HO VISTO L ’AQUILA
di Andrea Gattinoni *
Lettera a mia moglie scritta ieri notte
Ho visto l ’Aquila. Un silenzio spettrale, una pace irreale, le case distrutte, il gelo fra le rovine. Cani randagi abbandonati al loro destino. Un militare a fare da guardia a ciascuno degli accessi alla zona rossa, quella off limits. Camionette, ruspe, case sventrate. Tendopoli. Ho mangiato nell’unico posto aperto, dove va tutta la gente, dai militari alla protezione civile. Bellissimo. Ho mangiato gli arrosticini e la mozzarella e i pomodori e gli affettati.
Siamo andati mentre in una tenda duecento persone stavano guardando "Si Può Fare". Eravamo io, Pietro, Michele, Natasha, Cecilia, Anna Maria, Franco e la sua donna. Poi siamo tornati quando il film stava per finire. La gente piangeva. Avevo il microfono e mi hanno chiesto come si fa a non impazzire, cosa ho imparato da Robby e dalla follia di Robby, se non avevo paura di diventare pazzo quando recitavo.
Ho parlato con i ragazzi, tutti trentenni da fitta al cuore. Chi ha perso la fidanzata, chi i genitori, chi il vicino di casa. Francesca, stanno malissimo. Sono riusciti ad ottenere solo ieri che quelli della protezione civile non potessero piombargli nelle tende all’improvviso, anche nel cuore della notte, per CONTROLLARE. Gli anziani stanno impazzendo.
Hanno vietato internet nelle tendopoli perché dicono che non gli serve. Gli hanno vietato persino di distribuire volantini nei campi, con la scusa che nel testo di quello che avevano scritto c’era la parola "cazzeggio". A venti chilometri dall’Aquila il tom tom è oscurato. La città è completamente militarizzata. Sono schiacciati da tutto, nelle tendopoli ogni giorno dilagano episodi di follia e di violenza inauditi, ieri hanno accoltellato uno.
Nel frattempo tutte le zone e i boschi sopra la città sono sempre più gremiti di militari, che controllano ogni albero e ogni roccia in previsione del G8. Ti rendi conto di cosa succederà a questa gente quando quei pezzi di ***** arriveranno coi loro elicotteri e le loro auto blindate? Là ???? Per entrare in ciascuna delle tendopoli bisogna subire una serie di perquisizioni umilianti, un terzo grado sconcertante, manco fossero delinquenti, anche solo per poter salutare un amico o un parente.
Non hanno niente, gli serve tutto. (Hanno) rifiutato ogni aiuto internazionale e loro hanno bisogno anche solo di tute, di scarpe da ginnastica. Per far fare la messa a Ratzinger, il governo ha speso duecentomila euro per trasportare una chiesa di legno da Cinecittà a L ’Aquila.
Poi c ’è il tempo che non passa mai, gli anziani che impazziscono. Le tendopoli sono imbottite di droga. I militari hanno fatto entrare qualunque cosa, eroina, ecstasy, cannabis, tutto. E ’ come se avessero voluto isolarli da tutto e da tutti, e preferiscano lasciarli a stordirsi di qualunque cosa, l’importante è che all’esterno non trapeli nulla.
Berlusconi si è presentato, GIURO, con il banchetto della Presidenza del Consiglio. Il ragazzo che me l ’ha raccontato mi ha detto che sembrava un venditore di pentole. Qua i media dicono che là va tutto benissimo.
Quel ragazzo che mi ha raccontato le cose che ti ho detto, insieme ad altri ragazzi adulti, a qualche anziano, mi ha detto che "quello che il Governo sta facendo sulla loro pelle è un gigantesco banco di prova per vedere come si fa a tenere prigioniera l ’intera popolazione di una città, senza che al di fuori possa trapelare niente". Mi ha anche spiegato che la lotta più grande per tutti là è proprio non impazzire. In tutto questo ci sono i lutti, le case che non ci sono più, il lavoro che non c ’è più, tutto perduto.
Prima di mangiare in quel posto abbiamo fatto a piedi più di tre chilometri in cerca di un ristorante, ma erano tutti già chiusi perchè i proprietari devono rientrare nelle tendopoli per la sera. C ’era un silenzio terrificante, sembrava una città di zombie in un film di zombie. E poi quest’umanità all’improvviso di cuori palpitanti e di persone non dignitose, di più, che ti ringraziano piangendo per essere andato là.
Ci voglio tornare. Con quella luna gigantesca che mi guardava nella notte in fondo alla strada quando siamo partiti e io pensavo a te e a quanto avrei voluto buttarmi al tuo collo per dirti che non ti lascerò mai, mai, mai. Dentro al ristoro privato (una specie di rosticceria) in cui abbiamo mangiato, mentre ci preparavano la roba e ci facevano lo scontrino e fuori c ’erano i tavoli nel vento della sera, un commesso dietro al bancone ha porto un arrosticino a Michele, dicendogli "Assaggi, assaggi". Michele gli ha detto di no, che li stavamo già comprando insieme alle altre cose, ma quello ha insistito finchè Michele non l’ha preso, e quello gli ha detto sorridendogli: "Non bisogna perdere le buone abitudini".
Domani scriverò cose su internet a proposito di questo, la gente deve sapere. Anzi metto in rete questa mia lettera per te.
Andrea Gattinoni, 11 maggio notte
* Questa lettera è stata scritta da Andrea Gattinoni, un attore che si trovava a L ’Aquila per presentare un film. Le parole sono dirette a sua moglie ma rappresentano un’efficace testimonianza per tutti quelli che a L ’Aquila non ci sono ancora stati.
Andrea, per chi non se lo ricordasse, era uno degli interpreti del recente film Si può fare con Claudio Bisio, su un gruppo di "pazzi". (Maddalena Gasparini).
L’Aquila a due facce: l’oro e le mosche
di Claudia Fusani (l’Unità, 06.07.2009)
Alle due del pomeriggio, caldo afoso e voglia di temporale, il signor Giuseppe, 76 anni, sfrutta un refolo d’aria e prova a dormire nella prima branda della tenda 17 tendopoli dell’Acquasanta, la sua casa dal 6 aprile scorso. Alla stessa ora, cinque chilometri più in là, nella caserma della Finanza a Coppito gli artigiani falegnami finiscono di consegnare le suite per i 39 leader del mondo in arrivo per il G8. Saranno pure spartane e però i letti sembrano comodi ed eleganti, legno e tappezzeria color crema. E il pavimento di granito non compete con il fondo di gomma della tenda 17 dove Giuseppe cerca di prendere sonno. Un’ora prima, alle tredici, Carla prende posto sulla panca della sala mensa della tendopoli di piazza d’Armi, un primo di penne con qualcosa che assomiglia alla panna (con questo caldo) e una pietanza che sembra tacchino. “Da tre mesi così” dice scacciando le mosche. “Visto quante ce ne sono?”. Alla stessa ora, sempre in caserma, i maestri falegnami stanno completando l’allestimento delle sale da pranzo per i vertici della prossima settima, ambiente climatizzato, parquet in terra, tavoli rotondi di legno, pareti di vetro oppure foderate di blu e grigio, cristallerie e porcellane, tovaglie di lino.
Due città nella stessa città. Due mondi lontanissimi negli stessi chilometri quadrati. Due facce di un volto solo e che, pure, non si parlano. C’è l’Aquila delle tendopoli, dei disagi, delle mosche, del caldo e della disperazione muta ma profonda di questa gente che a tre mesi esatti dal terremoto dice che «nulla è cambiato» nelle loro non-vite e che ancora non sanno quando cambierà qualcosa. E c’è l’Aquila del G8, i 48 ettari, i 70 campi di calcio, della caserma Vincenzo Giudice che in tre mesi ha visto tutto e il suo contrario, dalle trecento bare adagiate sul cemento della piazza d’Armi al comfort e al lusso declinati ai massimi livelli.
La città del G8 ha confini precisi, militarizzati da cinque mila uomini in divisa sui mezzi e a cavallo, appostati sulle montagne e dietro le batterie antimissili. Ha anche una precisa casella d’inizio, la rotonda tra via Fermi, la statale 80 e l’inizio di viale delle Fiamme Gialle che è stata allestita con un grande mosaico raffigurante un’aquila nera.
La città delle tendopoli comincia subito dopo la linea della militarizzazione e guarda all’altra con distacco, rabbia e diffidenza. Dice Carla mentre scaccia le mosche alla mensa di piazza d’Armi: «Là - e rivolge il volto verso Coppito - c’è il lusso, qui lo vede anche lei: nulla è cambiato nulla da tre mesi. Noi siamo riconoscenti a chi ci ha aiutato ma poi? Quanti soldi hanno speso per il G8? E quanti ne stanno spendendo sulla costa per dare un tetto a trentamila sfollati? Questi soldi non potevano essere subito impiegati qua?». Per esempio, insiste Carla, «io avevo una copisteria in centro, rilegavo tesi e facevo traduzioni. Da tre mesi chiedo se posso avviare l’attività altrove. Nessuna risposta». Eppure a Coppito la Protezione civile ha mostrato tutta la sua geometrica potenza ed efficienza nell’allestire la cittadella del G8. «Fanno tutto - insiste Carla - ma per loro. E per noi? Speriamo che almeno riescano a far restaurare qualche chiesa che sennò, altro che beffa ’sto G8».
È l’incertezza il male oscuro di chi vive nelle tendopoli, non avere date certe, una casella di ripartenza. Marco e sua moglie hanno quattro figli, la più piccola ha tre anni, il più grande ne ha 15. Da tre mesi condividono le tenda n.17 di Acquasanta con altre quattro persone sconosciute. Da allora cercano di avere una tenda tutta per loro. Non è stato possibile.
Ai loro occhi il G8 è solo «una provocazione»: «Noi vogliamo poter fare i lavori in casa e tornarci. Si dovevano concentrare su questo, altro che G8». Per le donazioni dei paesi stranieri «potevano organizzare una gita da Roma e avevamo risolto il problema». Duemila persone potranno andare a vivere nella caserma, nelle oltre mille stanze appena ristrutturate. «Duemila - scrolla la testa Marco - gli sfollati sono 55 mila e le casette basteranno per quindicimila?». I conti, in effetti, non tornano.
I piani di evacuazione dalla caserma scatteranno se e quando i sismografi misureranno scosse tra il 4 e il 4.5 della scala Richter. Gli psicologi volontari raccontano che in questi ultimi giorni l’augurio più diffuso tra gli sfollati è «una bella scossa sotto i piedi e sulla testa dei leader del mondo, così capiscono di cosa si parla».
A Coppito è tutto pronto, la mostra sul made in Italy e il made in Abruzzo, le mense, le tavole, le sale con i traduttori, tutto wifi e connessioni ultra veloci. Bruno ha compiuto 67 anni due giorni fa, vive nella tenda n.21 di Piazza d’Armi, gli hanno regalato un libro, La Gloria di Giuseppe Berto. Mostra fiero la dedica: «Ci vogliono tanti anni per diventare giovani». È un po’ commosso, l’inchiostro sta andando via, colpa dell’umidità delle tende.
LA LETTERA / Un residente dell’Aquila, sfollato sulla costa va a trovare un cugino
ospite di un camping a Tortoreto. E gli chiedono 5 euro per l’ingresso
"Io, terremotato, devo pagare
per entrare nel campeggio"
La struttura che ospita, ovviamente, è rimborsata dallo Stato
Episodi analoghi denunciati da diverse altre persone
"Scrivo alla Vs redazione sperando che almeno voi possiate dare voce a chi sta diventando sempre più invisibile, a dispetto delle belle notizie che vogliono far trapelare. L’episodio che sto per raccontare è ovviamente accaduto in presenza di testimoni.
14 giugno 2009. Ore 15 circa. Insieme alla mia ragazza, mi reco al campeggio Salinello di Tortoreto per andare al compleanno di suo cugino. Siamo tutti residenti a L’Aquila e domiciliati sulla costa a seguito del terremoto del 6 aprile scorso.
Come le volte precedenti, entro alla reception pronto a dare il documento, per ricevere in cambio il bracciale di riconoscimento per poter circolare liberamente all’interno dell’impianto.
Questa volta, però, la signorina chiede gentilmente di "pagare l’ingresso". Al mio primo stupore, segue la domanda: "Ingresso? Non sono venuto a fare le vacanze. Siamo tutti sfollati e noi vogliamo solo entrare per visitare un vostro ospite, un nostro parente, sfollato come noi. Altre volte non avete chiesto che i documenti. Cosa è cambiato? E perché?".
La signorina si impappina e mi guarda stralunata. Non voglio litigare, quindi chiamo la madre della mia ragazza che è domiciliata al Salinello. Arriva la signora ma non c’è verso di fare capire alla signorina della reception che se siamo lì non è per una gita di piacere, né per la tintarella. C’è addirittura un padre (sempre sfollato, ovviamente) che dovrà pagare per andare a trovare il figlio per il suo compleanno. Niente.
Cominciano ad alzarsi i toni e alle nostre proteste nel sentirci dire che i domiciliati sono liberi di uscire per incontrarsi con chi vogliono, seguono sconcertanti frasi dal tono vagamente umiliante: "Ma vi ci trovate tanto bene nella parte?". Personalmente trovo schifoso il comportamento della direzione, lo concretizzo con un "dovreste solo vergognarvi!" ed esco. Morale della favola: 10 euro per una visita di due persone (che, per la cronaca, può durare anche un’ora, ma sempre quello è il prezzo).
Mi chiedo quante volte alcune strutture vogliono fare cassa, per l’"ospitalità" che "offrono". Una volta dallo Stato e una volta dagli stessi terremotati. Mi chiedo chi sono i veri sciacalli. Mi chiedo persino se non siamo troppo fessi noi che ci facciamo trattare così.
Mi chiedo chi dovrebbe tutelare delle persone che oltre alla casa, agli affetti, al lavoro, stanno perdendo persino il rispetto degli altri.
Mi chiedo: se a soli due mesi dalla tragedia la cosidetta solidarietà è scesa a livelli così infimi, cosa succederà questo inverno?
Mi chiedo tante cose ma la sola cosa che riesco a sentire è solo la voce di una signorina che chiede se mi piace così tanto calarmi in questa parte e vorrei che lei e tutti quelli come lei potessero per un solo secondo ascoltare quello che abbiamo sentito una notte di poco più di due mesi fa. Vorrei farle piovere addosso di colpo giornate passate davanti a un sito internet.
Giornate, settimane, mesi... ad aspettare che venisse pubblicata la propria casa come agibile perché, a noi, come a migliaia come noi, il sole e il mare possono scaldare la pelle, ma non il cuore. Vorrei farle vedere i nostri luoghi. Diventati posti sfigurati e irriconoscibili, brulicanti di gente venuta da fuori, che non conosce e non ci conosce. Vorrei farle provare per un attimo quello che siamo stati, quello che siamo e quello che saremo, per chissà quanto altro tempo.
Non so quanto dovrà fare L’Aquila per rinascere, ma senz’altro dovrà volare molto più in alto di certe meschinità.
Grazie infinite per il Vs prezioso aiuto e per il lavoro che svolgete".
Stefano Falone
Ricercatore precario
* la Repubblica, 18 giugno 2009.