto, Michele Ciliberto, seguiranno le relazioni di Cesare Vesoli, Adriano Prosperi e Paolo Rossi.

Nel pomeriggio - prima di lasciare Firenze - il Capo dello Stato visiterà la mostra "La Nazione: 150 anni di storia raccontata dalle nostre prime pagine", allestita nella Galleria Medici, e il dipinto di Raffaello "Madonna del Cardellino" esposta a Palazzo Medici Riccardi a conclusione del restauro.

Fonte: Presidenza della Repubblica.



EUGENIO GARIN

di Claudio Cesa *

Ai primi di gennaio del 2004 è morto Norberto Bobbio; agli ultimi di dicembre se ne è andato Eugenio Garin. Se l’accostamento si impone quasi da solo, non è, soltanto per le coincidenze cronologiche, anche dell’anno di nascita (1909), quanto perché entrambi, per almeno un quarto di secolo, furono gli esponenti più illustri - diciamo pure i "maestri" - nel settore, amplissimo, degli studi da ciascuno coltivato; e lo furono per l’incisività, il ritmo, la mole del loro lavoro scientifico, la ricchezza di idee che ne fece ascoltati consiglieri delle più vive case editrici, la capacità di far fiducia a chiunque sembrasse loro capace di studi seri.

Nel 1984, al convegno torinese per i 75 anni di Bobbio, Garin tenne una relazione che si apriva e si chiudeva con il nome di Aldo Capitini, quasi a ricordare la vicinanza delle loro posizioni morali alla fine degli anni trenta. Fu il ricordo di quegli anni, e della tensione, del primo decennio del dopoguerra, per un rinnovamento sociale e culturale del paese a mantenere vivo, nel mezzo secolo successivo, il loro impegno pubblico, non sempre nella stessa direzione, ma meno divergente di quanto, talvolta, allora, poté sembrare.

E un’altra analogia va rilevata: il loro (se è lecita questa espressione) radicamento territoriale: entrambi fecero i loro studi, e poi insegnarono per gran parte della loro carriera, nella stessa università: Bobbio voleva dire Torino, e Garin Firenze. Non c’è quasi istituzione culturale fiorentina della quale Garin non sia stato gran parte, la Biblioteca filosofica (finché sussistette), l’Istituto del Rinascimento, la Colombaria; ma il centro fu sempre la Facoltà di lettere, per un certo torno di anni la migliore d’Italia, ove Garin insegnò prima come incaricato, poi, dal 1949, come cattedratico, nella ormai mitica sede di S. Marco, poi, dal 1964, in quella di piazza Brunelleschi; in quanto delegato alla biblioteca, Garin vi aveva curato il trasferimento dei libri, e aveva costruito una splendida sala di consultazione per l’allora Istituto di filosofia.

L’aula delle sue lezioni era sempre colma, e anche quando non aveva obblighi didattici non c’era quasi giorno che non venisse in facoltà; lo si vedeva in crocchio, con professori e studenti; lo si vedeva alle sedute di laurea, e alle commissioni di esami, ove non di rado impartiva, a uso del candidato, e magari dei colleghi più giovani che lo assistevano, un piccolo supplemento di lezione.

L’alluvione del 1966 sommerse il deposito librario, e nei mesi successivi quell’uomo dall’aspetto fragile fu tra i più attivi nell’impegno per il salvataggio del materiale bibliografico. Dopo l’alluvione, vennero le agitazioni studentesche, di cui Garin vedeva bene i motivi; a turbarlo, non furono esse, ma il loro trasformarsi in permanente "contestazione", il loro degenerare in brutti episodi di violenza (ricordo soltanto l’aggressione a Ernesto Ragionieri), la furbesca acquiescenza di taluni professori.

Nel 1960, commemorando il centenario della fondazione dell’Istituto di studi superiori, aveva rievocato le parole di gratitudine che P. Villani aveva rivolto ai giovani, sessant’anni prima; e aveva aggiunto, a conclusione: «Firenze, in questa sua scuola, lungo un secolo. ha favorito un lavoro raccolto e un po’ schivo, ma serio, fondato sulla collaborazione reale dei membri dell’Università, alimentato da legami saldi fra insegnanti e allievi, fra generazioni e generazioni».

Ora questo legame gli pareva essersi infranto, e fu non senza esitazioni, e con intima sofferenza, che accettò, nel 1974, la chiamata alla Scuola Normale di Pisa; qui esercitò a lungo, anche dopo essere stato nominato emerito, il ruolo, a lui così congeniale, di consigliere degli studi dei più giovani.

Non è questa l’occasione per parlare del Garin straordinario esploratore della cultura dell’Umanesimo e del Rinascimento, che tanti percorsi di ricerca ha aperto, né, più in generale, di lui come storico delle filosofia; tanto più che quest’ultima formula rischierebbe di essere riduttiva rispetto alle sue intenzioni; il titolo di un suo libro, quasi programmatico, La filosofia come sapere storico, segnala, a prima vista, che scopo di esso non era tanto stabilire i canoni per una corretta storiografia filosofica, bensì prender posizione sul tema dei compiti e del significato della filosofia. Sull’argomento, egli non si stancò mai di intervenire, e la sua tesi si può compendiare con una frase di Benedetto Croce, da lui ripresa proprio dal saggio da cui aveva ricavato anche il titolo del volume: «La consapevolezza dell’unità, cioè del vivo ricambio che corre tra filosofia ed esperienza, tra metodologia e storia, rende necessaria la formazione di un nuovo tipo di studioso di filosofia, che partecipi alle indagini della storia e della scienza, e soprattutto al travaglio della vita del suo tempo, politica e morale».

Quali modelli di questo tipo di impegno intellettuale, Garin evocava, accanto a tanti altri, Villari, Labriola e Gramsci, che pure «non era un professore»; e proponeva così un profilo del pensiero italiano tra Ottocento e Novecento che rettificava, o sostituiva, quello di ascendenza crociana e gentiliana.

Ma non pretendeva di dare un quadro definitivo, perché, con le sue parole, «l’indagine storica è di continuo sollecitata a riesaminare le scelte già operate in funzione di certi modi di agire, per saggiarne la validità, respingerne l’insufficienza, risolverne la parzialità»; sapeva benissimo, e lo disse più volte, che questo criterio valeva anche per lui stesso: a conclusione della lunga discussione suscitata dal libro che si è sopra citato, scriveva di preferire «al filosofo che ha per sé l’eterno, chi combatte negli anni suoi ed è distrutto dalla sua lotta».

Non è la battuta di un fine conoscitore dell’arte retorica, quale pure Garin era, perché, finché le forze gli ressero, egli continuò a lavorare, sulle fonti e sulla letteratura secondaria, senza preoccuparsi troppo se i suoi nuovi risultati non concordavano perfettamente con quelli precedenti, perché «le revisioni non devono impressionare nessuno, ed attestano, anzi, la serietà di un lavoro legato a una concreta realtà in movimento».

Queste parole scriveva sul «Ponte» nel 1957. E al «Ponte» egli collaborò fin quasi dagli inizi (il primo scritto che vi pubblicò, una delle sue tante recensioni, è del 1946); poi, gli preferì «Belfagor», forse perché attratto dal sanguigno frontismo di Luigi Russo - mentre «Il Ponte» si sforzava tenacemente di aprire una terza via; ma tornò a collaborarvi a partire dal 1952; vi inserì in tutto una ventina di pezzi, quasi nulla rispetto alla sua enorme bibliografia (quasi 1.400 titoli), ma segno del conto nel quale teneva questa rivista, «una di quelle che hanno più inciso in questo dopoguerra», scrisse nel 1976; la rivista di Piero Calamandrei, col cui nome egli terminò un suo saggio su «un secolo di cultura a Firenze».

* Dalla Rivista “Il Ponte” (1/2005)


SUL TEMA, IN RETE E NEL SITO, SI CFR.:

EUGENIO GARIN (Wikipedia)

EUGENIO GARIN (Emsf.Rai)

IL SONNO DELLA RAGIONE COSTITUZIONALE GENERA MOSTRI

-  FILOSOFIA. IL PENSIERO DELLA COSTITUZIONE E LA COSTITUZIONE DEL PENSIERO ....
-  MA DOVE SONO I FILOSOFI ITALIANI OGGI?! POCO CORAGGIOSI A SERVIRSI DELLA PROPRIA INTELLIGENZA E A PENSARE BENE "DIO", "IO" E "L’ITALIA", CHI PIU’ CHI MENO, TUTTI VIVONO DENTRO LA PIU’ GRANDE BOLLA SPECULATIVA DELLA STORIA FILOSOFICA E POLITICA ITALIANA, NEL REGNO DI "FORZA ITALIA"!!!

GLI APPRENDISTI STREGONI E L’EFFETTO "ITALIA". LA CLASSE DIRIGENTE (INCLUSI I GRANDI INTELLETTUALI) CEDE (1994) IL "NOME" DEL PAESE AL PARTITO DI UN PRIVATO. Che male c’è?!

GLI ESEMPI TAROCCATI DI BARICCO E DI SCALFARI E L’ITALIA STRETTA NELL’ABBRACCIO MORTALE DEL "CAVALEONTICO" ULISSE DI ARCORE.

DALL’ILIADE ALL’ODISSEA: ALESSANDRO BARICCO, IL CIECO OMERO DEL "CAVALEONTICO" ULISSE DI ARCORE. Un omaggio critico

L’ILLUMINISMO, OGGI. LIBERARE IL CIELO. Cristianesimo, democrazia e necessità di "una seconda rivoluzione copernicana" - di Federico La Sala


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