Eco-Giungla...nomia?!

FONDI RAPACI D’INVESTIMENTO. Il capitalismo dei "private equities" e la legge della giungla. Voracità - di Ignazio Ramonet (tradotto da José F. Padova), a cura di pfls

Qualcuno pensava che con la globalizzazione il capitalismo fosse infine sazio. Adesso si vede che la sua voracità sembra non avere limiti.
mercoledì 14 novembre 2007.
 

[...] Il fenomeno di questi fondi rapaci è apparso una quindicina di anni fa ma, drogato da un credito a buon mercato e grazie alla creazione di strumenti finanziari sempre più sofisticati, negli ultimi tempi ha preso un’ampiezza preoccupante. Infatti il principio è semplice: un club d’investitori con grandi fortune decidono di acquistare imprese che in seguito gestiscono in modo privato, lontani dalla Borsa e dalle sue regole costrittive e senza dover rendere conto ad azionisti puntigliosi (3). L’idea è quella di aggirare i principi stessi dell’etica del capitalismo puntando soltanto sulle leggi della giungla [...]


Voracità

di Ignacio Ramonet (traduzione dal francese di José F. Padova)*

Mentre contro l’orrore economico il discorso critico - che un tempo veniva chiamato altermondialiste [ndt.: traducibile con: terzomondialista] - s’ingarbuglia e diventa improvvisamente impercettibile, s’impianta un nuovo capitalismo, ancor più brutale e conquistatore. È quello di una nuova categoria di fondi-avvoltoio, i fondi d’investimento con appetiti da orco che dispongono di capitali colossali (1).

I nomi di questi titani - The Carlyle Group, Kohlberg Kravis Roberts & Co (KKR), The Blackstone Group, Colony Capital, Apollo Management, Starwood Capita! Group,Texas Pacific Group,Wendel, Eurazeo, ecc - sono poco conosciuti dal grande pubblico e, al riparo di questo riserbo, stanno impadronendosi dell’economia mondiale.

In quattro anni, dal 2002 al 2006, l’ammontare dei capitali prelevati da questi fondi d’investimento, che raccolgono denaro da banche, assicurazioni, fondi di pensionamento e da ricchissimi privati, è passato da 94 miliardi di euro a 358 miliardi. La loro potenza di fuoco finanziaria è fenomenale, supera i 1100 miliardi di euro! Nulla resiste loro.

L’anno scorso, negli Stati Uniti, i principali private equities hanno investito qualcosa come 290 miliardi di euro nella rilevazione di aziende e più di 220 miliardi nel corso del solo primo semestre del 2007, assumendo così il controllo di ottomila società... già ora un salariato americano su quattro - e quasi un salariato francese su dodici - lavorano per questi mastodonti (2).

D’altra parte la Francia è diventata il loro primo bersaglio, dopo il Regno Unito e gli Stati Uniti. L’anno scorso hanno fatto man bassa su quattrocento imprese (per un importo di 10 miliardi di euro) e ne gestiscono ormai più di milleseicento. Alcuni marchi molto noti - [ndt.: segue elenco di grandi Società francesi] - si ritrovano sotto il controllo di private equities, per lo più anglosassoni, che adesso già mettono gli occhi su dei giganti del CAC 40 [ndt.: l’indice borsistico CAC 40, che prende nome dal primo sistema di automazione della Borsa di Parigi, la Cotation Assistée en Continu].

In concreto, ci spiegano due specialisti, le cose avvengono così: «Per comprare una società che vale 100 il fondo mette 30 di tasca sua (si tratta di una percentuale media) e chiede in prestito 70 alle banche, approfittando dei tassi d’interessi molto bassi del momento. Durante tre o quattro anni riorganizza l’impresa, mettendovi un management di sua fiducia, razionalizzando la produzione, sviluppandone le attività e intercettando tutti o parte dei profitti per pagare gli interessi...del suo debito. In seguito a tutto ciò rivenderà la società a 200, spesso a un altro fondo che farà la medesima cosa. Una volta rimborsati i 70 presi a prestito gliene resteranno 130 in cassa, per una posta iniziale di 30, ovvero più del 300% di ricavo sull’investimento in quattro anni. Chi farebbe meglio (4)?»

Mentre personalmente intascano patrimoni demenziali, i dirigenti di questi fondi praticano ormai, senza patemi d’animo, i quattro grandi principi della «razionalizzazione» delle imprese: ridurre i posti di lavoro, comprimere i salari, aumentare i ritmi della produzione e delocalizzare. Incoraggiati in tutto ciò dalle pubbliche autorità, le quali sognano, come oggi fanno quelle francesi, di «modernizzare» l’apparato produttivo. E a grande scapito dei sindacati, che gridano all’incubo e denunciano la fine del contratto sociale.

Qualcuno pensava che con la globalizzazione il capitalismo fosse infine sazio. Adesso si vede che la sua voracità sembra non avere limiti. Fino a quando?

Ignacio Ramonet

-  (1) Vedi Frédéric Lordon, « Quand la finance prend le monde en otage », Le Monde diplomatique, settembre 2007.
-  (2) Vedi Sandrine Trouvelot e Philippe Eliakim, « Les fonds d’investissement, nouveaux maitres du capitalisme mondial », Capital, Paris, luglio 2007.
-  (3) Vedi Philippe Boulet-Gercourt, « Le retour des rapaces », Le Nouvel Observateur, Paris. 19 luglio 2007.
-  (4) Cfr. Capital, op. cit.

*

Le Monde Diplomatique, novembre 2007, n° 644, pag. 1


Per materiali sul tema, nel sito, si cfr. nei seguenti "contenitori":

-   Riassunto della crisi subprime

-  CRISI FINANZIARIA, ECONOMICA E POLITICA. CHE "PARADISO": UN LUNGO DEFICIT DI LOGICA E DI ETICA!!!

-  NATURA E INTELLIGENZA ASTUTA: UN’UMANITA’ SENZA GRAZIA.


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