PER L’ITALIA: "W O ITALY" !!!

L’Urlo del Cardinale Pappalardo da Palermo e di Giovanni Paolo II da Agrigento, contro "mammasantissima", dà ancora coraggio!!! DALLA SICILIA A VERONA, al 4° Convegno ecclesiale, 150 delegati - come loro testimone, il giudice ROSARIO LIVATINO (ucciso dalla mafia nel 1990)- "per riportare speranza in un territorio che l’ha perduta".

sabato 23 settembre 2006.
 


LE REGIONI

Si chiude oggi a Santa Flavia l’incontro dei rappresentanti delle diciotto diocesi dell’isola Dal documento di sintesi emerge il bisogno di superare individualismi e sfiducia per tornare a incidere sul territorio Fra i segnali positivi le iniziative contro la diffusione della malavita

Sicilia, la forza profetica della comunione

Arriva dal Sud l’invito rivolto ai laici a vivere nel mondo, ritornando ad animare gli spazi di vita pubblica in ascolto continuo della Parola e senza cadere in compromessi

Da Palermo Alessandra Turrisi (Avvenire, 23.09.2006)

Accettare con speranza la sfida della comunione, contro la tentazione dell’individualismo e della sfiducia. Sembrano volerlo gridare forte le diciotto diocesi siciliane in cammino verso il Convegno ecclesiale di Verona, manifestando una lettura chiara delle luci e delle ombre di una Chiesa che si confronta con i tumultuosi cambiamenti culturali e chiede un nuovo slancio missionario. Una riflessione complessa e sofferta che è contenuta nella sintesi regionale presentata e discussa a Santa Flavia, alle porte di Palermo, in un incontro con i 150 delegati delle diocesi dell’isola che si conclude oggi.

Un documento che tenta di riassumere il lavoro svolto dalle singole diocesi, seguendo spesso «uno stile sinodale, basato sull’ascolto dei fedeli, attraverso assemblee parrocchiali e di vicariato» spiega monsignor Carmelo Cuttitta, che fa parte del gruppo di coordinamento regionale insieme col vescovo delegato monsignor Mario Russotto (pastore della diocesi di Caltanissetta), con Rosa Maria Scuderi e Giuseppe Di Fazio.

Da ogni parte è emerso il bisogno di rafforzamento degli organismi di partecipazione alla vita ecclesiale, oltre che di una pastorale unitaria e di una vera spiritualità di comunione. Di fronte alle sfide del nostro tempo e ai rapidi e profondi cambiamenti culturali, è necessario un atteggiamento aperto al dialogo e alla pazienza, alla fiducia e alla condivisione. «È necessario - si legge del documento - promuovere una lettura sapienziale della storia, illuminati dalla luce della fede. La speranza deve aiutare ad avere sempre uno sguardo positivo sulla storia presente e guardare con fiducia verso il futuro. Si tratta di assumere un atteggiamento contemplativo che rende capaci di amare il mondo, così come Dio lo ama, e di sapere leggere gli eventi della storia con la stessa ottica di Dio».

Eventi che in Sicilia spesso assumono le caratteristiche di gravissimi problemi sociali ed economici: dove ci sono «disoccupazione, sottoccupazione, disfunzioni nei servizi sociali e sanitari, infiltrazione in tutti gli ambiti dei poteri mafiosi, l’annuncio e la testimonianza evangelica non possono avvenire in astratto, ma, rivolgendosi all’uomo nel suo vissuto quotidiano, devono aiutarlo a relativizzare le sue autosufficienze e risanare le sue ferite, favorendo ogni impegno per il bene, ravvivando la speranza». Ma per guardare il mondo con gli occhi della fede è necessario «l’incontro con il Risorto, che si realizza nella Parola ascoltata, celebrata e vissuta, alla luce della quale leggere la storia. Ci è chiesto di abitare il mondo professando la Parola. Sono necessari per questo cammini di iniziazione e di formazione permanente. In un’epoca - continua il documento - in cui prevale l’ansia di prendere la parola, bisognerebbe ricominciare ad ascoltare. Sarebbe il primo segnale culturale forte, non solo dal punto di vista metodologico, ma anche politico ed ecclesiale».

Di fronte al dilagare di forme di paganesimo, indifferenza, cultura della rassegnazione, analfabetismo della fede, le diocesi siciliane chiedono un impegno maggiore nella formazione del laicato per favorire la crescita di una fede adulta, ma anche la valorizzazione di quei laici preparati teologicamente per vivere un’effettiva corresponsabilità nella missione della Chiesa.

Analizzando poi gli ambiti della testimonianza, le diocesi sottolineano che, al di là dei problemi quotidiani vissuti dalle famiglie, «la testimonianza di Cristo Risorto è portata ad incidere nello stesso tessuto sociale in modo forte e dirompente».

Nell’ambito della «vita affettiva», oggi minata da ogni parte, per esempio, brillano quali «segni positivi di speranza» numerose esperienze di adozione e di affido familiare di minori in difficoltà o di accoglienza nei confronti di portatori di handicap. Ma accorato arriva l’appello a investire molto nel campo della pastorale familiare. Particolarmente sentito il rapporto fra «lavoro e festa», in una Regione con picchi di disoccupazione tripli rispetto al Nord, dove il lavoro precario, lo sfruttamento e il sommerso sono dilaganti, ma dove non c’è più legame fra festa e giorno del Signore. Anche qui vengono segnalate esperienze positive: «imprese lavorative non profit sorte nei luoghi vessati dalla mafia, cooperative sociali che hanno favorito il recupero di ex carcerati, attuazione del progetto Policoro». Molteplici le urgenze racchiuse sotto la definizione di «fragilità umana», davanti alle quali la Chiesa si trova in una situazione di frontiera: immigrati, tossicodipendenti, soggetti svantaggiati, detenuti.

Per quanto riguarda la «tradizione», si richiede un maggiore coinvolgimento delle famiglie e dei mezzi di comunicazione nella trasmissione della fede, ma si denuncia, nell’ambito della «cittadinanza» una sostanziale «disaffezione degli ambienti ecclesiali siciliani verso la cosa pubblica». Emergono, dunque, «il bisogno di un’esemplare testimonianza dei laici in politica», di «un impegno per superare la logica della demagogia politica», e di «uno sforzo sociale e collettivo per eliminare la tentazione del compromesso mafioso e della complicità con i luoghi e le figure di potere».


I DELEGATI

In 150 per far sentire la voce di una terra «coraggiosa»

Da Palermo (A. Tur.)

Dicono no all’autocelebrazione e sperano che l’appuntamento di Verona possa reimpostare in senso missionario la vita della Chiesa italiana. Ci sono professionisti, insegnanti, impiegati, religiosi, sacerdoti fra i 150 delegati che rappresenteranno le diciotto diocesi della Sicilia al IV Convegno ecclesiale nazionale. Un compito di grande responsabilità, a giudicare anche dai numeri che l’isola rappresenta con i suoi 5 milioni e 200 mila abitanti, le sue 1797 parrocchie, i suoi 2203 sacerdoti diocesani, i 1124 sacerdoti regolari e i 253 diaconi permanenti. A capitanare la spedizione i venti vescovi in carica (18 titolari e due ausiliari), che partiranno con 75 laici, 20 religiosi, 4 diaconi e 31 sacerdoti. Una nutrita rappresentanza del popolo di Dio in Sicilia, che manifesta molte attese nei confronti di un tema, quello della speranza, che quotidianamente si scontra col senso del limite umano e con la tentazione della rassegnazione. «L’esistenza umana è tensione continua, fra l’andare avanti e il senso di finitudine. Ma - afferma monsignor Mario Russotto, vescovo delegato e pastore della diocesi di Caltanissetta, citando sant’Agostino - la fede non può venir meno se c’è la speranza, ed è assurdo sperare ciò che non si ama». I siciliani desiderano speranza per la propria Regione, malgrado i mille problemi sociali ed economici che la danneggiano. «Confido che questo convegno possa riportare la speranza in un territorio che l’ha perduta - commenta don Carmelo Petrone di Agrigento -. In questo senso la scelta di Livatino come testimone è emblematica». «C’è bisogno di speranza - aggiunge Salvatore Pezzino, vicedirettore di Telepace ad Agrigento - in un contesto dominato dal secolarismo, dall’individualismo, in città prive di coesione sociale, pervase dalla paura dell’altro. È una grande sfida. Un esempio possiamo averlo dagli immigrati che ogni giorno sbarcano sulle nostre coste. Loro arrivano qui e pensano che in Sicilia sia possibile coltivare la speranza per un futuro migliore». Don Raffaele Mangano, rettore del seminario di Palermo, punta sulle molteplici fragilità che vive questa terra: «La Chiesa deve sentirsi unita attorno ai grandi valori, attorno a Cristo risorto. È importante che ci sia un impulso decisivo per una coscienza del laicato in Italia. In un contesto di grandi disagi, di fragilità, di mancanza di punti di riferimento, è bene che si proponga Cristo Risorto. Non si deve più scegliere una religione, ma sposare Cristo».


Rosario Livatino volto della legge fatta per l’uomo

Da Palermo Alessandra Turrisi(Avvenire, 23 settembre 2006)

«La giustizia è necessaria, ma non sufficiente, e può e deve essere superata dalla legge della carità, che è la legge dell’amore, amore verso il prossimo e verso Dio». Rosario Livatino cercava di guardare tutti, mafiosi e criminali compresi, con gli occhi di Dio. Fede e diritto, nella storia di questo giovane magistrato agrigentino ucciso dalla mafia nel 1990, sono due realtà interdipendenti e indispensabili. E anche per il suo modo cristiano di interpretare il ruolo di giudice, Papa Giovanni Paolo II, dopo avere incontrato i suoi genitori, disse dei morti per mano della mafia: «Sono martiri della giustizia e indirettamente della fede».

E, infatti, Livatino è stato scelto come testimone della Chiesa siciliana al prossimo Convegno di Verona. Basta guardare la sua biografia e consultare gli archivi dei tribunali dove prestò servizio per comprendere quanto intensa e difficile fu la sua attività professionale.

Il «giudice ragazzino» Rosario Livatino nasce a Canicattì, in provincia di Agrigento, il 3 ottobre 1952. Si laurea in Giurisprudenza all’Università di Palermo il 9 luglio 1975, a 22 anni, col massimo dei voti e la lode. Nel 1978 vince il concorso in magistratura e lavora a Caltanissetta come uditore giudiziario passando poi al Tribunale di Agrigento, dove per oltre un decennio, dal 29 settembre ’79 al 20 agosto ’89, come sostituto procuratore della Repubblica, si occupa delle più delicate indagini antimafia, di criminalità comune ma anche di quella che poi negli anni ’90 sarebbe scoppiata come la «Tangentopoli siciliana».

Molto rari gli interventi pubblici così come le immagini. Livatino non volle mai far parte di club o associazioni di qualsiasi genere. Rosario Livatino viene ucciso, in un agguato mafioso, la mattina del 21 settembre ’90 sul viadotto Gasena lungo la Statale 640 Agrigento-Caltanissetta, mentre, senza scorta e con la sua Ford Fiesta amaranto, si reca in Tribunale.

Per la sua morte sono stati individuati, grazie al supertestimone Pietro Ivano Nava, i componenti del commando omicida e i mandanti, che sono stati tutti condannati, in tre diversi processi nei vari gradi di giudizio, all’ergastolo con pene ridotte per i collaboratori di giustizia. Rimane ancora oscuro il contesto in cui è maturata la decisione di eliminare un giudice ininfluenzabile e corretto. Il 29 settembre del 1999 quattro boss mafiosi, Antonio Gallea, Salvatore Calafato, Salvatore Parla e Giuseppe Montanti, sono stati condannati all’ergastolo dalla Corte d’assise d’appello di Caltanissetta per l’omicidio del giudice Livatino. Condannati a 13 anni i collaboratori Giovanni Calafato e Giuseppe Croce Benvenuto.

Secondo i collaboratori, Livatino venne ucciso dagli «stiddari», mafiosi delle province interne siciliane, «per lanciare un segnale di potenza militare verso Cosa nostra» e per punire un magistrato severo e imparziale. Paolo Amico, Domenico Pace, Giovanni Avarello e Gaetano Puzzangaro sono stati condannati all’ergastolo perché ritenuti gli esecutori dell’omicidio.

Il pensiero di Livatino, però, per la sua formazione ed educazione familiare, si rifà spesso al Vangelo. «La legge - dice, per esempio -, pur nella sua oggettiva identità e della sua autonoma finalizzazione, è fatta per l’uomo e non l’uomo per la legge, per cui la stessa interpretazione e la stessa applicazione della legge vanno operate col suo spirito e non in quei termini formali». E ancora: «Il compito del magistrato è quello di decidere. Orbene, decidere è scegliere e, a volte, tra numerose cose o strade o soluzioni. E scegliere è una delle cose più difficili che l’uomo sia chiamato a fare. Ed è proprio in questo scegliere per decidere, decidere per ordinare, che il magistrato credente può trovare un rapporto con Dio. Un rapporto diretto, perché il rendere giustizia è realizzazione di sé, è preghiera, è dedizione di sé a Dio. Un rapporto indiretto per il tramite dell’amore verso la persona giudicata».


Sul tema, nel sito, si cfr.:

PER L’ITALIA E PER LA CHIESA: LA MEMORIA DA RITROVARE. L’"URLO" DI DON PEPPINO DIANA. «La camorra ha assassinato il nostro paese, noi lo si deve far risorgere, bisogna risalire sui tetti e riannunciare la "Parola di Vita"».

ALLARME: "CAMORRA"!!!, "MAMMASANTISSIMA"!!! CAMBIARE ROTTA!!! PER L’ITALIA, PER NAPOLI, RIPARTIRE DALLE RADICI MODERNE, EU-ANGELICHE E FRANCESCANE - dal "presepe"!!!

LA CHIESA DEL SILENZIO E DEL "LATINORUM". Il teologo Ratzinger scrive da papa l’enciclica "Deus caritas est" (2006) e, ancora oggi, nessuno ne sollecita la correzione del titolo. Che lapsus!!! O, meglio, che progetto!!!

COSTITUZIONE, EVANGELO, e NOTTE DELLA REPUBBLICA (1994-2010): PERDERE LA CONOSCENZA DELLA LINGUA ("LOGOS") COSTITUZIONALE ED EVANGELICA GENERA MOSTRI ATEI E DEVOTI ...


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