Roma, 21 ott (Velino) - A giugno scorso la Direzione distrettuale antimafia aveva chiesto al tribunale per le misure di prevenzione di disporne il sequestro d’urgenza, sulla base della documentazione raccolta dai carabinieri e relativa sia ai rapporti tra i soci della Srl Alla Rampa, che poco più di due anni fa ha acquistato lo storico locale dai precedenti proprietari, e alcuni esponenti della cosca calabrese, sia alle “incongruenze” tra le dichiarazioni dei redditi presentate negli ultimi anni dagli attuali titolari del ristorante, il valore di mercato della struttura e le somme versate per l’acquisto.
Ma la richiesta di sequestro preventivo è stata respinta dai giudici e si è avviato il procedimento al termine del quale, dopo aver esaminato da un lato gli elementi raccolti dagli investigatori e dal pm Filippo Vitello, e dall’altro i giustificativi dell’operazione commerciale esibiti dalla difesa della società Alla Rampa, il tribunale per le misure di prevenzione della Capitale deciderà se procedere al sequestro dell’attività e dell’immobile.
La prossima udienza è fissata il 20 novembre.
La Direzione antimafia sottolinea, nella documentazione esibita, oltre agli accertamenti patrimoniali anche alcuni precedenti di polizia che riguardano i titolari della società che ha comprato il ristorante, nonché frequentazioni e amicizie tra gli stessi proprietari ed esponenti delle famiglie Pelle, Vottari e Romeo. Componenti di quel clan al quale appartenevano i sei calabresi uccisi, a ferragosto del 2007, a Duisburg in Germania. Una strage maturata nell’ambito della faida in corso da anni a San Luca nella Locride, in Calabria, e avvenuta all’uscita di un altro ristorante della cittadina tedesca: “Da Bruno”. (segue)
Le indagini della Dda della Capitale non riguardano solo il ristorante “Alla Rampa”. Negli ultimi tre anni sono stati avviati numerosi accertamenti su attività di ristorazione nelle quali vi sarebbero interessi non solo della criminalità organizzata calabrese, ma anche della mafia, in particolare delle cosche provenienti dalla provincia di Caltanissetta, e di alcuni clan della camorra, soprattutto quelli operanti nei comuni a sud di Napoli, da Portici e Castellammare. Le indagini dell’antimafia hanno invece accertato che i clan del casertano, come la cosca dei Casalesi, preferiscono investire in edilizia e immobili nella zona del basso Lazio.
In particolare, sono in corso indagini su due catene di pizzerie che, un tempo presenti solo in Campania, hanno poi aperto diversi “punti vendita” sia a Roma sia a Milano.
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(ASCA) - Reggio calabria, 21 ott - ’’La nostra terra rischia di morire e nessuno sta facendo nulla per salvarla’’.E’ questo il commento di Maurizio Feraudo, presidente di Idv in Consiglio regionale della Calabria, che analizza la situazione difficile della regione sempre piu’ nei guai sotto il profilo economico e soprattutto sociale.
’’I dati - prosegue Feraudo - spaventano. Intanto torna a essere una piaga l’emigrazione delle nostre forze-lavoro piu’ valide e giovani. Specie i laureati scappano via. Come faremo a rialzare la testa senza la materia grigia dei nostri figli? Qualcuno dovra’ pur rispondere a questo nostro dubbio, prima o poi’’.
Per l’esponente di Idv e’ uno scenario senza speranza. ’’Per chi resta, i soldi non bastano piu’. Non e’ retorica, la mia, ne’ populismo. E’ tempo di analizzare uno scenario che non offre nessuna speranza con i suoi conti implacabili. Il denaro circola poco nella Sibaritide, per esempio, che pure e’ terra ricca di potenzialita’ e di opportunita’’’.
C’e’ chi, pero’, approfitta di questa situazione: la malavita. Feraudo ne e’ convinto. ’’Il mondo dell’illegalita’ coglie al volo l’occasione. Non e’ una faccenda nuova, questa, purtroppo. La nostra ’ndrangheta ha intelligenze vive, dobbiamo ammetterlo: sa fare i propri affari, approfittare finanche della crisi in atto e andarci a nozze.
Lo Stato no. Stringe ancora di piu’ la cinghia, uccide i propri figli migliori, mette a dura prova la periferia calabrese che soffoca, non ce la fa piu’. La Sibaritide chiede aiuto, eppure Roma non sente questi urli di dolore, e parla di scommettere altrove, ferendo la voglia di esserci e bene dei tanti calabresi onesti che si sentono traditi ancora una volta dai Berlusconi di turno e varia compagnia. E la nostra terra? Muore, appunto, con nessuna speranza di essere salvata’’.
Roma, 21 ott (Velino) - Oltre venti ‘Ndrine (questo il nome usato dalla ‘Ndrangheta per indicare i vari clan) a Roma e nel Lazio rappresentano la “testa di ponte” della criminalità organizzata calabrese per il riciclaggio dei capitali. Questo il dato che emerge mettendo insieme gli elementi raccolti negli ultimi anni nel corso delle indagini della Direzione antimafia della Procura di Roma e della Dia. Dalla “A” di Anzio alla “T” di Terracina, passando naturalmente per Roma e alcuni comuni della provincia, la ‘Ndrangheta si è sempre più attestata nel Lazio sia per avviare attività commerciali e finanziarie in grado di riciclare capitali, sia - in alcuni casi - per “arrotondare” i guadagni con attività illecite come gioco d’azzardo, estorsioni, usura e traffico di droga. I “faldoni” degli inquirenti sono organizzati in ordine alfabetico: Alvaro, Avignone, Barbaro, Bellocco, Condello, Farao, Gallace, Mollica, Iamonte, Marincola, Metastasio, Morabito, Nirta, Novella, Pelle, Pesce, Piromalli, Pisano, Ruga, Tripodo, Viola, Zagari. Ecco l’elenco delle ‘Ndrine del Lazio, la succursale calabrese all’ombra del Colosseo. Anche la mappa geografica è continuamente aggiornata: Anzio, Civitavecchia, Fondi, Formia, Gaeta, Nettuno, Roma, Ostia, provincia di Roma, Pontinia, Terracina.
Le indagini avviate nei mesi scorsi sull’acquisto, avvenuto un paio di anni fa, del ristorante “Alla Rampa”, storico locale a due passi da piazza di Spagna, da parte di imprenditori che la Dda ritiene legati al clan della Locride Pelle-Vottari, non sono le uniche ad occuparsi di reinvestimento di capitali illeciti nella ristorazione e in altre attività commerciali. Tutte attività lecite: la caratteristica del riciclaggio è infatti il finanziamento con capitali illeciti di attività “pulite”. In questo modo i capitali “ingiustificati”, provenienti da operazioni della criminalità, vengono spesi per comprare attività commerciali o per finanziare imprese di vario tipo che, invece, producono reddito “ufficiale”. E per raggiungere l’obiettivo di acquistare imprese o società commerciali i boss delle ‘Ndrine non badano a spese. Sono disposti, come risulta sia dalla documentazione raccolta dalla Direzione antimafia sia dalle intercettazioni telefoniche, a pagare un negozio, un ristorante, un centro commerciale, una società edile, anche il doppio del loro valore reale. Adoperando prestanome, paraventi societari, bonifici estero su estero: gli imprenditori “puliti” vengono talvolta convinti, in alcuni casi costretti, a vendere. Dalle casse della ‘Ndrangheta esce denaro “scomodo” ed entrano soldi al di sopra di ogni sospetto, quelli incassati dal ristorante, dalla pizzeria, dal negozio di abbigliamento e perfino dalla società di servizi che lavora per il grande albergo nel centro storico.
La ‘Ndrina investe, ad esempio, un milione di euro che non può giustificare per avere, in cambio, un’attività che vale 600 mila euro al di sopra di ogni sospetto. Per evitare di insospettire il fisco e gli investigatori, spesso il prezzo che le cosche pagano per acquistare negozi a Roma è diviso in due parti: una ufficiale che viene regolarmente fatturata dalla società del venditore a fronte di un atto notarile (spesso però acquisti in diverse zone del Lazio vengono registrati sempre dallo stesso gruppo di tre o quattro notai, hanno osservato gli inquirenti), e un’altra in nero, bonificata da un conto estero di una società off shore ad un altro conto estero intestato ad un’altra società che fa capo al venditore e che, magari, è stata creata per l’occasione. I principali settori d’interesse sono l’edilizia, le società finanziarie e, nell’ambito del commercio, oltre alla ristorazione figurano l’abbigliamento (è in corso un’indagine su una catena di negozi “casual”), le concessionarie di auto (ne sono state sequestrate diverse sul litorale) e, da qualche tempo, anche i punti vendita in franchising per il noleggio di film.