Internet no alla censura basta un clic
di MICHELE AINIS (La Stampa, 15/12/2009)
Lo squilibrato che ha ferito Berlusconi raccoglie 50 mila fan tra i navigatori della Rete. Significa che la Rete è a sua volta squilibrata? Significa che ha urgente bisogno di una camicia di forza, o almeno d’una museruola? Calma e gesso, per favore. E per favore smettiamola d’invocare giri di vite e di manette sull’onda dell’ultimo episodio che la cronaca ci rovescia addosso.
Oggi succede per l’apologia di reato ai danni del presidente del Consiglio. Ieri per la pedofilia, o per le stragi del sabato sera. Ma non è così che ci procureremo buone leggi. Specie se la legge intenda regolare il più grande spazio pubblico mai sperimentato dall’umanità. Specie se aggredisca la prima libertà costituzionale, quella di parola.
Non che le parole siano altrettanti spifferi di vento. Proteggerle con un salvacondotto permanente equivarrebbe in conclusione a non prenderle sul serio, perché tanto contano i fatti, i gesti, le azioni materiali. Equivarrebbe perciò a deprimere la stessa libertà che si vuole tutelare. E d’altronde - come ha scritto il giudice Holmes nella sua più celebre sentenza, vecchia ormai di un secolo - la tutela più rigorosa della libertà d’espressione non proteggerebbe un uomo che gridasse senza motivo «al fuoco» in un teatro affollato, scatenando il panico. Insomma, dipende. Più precisamente, dipende dall’intreccio di tre fattori differenti, che a loro volta si riflettono poi sulle parole che fanno capolino in Rete.
In primo luogo, gioca la posizione del parlante. Altro è se racconto le mie ubbie agli amici raccolti attorno al tavolo di un bar, altro è se le declamo a lezione, soffiandole all’orecchio di fanciulli in soggezione davanti alla mia cattedra. In quest’ultimo caso ho una responsabilità più alta, e dunque incontro un limite maggiore. Non per nulla nei manuali di diritto si distingue tra «manifestazione» ed «esternazione» del pensiero. La prima è una libertà, riconosciuta a ogni cittadino; la seconda è un potere, vale per i cittadini investiti di pubbliche funzioni, e ovviamente copre uno spazio ben più circoscritto. Ma non c’è potere in Internet. C’è solo libertà.
In secondo luogo, dipende dal mezzo che uso per parlare. Il medesimo aggettivo si carica d’assonanze ora più forti ora più fioche se lo leggo su un giornale che ho scelto d’acquistare, oppure se mi rimbalza dentro casa quando accendo la tv. Ma è un’edicola la Rete? No, e non ha nemmeno l’autorità dei telegiornali. È piuttosto una piazza, sia pure virtuale. Un luogo in cui si chiacchiera, senza sapere bene con chi stiamo chiacchierando. Le chiacchiere, poi, hanno sempre un che d’aereo, di leggero. Anche quando le vedi scritte sul video del computer, sono sempre parole in libertà. Meglio: sono lo specchio dei nostri umori, dei nostri malumori. Sbaglieremmo a infrangere lo specchio, non foss’altro perché così non riusciremmo a modificare di un millimetro il nostro profilo collettivo.
E in terzo luogo, certo: dipende da che cosa dico. Se metto in palio mille dollari per chi procurerà lo scalpo di Michele Ainis, probabilmente offendo la legge sulla tutela degli scalpi, e in ogni caso lui avrebbe qualcosa da obiettare. Ecco infatti la soglia tra il lecito e l’illecito: quando la parola si fa azione, quando l’idea diventa evento. In quest’ipotesi è giusto pretendere un castigo, però a due condizioni, messe nero su bianco da decenni nella giurisprudenza americana: che vi sia una specifica intenzione delittuosa; che sussista un pericolo immediato.
È il caso di chi plaude alle gesta di Tartaglia? A occhio e croce no, benché ciascuno farà le sue valutazioni. Ma non facciamo ricadere su tutto il popolo dei navigatori le intemperanze di qualche marinaio. Anche perché sono molti di più quanti esecrano Tartaglia, rispetto ai suoi tifosi. Dopotutto l’antidoto agli abusi in Rete già viaggia sulla Rete, basta un clic.
michele.ainis@uniroma3.it
Il ministro degli Interni annuncia lo studio di nuove norme per manifestazioni e web e ipotizza l’applicazione a questi campi delle misure contro la violenza negli stadi
Maroni: "Nuove norme su cortei e siti"
Le proposte giovedì all’esame del cdm
Casini lo contesta: "No a provvedimenti illiberali, le leggi ci sono già"
ROMA - Giovedì il Consiglio dei ministri esaminerà nuove, più rigide norme sulle manifestazioni e su internet. Lo ha annunciato il ministro degli Interni Roberto Maroni, parlando di "misure più adeguate e urgenti" per cui è ipotizzabile che il governo agisca per decreto. Il titolare del Viminale ha anche fatto sapere che l’esecutivo sta valutando la possibilità di estendere alle dimostrazioni pubbliche le norme contro la violenza negli stadi.
"Sono misure che stiamo valutando - ha detto Maroni in Transatlantico - per garantire ai cittadini e a chi ha compiti istituzionali di poter svolgere tranquillamente la propria azione". Ma il ministro non è sceso nei particolari: "Ho detto che sono allo studio misure ma non ho intenzione di dire quali: lo dirò prima al Consiglio dei Ministri, essendo misure delicate, che riguardano terreni delicati come la libertà di espressione sul web e quella di manifestazione, ancorchè in luoghi aperti, pubblici". Secondo Maroni è in ogni caso necessario "trovare un equilibrio tra la libertà di manifestazione del proprio pensiero in campagna elettorale e quella di manifestare la propria critica. Tutte queste sono norme che stiamo valutando, per vedere se servono e cosa serve alla luce di quanto sta accadendo in questi giorni".
In precedenza, in un intervento alla Camera, Maroni aveva fatto riferimento alla polemica nata per la rpesenza in rete di siti inneggiati all’aggressore di Berlusconi: "Valuteremo soluzioni idonee da presentare al prossimo consiglio dei ministri" per consentire "l’oscuramento dei siti che diffondono messaggi di vera e propria istigazione a delinquere". E aveva aggiunto: "Nel rispetto di chi usa i social network con finalità pacifiche, il governo sta facendo approfondimenti tecnici per una legislazione per contrastare in modo più efficace episodi di violenza nelle manifestazioni pubbliche" nel rispetto delle norme vigenti e sulla "falsariga" di quelle adottate per prevenire la violenza negli stadi". Maroni ha detto di "accogliere l’invito del presidente della repubblica, giorgio napolitano, perchè si fermi la pericolosa esasperazione della polemica politica e si torni a un civile confronto tra le parti".
Nella discussione in aula la posizione di Maroni è stata contestata da Casini. "Guai a promuovere provvedimenti illiberali", ha affermato il laeder dell’Udc: "Le leggi esistenti già consentono di punire le violazioni. Negli Usa Obama riceve intimidazioni continue su Internet, ma a nessuno viene in mente di censurare la Rete".
* la Repubblica, 15 dicembre 2009
SUL TEMA, NEL SITO, SI CFR.:
"PUBBLICITA’ PROGRESSO": L’ITALIA E LA FORZA DI UN MARCHIO REGISTRATO!!!
Dalla Cina a certi paesi asiatici i diversi meccanismi per limitare la navigazione
Tecniche che spingono a rinunciare. Il monotoraggio dei "social network"
Web, tutti i "filtri" del mondo
Il progetto Italia lontano dall’Europa
Le idee che sembrano destinate a sfociare nel ddl governativo
potrebbero portare anche a forme di schedatura di massa
di VITTORIO ZAMBARDINO *
ROMA - L’"oscuramento" dei siti si chiama "filtering" nel linguaggio anodino dei tecnici. E può essere perfino oggetto di polemica contro l’occidente. Quando Barack Obama disse agli studenti di Pechino - più qualche infiltrato dall’esercito dei 50 centesimi, i blogger pro governo a pagamento - che bisognava liberare la rete internet dalla censura, il China Daily, giornale internazionale in inglese, gli rispose con una sorta di "Pensa un po’ ai guai di casa tua".
GUARDA LA MAPPA
Il giornale "ufficialista" citò alcuni stati degli Usa che avevano introdotto il "filtraggio" (o filtering) di contenuti sulla rete ritenuti sconvenienti, aggiungendo però onestamente che la Corte Suprema aveva stroncato quel tentativo. E fece poi un elenco, breve e di gran lunga inferiore alla realtà, che citava altri paesi dove si sperimentano filtri e altre forme di condizionamento: citò la Corea del Sud. Preda di una momentanea amnesia, il redattore scordò di nominare l’Iran e l’Arabia Saudita, per esempio, i paesi dove il filtraggio è solo la componente tecnologica di una censura durissima che fa presto a trasformarsi in repressione violenta.
I PAESI CHE FILTRANO E GLI ARGOMENTI FILTRATI
Secondo i difensori delle libertà internet, "Filtering" può significare molte cose. Ma il primo difetto di questa tecnica appare allo sguardo anche del più inesperto degli osservatori: la discrezionalità assoluta di cui gode chi la applica. Una coscia nuda, che in Europa è sotto ogni livello di guardia, può costare altrove l’arresto. "Dire che il governo..." ecco, cosa si può dire del governo? Il punto è che se a deciderlo è il governo stesso, l’arbitro è assoluto. C’è poco davvero poco di tecnologico e la faccenda è tutta politica. Anche se ci sono ormai tecniche di intercettazione "pulite", per le quali io non ti registro, ma so perfettamente se stai scaricando musica o video, se stai chattando, se stai scrivendo sul blog. Si può fare. Le smentite, che regolarmente arrivano, sono interessate.
"Indice dei siti proibiti". Il primo scalino del "filtering" è che presso i punti di ingresso del traffico di rete nel paese viene istituito un registro dei siti, consultabili all’estero, che diventano così destinazioni alle quali non si accede. In Italia esiste da anni e non solo per contenuti sui quali nessuno obietta - come la pedofilia - ma anche per i giochi di azzardo on line e per le scommesse. Provatevi a scommettere su un sito che non sia stato approvato dallo Stato italiano: non ci riuscirete perché, semplicemente, non potrete raggiungerlo.
Questa idea, che il cittadino vada protetto da un grande indice dei siti "consentiti" e che non debba esser possibile per l’individuo andare in giro nella rete dove gli pare, guidato solo dal suo senso di responsabilità, è accarezzata in tutti i paesi occidentali. E’ stata proposta in Francia ed è allo studio in Italia (si viene regolarmente smentiti, ma è così, anche in pratica). In questi giorni è tempesta in Australia, dove il governo l’ha ufficialmente annunciato come oggetto di una legge.
"Una tecnica che ti spinge alla rinuncia". Ma veniamo al confronto tra tipologie di "filtering". Una mappa (che si trova a questo link, a cura dell’organizzaziovero ne Open Net Initiative) ne traccia una tipologia ben precisa. I paesi dove è "pervasiva", che sono 24, con ampia presenza di stati arabi ed est asiatici (ma anche dell’India). Altri paesi nei quali è meno invadente. Aggiungiamo qui un elenco degli argomenti "proibiti", ma è evidente che ogni stato sceglie i suoi, non tutto è proibito ovunque.
Ci sono poi altri paesi dove, anche se non vi sono dati che la provano, la censura per via di filtro è fortemente sospettata dall’esperienza quotidiana degli utenti. Quali sono? La Russia, ma anche Israele. Questo, secondo l’organizzazione Open Net Initiative che ha di recente aggiornato il suo rapporto, che si chiama Access Denied ed è pubblicato dal Massachussetts Institute of Technology, non da un’organizzazione clandestina di pericolosi terroristi. Attenzione, qui la censura non riguarda solo i siti "stranieri", ma tutto ciò che si produce all’interno. Ed è il caso in discussione in Italia in questi giorni.
Dà così noia la Oni e il suo "Access Denied" che alla recente sessione dell’Internet Governance Forum, tenuta a Sharm el Sheik - lo Igf è una sorta di Onu della rete, quindi con la presenza dei governi - è stato proibito ai suoi militanti di esporre il poster che ne pubblicizzava l’uscita e la vendita.
Un ulteriore caso di filtering è quello che riguarda i motori di ricerca. Anche in questo caso nulla di tecnologico, ma si tratta di un provvedimento esterno che arriva dall’autorità giudiziaria. In Argentina una denuncia di Maradona ha proibito a siti o persone che non siano/appartengano a una testata registrata di parlare della vita e delle cose dell’ex stella del Napoli. E infine, i risultati dei motori di ricerca essendo la cosa più mutevole di questo mondo, come venti d’autunno, gira da ore in rete la denuncia che immagini e video relativi al ferimento di Milano siano difficili da ritrovare. Prove? Nessuna. Come scriveva uno studente italiano residente in Cina, in un forum di Repubblica la scorsa primavera: "La censura (con i filtri; ndr) ha questo di brutto: è esasperante e colpevolizzante. Non sai mai se hai sbagliato qualcosa, se c’è un guasto o semplicemente ti hanno bloccato. La censura ti esaspera e ti spinge alla rinuncia".
Ma c’è filtro e c’è social network. Un esame comparato delle misure prese nelle diverse parti del mondo dimostra che quelle allo studio di Maroni sono misure dalla mano assai pesante. Non è solo questione di filtering. Perché prevedono ispezioni da parte di personale dedicato "al monitoring della rete", sequestri espressamente ordinati dalla magistratura per siti esistenti sul territorio nazionale, denunce per opinioni espresse in materia politica: una materia che nei paesi democratici non fa mai parte dell’attenzione delle autorità. Tutto questo ha col filtering un rapporto molto vago.
Peraltro in Italia sono già stati istituiti, in leggi del passato, profili di responsabilità per i provider, per coloro che gestiscono l’accesso a internet dei singoli utenti. E’ anche questa una leva di pressione che si rifà alla censura pesante, non alla semplice "protezione dell’utente".
Ma oggi la rete non è soltanto quella sorta di vetrina di siti e giornali che fino a pochi anni fa si chiamava web 1.0. Oggi la sua natura di strumento di comunicazione tra le persone è maturato appieno. Non si tratta di filtrare il sito del negazionista dell’olocausto o del Ku Klux Clan - ammesso che sia giusto "oscurare" questi contenuti.
La novità di oggi riguarda i social network, dove le persone si scambiano idee, immagini, testi e si associano in movimenti che possono anche dar luogo a espressioni politiche come quella del 5 dicembre a Roma. Rispetto a queste pagine, la novità italiana è che si istituisce una relazione tra l’autorità giudiziaria (ma anche politica) e le "piattaforma" - nome gergale dei social network, dei motori e dei portali - per l’oscuramento di singole pagine, di interi dialoghi, di documenti video e audio. Anche questa una forma di pressione assai "cinese".
E’ appena il caso di dire che si prevede l’identificazione dei singoli partecipanti a quelle situazioni. Potrebbe cioè accadere che ai difensori di Berlusconi, che sono intervenuti nel gruppo "per Massimo Tartaglia", arrivi un avviso di garanzia. Ammesso che si possano identificare e denunciare 40 mila persone. E ammesso che sia un comportamento ancora democratico, schedare in massa i partecipanti ad un forum di discussione.
© la Repubblica, 16 dicembre 2009 (ripresa parziale)
Comincia con l’antica Grecia e oggi diventa virtuale
Il modello dell’agorà
I limiti della materia
La discontinuità tra l’antichità e l’oggi sta nei corpi, nel tempo e nello spazio.
Allora le parole erano accompagnate dai gesti, i gesti dagli sguardi,
e gli sguardi potevano smascherare il gioco tra menzogna e verità
di Umberto Galimberti (la Repubblica, 10.12.2009)
In occasione del no-B Day i corpi si sono materializzati nella piazza, ma la loro convocazione è avvenuta attraverso quella realtà dematerializzata che è la Rete, dove lo spazio viene abolito, il tempo reso istantaneo e le persone fanno la loro comparsa con la vicaria complicità di quel loro sosia che è l’alter ego digitale. Certo c’è una bella discontinuità tra l’agorà antica, dove le parole erano accompagnate dai gesti, i gesti dagli sguardi, e gli sguardi, tradendo le intenzioni, potevano smascherare il mai risolto gioco tra menzogna e verità. Ma se guardiamo le cose più da vicino questa discontinuità si riduce, se è vero che il modo occidentale di pensare, nelle sue espressioni matematiche e filosofiche, ha preso avvio proprio dal rifiuto della percezione sensibile, per inaugurare quel pensiero immateriale che trova la sua articolazione nei costrutti della mente, che consentono di approdare a quella realtà considerata perfetta, perché liberata dai limiti della materia.
Non a caso, scrive Platone: «Ci avvicineremo tanto più al sapere quanto meno avremo relazioni col corpo». E 2000 anni dopo, Cartesio, inaugurando il metodo scientifico, scriveva: «Dato che i sensi a volte ci ingannano, volli supporre che nessuna cosa fosse tal quale i sensi ce la fanno percepire, perché non conosciamo i corpi per il fatto che li vediamo o li tocchiamo, ma per il fatto che li concepiamo per mezzo del pensiero».
Se questa è la tradizione del pensiero occidentale, che ha preso avvio nell’agorà greca dove si insegnava a prescindere dai limiti della materia, quindi dai corpi e dai sensi, c’è perfetta continuità tra l’iperuranio platonico, l’astrazione matematica, il cogito cartesiano e la realtà virtuale, capace di dare, nella comunicazione dematerializzata, l’effetto della realtà materiale senza i condizionamenti della materia.
La diffusione del telelavoro, l’osservazione di realtà altrimenti inosservabili proprie della biologia molecolare e della genetica, fino al sesso virtuale con partner virtuali, o l’ideazione di una second life rispetto a quella insoddisfacente che ci capita di vivere hanno fatto dell’agorà virtuale qualcosa di più potente e di non meno reale dell’antica agorà materiale. Ma ciò che è davvero sorprendente è che l’agorà virtuale trae spunto proprio dal tipo di pensiero che nell’antica agorà greca è stato inaugurato.
Protagonisti della società virtuale sono i giovani, che nella società reale nessuno convoca, nessuno chiama per nome. Trascurati dal mondo adulto, essi inaugurano una piazza dove si incontrano, e dove il mondo adulto, che li ha esclusi, con qualche difficoltà ha accesso. Il loro comunicare, chiamarsi e convocarsi per via telematica segnala una modalità di socializzazione e di scambi relazionali non ancora abbastanza considerato dal mondo adulto, che sotto questo profilo appare arcaico. E in questa segnalazione c’è la configurazione del futuro, che solo chi è giovane è in grado di progettare e sognare.
Nella proiezione del futuro ci sono i segni del cambiamento. Si tratta di un cambiamento che è radicale perché avviene in un linguaggio, quello virtuale, che un potere troppo vecchio nelle sue abitudini mentali e nei suoi schemi percettivi non solo fatica a capire, ma neppure ne scorge la forza e la potenza. Perché è potenza comunicare senza i limiti dello spazio, senza le attese del tempo, senza la grevità dei corpi, senza l’ingombro della materia. E proprio qui può nascere quello spiraglio di speranza che Pier Luigi Celli giustamente vedeva preclusa ai giovani se attesa dal mondo adulto. Il futuro i giovani non lo attendono più dagli adulti. Con la loro piazza virtuale semplicemente se lo prendono.
Internet, crescita continua
utenti verso quota 24 milioni
Aumenta la popolazione web del nostro paese. A ottobre 700 mila navigatori in più
rispetto al mese precedente. News in crescita, scavalcano il software *
ROMA - In crescita gli utenti internet in Italia. Ad ottobre salgono a 23,6 milioni (700 mila in più rispetto al mese precedente, oltre 2 milioni rispetto a dodici mesi prima). Per quanto riguarda le categorie di siti più visitate avanza la categoria News, che con 13,5 milioni di utenti e un incremento del 22% rispetto ad ottobre 2008, scavalca i produttori di software.
E’ quanto emerge dall’utlima rilevazione della Nielsen relativa ai primi 10 mesi dell’anno. Ad ottobre le pagine visualizzate scendono a quota 2.009 (erano 2.235 il mese precedente) e risulta pressochè invariato il tempo speso online dagli utenti, che rimangono collegati in media 33 ore e 9 minuti (superando di poco la soglia di un’ora al giorno).
Il confronto con l’ottobre 2008 evidenzia un trend positivo, con crescite a doppia cifra: +10% gli utenti unici, che passano da 21,5 milioni a 23,6 milioni, +25% il tempo speso online, che passa da 26 ore e mezzo a oltre 33 ore. Per quanto riguarda le categorie di siti più visitate, stabili le prime posizioni con i motori di ricerca saldamente al primo posto seguiti da portali, community, email e video.
La categoria News, con 13,5 milioni di utenti e un incremento del 22% rispetto ad ottobre 2008, si posiziona al sesto posto ai danni dei produttori di software. Oltre alle News, le crescite più alte sono nelle categorie Communities e Videos/Movies, rispettivamente + 20% e +22% rispetto al 2008. Oltre 7 milioni di utenti si collegano a internet via mobile.
Per quanto riguarda le categorie più visitate, al primo posto troviamo i portali generalisti, visitati dalla quasi totalità degli utenti. Seguono i motori di ricerca, consultati dal 60% degli utenti, le email, utilizzate dal 44,5% e i siti di news, che attraggono rispettivamente più di un terzo degli utenti web mobile. Le altre categorie sono legate principalmente allo svago: entertainment, meteo, musica, sport, social network e scienza e tecnologia completano il ranking delle principali categorie visitate in mobilità.
* la repubblica, 15 dicembre 2009
Il governo prepara il giro di vite sulla. rete Basterebbe applicare le leggi che ci sono già
di Francesco Costa *
Il primo passo di qualsiasi ragionamento sul cosiddetto “giro di vite” che il governo si appresta a discutere non può che essere il rifiuto dell’opportunità di legare questo tema ai fatti di domenica scorsa. Ha senso ragionare su come la rete abbia cambiato il modo in cui le persone comunicano e discutono, e su come in virtù di tutto questo possa essere utile una legislazione moderna e adeguata? Sicuramente sì. Ha senso mettere in relazione questa discussione con l’infinita mole di commenti che l’aggressione ha suscitato nei luoghi di lavoro, nelle case, nei bar e immancabilmente anche in rete? Sicuramente no. Allo stesso modo, bisognerebbe sgombrare il tavolo dalle leggende metropolitane che infestano un dibattito in cui, con ogni evidenza, i principali attori non sanno di cosa parlano.
L’anonimato
La lotta all’anonimato è uno di questi temi ricorrenti che non trova alcun riscontro nella realtà. I membri dei gruppi di Facebook a sostegno di Tartaglia erano tutti registrati col proprio nome e il loro cognome. Anche chi utilizza uno pseudonimo o un nickname su Facebook o sul proprio blog può essere identificato in un batter d’occhio dalla polizia postale, che gode da tempo della completa collaborazione da parte dei provider. La cosiddetta lotta all’anonimato è una completa boutade: già oggi qualsiasi azione compiuta su Internet porta con sé dati e informazioni sul suo autore.
L’apologia di reato
Le diffamazioni, le apologie di reato, lo stalking compiuti in rete sono punibili grazie alle norme già vigenti. Succede già adesso, ogni giorno, che persone siano processate e, se colpevoli, condannate per cose illecite che hanno fatto o scritto sui loro blog o sui social network. Allo stesso modo, il regolamento di Facebook prevede la rimozione dei contenuti violenti: basta aspettare qualche ora perché le pagine incriminate vengano rimosse, come infatti è successo ieri con le pagine pro e contro Tartaglia.
Noi e la rete
Altro discorso è quello su come internet abbia cambiato il modo di comunicare delle persone. Tra innumerevoli trasformazioni utili e positive, si registra una tendenza crescente alla provocazione. Prima dei gruppi pro Tartaglia ci sono stati i gruppi anti immigrati promossi dal figlio di Bossi, quelli contro Balotelli, Luxuria e chissà chi altro. Iniziative di solidarietà si accompagnano a invettive contro questo e contro quello. Gioca un qualche ruolo il progressivo colmarsi della distanza che un tempo separava il virtuale dal reale: codici e linguaggi una volta confinati negli stadi o sui muri trovano oggi in rete molto più spazio rispetto a prima. Ha senso ragionare sul perché certe cose emergano più su Facebook e meno sui blog, così come succede più nei bar che nelle aule universitarie; pensare però che la soluzione a questo problema sia la chiusura dei siti equivale a proporre l’abbattimento dei muri per combattere le scritte o l’abolizione dei bar per cancellare le battute volgari. Per farne una discussione sensata servirebbe un salto di qualità da parte di due soggetti fondamentali nel racconto e nella percezione di quello che accade. Il primo è la politica, che non dovrebbe approfittare di un manipolo di scriteriati per promuovere provvedimenti paragonabili solo a quelli in vigore in stati come la Corea del Nord. Il secondo è il giornalismo, che dovrebbe resistere alla ghiotta tentazione dell’allarme e dello scandalo, evitando di trasformare in notizia qualsiasi idiozia venga scritta in rete o sui muri dei bagni.
* l’Unità, 15 dicembre 2009
Le leggi per la Rete
di Stefano Rodotà (la Repubblica, 17.12.2009)
L’Italia ha scoperto la Rete. Appena ieri era divenuta evidente per tutti la forza di Internet quando proprio da lì era partita l’iniziativa che era riuscita a portare in piazza un milione di persone per il "No B Day". Si materializzava così una dimensione della democrazia inedita per il nostro paese. Pochi giorni dopo quell’immagine appare rovesciata. Internet diventa il luogo che genera odio, secerne umori perversi. E questa sua nuova interpretazione travolge quella precedente: il "No B Day" è presentato come un momento d’incubazione dei virus che avrebbero reso possibile l’aggressione a Berlusconi, Internet come lo strumento in mano a chi incita alla violenza. Conclusione: la proposta di un immediato giro di vite per controllare la Rete, secondo un abusato copione che trasforma ogni fatto drammatico non in un imperativo a riflettere più seriamente, ma in un pretesto per ridurre ogni questione politica e sociale a fatto d’ordine pubblico, limitando libertà e diritti.
Per fortuna, all’interno dello stesso mondo politico è stata subito colta la pericolosità di questa impostazione. Intervenendo alla Camera dei deputati, Pier Ferdinando Casini ha detto parole sagge: «Guai a promuovere provvedimenti illiberali. Le leggi già consentono di punire le violazioni. Negli Usa Obama riceve intimidazioni continue su Internet, ma a nessuno viene in mente di censurare la Rete». E la finiana fondazione FareFuturo evoca la "sindrome cinese", la deliberata volontà di impedire che Internet possa rappresentare uno strumento di democrazia. Questi moniti, insieme a molti altri, sembrano aver trovato qualche ascolto, a giudicare almeno dalle dichiarazioni più prudenti del ministro Maroni.
Il tema della violenza è vero, e grave. Ma altrettanto ineludibile è la questione della democrazia. È istruttivo leggere la lista dei paesi che sottopongono a controlli Internet: tutti Stati autoritari o totalitari (con una particolare eccezione per l’India). Questo vuol forse dire che i paesi democratici sono distratti, che si sono arresi di fronte all’hate speech, al linguaggio dell’odio? O è vero il contrario, che è maturata la consapevolezza che la democrazia vive solo se rimane piena la libertà di manifestare opinioni, per quanto sgradevoli possano essere, e che già disponiamo di strumenti adeguati per intervenire quando la libertà d’espressione si fa reato nel nuovo mondo digitale? Vi è una vecchia formula che ben conoscono coloro i quali si occupano seriamente di Internet: quel che è illegale offline, è illegale anche online. Tradotto nel linguaggio corrente, questo vuol dire che Internet non è uno spazio privo di regole, un far west dove tutto è possibile, ma che ad esso si applicano le norme che regolano la libertà di espressione e che già escludono che essa possa essere considerata ammissibile quando diventa apologia di reato, istigazione a delinquere, ingiuria, minacce, diffamazione. Questo è il solo terreno dove sia costituzionalmente legittimo muoversi, e le particolarità di Internet non hanno impedito alla polizia postale e alla magistratura di intervenire per reprimere comportamenti illegali. Le conseguenze di questa impostazione sono chiare: no alla censura preventiva, comunque incompatibile con i nostri principi costituzionali; no a forme di repressione affidate ad autorità amministrative o riferite a comportamenti non qualificabili come reati; no ad accertamenti e sanzioni non affidati alla competenza dell’autorità giudiziaria.
Considerando più da vicino le peculiarità di Internet, bisogna essere ben consapevoli del fatto che le proposte di introdurre "filtri" all’accesso a determinati siti sollevano un radicale problema di democrazia. Chi stabilisce quali siano i siti "consentiti"? Qual è il confine che separa i contenuti liberamente accessibili e quelli illeciti? Il più grande spazio pubblico mai conosciuto dall’umanità rischia di essere affidato, all’arbitrio politico, che inevitabilmente attrarrebbe nell’area dei comportamenti vietati tutto quel che si configura come dissenso, pensiero minoritario, opinione non ortodossa. E la proposta di vietare l’anonimato in rete trascura il fatto che proprio l’anonimato (peraltro ostacolo non del tutto insuperabile nel caso di veri comportamenti illeciti) è la condizione che permette la manifestazione del dissenso politico. Quale oppositore di regime totalitario potrebbe condurre su Internet la sua battaglia politica, dentro o fuori del suo paese, se fosse obbligato a rivelare la propria identità, così esponendo se stesso, i suoi familiari, i suoi amici a ogni possibili rappresaglia? Non si può inneggiare al coraggio dei bloggers iraniani o cubani, e denunciare le persecuzioni che li colpiscono, e poi eliminare lo scudo che, ovunque, può essere necessario per il dissenziente politico. Anche nei paesi democratici. È di questi giorni la denuncia di associazioni americane per la tutela dei diritti civili che accusano le agenzia per la sicurezza di controllare reti sociali come Facebook e Twitter proprio per individuare chi anima iniziative di opposizione. Non è la privacy di chi è in Rete ad essere in pericolo: è la sua stessa libertà, e dunque il carattere democratico del sistema in cui vive.
Certo, i gruppi che su Facebook inneggiano a Massimo Tartaglia turbano molto. Ma bisogna conoscere le dinamiche che generano queste reazioni, certamente inaccettabili, ma rivelatrici del modo in cui si sta strutturando la società, che richiede attenzione e strategie diverse dalla scorciatoia repressiva, pericolosa e inutile. Inutile, perché la Rete è piena di risorse che consentono di aggirare questi divieti. Pericolosa, non solo perché può colpire diritti fondamentali, ma perché spinge le persone colpite dal divieto a riorganizzarsi, dando così permanenza a fenomeni che potrebbero altrimenti ridimensionarsi via via che si allontana l’occasione che li ha generati.
Solo una buona cultura di Internet può offrirci gli strumenti culturali adatti per garantire alla Rete le potenzialità democratiche continuamente insidiate al suo stesso interno da nuove forme di populismo, dalla possibilità di creare luoghi chiusi, a misura proprie e dei propri simili, negandosi al confronto e alla stessa conoscenza degli altri. Più che misure repressive serve fantasia, quella che induce gruppi in tutto il mondo a chiedere un Internet Bill of Rights o che ha spinto uno studioso americano oggi collaboratore di Obama, Cass Sunstein, a proporre che i siti particolarmente influenti per dimensioni o contenuti debbano prevedere un link, una indicazione che segnali l’esistenza di siti con contenuti diversi o opposti e che permetta di collegarsi a questi immediatamente.