PRIMA APPLICAZIONE: batteri in grado di produrre biocarburanti
Ecco l’inizio della «vita artificiale»
Costruita la prima cellula
Svolta epocale nella ricerca. È controllata da un Dna sintetico ed è in grado di dividersi e moltiplicarsi
ROMA - È stata costruita in laboratorio la prima cellula artificiale, controllata da un Dna sintetico e in grado di dividersi e moltiplicarsi proprio come qualsiasi altra cellula vivente. Il risultato, pubblicato su Science, è stato ottenuto negli Stati Uniti, nell’istituto di Craig Venter. Si tratta di una svolta epocale nella ricerca.
BATTERI SALVA-AMBIENTE - Con questo nuovo passo il traguardo della vita artificiale è ormai più vicino che mai e si comincia a intravedere la realizzazione di uno dei sogni di Venter: costruire batteri salva-ambiente con un Dna programmato per produrre biocarburanti o per pulire acque e terreni contaminati. Dopo avere ottenuto il primo cromosoma artificiale, la sfida è riuscire ad attivarlo, aveva detto Venter appena due anni fa. Adesso ha raggiunto il suo obiettivo e lo ha fatto unendo, come tessere di un puzzle, i risultati ottenuti negli ultimi cinque anni. Il primo passo, nel 2007, era stato la costruzione di un Dna sintetico; quindi nel 2009 sempre il gruppo di Venter ha eseguito il primo trapianto di genoma da un batterio a un altro. Adesso è ancora lo stesso gruppo, coordinato da Daniel Gibson, ad aver combinato i due risultati e aver assemblato la prima cellula sintetica.
«COMINCIA L’ERA POST-GENOMICA» - «Si tratta di un traguardo fondamentale dell’ingegneria genetica, non solo per possibili risvolti applicativi, ma anche perché segna la tappa iniziale dell’era post-genomica» commenta il genetista Giuseppe Novelli, preside della facoltà di Medicina dell’Università di Tor Vergata di Roma. «Di fatto Venter ha creato qualcosa che prima non c’era, un batterio prima inesistente, perché il genoma artificiale che ha costruito con una macchina in laboratorio contiene dei pezzetti di Dna che non esistono nel genoma del batterio presente in natura».
Venter ha fatto tutto con una macchina, spiega ancora Novelli. «Prima ha letto la sequenza genomica del batterio in un database genetico, poi con un macchinario ha ricostruito chimicamente il genoma, aggiungendovi però nuove sequenze. Ha fatto pezzetti, ciascuno di 10 mila lettere di codice, poi li ha assemblati insieme fino a creare un genoma di oltre un milione di paia di basi. Poi ha inserito il genoma artificiale in un batterio svuotato del suo Dna e ha costruito una nuova forma di vita che funziona e si riproduce. La cellula così creata, infatti, prima non esisteva, e il suo genoma porta i segni distintivi della sua differenza dal batterio esistente in natura». «In futuro - conclude Novelli - si potranno creare nuove forme di vita capaci di produrre farmaci o di aiutarci contro l’inquinamento, per esempio batteri mangia-petrolio». (Fonte: agenzia Ansa)
Angeli, demoni e cellule
La Chiesa ha sottovalutato il «batterio artificiale». Ma la visione della natura è cambiata per sempre
di Enzo Mazzi (l’Unità, 03.06.2010)
La notizia della «cellula artificiale» è rimbalzata nei giorni scorsi sui giornali e le tv di tutto il mondo che hanno subito interrogato esperti di scienza e uomini di chiesa. Noi profani, gente della strada, ne abbiamo preso atto non senza un groviglio di sensazioni: dallo stupore, alla speranza, al timore. Passato un po’ di tempo e a mente più fredda viene tuttavia spontanea una riflessione: è una scoperta fra le tante oppure siamo di fronte a nuova rivoluzione, a un cambiamento capace di incidere nella nostra esistenza, come quelli operati da Copernico, da Giordano Bruno, da Galileo? Questi tolsero, letteralmente, la terra sotto i piedi agli uomini e donne di quel tempo a cui veniva a mancare la stabilità del suolo. E fecero vacillare la cattedra di verità che, posta ben saldamente al centro della creazione, assicurava alla gerarchia ecclesiastica un potere assoluto. «È maggiore forse la paura con cui voi pronunciate la sentenza di quella che provo io nel riceverla», disse Giordano Bruno ai giudici che lo condannavano al rogo. Ci sono voluti cinquecento anni per elaborare quella grande paura e una quantità di scomuniche, condanne, roghi. E non siamo ancora alla fine.
Ebbene, la creazione artificiale della vita è una rivoluzione paragonabile a quella che fece da levatrice alla modernità? È capace di penetrare nella nostra vita e scuoterla dal profondo in tutte le sue dimensioni? Sembrerebbe di no a giudicare dai commenti sbiaditi della stampa e dalle reazioni possibiliste della gerarchia ecclesiastica la quale non sembra annusare odor di eresia.
Ritengo invece che la scoperta di Craig Venter, costituisca lo sbocco e un nuovo inizio del grande sforzo di liberazione che si è sviluppato negli ultimi tre secoli e che sembra condurre a legare la ridefinizione dei rapporti fra generi, classi, popoli, culture, che è stato l’obiettivo di tutte le rivoluzioni moderne, con la ridefinizione del rapporto fra umanità e natura.
Lo sviluppo umano ha bisogno di un’etica nuova. La modernità si è sviluppata sulla base dell’etica dello sfruttamento sconsiderato della natura considerata come un oggetto. Ora s’impone una svolta: l’assunzione di responsabilità verso la natura in un’ottica evolutiva e non puramente conservatrice. Dall’etica dello sfruttamento aggressivo all’etica della creazione liberatrice.
Non è un caso che nei nuovi movimenti si faccia strada la riscoperta dell’originale naturalismo evolutivo e creativo di Pierre Teilard de Chardin, gesuita, teologo, grande scienziato, geologo e paleontologo, professore all’Istituto Cattolico di Parigi, poi ricercatore in Cina e quindi negli Stati Uniti dove è morto nel 1955.
Attraverso la sua indagine di rigore scientifico sulla evoluzione biologica giunge alla convinzione che la Biosfera, il mondo della vita, tenda alla coscienza, cioè si evolva verso la Noosfera, parola difficile che significa in sostanza «il mondo della coscienza». Ma ciò avviene senza che all’inizio esista un ordine precostituito (quanto siamo lontani, qui, dalla teoria nuova del «disegno intelligente»!).
La natura non è data una volta per tutte. L’evoluzione non segue una linea ben individuabile, si muove a tentoni, a strappi, a impennate inspiegabili. L’ordine è nel futuro, non nel passato: cioè va costruito. L’Universo si dipana nella libertà e nell’autonomia nutrite di relazioni. E sono precisamente questi valori di trasformazione che costituiscono il compito umano di «costruire la Terra costruire la natura». E Dio stesso è lì, nella trasformazione, non nella fissità.
Nello stesso periodo, anni 50, sosteneva cose simili Ernst Block, marxista antidogmatico ed eretico, perennemente in fuga da ogni regime, autore del Principio-speranza, dove scrive: «Quando si è sperimentata una volta la realtà come storia non è più possibile il ritorno alla fede astorica di ciò che sussiste e rimane in eterno. Dio: humanum futuro e non ancora raggiunto, “Deus absconditus”, Dio speranza». Il Dio creatore immobile, onnipotente ed eterno, è «la cifra assoluta dell’aggressività umana», dirà il teologo fiorentino Ernesto Balducci sulla scia di Teilard de Chardin e di Block.
Ritengo che si possano considerare queste intuizioni, condannate tutte come eretiche, quali profezie del traguardo raggiunto oggi dalla creazione della vita artificiale. Il tutto da avvicinare, con indispensabile senso critico e estrema cautela, come «segni dei tempi» capaci di orientare il cammino in questa buia notte di luna nuova.
L’intervista all’esperto: Giberto Corbellini
«Ora la cellula non ha più segreti
Scoperta che cambierà il mondo»
Corbellini: «È come avere un meccano: si va verso la
possibilità di inventare forme di vita artificiali»
di Margherita De Bac *
ROMA - Gilberto Corbellini, uno dei maggiori studiosi di biologia molecolare, docente di storia di medicina e bioetica all’università La Sapienza, accoglie con entusiasmo l’atteso annuncio di Craig Venter sulla creazione in laboratorio della prima cellula artificiale.
Qual è il significato di questa scoperta?
Innanzitutto sono state individuate le strutture molecolari di una cellula, quelle necessarie al suo funzionamento. I ricercatori del gruppo di Venter hanno scomposto e poi rimontato le sue componenti, ad esempio i cromosomi e i complessi biochimici, individuando il numero di geni minimo che servono per farla vivere. Una cellula è composta di tanti pezzetti ed era fondamentale capire quali fossero essenziali per farla funzionare e replicare.
Quali saranno i passi successivi?
Da ora si potranno aggiungere a questa struttura minima altre componenti. Immaginiamo un computer cui si aggiungano schede. Disponiamo di unità operative minime sulle quali montare ad esempio geni anche presi da altre cellule per ottenere la produzione di enzimi nuovi capaci di metabolizzare uno zucchero o di digerire idrocarburi. Avremo nuovi organismi artificiali, con caratteristiche che non esistono in natura, di cui sperimentare le potenzialità.
Le combinazioni sono in teoria infinite?
Sì, ma ora bisogna vedere cosa questa cellula artificiale accetta e riesce a far funzionare. A partire da questo organismo possono capire quali sono gli elementi essenziali di altri microrganismi e vedere se in essi esistono gli stessi moduli. Si faranno confronti. Arriveremo forse a capire l’evoluzione della vita. È una scoperta straordinaria sia dal punto di vista conoscitivo e sia applicativo. Si va verso la possibilità di inventare forme di vita artificiali, come avere in mano un meccano con cui costruire forme infinite.
Sul piano dei benefici che potrebbero derivarne per l’uomo è una scoperta importante o è una rivoluzione confinata al mondo del laboratorio?
È una scoperta rivoluzionaria anche per uomo. Se riuscissimo a creare cellule con le caratteristiche desiderate potremmo pensare a quelle che producono farmaci. Potremmo capire i meccanismi della replicazione cellulare e comprendere i processi patologici alla base delle malattia.
Venter pensa di realizzare il suo sogno: costruire batteri salva-ambiente con un Dna programmato? Che cosa si può immaginare come applicazioni pratiche?
Si possono immaginare applicazioni infinite, anche per l’ambiente. Pensiamo al petrolio riversato in mare nella Louisiana. Avremmo la possibilità di utilizzare microrganismi per disinquinare ambiente degradando il petrolio. Prospettive lontane? Non troppo. Consideriamo che ci sono voluti 10 anni per decodificare il Dna, la metà rispetto a quanto si prevedeva. Per costruire la cellula artificiale sono bastati 8 anni. Significa che andiamo spediti. Le biotecnologie corrono velocemente. D’altra parte, le informazioni ottenute in vari campi della ricerca di base sono enormi e potrebbero essere usate per far decollare questo progetto. Venter non parla a caso. Finora ha realizzato tutte le sue promesse.
Margherita De Bac
* Corriere della Sera, 21 maggio 2010
L’ultimo passo sarà la nascita
di un organismo tutto sintetico
Quello che manca adesso è solo costruire
artificialmente anche la cellula che ospita il Dna
di Edoardo Boncinelli *
Passando direttamente dal computer alla cellula, il Dna può creare una nuova identità cellulare in una cellula che ne aveva già una. La specificità della vita sta nella sequenza nucleotidica della corrispondente molecola di Dna, molecola che può essere sintetizzata chimicamente partendo dalla sua struttura conservata in un computer. Questo in sintesi è il messaggio limpido e lineare dell’ultimo esperimento di Craig Venter, che ha in verità più un’importanza teorica che pratica. Il Dna dirige in prima persona tutte le operazioni dell’organismo, unicellulare o pluricellulare, compresa quella di assegnargli un’identità.
Questa è storia vecchia e abbastanza evidente per i biologi di oggi, ma ancora dura a penetrare nell’immaginario dell’uomo della strada, anche colto. Perché la vita sembra possedere sempre qualcosa di magico o di mistico, qualcosa di non riducibile a semplici giochi di molecole. Ogni annuncio di una creazione artificiale di una vita riceve in genere commenti ironici e si accusa lo sperimentatore di fare affermazioni avventate. Fra questi sperimentatori arditi ma non avventati figura certamente Craig Venter che ama gli annunci clamorosi, e anche un po’ il paradosso, ma che conosce di sicuro il fatto suo e che dirige un’équipe di ricercatori di tutto rispetto. Costoro erano già riusciti a far cambiare specie a un batterio inserendoci il Dna di un altro batterio. Ciò significa che, anche se all’inizio il nuovo Dna si trova in un ambiente non suo, cioè in una cellula batterica di una specie diversa, dopo pochi minuti questo Dna ha saputo dirigere la sintesi ex novo di tutte le sostanze, in primo luogo proteine, che costituiscono la nuova cellula.
Questa operazione è stata compiuta per gradi negli ultimi due o tre anni, vincendo enormi difficoltà tecniche e grandi resistenze psicologiche. In particolare, l’ultimo passo è stato, molto di recente, il trasferimento di un Dna da un batterio a un altro, ma dopo essere passato per la cellula di un fungo. L’idea era quindi quella di essere sicuri che il Dna si fosse «ripulito» di ogni possibile contaminante prima di essere trasferito. Ci si voleva accertare cioè che fosse quasi «nudo». Ma forse non nudo del tutto, avrebbe commentato qualcuno. Ecco allora l’ultimo esperimento, quello che stiamo commentando. Il Dna non viene estratto da nessuna parte, ma viene sintetizzato chimicamente, nucleotide per nucleotide, a partire da una sequenza immagazzinata in un computer e lunga più di un milione di nucleotidi. In questa maniera il Dna è veramente nudo e puro, e ciononostante sa fare il suo compito partendo da zero.
È vita questa? È nuova vita? Per quanto concerne la specificità e l’identità certamente sì: si passa da una sequenza digitalizzata in un computer alla cellula direttamente. È certamente vita programmata e realizzata. Quello che manca adesso è solo costruire artificialmente anche la cellula che ospita il Dna; poi non ci saranno più obiezioni, si spera. Certo non è un’impresa da poco, ma non ci sono ragioni serie per dubitarne. In seguito si potranno costruire batteri «su misura» perché sappiano compiere specifiche funzioni e poi, chissà, anche qualche cellula superiore. Il fatto è che l’uomo sa sempre di più e non sa trattenersi dal fare.
Edoardo Boncinelli
* Corriere della Sera, 21 maggio 2010
Un ottimo motore ma non è la vita
di Carlo Bielleni (L’Osservatore Romano, 22 maggio 2010)
La rivista "Science" riporta una importante ricerca sulla creazione in laboratorio di un Dna batterico. Già nel 2002 degli scienziati avevano sintetizzato in laboratorio il genoma del virus della poliomielite; il lavoro di Craig Venter e del suo team, autori dello studio, è certamente più raffinato a quanto si apprende anche dal "New York Times": ha sintetizzato in laboratorio un genoma cento volte più lungo.
La bravura è stata non solo nella mole del prodotto, ma nella capacità di ottenerlo a copia di quello di un batterio pericoloso per le capre, con l’accortezza di eliminare 14 geni che lo rendevano patogeno, e di inserirlo in una cellula di un batterio al posto del Dna del batterio stesso.
È insomma un lavoro di ingegneria genetica di alto livello, un passo oltre la sostituzione di parti del Dna. Ma in realtà non si è creata la vita, se ne è sostituito uno dei motori. Come scrive sul "New York Times" il genetista David Baltimore del California Institute of Technology: "Non hanno creato la vita: l’hanno solo copiata". E aggiunge il bioingegnere Jim Collins: "Questo non rappresenta la creazione di vita da zero".
Al di là dei proclami e dei titoli di giornale è stato ottenuto un risultato interessante, che può trovare applicazioni e che deve avere delle regole, come tutte le cose che toccano il cuore della vita.
L’ingegneria genetica può fare del bene, basti pensare alle possibilità di curare malattie cromosomiche. Si tratta di unire al coraggio la cautela: le azioni sul genoma possono - si spera - curare, ma vanno a toccare un terreno fragilissimo in cui l’ambiente e la manipolazione giocano un ruolo che non deve essere sottovalutato: il Dna non è il motore cui si sostituisce il pistone, ma una parte di un essere vivente su cui stimoli inopportuni, magari fatti a fin di bene, possono "spegnere" dei geni in maniera inaspettata, secondo le regole dell’epigenetica. Molti sono infatti preoccupati per i possibili sviluppi futuri di organismi geneticamente modificati.
Si può ricostruire il Dna, e questo non ci stupisce, e al tempo stesso si deve considerare che il Dna non è che uno dei "motori" della vita, in primo luogo perché il Dna negli animali non si trova solo nel nucleo ma anche in altre strutture dette mitocondri, poi perché esiste un sistema proteico di controllo e regolazione dell’espressione del Dna. Inoltre il Dna interagisce con l’ambiente e dunque non è un film che si legge sempre nello stesso modo, ma "parla" in modo diverso a seconda degli stimoli che gli arrivano; questo per limitarci ad alcuni aspetti biologici.
Il peso del Dna insomma è grande e grandi sono le aspettative nella scienza genetica. Tuttavia, il Dna pur essendo un ottimo motore, non è la vita.
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La cellula e la Chiesa
di Maurizio Mori (l’Unità, 22 maggio 2010)
La notizia della “cellula artificiale” ha suscitato sgomento e confusione. Di fatto non si è creato nulla, tantomeno la vita, ma si è riprogrammato un batterio, che è diverso. Quel che interessa, tuttavia, sono le reazioni. Alcuni vescovi - come Domenico Mogavero, presidente del consiglio Cei per gli affari pontifici - hanno subito preso le distanze dagli «scenari della vita artificiale, dall’uomo bionico creato in laboratorio», sottolineando che «l’incubo da scongiurare è la manipolazione della vita, l’eugenetica. E chi fa scienza non dovrebbe mai dimenticare che esiste un solo creatore: Dio». Modificare in modo tanto profondo la vita porta a far sì che siano «chiamati in causa sia il futuro dell’uomo sia il senso dell’umano», chiedendo così di porre «uno stop immediato all’anarchia della scienza».
Dall’altra parte, però, sia Angelo Bagnasco, presidente della Cei, sia monsignor Rino Fisichella, presidente della Pontificia Accademia per la Vita, hanno preso posizioni diverse: il primo ha rilevato che nella nuova scoperta «si vede l’intelligenza dell’uomo, che è un grande dono di Dio», precisando poi che «l’intelligenza non è mai senza responsabilità» e che tutte le forme di intelligenza come di acquisizione scientifica «pur se valide in sé devono essere sempre commisurate ad un’etica che ha al suo centro sempre la dignità umana nella prospettiva del Creato». L’altro ha sottolineato che ogni scoperta scientifica «è sempre un bene per l’umanità» e che dobbiamo «capire l’uso che verrà fatta della scoperta...Per ora si tratta di una scoperta teorica di cui bisognerà poi verificare l’utilizzo: se sarà per il bene dell’uomo, cioè per curare le patologie» o se si ricorrerà a un suo uso «discriminatorio».
Mentre rileviamo questa forte discrepanza all’interno della stessa Chiesa cattolica, fa piacere rilevare come due autorevoli vescovi cerchino di evitare condanne sommarie che potrebbero dar luogo a casi simili a quello di Galileo. Tuttavia emergono alcune domande: se la vita artificiale è segno dell’intelligenza come grande dono di Dio, perché non lo è anche l’artificialità nella vita? Perché non dire lo stesso delle tecniche di fecondazione assistita, artificiali anch’esse? E se vanno apprezzati gli eventuali risvolti terapeutici di questa scoperta, perché rifiutare quelli legati alle staminali embrionali?
Il vero problema è che stiamo sempre più capendo i meccanismi della vita e acquisendo il suo controllo: si dissolve cioè quella sacralità della vita che valeva quando essa era avvolta nel mistero. In passato il passaggio della cometa di Halley era era segno di sventura: quando si è calcolata la sua orbita, la stessa cometa ha cessato di terrorizzare le coscienze. Ora qualcosa di analogo sta avvenendo coi processi della vita, ed è giunto il tempo che si cambi paradigma. Almeno speriamo.
Giocare a essere dio
di Luca e Francesco Cavalli-Sforza (la Repubblica, 21 maggio 2010)
Le agenzie di stampa battono la notizia che Venter, in collaborazione con Hamilton Smith, è riuscito a realizzare cellule artificiali capaci di vivere e riprodursi grazie a un genoma artificiale, un cromosoma costruito dai ricercatori a partire da composti chimici, con l’ausilio di un computer e di un sintetizzatore di Dna. Il Dna di un batterio, il Mycoplasma mycoides, è stato modificato e trasferito in un altro batterio, il Mycoplasma capricolum, privato del suo Dna, dando origine a un nuovo essere vivente, mai esistito finora in natura.
È solo il primo passo, non è una forma di vita completamente sintetica (un Mycoplasma laboratorium) ma è una svolta fondamentale, che arriva al termine di un percorso iniziato oltre cinquant’anni fa, quando Arthur Kornberg scoprì l’enzima che opera la duplicazione del Dna e riuscì a produrla in laboratorio. Era il 1956 e la struttura del Dna era stata descritta da Watson e Crick appena tre anni prima. Nelle ultime tappe di questo percorso ha fatto la parte del leone lo stesso Venter, arrivando per primo a sequenziare il genoma umano nel 2000 e costruendo, due anni fa, il primo cromosoma sintetico.
Non è la creazione della vita dal nulla, ma certo è la fabbricazione della vita. In fondo, i ricercatori hanno agito come agisce la vita stessa, per tentativi ed errori, con operazioni di bricolage, come le definì François Jacob. Hanno assemblato in laboratorio un milione di nucleotidi di Dna, procurandosi frammenti di Dna da genomi batterici e combinandoli fino a trovare un assetto funzionante, costruendo così una cellula che è in tutto una cellula naturale (non potrebbe vivere e riprodursi altrimenti), tranne per il fatto che il suo patrimonio ereditario non è stata costruito dalla natura ma da uno dei suoi prodotti, l’uomo.
Gli obiettivi che Venter si è ripromesso fin dall’inizio di questa ricerca sono sempre stati chiarissimi: giungere a fabbricare batteri artificiali da impiegare per bonificare acque e terreni contaminati da petrolio o da altre sostanze inquinanti, piuttosto che per la produzione di idrogeno o biogas o vaccini, oppure alghe in grado di assorbire anidride carbonica in eccesso o di produrre biocarburanti. Ora questi obiettivi sono assai più vicini. Potrebbero rivelarsi strumenti importantissimi per combattere il degrado ambientale.
Si stanno aprendo le porte su quella che potrà rivelarsi la prima grande rivoluzione di questo millennio: la generazione di vita artificiale. «Si gioca ad essere Dio», diceva scherzosamente Craig Venter. Le prospettive sono effettivamente straordinarie e le applicazioni virtualmente illimitate. Per tranquillizzare chi teme ciò che può nascere alle frontiere della scienza, forse è bene precisare che la produzione di organismi superiori non è all’orizzonte, né lo sarà, con ogni evidenza, per parecchie generazioni a venire.
Il segreto della vita, la sua caratteristica unica ed essenziale, è la capacità di produrre copia di se stessa. Nel corso dell’evoluzione, tutte le forme di vita che sono via via comparse e poi scomparse lo hanno fatto perché erano in grado di utilizzare le fonti di energia presenti nell’ambiente per crescere e riprodursi. Come ogni altro organismo vivente, anche i batteri artificiali saranno sottoposti al vaglio della selezione naturale. È un’avventura appassionante, che promette sviluppi importanti negli anni a venire. In molti sensi, la sfida più grande che si apra in questo momento davanti all’uomo: bisogna vedere cosa sapremo farne, come sapremo utilizzare questo nuovo potere.
Si potrebbe dire, parafrasando la Bibbia, che ora che l’uomo ha assaggiato il frutto dell’albero della vita, sarà bene che assaggi anche il frutto dell’albero della conoscenza del bene e del male, così da diventare abbastanza discriminante da sapersi prendere piena responsabilità delle sue azioni.
Stanno diventando possibili anche altri esperimenti di grande interesse. Oggi sappiamo come è fatto il Dna di Neandertal, un tipo di uomo estinto da 30.000 anni, che era ritenuto nostro antenato ma oggi è considerato piuttosto come un lontano cugino. C’è grande curiosità di vederlo in vita, invece che ridotto a uno scheletro, per sapere come si comporta. Potremmo riprodurre un Neandertal artificiale usando quel Dna? Forse sì, in un lontano futuro.
Ma programmi simili non sarebbero compatibili con nessuna etica rispettabile. Ricerche recentissime mostrano, fra l’altro, che vi sono stati incroci fra i Neandertal e uomini come noi, quindi siamo chiaramente su terreno pericoloso. Si è anche detto che potremmo ricostruire dei mammut o altri grandi e piccoli animali estinti: un terreno forse meno scivoloso, ma che pure si presterebbe ad obiezioni.
Venter insiste sulla biologia sintetica resa possibile da questa scoperta e sulle numerosissime applicazioni che se ne potranno sviluppare, non solo sul terreno ecologico ma per creare nuove piante e animali, che possano superare i problemi odierni di disponibilità di cibo. E per risolvere problemi di genetica medica attualmente insolubili.
Né un miracolo né un mostro combattiamo euforie e paure
di Umberto Veronesi *
La notizia era attesa nel mondo scientifico. Questo non toglie nulla al valore. Non dobbiamo né osannare al miracolo, né evocare spettri di mostri artificiali. Il Dna sintetico non ci porterà vantaggi immediati né danni catastrofici. Il perché ce lo spiega la scienza stessa, che ci ha svelato che il Dna è all’origine della vita, ma da solo è impotente. Per questo il cromosoma sintetico di Vender è inserito in una cellula vivente. Ma il trasferimento di Dna da un organismo all’altro, non è una novità. Oggi già trasferiamo geni da un organismo all’altro, scomponiamo e rimettiamo insieme frammenti di Dna e già possiamo ottenere nuove sostanze e organismi. Il tema è, oltre che scientifico, soprattutto filosofico e ideologico: parliamo per la prima volta della possibilità di costruire la vita umana. La scienza avanza e la cultura resta indietro. La prima cosa da fare è combattere l’ignoranza che crea false paure e false euforie.
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Pensiamo alla grande conquista e non alle possibili perversioni
di Massimo Piattelli Palmarini *
«È una formidabile conquista. Scientificamente non sorprende: conoscevamo già tutti i componenti. Ma, una volta scomposti, la novità sta nel riuscire a ricomporli. Il prossimo passo? Creare qualcosa di simile a un uovo, per esempio, di ranocchio, e fecondarlo. Scandalo? Per carità: non vedo attentati a nulla. Certo i rischi ci sono sempre: ma perché dobbiamo guardare alle possibili perversioni invece di compiacerci del risultato raggiunto? Sì, Venter è scienziato e imprenditore perché oggi la biologia ha bisogno di investimenti considerevoli. Ed è inutile nasconderci anche i ritorni considerevoli: nelle terapie, nei farmaci. Il mio sogno? Vedere un giorno appesa nelle aule scolastiche, dove oggi c’è la tavola degli elementi di Mendeleev, la tabella che spieghi quali geni si attivano e quale combinazione algebrica scatta per dare vita agli esseri viventi».
* la Repubblica, 21.05.2010
Minuscoli schiavi dell’uomo
di PIERO BIANUCCI (La Stampa, 21/05/2010)
Dopo aver completato nel 2001 la mappa genetica dell’uomo, raggiungendo il gruppo di Dulbecco partito dieci anni prima, Craig Venter si imbarcò sul suo yacht.
Sì, ama la nautica, Venter, ma quella non fu soltanto una vacanza. Lungo la rotta che lo portò dal Pacifico all’Atlantico, dai mari tropicali a quelli polari, lo scienziato-imprenditore pescò una grande quantità di organismi marini, animali e vegetali, con una preferenza per i più elementari. Aveva in mente un chiodo fisso: stabilire quali siano le condizioni minime perché un organismo unicellulare possa svolgere le funzioni essenziali della vita: nutrirsi e riprodursi. Fatto questo, avrebbe potuto costruire il primo organismo artificiale, il più semplice, un organismo di grado zero. Innestando su di esso pochi altri geni ben precisi, avrebbe ottenuto batteri su misura al servizio dell’uomo. Minuscoli schiavi, invisibili e fedeli.
Funzioni fondamentali come mangiare e riprodursi, ragionava Venter, presuppongono un numero di geni limitato. Individuati questi geni, avrebbe potuto sintetizzarli. In fondo si trattava «soltanto» di combinare sequenze di quattro molecole - adenina, guanina, citosina e timina - infilandole nella doppia elica del Dna. Il campionario di minuscole creature rubate agli oceani gli avrebbe fornito i tasselli del bricolage genetico.
E’ ciò che Venter ha fatto tornando nella sua azienda, la Celera Genomics, con il bottino sottratto all’oceano. Da ieri sappiamo che è possibile prendere una cellula, privarla del suo patrimonio genetico estremamente complesso e mettere al suo posto un genoma ridotto ai minimi termini costruito in laboratorio sotto la guida di un computer. Ora incomincia la nuova sfida, quella che Venter definisce l’era postgenomica. Che cosa si potrà fare partendo dalla sua cellula artificiale?
Quasi non c’è limite all’immaginazione. Batteri che producono biocarburanti in sostituzione dei combustibili fossili in via di esaurimento. Batteri che generano energia partendo dai fotoni della luce solare imitando con più efficienza il meccanismo della fotosintesi. Batteri che divorano rifiuti. Batteri minatori che estraggono materie prime dal terreno. Batteri buoni che combattono batteri cattivi. Batteri da usare come cavalli di Troia infiltrandoli in tessuti malati, magari per aggredire il cancro. Batteri che ci liberano da gas a effetto serra come l’anidride carbonica e il metano, salvandoci così dal riscaldamento globale. E poi innumerevoli specie di tecno-batteri ognuna specializzata nel disgregare una particolare sostanza inquinante, a cominciare dal petrolio che sta soffocando la vita nel Golfo del Messico (per la verità batteri mangiapetrolio ottenuti con l’ingegneria genetica esistono già, ma si potrà fare di meglio).
Non sono cose che vedremo domani mattina. Però dal punto di vista concettuale non si vedono ostacoli. I biologi conoscono decine di migliaia di geni, di molti sanno esattamente che cosa fanno, quali proteine sintetizzano. Noi stessi siamo fatti con gli stessi geni di batteri, lieviti, moscerini, vermi. E’ come disporre di un gioco del Lego con decine di migliaia di pezzi: basta mettere il pezzo giusto nell’organismo artificiale ultra-semplificato, verificare che la nuova micro-macchina biologica funzioni secondo le attese e lasciarla moltiplicare. Ci vorranno anni, ma ci si arriverà. Nell’attesa però sarà bene ragionare su ciò che stiamo facendo. Questo non è un gioco a rischio zero. Venter, uomo d’affari spregiudicato, non ha mai dimostrato una spiccata sensibilità etica. La cellula artificiale è una grande conquista dell’intelligenza, stiamo attenti che non diventi una sconfitta per la Ragione.
Chimica
Musica per gli elementi
La tavola di Mendeleev anticipata da Newlands 150 anni fa
L’analogia con la legge delle ottave lo coprì di ridicolo e gli costò la carriera
di Gianni Fochi (Il Sole Domenica, 21.09.2014)
Nel 1999 gli fu chiesto d’indicare una fra le idee più geniali partorite dall’umanità nel millennio che stava finendo. Oliver Sacks, celebre neurologo autore di Risvegli e chimico per hobby, pensò allora alla tavola periodica degli elementi, summa d’innumerevoli conoscenze condensate e organizzate in uno spazio ristrettissimo.
Nata dalla fervida mente del russo Dmitrij Ivanovich Mendeleev e da studi d’altri chimici, in particolare del tedesco Julius Lothar Meyer, ha subìto numerose integrazioni e modifiche nel corso dei decenni, e fino a non molto tempo fa è stata conosciuta in vari paesi, compreso il nostro, col nome di sistema periodico. Lo troviamo, per esempio, nel titolo d’un bel libro di Primo Levi, nel quale chimica e vita s’intrecciano e si rispecchiano. Poi ha cominciato a prevalere anche da noi quello di "tavola", derivato dall’uso anglosassone.
Mendeleev compilò nel 1869 la prima tabella che, per estensione e aspetto, rappresenta il nucleo da cui poi sono derivate le versioni recenti. Ma l’idea di classificare in qualche modo gli elementi chimici è più antica. Nel 1829 il tedesco Johan Wolfgang Döbereiner, molto stimato da Goethe, raggruppò in "triadi" alcuni elementi con proprietà simili: cloro, bromo e iodio; litio, sodio e potassio; zolfo, selenio e tellurio...
Nel 1862 il parigino Alexandre-Émile Béguyer de Chancourtois notò per primo che le somiglianze si presentavano a intervalli regolari: periodicamente, nell’ordine crescente dei pesi atomici. Collocò i simboli degli elementi sulla superficie laterale d’un cilindro, disponendoli a spirale come sul filetto d’una vite. Se ogni giro attorno al cilindro si completava ogni sedici unità di peso atomico, su ogni verticale venivano a trovarsi allineati elementi dal comportamento simile.
Purtroppo il lavoro uscì senza disegni, che vennero pubblicati solo su una rivista letta più che altro da geologi e non da chimici. Oggi sappiamo bene quanto l’occhio voglia la sua parte nel trasmettere le idee: in effetti quelle del francese passarono praticamente inosservate. Ebbe così tempo di farsi notare la proposta d’un inglese, che era rimasto indietro perché aveva tralasciato gli studi per un po’: nel 1860 s’era unito a Garibaldi e ai Mille nelle Due Sicilie.
Si trattava di John Alexander Reina Newlands, nato a Londra da un Newlands, scozzese, e da una Reina, donna d’origine italiana. La partecipazione alla campagna dei Mille l’aveva tenuto lontano dai fermenti scientifici di quegli anni: proprio nel 1860 s’era svolto a Karlsruhe il primo congresso internazionale di chimica, che aveva visto giganteggiare l’italiano Stanislao Cannizzaro. La popolarità da questi guadagnata aveva portato all’attenzione dei chimici il suo metodo per la determinazione dei pesi atomici, che eliminava le incertezze su molti di essi. Béguyer de Chancourtois poté trarne vantaggio per i suoi ragionamenti.
Newlands dunque arrivò un po’ in ritardo, ma riuscì subito a far conoscere la tavola periodica che pubblicò un secolo e mezzo fa, nell’agosto del 1864, e che quindi va considerata la prima forma tabulare di classificazione degli elementi chimici in periodi e gruppi.
L’anno dopo egli poté parlarne a Londra, in una delle assise scientifiche più prestigiose dell’epoca. Ahimé! Fu un fiasco, che lo coprì ingiustamente di ridicolo. L’analogia musicale che spinse Newlands a parlare di legge delle ottave - cioè della somiglianza di ciascun elemento con l’ottavo fra quelli che lo seguono - offrì il destro al sarcasmo degli avversari scientifici.
Pochi anni dopo, i suoi stessi compatriotti onorarono Mendeleev e Meyer con la medaglia Davy, una sorta di Nobel ante litteram. Ci volle quasi un quarto di secolo dalla prima tabella di Newlands, perché quella medaglia fosse finalmente concessa anche a lui. Inutile dire che in tutto quel tempo non gli s’era aperta una carriera nell’università: egli fu apprezzato invece per le analisi chimiche compiute da libero professionista e per il lungo lavoro in uno zuccherificio, dove introdusse varie innovazioni tecniche utili.
Ebbe dunque ampio sfogo nell’attività pratica. E pensare che per la tavola periodica quell’idea delle ottave sembra invece un imprinting di tipo artistico: da Sacks e Levi quest’anima segreta avrà poi la conferma narrativa.
GENETICA
Vita artificiale, Bagnasco: "Ulteriore segno
dell’intelligenza dell’uomo, dono di Dio"
Il cardinale, a Torino per visitare la Sindone, commenta la notizia della nascita di un batterio col Dna sintetico. "Ogni scoperta va commisurata a etica" *
La creazione della cellula artificiale "è un ulteriore segno della grande intelligenza dell’uomo". Così, a Torino, il cardinale Angelo Bagnasco, presidente della Cei, prima di entrare in duomo per visitare la Sindone, insieme ai pellegrini della diocesi di Genova, ha commentato la notizia della nascita della prima vita arificiale 1.
"Non conosco i termini precisi della questione - ha spiegato il cardinale - ho letto solo i titoli sui giornali questa mattina, ma certamente se le cose stanno così questo è un ulteriore segno dell’intelligenza, dono di Dio per conoscere meglio il creato e poterlo meglio ordinare". E poi ha agginto: "D’altra parte l’intelligenza non è mai senza responsabilità, quindi ogni forma di intelligenza e ogni acquisizione scientifica deve sempre essere commisurata alla dimensione etica, che ha a cuore la dignità vera di ogni persona nella prospettiva del creato".
* la Repubblica, 21.05.2010
LO SCIENZIATO
"Nessuno gioca a fare Dio"
di GABRIELE BECCARIA (La Stampa, 21/05/2010)
TORINO L’annuncio è l’alba della vita artificiale, ma Venter ci lavora da anni: per capirci qualcosa è meglio partire dall’inizio.
Pietro Benedetti, lei è professore di biologia molecolare all’Università di Padova e conosce bene questi esperimenti: cosa ha fatto Venter?
«Ha deciso di produrre il “minimal organism”, l’organismo minimo, che è individuato da un Dna. Per farlo ha cominciato dal più piccolo batterio esistente, il mycoplasma, quello, appunto, con il cromosoma più piccolo».
Che cosa ha fatto con il micoplasma?
«Ha tolto via via dei “pezzi”, finché è arrivato al Dna minimo ma autonomo, cioè capace di replicarsi».
Il passo successivo?
«Ha aggiunto a questo Dna - ed è la notizia del giorno - del Dna sintetico, che deve dare al batterio una serie di istruzioni per eseguire specifiche operazioni. E il batterio le ha fatte, diventando così ciò che “ordina” il nuovo Dna».
Venter parla di «new software».
«E’ così: il Dna “codifica”, vale a dire dà delle informazioni, e a sorprendere è il fatto che questo batterio è totalmente nuovo, un organismo che non c’era prima e che non è più il mycoplasma di partenza».
A che cosa mira il test?
«A produrre un organismo nuovo, appunto, in grado di produrre solo ciò che gli si ordina, senza i problemi che si incontrano nel modificare organismi esistenti».
Quali saranno le applicazioni?
«Venter vuole sintetizzare geni per compiti diversi, per esempio bonificare l’ambiente o produrre biofuels. Si tratta comunque di organismi che crescono in condizioni specifiche e solo in quelle. Fuori dal laboratorio morirebbero».
E’ quindi giusto l’annuncio trionfalistico della vita artificiale?
«E’ vita artificiale, ma prodotta con elementi biologici. Il termine più adeguato è “biologia sintetica”».
Lo spiega?
«Si sintetizzano alcune caratteristiche e si fanno eseguire specifiche operazioni».
Il nuovo batterio che cosa dovrebbe fare? «Venter ha annunciato che “diventerà uno strumento potente”: potrà essere usato per ripulire l’atmosfera o mettere a punto vaccini».
A chi si allarma cosa dice?
«Nessuno gioca a Dio, perché è da 10 mila anni che modifichiamo gli organismi e, d’altra parte, il nostro Dna è stato manipolato da molti retrovirus. Non esiste Dna che non sia modificato».
IL TEOLOGO
"Un’arma a doppio taglio"
di GIACOMO GALEAZZI (La Stampa, 21/05/2010)
CITTÀ DEL VATICANO. È una potenziale bomba ad orologeria, una pericolosa arma a doppio taglio di cui è impossibile immaginare le conseguenze». In nome della «ragione oltreché della fede» il vescovo Domenico Mogavero, presidente del consiglio Cei per gli affari giuridici, mette in guardia «dagli scenari della vita artificiale, dall’uomo bionico creato in laboratorio».
Perché condannare una novità così importante?
«La capacità di accrescere la conoscenza l’uomo l’ha ricevuta da Dio ed è un potere quasi divino, sovrumano. Il cristianesimo non presuppone affatto un conflitto inevitabile tra la fede e il progresso scientifico. Anzi, Dio ha creato gli esseri umani dotati di ragione e li ha posti al di sopra di tutte le creature. Però c’è una distinzione fondamentale. L’uomo viene da Dio, ma non è Dio: rimane uomo e ha la possibilità di dare la vita procreando e non di costruirla artificialmente».
Cosa replica all’accusa di oscurantismo?
«Fingersi Dio e scimmiottarne la facoltà creatrice è un rischio immane che può precipitare l’umanità nella barbarie. Benedetto XVI insegna che tra fede e scienza non vi è opposizione, malgrado alcuni episodi di incomprensione nella storia. Ma gli scienziati proprio perché “sanno di più” sono chiamati a “servire di più”. E invece, come dimostrano le tragiche applicazioni beliche degli studi sul nucleare, ciò che l’uomo scopre ha sempre in sé il bene e il male. Nelle mani sbagliate l’odierna novità può comportare domani un devastante salto nel buio».
Per la Chiesa sarà il caso-Galilei del futuro?
«No. L’uomo non può riporre nella scienza una fiducia talmente incondizionata da ritenere che il progresso possa avvenire al di fuori di ogni limite etico. La genetica e la biologia hanno un enorme potenziale, fino a spingersi ad interferire sui sacri confini della vita, a ridurre l’uomo ad una serie di sequenze geniche e a sottomette i comportamenti umani al Dna. Ma è la natura umana a dare dignità al genoma umano e non viceversa. L’incubo da scongiurare è la manipolazione della vita, l’eugenetica. La conoscenza sulle origini della vita è troppo importante per essere inficiata dalla fretta. E chi fa scienza non dovrebbe mai dimenticare che esiste un solo creatore: Dio».
Qual è la posta in gioco?
«Sono chiamati in causa sia il futuro dell’uomo sia il senso dell’umano. La prospettiva angosciante di un mondo post-umano deve obbligarci a uno stop immediato all’anarchia della scienza».