La recente riforma in tema di disciplina degli illeciti dei magistrati e relative sanzioni ha introdotto all’art. 13 la seguente formazione: “Art. 13. Trasferimento d’ufficio e provvedimenti cautelari - 1. La sezione disciplinare del Consiglio superiore della magistratura, nell’infliggere una sanzione diversa dall’ammonimento e dalla rimozione, può disporre il trasferimento del magistrato ad altra sede o ad altro ufficio quando, per la condotta tenuta, la permanenza nella stessa sede o nello stesso ufficio appare in contrasto con il buon andamento dell’amministrazione della giustizia. Il trasferimento e’ sempre disposto quando ricorre una delle violazioni previste dall’articolo 2, comma 1, lettera a), nonche’ nel caso in cui e’ inflitta la sanzione della sospensione dalle funzioni.- 2. Nei casi di procedimento disciplinare per addebiti punibili con una sanzione diversa dall’ammonimento, su richiesta del Ministro della giustizia o del Procuratore generale presso la Corte di cassazione, ove sussistano gravi elementi di fondatezza dell’azione disciplinare e ricorrano motivi di particolare urgenza, la Sezione disciplinare del Consiglio superiore della magistratura, in via cautelare e provvisoria, può disporre il trasferimento ad altra sede o la destinazione ad altre funzioni del magistrato incolpato.
La norma ha pertanto introdotto un istituto cautelare con cui, su richiesta del Ministro di Grazia e Giustizia e del Procuratore Generale ( titolari dell’azione disciplinare), la Sezione Disciplinare del CSM può anticipare gli effetti della decisione finale disponendo il trasferimento del Magistrato incolpato ad altra sede o ad altre funzioni; affinchè ciò possa accadere è comunque necessario che sussistano gravi elementi di fondatezza dell’azione disciplinare e ricorrano motivi di particolare urgenza. Sul punto i primi commentatori hanno avuto modo di affermare che i provvedimenti cautelari previsti e disciplinati dall’art. 13 in commento siano stati ricalcati sullo schema della giustizia cautelare amministrativa. In ogni caso sul particolare problema conviene procedere per gradi secondo elementari regole dell’ermeneutica applicando cioè alla disposizione normativa la interpretazione letterale unita alla c.d. mens legis e successivamente le ulteriori regole sull’interpretazione delle norme quali l’interpretazione sistematica, quella estensiva o restrittiva e quella analogica ecc.. Sotto il primo profilo, trattandosi di decreto legislativo, bisogna spostare l’attenzione alla legge 150 del 2005 di Delega al Governo per la riforma dell’ordinamento giudiziario di cui al R.D. 30 gennaio 1941, n. 12, per il decentramento del Ministero della giustizia, per la modifica della disciplina concernente il Consiglio di presidenza, della Corte dei conti e il Consiglio di presidenza della giustizia amministrativa, nonché per l’emanazione di un testo unico.
Sulla mens legis basta andare sul link http://www.camera.it/_dati/leg14/lavori/schedela/trovaschedacamera.asp?pdl=4636-bis-D per capire quanto poco intellegibile sia stata la volontà del legislatore, soprattutto con riferimento all’iter di approvazione della legge caratterizzato, come noto, da rilievi incostituzionalità dell’allora Presidente della Repubblica di guisa che la discussione parlamentare sembra essere stata tutta incentrata sullo svuotamento della funzione legislativa e sull’approvazione della legge sulla base della posizione della fiducia. In definitiva i dubbi di costituzionalità della legge più che essere superati sulla base di discussioni parlamentari sembrano essere stati caratterizzati dalla questione di fiducia che di fatto ha posto il parlamento nella strettoia del sostegno all’esecutivo.
Più indicativa sembra essere invece l’interpretazione letterale della norma, unitamente a quella sistematica della medesima, posto che sotto tale profilo appare di più agevole definizione ciò che sembra essere il bene fondante su cui viene costruita la materia dell’illecito disciplinare del Magistrato e la correlativa previsioni di sanzioni. Illuminante in tale direzione sembra essere la definizione che l’art. 1 della legge dà dei “Doveri del Magistrato”.
In tale norma si afferma che :” Il magistrato esercita le funzioni attribuitegli con imparzialità, correttezza, diligenza, laboriosità, riserbo e equilibrio e rispetta la dignità della persona nell’esercizio delle funzioni. 2. Il magistrato, anche fuori dall’esercizio delle proprie funzioni, non deve tenere comportamenti, ancorche’ legittimi, che compromettano la credibilità personale, il prestigio e il decoro del magistrato o il prestigio dell’istituzione giudiziaria”.
Principio fondante, quindi, sotto il profilo oggettivo della tutela che la legge intende apprestare, attraverso la previsioni di sanzioni, sembra essere pertanto “il prestigio dell’istituzione (rectius: funzione) giudiziaria” prima che quella del decoro del Magistrato. Invero continuando nella lettura della legge si percepisce abbastanza chiaramente che l’elencazione dei casi che danno luogo ad ipotesi di illeciti disciplinari oltre che inficiare il comportamento del singolo Magistrato costituiscono tutte ipotesi in cui, comunque, viene compromesso il prestigio e la credibilità della funzione giudiziaria. Se questo è il c.d. bene tutelato dalla norma che, seppure non assimilabile, alla norma penale quale espressione del bene giuridico protetto, comunque, in quanto espressione di applicazione di una sanzione connessa ad un comportamento che viola un precetto, sottende necessariamente la tutela di un bene giuridico. Tale bene giuridico và necessariamente individuato nel decoro e nel prestigio dell’istituzione giudiziaria.
Tale conclusione sembra d’altra parte legittimata dalla interpretazione sistematica che ogni interprete deve dare del testo normativo ciò nel senso che la norma non essendo isolata, ma inserita in un sistema unitario e concluso, “va colta nelle sue connessioni con altre norme ed in particolare deve armonizzarsi con i principi fondamentali che assicurano l’intima coerenza dell’ordinamento considerato (così, ad esempio, l’interprete dovrà sforzarsi di trarre dal testo una norma che sia in armonia con i principi costituzionali) (Cfr. T. Martines, Diritto Costituzionale, Giuffrè, pag. 120 e ss.). Da tale regola ermeneutica e dalla vigenza degli articoli che vanno dal 101 al 110 della Costituzione Repubblicana si inferisce che il legislatore non abbia e non possa avere voluto in alcun modo contraddire gli articoli 101, 102, 104 e 107.
Più in particolare tale affermazione vuole significare le seguenti considerazioni:
a) ogni comportamento sanzionabile e previsto espressamente dagli articoli 1 e 2 del Dlgs 109 del 2006 è necessariamente espressione di violazione, in tale comportamento, da parte del Magistrato, non di una regola di interpretazione e di un cattivo uso del suo potere discrezionale nell’ambito del suo libero convincimento ( regola che evidentemente e ovviamente vale anche per il PM giusto il disposto dell’art. 107 ultima alinea), ma di una norma di legge posto che il Magistrato è soggetto soltanto alla legge e, pertanto, al di fuori dei casi in cui commetta fatti o atti rientranti in fattispecie di reato, il suo comportamento, intanto assume valore di illecito disciplinare, in quanto costituisca violazione di legge e sia sovrapponibile alle fattispecie enumerate dall’art.2 del Dlgs; in ogni caso fuori dai casi in cui il comportamento o l’atto in questione non possa essere inteso quale limpida applicazione dell’art. 12 delle disposizioni sulla legge in generale. In altri termini e più esemplificativamente ogni comportamento che rientri perfettamente in quelli previsti dalla legge e sia compiuto in aderenza ad una interpretazione della medesima a cui non sia ad essa attribuito altro senso “che quello fatto palese dal significato proprio delle parole secondo la connessione di esse, e dalla intenzione del legislatore” non potrà mai essere sanzionato quale illecito disciplinare;
b) tale ultima conclusione trova il suo fondamento in un’altra considerazione di rango costituzionale atteso che a mente dell’art. 102 Cost “non possono essere istituiti giudici straordinari o giudici speciali. Possono soltanto istituirsi presso gli organi giudiziari ordinari sezioni specializzate per determinate materie, anche con la partecipazione di cittadini idonei estranei alla magistratura” e, pertanto, non può esistere un giudice che, al di fuori della valutazione di comportamento rientrante nelle fattispecie di cui al Dlgs che sia espressione di interpretazione di norme in violazione dell’art. 12 Disp. L.G., possa, quale Giudice Straordinario o Speciale, valutare il libero convincimento del Magistrato nell’ambito di atti previsti dalla legge nella sua corretta interpretazione.
Se, invero, fosse possibile, a titolo esemplificativo, che altro il Giudice Disciplinare potesse valutare sotto il tale profilo il merito di atti di un Magistrato (PM o GIUDICANTE) comunque previsti dalla legge, ci si troverebbe in presenza della creazione di un Giudice Straordinario o Speciale, diverso dal Giudice del Gravame ( perfettamente costituzionale in quanto distinto dal primo Giudice solo per funzione), legittimato eccezionalmente a valutare il merito di un atto di un Magistrato quantunque questo sia in linea con lo sbarramento di cui all’art. 12 delle preleggi. In conclusione di tale approccio dogmatico al problema può, quindi, affermarsi che il Giudice Disciplinare in ogni caso valuta innanzitutto la violazione di legge da parte del Magistrato che con i suoi atti ( o comportamenti) necessariamente non conformi alle regole ermeneutiche di cui all’art. 12 delle preleggi, abbia comunque violato i suoi doveri di imparzialità, correttezza, diligenza, laboriosità, riserbo e equilibrio e rispetta la dignità della persona nell’esercizio delle funzioni ( Cfr. art. Dlgs. 109 del 2006) ovvero abbia con i suoi atti ancorche’ legittimi....compromesso (NDR) la credibilità personale, il prestigio e il decoro del magistrato o il prestigio dell’istituzione giudiziaria. (Cfr. art. Dlgs. 109 del 2006).
In tale direzione, quindi, la norma, interpretata alla stregua delle previsioni superprimarie di cui agli invocati articoli della Costituzione Repubblicana, pone due regole fondamentali che disegnano la legittimità sotto il profilo disciplinare di atti o comportamenti dei Magistrati: atti comunque conformi alla legge nella sua interpretazione aderente ai dettami dell’art. 12 preleggi e comportamenti che non ledano i doveri del Magistrato e il prestigio della istituzione ( rectius: funzione) giudiziaria.
Più volte nel corso della trattazione si è insistito molto sul concetto di funzione e non di istituzione atteso che tale distinzione ha un valore costituzionale e serve meglio a distinguere gli uomini dalla funzione alla cui tutela ovviamente deve tendere la norma. In altri termini la Costituzione Repubblicana non pone alcuna guarentigia per il Magistrato in quanto funzionario dello Stato ( né, allo stesso modo, le guarentigie dei Parlamentari difendono il Parlamentare in quanto tale quanto piuttosto la funzione di rappresentante del popolo nell’esercizio della funzione legislativa) quanto piuttosto una guarentigia per la funzione che esso esercita posto che l’art. 104 stabilisce espressamente che “La magistratura costituisce un ordine autonomo e indipendente da ogni altro potere.”. In tale direzione, pertanto, non potrà mai costituire atto che inficia il prestigio dell’istituzione giudiziaria la commissione di reati da parte del singolo Magistrato ( e ovviamente l’indagine sui medesimi con i correlativi atti di indagine) posto che questi non è il bene tutelato dalla norma quanto la sua funzione che, di contro, riceve giovamento e lustro dall’eventuale individuazione di Magistrati che nell’esercizio della funzione giudiziaria ( unico bene tutelato a livello costituzionale) commettano reati. Né, allo stesso modo, il Giudice disciplinare può, in tale veste, essere il Giudice di valutazioni di merito su indagini a carico di Magistrati perché così facendo diverebbe un Giudice Straordinario o Speciale vietato dalla Costituzione atteso che, anche per i Magistrati, valgono le ordinarie regole del codice di procedura penale qualora altro Magistrato compia a suoi danni un atto non contrario alla legge ma eventualmente censurabile dinanzi ai Giudici del gravame.
Allo stesso modo, va detto che, opinare diversamente e, quindi, ritenere ammissibile un c.d. giustizia domestica quando l’indagato sia un Magistrato ( con intervento disciplinare teso a valutare il merito dell’atto di indagine) violerebbe gli articoli 3 e 25 della Costituzione creando disparità di tutela per i cittadini oltre che distogliere l’indagato dal suo Giudice naturale precostituito per legge ( arg. Ex art. 25 Cost.). Individuati i capisaldi della legge giova porre particolare attenzione alla previsione di cui all’art. 13, secondo comma, Dlgs. 109 del 2006 nella parte in cui prevede provvedimenti cautelari a carico del Magistrato incolpato. Il procedimento previsto per l’applicazione di tali misure sembra ricalcato sullo schema della sospensione dell’atto amministrativo atteso che con onere a carico del Procuratore Generale o di Magistrato del suo Ufficio devono essere allegati oltre che gravi elementi di fondatezza dell’azione disciplinare anche particolari motivi di urgenza. Tali due elementi sembrano ricalcare perfettamente i concetti di fumus boni iuris e periculum in mora. Tale ultima conclusione sembra ancora una volta dettata dai principi valevoli per l’interpretazione della legge ricavati dalla migliore dottrina e dalla costante applicazione dei principi della Corte Costituzionale in tema di interpretazione della legge ( Cfr. ex plurimis Corte Cost. 21 ottobre 2005, n. 394......
Attraverso l’interpretazione sistematica delle norme che regolano i rapporti genitori-figli si individua la regola iuris cui l’interprete deve attenersi in sede di applicazione concreta, nel rispetto del principio di responsabilità genitoriale, che impone la soddisfazione delle esigenze della prole a prescindere dalla qualificazione dello status della stessa) ciò nel senso che i concetti di gravi elementi di fondatezza e particolari motivi di urgenza non possono ricalcare lo schema delle misure cautelari penali quanto piuttosto quello di una decisione del Giudicante interinale e strumentale alla decisione di merito. Sotto tale profilo, pertanto, giova porre l’attenzione su cosa debba intendersi nello specifico del processo disciplinare per fumus boni iuris e periculum in mora. Come ogni buon giudicante bisogna partire dal concetto di periculum in mora molto più complesso da delineare rispetto a quello del fumus boni iuris o di gravi elementi di colpevolezza più agevole da individuare alla stregua della sussistenza del diritto e, se volete, dei gravi indizi di colpevolezza. (Si è preferito il primo concetto posto che, ovviamente, se invece la scelta fosse caduta sulle misure cautelari penali quale elemento di sistematicità a cui rapportare la previsione dell’art. 13 ovviamente ci troveremmo di fronte ad una valutazione di periculum incentrata sul pericolo di reiterazione del comportamento o atto che condurrebbe a concludere per l’incostituzionale previsione di un Giudice Straordinario.
Spiego meglio l’inciso. Se infatti la richiesta cautelare attenesse al pericolo di reiterazione di un atto di un Magistrato valutato contrario ai doveri di cui all’art. 1 Dlgs 109/2006 - si pensi all’ipotesi di attualità della richiesta per il Procuratore di Salerno - si dovrebbe necessariamente concludere per l’incostituzionalità della norma posta l’esistenza di un Giudice Straordinario che distoglierebbe gli indagati del Procuratore di Salerno dal suo Giudice naturale e dai gravami previsti dall’Ordinamento, intervenendo nel merito degli atti cimpiuti dal Giudice naturale al posto di altro Giudice naturale che è quello del gravame avverso tali atti) .
Posta, pertanto, la necessità costituzionale di individuare il periculum in mora quale elemento diverso dal merito dello specifico procedimento cautelare e, pertanto, quale periculum di cui può essere portatore il titolare dell’azione disciplinare intesa quale azione posta a tutela della funzione giudiziaria, non resta che ancorare tale pericolo al bene giuridico che la norma ( Dlgs 109 del 2006) sembra tutelare che è necessariamente quello del prestigio dell’istituzione (rectius: funzione) giudiziaria. In altri termini l’elemento di particolare urgenza che il Procuratore Generale della Corte di Cassazione o il Ministro di Grazia e Giustizia potranno allegare all’atto di incolpazione deve necessariamente attenere ad atti o comportamenti che mettono in pericolo il prestigio della funzione giudiziaria e richiedono, proprio perché sussistente l’urgenza, una delibazione sommaria - quali quelle previste in ogni provvedimento d’urgenza del nostro ordinamento - piuttosto che una delibazione piena presa a seguito del procedimento ordinario. A questo punto del discorso sembra potersi concludere che affinchè si abbia trasferimento cautelare ai sensi dell’art. 13 secondo comma Dlgs 109 del 2006 e che questa previsione, nonché la sua applicazione pratica, sia compatibile con l’art. 107 della Costituzione, è necessario non solo che ci si trovi in presenza di un atto o comportamento del Magistrato che rientri perfettamente nelle ipotesi di cui agli articoli 1 e 2 del Decreto ma oltretutto, quando si tratti di atto compiuto, che quest’ultimo sia contrario alla legge che lo prevede nella sua interpretazione ai sensi dell’art. 12 delle preleggi e che, allo stesso tempo, ponga un problema che investa il prestigio, la credibilità e l’imparzialità della funzione giudiziaria nel suo complesso. Cosa dire auguri alla sezione Disciplinare del CSM poiché nelle ipotesi di atti compiuti dal Magistrato non costituenti reato sarà davvero molto difficile individuare e motivare la sussistenza del periculum in mora.
Avv. Francesco Siciliano