Insieme ai licei tornano gli Istituti tecnici e professionali, con interventi contro la dispersione. Le scuole diventano Fondazioni e potranno ricevere donazioni
Via libera alla ’rivoluzione Fioroni’. Superiori, cancellata la riforma Moratti
Ecco tutte le novità. I commenti del ministro e del viceministro Bastico
di SALVO INTRAVAIA *
Cancellata di fatto la riforma Moratti al superiore: ritornano gli istituti gli tecnici e i professionali. E ancora, scuole equiparate dal punto di vista fiscale alle Fondazioni, riforma degli organi collegiali e qualifiche professionali triennali con relativo albo nazionale. E’ in arrivo per la scuola italiana una vera rivoluzione. Il cosiddetto pacchetto Fioroni, contenuto nel provvedimento sulle Liberalizzazioni (il cosiddetto decreto Bersani) è stato approvato ieri sera dal Consiglio dei ministri.
La riforma ruota su due assi fondamentali: agevolazioni fiscali a favore delle istituzioni scolastiche e potenziamento dell’area tecnico professionale della scuola superiore. Tutte le novità sono contenute in due distinti provvedimenti: un decreto-legge e un disegno di legge.
Riforma della scuola superiore. "Gli istituti tecnici e professionali tornano di serie A" è il primo commento del ministro della Pubblica istruzione, Giuseppe Fioroni. Il governo ha stralciato dalla strutturazione in otto licei della scuola superiore disegnata dal governo Berlusconi quelli tecnologici ed economici. Nell’ordinamento scolastico italiano resteranno dunque gli attuali istituti tecnici e i professionali che saranno a loro volta oggetto di una consistente rivisitazione. La riforma in questione riguarda le scuole che destano le maggiori preoccupazioni in relazione agli alti tassi di dispersione scolastica registrati. E dove trovano posto oltre un milione e 400 mila studenti (il 55 per cento del totale, al superiore). Saranno ’accorciati i percorsi’ scolastici, in termini di monte ore annuo, e diminuiranno anche le discipline. Ma ’la rivoluzione - ha spiegato Fioroni - è quella dei Poli tecnico-professionali’ che prevede l’istituzione dei Poli tecnico-professionali, uno per ogni provincia’. Si tratta di organismi scolastici complessi che al loro interno comprenderanno gli attuali istituti tecnici e professionali, ’strutture formative per il conseguimento di qualifiche triennali - e diplomi professionali spendibili a livello nazionale ed europeo - e Istituti tecnici superiori’: gli attuali corsi post diploma Ifts (di istruzione e formazione tecnico superiore). L’obiettivo è di colmare un gap di professionalità che costringe ogni anno le imprese italiane a cercare ’senza trovarli, 500 mila giovani con qualifiche tecnico-professionali e 80 mila super periti’.
Le scuole come le Fondazioni. Le scuole italiane, che in base all’ultima Finanziaria riceveranno direttamente - senza cioè più passaggi intermedi - nelle loro casse le somme che costituiscono il cosiddetto Fondo d’istituto, saranno equiparate dal punto di vista fiscale alle Fondazioni ’per consentire le stesse agevolazioni di incentivi delle Fondazioni e per destinare nuove risorse all’innovazione didattica e al miglioramento del patrimonio edilizio’. Attualmente il Fondo permette alle scuole italiane di ’personalizzare’ l’offerta formativa: attività integrative, corsi pomeridiani, corsi di recupero ed altro. Uno dei primi effetti di questa rivoluzione sarà la possibilità, finora espressamente vietata per le scuole, di ricevere già da quest’anno donazioni da parte di soggetti privati: persone fisiche, onlus e imprese che non potranno in alcuno modo entrare negli organismi decisionali. Ma nel corso della lunga discussione l’esecutivo ha pensato anche a un fondo perequativo per le scuole delle regioni meno fortunate. Si pensa infatti che saranno le istituzioni scolastiche del Nord a ricevere il maggior numero di donazioni. Il fondo compensativo eviterà la creazioni di scuole di serie A e di serie B.
Riforma degli Organi collegiali. E per rendere più efficace la gestione delle scuole, oltre alle novità inserite nel cosiddetto decreto Bersani, il governo ha approvato una delega al ministro Fioroni che entro 12 mesi dovrà mettere mano alla riforma degli organi collegiali d’istituto, fermi alla versione del 1974. Sarà riformata la composizione del Consiglio d’istituto: l’organismo che gestisce gli aspetti economici e organizzativi delle scuole autonome. Attualmente del Consiglio fanno parte, in proporzioni diverse, docenti, genitori, alunni (solo al superiore) e personale non docente. Oltre al dirigente scolastico, membro di diritto, in futuro, le scuole potranno prevedere ’la possibilità di far partecipare agli organi collegiali e rappresentanti delle autonomie locali, delle università, delle associazioni, delle fondazioni, delle organizzazioni rappresentative del mondo economico, del terzo settore, del lavoro e delle realtà sociali e culturali presenti sul territorio’. Stessa cosa per i Collegi dei docenti (che gestiscono gli aspetti didattici) che potranno dotarsi di un Comitato tecnico: u gruppo di insegnanti che avranno il compito di supportare e monitorare la corretta attuazione del Pof: il Piano dell’offerta formativa.
La nuova scuola. Si tratta di una vera e propria rivoluzione copernicana che mira ad una maggiore vicinanza tra il mondo della scuola, le realtà presenti nel territorio e il mondo del lavoro. "Abbiamo gettato le basi della scuola che vogliamo", commenta a caldo il viceministro, Mariangela Bastico che continua: "Con l’obbligo a 16 anni, la riforma dei tecnici e dei professionali e l’integrazione dell’area post diploma abbiamo smontato e cambiato una parte fondamentale della riforma Moratti, evitando la svalorizzazione dell’istruzione tecnico e professionale". Il tutto evitando la deriva degli istituti professionali che secondo il disegno morattiano sarebbero dovuti passare alle regioni.
* la Repubblica, 25 gennaio 2007
Sul tema, a livello più ampio e generale, cfr.:
Esclusivo
Nuovo trucco di Fioroni per finanziare le private
Una bozza di un regolamento allo studio
di Simone Verde (il manifesto, 13.10.2007)
Generalizzare e consolidare i finanziamenti alle scuole private. È l’obiettivo di un regolamento allo studio del ministero della pubblica istruzione, di cui il manifesto è riuscito a intercettare una bozza. Una bozza che, qualora invariata, permetterebbe di distribuire indiscriminatamente fondi pubblici a tutte le scuole elementari paritarie. Il tentativo è sempre lo stesso, ma il processo per aggirare il divieto di finanziamenti dello stato questa volta è più macchinoso del solito e per essere compreso richiede qualche passo a ritroso. Tutto cominciò nel 2000, con una legge dell’allora ministro della pubblica istruzione Luigi Berlinguer che, dando seguito alla Costituzione, stabilì i criteri per parificare l’istruzione pubblica e privata. Nel 2003, poi, arrivò Letizia Moratti, che si servì del provvedimento per giustificare aiuti alle famiglie con figli iscritti nelle scuole private. Il provvedimento fece molto discutere, ma funzionò. E permise di affermare il principio che lo stato, per promuovere la parità scolastica e per garantire a tutti un’ampia offerta formativa, dovesse investire denaro.
Cambiata maggioranza, fu compiuto un ulteriore passo, questa volta ad opera dell’attuale ministro Giuseppe Fioroni. Il quale grazie a un decreto dello scorso giugno è riuscito nella quadratura del cerchio, affermando apertamente la necessità di «sostenere la funzione pubblica svolta dalle scuole paritarie nell’ambito del sistema nazionale di istruzione» attraverso «contributi destinati alle scuole dell’infanzia, primarie e secondarie di primo e secondo grado in possesso del riconoscimento di parità». Un passo fin qui impensabile con cui si aggira definitivamente il dettato costituzionale e si riesce a stabilire che lo stato deve assumersi l’onere di finanziamenti diretti alle scuole private. Il provvedimento è tanto più scaltro che non avviene attraverso nuove leggi, ma a colpi di decreti ministeriali e di interpretazioni estensive di norme già esistenti per evitare polemiche e scomodi dibattiti parlamentari. Ne scaturisce una vera e propria rivoluzione di velluto, con conseguenze estremamente negative sull’amministrazione scolastica che vede moltiplicare regolamenti, bizantinismi e cavilli, in un caos burocratico in cui tutto diventa possibile.
In un decreto ministeriale dello scorso maggio, così, sono stati stanziati «alle scuole primarie paritarie (...)19.367 euro per ciascuna delle classi»; «a ciascuna scuola paritaria secondaria di I grado (...) 2.500 euro» e «1000 euro per ciascuna classe»; «a ciascuna scuola paritaria secondaria di II grado (...) 4000 euro a scuola e 2000 euro a classe». Prossimo passo, il regolamento delle convenzioni con le scuole elementari, la cui uscita è prevista per la prossima settimana e di cui è riprodotta a lato la bozza. Una bozza in cui viene ribadita la volontà di finanziare direttamente il privato, con il pretesto di garantire la pluralità dell’offerta formativa e di promuovere la parità stabilita nel 2000 dal ministro Berlinguer. Nel caso della bozza, i finanziamenti alla scuola elementare parificata fino ad oggi destinati soltanto agli istituti gratuiti, ora sono estesi a tutti: omettendo il vincolo della gratuità, infatti, anche se avrà rette costosissime, la scuola privata riceverà comunque i soldi dello stato. «L’ufficio scolastico regionale - si legge così all’art. 5 - si impegna a corrispondere al gestore, nei limiti dello stanziamento di bilancio sull’apposito capitolo di spesa, il contributo annuo fissato dal decreto del Ministro». In assenza di limiti, dunque, gli stanziamenti sono estesi a qualsiasi istituto che abbia ottenuto la parificazione.
Ma i vantaggi non si fermano qui. Oltre al denaro, infatti, agevolazioni sono garantite da ulteriori omissioni. Prima tra tutte quella che riguarda la percentuale massima di precari che possono essere assunti da ogni istituto. Un aspetto che richiede da anni un chiarimento definitivo e su cui il documento tace, permettendo così che continui lo sfruttamento indiscriminato di docenti con contratti atipici, salari bassissimi, contributi inferiori ai colleghi di ruolo e stipendi che non coprono i periodi di ferie. Un ulteriore vantaggio che rafforzerà l’integrazione tra pubblico e privato teorizzata da Fioroni nell’ambito di «un sistema misto» in cui la scuola pubblica continua a subire restrizioni finanziarie mentre vengono moltiplicati i fondi per le scuole confessionali.
UNA RIFLESSIONE SULLA POLITICA DELLA LINGUA E LA LINGUA DELLA POLITICA di M. Ainis (evidenziazione mia, fls)
di MICHELE AINIS (La Stampa, 29/1/2007)
Domanda alla politica e ai politici: per una volta potremmo chiamare le cose con il loro vero nome? Giacché nell’infinita baruffa tra i partiti sull’eutanasia e sui Pacs c’è a quanto pare un solo punto che li mette d’accordo.
Guai a pronunziare queste due parole nelle future leggi che regoleranno (si fa per dire) la questione. Da qui le acrobazie verbali del programma dell’Unione a proposito delle famiglie di fatto, sette righe che parrebbero dettate dalla Sibilla cumana. Da qui i sofismi sulla «buona morte», dove un demone classificatore distingue fra eutanasia attiva e passiva, accanimento terapeutico, consenso informato, rifiuto di cure, testamento biologico, suicidio assistito. Da qui, infine, la vertigine che prende alla gola gli italiani: secondo l’Eurispes 6 su 10 non capiscono dove stia la differenza fra eutanasia e rifiuto dell’accanimento terapeutico. Non ci ho capito granché nemmeno io, per quanto mi ci sia sforzato. Dopotutto se l’eutanasia è una morte provocata su richiesta del malato, conta assai poco il modo con cui questo dolente appello venga in concreto soddisfatto. E infatti quando la domanda è chiara lo è altrettanto la risposta: sempre l’Eurispes attesta che il 68 per cento degli italiani è favorevole all’eutanasia, mentre i contrari sono soltanto 2 su 10. Conta qualcosa la volontà degli elettori? E quanto conta il fatto che in Italia le donne coniugate nel 2005 fossero appena 334.690 in più delle non coniugate? Quanto conta che le convivenze stiano ormai per sopravanzare i matrimoni, e che questo fenomeno si consumi tuttavia in un deserto di diritti?
C’è insomma un problema, anzi un doppio problema, che la società civile rivolge alla politica. Ma la politica parrebbe incapace di risposte, paralizzata dai veti incrociati fra i partiti che vivono lassù nel Palazzo. E allora prova a neutralizzare i conflitti ponendo un tabù sulle parole che designano i conflitti, vittima di quel «terrore semantico» di cui parlò Calvino, come se la vita e il mondo fossero indecenti, e dunque andassero per quanto possibile oscurati. Ma soprattutto finge di trovare soluzioni, scrivendo leggi amletiche, assumendo decisioni che infine non decidono.
Succede innanzitutto sulle questioni di fine vita. Un disegno di legge che ha quali primi firmatari Villone e Marino disciplina il rifiuto di trattamento sanitario, pur ammettendo che questo diritto è già sancito dalla Costituzione, e che perciò la legge non sarebbe necessaria. E allora perché mai approvarla? Un’altra proposta regola il testamento biologico, benché - come ha ricordato Umberto Veronesi - sette milioni di tedeschi già lo pratichino pur in assenza d’ogni prescrizione normativa. Ma succede altresì sui Pacs, dove la questione più spinosa - il diritto alla pensione di reversibilità - parrebbe rinviata alle calende greche. Sul resto viceversa c’è un accordo, o forse un cruciverba. Non riconoscimento ma «accertamento» delle unioni di fatto. Non un registro ma un certificato. Diritti agli individui, non già alla coppia. Ma una coppia non è formata da due individui?
Insomma c’è da riesumare con urgenza la virtù della chiarezza, tirandola fuori dalla tomba in cui l’ha ormai sepolta la politica italiana. Anche perché altrimenti qualsiasi legge sui temi etici rischia di diventare come quel libertino di mezza età di cui parlò Calamandrei sui banchi dell’Assemblea costituente: un’amante giovane gli aveva strappato via tutti i capelli bianchi per ringiovanirlo, mentre l’anziana moglie gli aveva tolto quelli neri per renderlo più vecchio. Col risultato che il libertino rimase infine con la testa completamente calva. Sicché se il legislatore è un po’ il nostro barbiere, c’è almeno una preghiera da rivolgergli: per carità, non ci rasate a zero.