Editoriale

Ecco perché i tecnici dell’economia governano gli Stati

Da Monti al montismo, dalle ragioni della crisi alle prospettive per uscirne
giovedì 22 marzo 2012.
 

La politica è prospettiva, intuizione, profondità. È composizione dei conflitti sociali, equilibramento delle forze interne o estranee ad uno Stato. Essa importa la capacità di mediare tra istanze differenti, di superare tensioni, sfiducia e drammi procurati da scollamenti, rotture, leggi irresponsabili. Dall’ignoranza e dal silenzio.

La politica si fonda sulla comprensione delle necessità immediate e sul progetto del futuro per l’interesse collettivo. Chi governa, chi legifera, chi vigila per mandato popolare deve rispondere ai bisogni impellenti; deve prevedere come sarà il domani, date le condizioni dell’oggi. Deve intervenire sul «corso sinuoso delle cose», su cui insisteva il filosofo Alfonso Maurizio Iacono, definendo la complessità del sistema-ordine contemporaneo.

L’economia non è scienza. E, anche se lo fosse, non potrebbe vantare uno statuto superiore alla politica, che adesso sovrasta. Oggi, si ripete, c’è la crisi: una crisi finanziaria, economica e politica che pagano solo i comuni cittadini, i deboli, i poveri. Quell’enorme fetta dipopolazione sempre più esclusa e lontana dai processi decisionali, tradita da un potere che si assume legittimo, gabbata dalla speculazionedelle banche, delle lobby finanziarie, del capitalismo; nell’essenza del quale risiedono - come ha rilevato il pensatore Slavoj Žižek, analizzandone gli sviluppi ideologici - le ragioni della caduta mondiale e il pericolo di un liberismo recrudescente.

Come disciplina, l’economia è stata strumentalmente agganciata a un nuovo scientismo: epistemologia insindacabile e istituzione per la cura degli individui e della salute pubblica. Questo «nuovo scientismo» ha sostanza tecnocratica e si fonda sul presupposto che ogni questione politica debba sottoporsi al vaglio, discriminante, della conoscenza scientifica ufficiale. Lo abbiamo visto in vari dibattiti sul referendum nucleare, nei quali alcuni politici hanno richiamato a proprio favore studi circa la pericolosità o sicurezza della produzione, prescindendo da modelli e orizzonti di sviluppo.

Sulla linea di questo ragionamento, non corre differenza fra l’autorità della Food and Drug Administration (FDA), che ammette o respinge le specialità medicinali, e quella degli economisti in postazioni di comando. Entrambe derivano dalla mera persuasione delle masse; poi da atti formali o discrezionali dell’organizzazione pubblica, del potere statale. La libertà teorica della democrazia è perciò sospesa, come altrimenti ha osservato il giornalista Piero Sansonetti in un robusto editoriale. È confinata; al massimo concessa in piccole dosi.

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di Emiliano Morrone


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