[...] Il presidente della Repubblica Giorgio Napolitano ha promulgato la legge sulla sicurezza approvata dal Parlamento il 2 luglio scorso, ma ha inviato al premier e ai ministri interessati una lettera in cui esprime "perplessità e preoccupazioni". Il capo dello Stato ha ritenuto di non poter sospendere in modo particolare la entrata in vigore di norme, ampiamente condivise in sede parlamentare, volte ad assicurare un più efficace contrasto - anche sul piano patrimoniale e delle infiltrazioni nel sistema economico - delle diverse forme di criminalità organizzata [...]
ATTENTATO ALLA COSTITUZIONE? GIA’ FATTO!!! Un appello al Presidente Napolitano
Il presidente della Repubblica scrive a Berlusconi, a Maroni e ad Alfano
"Norme tra loro eterogenee, non poche delle quali prive di organicità e sistematicità"
Sicurezza, Napolitano promulga la legge
ma esprime "perplessità e preoccupazioni" *
ROMA - Il presidente della Repubblica Giorgio Napolitano ha promulgato la legge sulla sicurezza approvata dal Parlamento il 2 luglio scorso, ma ha inviato al premier e ai ministri interessati una lettera in cui esprime "perplessità e preoccupazioni". Il capo dello Stato ha ritenuto di non poter sospendere in modo particolare la entrata in vigore di norme, ampiamente condivise in sede parlamentare, volte ad assicurare un più efficace contrasto - anche sul piano patrimoniale e delle infiltrazioni nel sistema economico - delle diverse forme di criminalità organizzata.
Suscita peraltro perplessità e preoccupazioni l’insieme del provvedimento che, ampliatosi in modo rilevante nel corso dell’iter parlamentare, risulta ad un attento esame contenere numerose norme tra loro eterogenee, non poche delle quali prive dei necessari requisiti di organicità e sistematicità; in particolare si rileva la presenza nel testo di specifiche disposizioni di dubbia coerenza con i principi generali dell’ordinamento e del sistema penale vigente.
Su tali criticità il presidente Napolitano ha ritenuto pertanto di richiamare l’attenzione del presidente del Consiglio e dei ministri dell’Interno e della Giustizia per le iniziative che riterranno di assumere, anche alla luce dei problemi che può comportare l’applicazione del provvedimento in alcune sue parti.
La lettera è stata inviata, per conoscenza, anche ai Presidenti del Senato della Repubblica e della Camera dei Deputati.
* la Repubblica, 15 luglio 2009
Oscar Luigi Scalfaro: "Il premier risponda sulle escort"
di Vittorio Ragone (la Repubblica, 15.07.2009)
Silvio Berlusconi deve rispondere alle domande di Repubblica sulla frequentazione di Noemi Letizia e sulle feste con le escort. Lo dice in una intervista l’ex presidente della Repubblica, Oscar Luigi Scalfaro. «Quando un uomo di Stato è invitato a dare spiegazioni in Parlamento - sottolinea - l’appello non può restare inascoltato. Qui si tratta di questioni che presentano oggettivi profili di tutela dello Stato».Applicare due dottrine diverse a vita privata e vita pubblica è un costume al quale mi sono sempre ribellato
ROMA - Silvio Berlusconi, che tanta stima proclama e comuni sentimenti con Obama, impari da Obama l’amore per «la verità, la chiarezza e il dialogo. Tutti e tre insieme». È questo l’invito di Oscar Luigi Scalfaro al premier, convivente-rivale durante il suo settennato. «Chiarezza e verità» che l’ex capo dello Stato chiede siano applicate in tutte le occasioni.
Presidente Scalfaro, Repubblica pone da mesi domande che ritiene di interesse pubblico al capo del governo il quale tace. Lei che pensa: dovrebbe rispondere?
«Mi sono posto il problema. Penso che dovrebbe rispondere. Quando un uomo di Stato è invitato a dare spiegazioni in Parlamento su comportamenti che possono apparire privati ma lasciano ampi margini alla discussione pubblica, l’appello non può restare inascoltato».
Anche se, come sostiene una parte del centrodestra, il tutto potrebbe tradursi in un pubblico processo su materie private?
«Nessuno ha titolo per pretendere confessioni pubbliche. Ma non c’è dubbio che su fatti che comunque interferiscono nelle responsabilità di governo, il Parlamento, che secondo la Costituzione è al centro della nostra vita democratica, abbia il diritto di sapere».
Lei che idea si è fatto dell’affare Noemi-D’Addario?
«Non voglio entrare nel merito. Il punto fondamentale è che le risposte arrivino e, soprattutto, che siano vere. Altrimenti si finirebbe solo per dar vita a una infinita catena di polemiche, procurando altri danni a questa democrazia tormentata. Gli interrogativi che vengono posti - e manteniamoci tutti al di là, e lontano, dalla morbosa curiosità che può facilmente subentrare - presentano degli oggettivi profili di tutela dello Stato nei suoi poteri e nell’attività all’interno e più ancora all’esterno del paese, e nell’intreccio dei suoi rapporti internazionali. Non dimentichiamo che donne come quelle di cui si parla e scrive sono le destinatarie, in genere, di chi fa spionaggio in casa nostra».
Quale dovrebbe essere l’atteggiamento di Berlusconi?
«Io credo che un uomo intelligente che si presentasse a dire: "Signori, assicuro sul mio onore che non ho mai violato il giuramento di fedeltà alla Costituzione, nel senso più ampio. Chiedo scusa al Parlamento e ai cittadini se ho dato adito a interrogativi e garantisco che non si ripeterà"... un uomo che si presentasse così, cospargendosi il capo con un pizzico di cenere, potrebbe vincere la partita. Ma se consente vorrei affrontare un discorso più generale, che mi è stato sempre a cuore nella attività politica. Riguarda appunto il tema della coesistenza tra politica e verità».
Restiamo comunque nei dintorni, mi pare.
«Sì, ma voglio uscire per un momento dalle ristrettezze dell’attualità. Vede, noi dobbiamo riconoscere che la distinzione fra una morale pubblica e una privata è sempre stata una tentazione marcata, anche in ambienti di convinzioni religiose cattoliche. Aggiungo che il riserbo spesso è un dovere, non sempre costituisce un arbitrio. Ma quando si viene al rispetto della verità, io ritengo che non si possa e non si debba affermare una specie di dottrina morale differenziata per la vita pubblica e per quella privata. E’ una distinzione alla quale mi sono sempre ribellato. Ecco perché sono rimasto ammirato dalla figura di Obama in questo suo primo viaggio in Europa e in Africa».
Non è il solo a professare ammirazione. Ma qual è esattamente l’attinenza?
«Sia nell’incontro con il presidente russo Medvedev per trattare della riduzione degli armamenti; sia nella presenza al G8, al quale indubbiamente ha dato un’impronta particolare e positiva; sia nella visita a Benedetto XVI, dove pure sono stati trattati temi irrinunciabili per la dottrina cattolica come la difesa della vita; sia, infine, nell’incontro in Ghana con gli africani attraverso un discorso veramente alto, da africano, Obama è sempre partito da una chiarezza assoluta delle posizioni. Non si è mai sentita, in questa prima esperienza di vertice del presidente statunitense, una precisazione, una marcia indietro, l’accusa di fraintendimenti. E questa chiarezza, unita al rifiuto della violenza e della guerra, ha imposto la ricerca del dialogo come fondamentale risorsa politica».
Tornando all’Italia, come tradurrebbe il metodo americano?
«Nella nostra tradizione, dove pure ce ne sono stati di uomini che si sono battuti per la verità, si è sempre dovuto constatare una certa tendenza a provare più attrattiva per la furbizia che per il rispetto spietato della verità. Ma se posso citare parole che ebbi modo di pronunciare in Parlamento anni addietro, "io voglio sperare di non aver mai negato la verità. Se per caso l’avessi fatto, la colpa è solo mia. Perché non è la politica che ci costringe a tormentare o occultare la verità. Quando accade, siamo noi i responsabili". Ecco, se dopo le esperienze di questi anni ci si invitasse reciprocamente a un ripensamento, la scelta del dialogo sarebbe certo la migliore. A condizione che il dialogo parta sempre dalla constatazione del vero».
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SUL TEMA, NEL SITO, SI CFR.:
ATTENTATO ALLA COSTITUZIONE? GIA’ FATTO!!! Un appello al Presidente Napolitano
Legge sulla sicurezza, Napolitano:
"Chi mi critica non conosce la Costituzione"
ROMA - "Sono stati invocati poteri e doveri che non ho" così il presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, risponde a chi lo ha criticato per la promulgazione della legge sulla sicurezza. E in materia di intercettazioni auspica che a settembre quando il ddl verrò riesaminato al Senato vi sia "spirito di apertura e senso della misura", per arrivare ad "una riforma condivisa".
La legge sulla sicurezza. Giorgio Napolitano ribatte "a qualche fiero guerriero" che lo ha criticato soprattutto dopo la promulgazione della legge sulla sicurezza. E’ stata una promulgazione piena, e chi "invoca polemicamente poteri e doveri di intervento che non ho, mostra di aver compreso poco della Costituzione". Il Capo dello Stato torna a chiedere capacità di autocritica e dialogo da parte di governo e opposizione, e spiega che il dibattito sulle intercettazioni sarà uno dei "banchi di prova" della nuova stagione.
Le intercettazioni. "Riconoscere che esiste un problema di revisione di regole e di comportamenti in materia di intercettazioni è la premessa per cercare soluzioni appropriate e il più possibili condivise". E’ l’auspicio espresso dal presidente delle Repubblica. Soluzioni che, a suo giudizio, si possono raggiungere "cogliendo l’occasione dell’opportuno slittamento delle votazioni in parlamento sulla legge già da non breve tempo in discussione".
Per Napolitano, dunque, "occorre spirito di apertura e senso della misura da parte di tutti i soggetti interessati". Anche per questo, sottolinea il Capo dello Stato, "sarà prossimamente questo uno dei banchi di prova di quel confronto più civile e costruttivo tra maggioranza e opposizione che continuo a considerare necessario nell’interesse della democrazia e del paese".
* la Repubblica,20 luglio 2009
La rinuncia del Colle
di Andrea Fabozzi (il manifesto, 16.07.2009)
Giorgio Napolitano poteva non firmare la legge sulla sicurezza, quella delle ronde e del reato di clandestinità. Poteva chiedere, com’è scritto nella Costituzione, una nuova deliberazione alle camere attraverso un messaggio motivato. Sarebbe stata una scelta di forte contrapposizione con l’esecutivo ma pienamente nel rispetto delle regole della Repubblica: il suo predecessore Carlo Azeglio Ciampi respinse per sei volte le leggi del secondo governo Berlusconi. Oppure Napolitano poteva firmare la legge sulla sicurezza, prendendo atto di non essere riuscito a migliorarla nonostante i molti consigli e avvertimenti discretamente dispensati al governo in un anno di lavori parlamentari. Ha scelto una terza via. Ha scritto una lettera mettendo in fila una lunga serie di «perplessità e preoccupazioni» per la legge, tutte molto gravi. Ma l’ha firmata.
La lettera di Giorgio Napolitano contiene tante e tali osservazioni critiche che la legge imposta dalla Lega al governo e dal governo al parlamento ne esce sostanzialmente a pezzi. A pezzi ma valida e in vigore proprio in virtù della firma del presidente della Repubblica. Il primo medico che segnalerà per l’espulsione uno straniero irregolare, il primo preside che rifiuterà l’iscrizione a scuola del figlio di un immigrato potranno ignorare le «perplessità» di Napolitano ma della sua firma dovranno tener conto. È un paradosso frutto del metodo scelto dal Quirinale, e del messaggio rivolto al governo e solo per conoscenza alle camere che pure hanno la responsabilità della funzione legislativa. Scelta pienamente politica quella del capo dello stato e per nulla da notaio della Repubblica. Eppure scelta quasi disperata nel momento in cui riconosce la ««irragionevolezza» e la «insostenibilità» della legge e poi la firma.
Perché l’ha fatto? Dal momento che si tratta di una scelta pienamente politica è legittimo cercare di interpretarla. Giorgio Napolitano aveva di fronte a sé un provvedimento blindato dal governo a colpi di fiducia. Passato in parlamento senza dibattito e senza modifiche di sostanza. Col supporto dell’informazione unica che ha suonato la grancassa dell’emergenza sicurezza.
Un provvedimento che ha messo l’Italia all’indice del resto del mondo, una legge che ha fatto litigare La Russa con le Nazioni unite. La «irragionevolezza» che il Colle ha riscontrato nella legge è un palese profilo di incostituzionalità. La legge poteva essere fermata. Ma Giorgio Napolitano ha voluto evitare lo scontro frontale con Silvio Berlusconi.
Può darsi che con questi rapporti di forza, con la maggioranza padrona del campo, il capo dello stato consideri non percorribile la via della contrapposizione. O peggio destabilizzante. Il rifiuto di promulgare una legge non è altro che una sua prerogativa, ma di certo il primo ministro lo avrebbe preso come uno strappo e un segnale di guerra. Ma è stato proprio il Quirinale a rafforzare non poco il primo ministro chiedendo per suo conto una tregua all’opposizione e ai giornali non berlusconiani.
Può darsi che - rifiutando l’idea di elezioni anticipate - il capo dello stato veda come unica alternativa al Berlusconi intemperante degli ultimi mesi un Berlusconi sorvegliato da vicino e ridotto a più miti consigli. Può darsi che il capo dello stato avverta su di sé il peso di questa responsabilità. In parte è una responsabilità che si è dato da solo, preoccupandosi di invitare alla tregua le opposizioni. In parte se l’è trovata in carico, vista la pochezza della minoranza che mentre tutto questo accade sta discutendo della tessera di Beppe Grillo. Ma con la definitiva approvazione di questa legge crudele quello che è certo è che la maggioranza è più solida e Berlusconi più forte. E niente affatto moderato.
Ora resistere, resistere, resistere in nome della Costituzione
di La Redazione *
Dunque, come temevamo, il Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano ha promulgato il cosiddetto “pacchetto sicurezza”, le nuove leggi razziali, che da oggi sono ufficialmente legge della Repubblica Italiana.
La notizia è stata comunicata ufficialmente dal Quirinale con una nota nella quale viene rilevato che il provvedimento “suscita perplessità e preoccupazioni” perché “risulta ad un attento esame contenere numerose norme tra loro eterogenee, non poche delle quali prive dei necessari requisiti di organicità e sistematicità; in particolare si rileva la presenza nel testo di specifiche disposizioni di dubbia coerenza con i principi generali dell’ordinamento e del sistema penale vigente”.
Ciò nonostante il Presidente Napolitano ha deciso comunque di promulgare la legge, nascondendosi dietro la foglia di fico di quelle norme che sarebbero “volte ad assicurare un più efficace contrasto - anche sul piano patrimoniale e delle infiltrazioni nel sistema economico - delle diverse forme di criminalità organizzata”. Anzi il Presidente Napolitano ha chiesto ai competenti ministri e al presidente del Consiglio, a quelli cioè che quelle norme hanno approvato e fortemente voluto, di provvedere ad armonizzare le norme incoerenti.
Risulta veramente difficile comprendere come norme di cui lo spesso Presidente Napolitano rileva la disomogeneità e l’incoerenza possano essere efficaci anche nella lotta alla mafia. In realtà dopo il danno anche la beffa. Il comunicato stampa del Quirinale da un lato è una dichiarazione di correità con una legge che si giudica di “dubbia coerenza con i principi generali dell’ordinamento e del sistema penale vigente”, quindi inapplicabile e non promulgabile, e dall’altro è un vero e proprio insulto alla intelligenza dei cittadini italiani ed in particolare di tutte le migliaia di persone ed associazioni, noi compresi, che in questi giorni si sono mobilitati per chiedere proprio al Presidente Napolitano di non promulgare questa legge vergogna avvalendosi della facoltà prevista dall’art. 74 della Costituzione.
Diciamo con forza che si tratta di una vera e propria vergogna nazionale. Si tratta di un attentato netto ed esplicito alla nostra Costituzione come hanno rilevato molti ed autorevoli costituzionalisti.
Questa decisione è figlia di quella politica subalterna alle logiche politiche della destra che portò proprio il Presidente Napolitano, quando era ministro degli interni nel primo governo Prodi dal 1996 al 1998, ad inventare i CPT, oggi CIE, i campi di concentramento per i migranti dell’era moderna. Quel primo governo Prodi che, fra l’altro, respinse i migranti anche con la forza nel mare Adriatico, e non fece nulla contro le molte iniziativa razziste e xenofobe della Lega Nord, che ha potuto anche fare le sue iniziative secessioniste in tutta tranquillità.
Resistere, Resistere, Resistere! Lo gridiamo con forza anche per quanti non possono più farlo, per tutti i partigiani che con la Resistenza liberarono l’Italia dal nazifascismo e portarono alla realizzazione della nostra Repubblica. Lo gridiamo anche a nome di un altro Presidente della Repubblica, quel Sandro Pertini, partigiano, che non ebbe paura di difendere fino in fondo la nostra Costituzione.
Ora è necessario organizzare nella società l’opposizione alle norme che violano i diritti umani. Ora dovremo imparare a camminare avendo sempre in tasca una copia della nostra Costituzione e della Dichiarazione dei Diritti Umani, in modo da poter contestare alle forze dell’ordine tutte le azioni che esse faranno in ossequio alla nuova legge ma che sono in aperta violazione della Costituzione e dei Diritti Umani.
Chiediamo anzi a quanti sono esperti di diritto di approntare uno o più testi contenenti dettagliatamente tutte le norme costituzionali e di diritto internazionale violate dalla legge che oggi il Presidente Napolitano ha promulgato.
Chiediamo a quanti hanno a che fare quotidianamente con gli immigrati di promuovere azioni legali ad ogni livello e tutte le iniziative utili ad opporsi ai provvedimenti che eventualmente le autorità dovessero assumere contro gli immigrati.
Chiediamo in particolare alle chiese cristiane, a tutte le chiese cristiane nessuna esclusa, una dichiarazione di obiezione di coscienza netta ed esplicita, se è vero come è vero che è scritto che “bisogna obbedire a Dio, invece che agli uomini” (Atti5,29). Finché ci sarà qualcuno che si opporrà ci sarà speranza per questo paese.