[...] La filosofia comune a tutti i membri della squadra, aggiunge Obama, è che "non possiamo avere una Wall Street che prospera se non prospera anche Main Street". Il presidente eletto ribadisce la necessità di un ampio piano anticrisi "da attuare subito" ma da coordinare, comunque, con gli altri paesi.
Nella conferenza stampa di presentazione del suo team economico, spiega che il piano punta a creare due milioni e mezzo di nuovi posti di lavoro entro gennaio del 2011 e a porre fine al "circolo vizioso" innescato dalla crisi [...]
Geithner e Summers con Obama
"Le migliori menti d’America"
CHICAGO - "Abbiamo riunito le migliori menti d’America" per affrontare una crisi economica "di proporzioni storiche", di fronte alla quale "non c’è un minuto da perdere". Barack Obama presenta così la squadra che dovrà orchestrare il suo New Deal per tirare fuori dal crac l’economia americana.
E conferma i ruoli chiave del team:
Timothy Geithner ministro del Tesoro,
Larry Summers alla guida del Consiglio nazionale per l’economia alla Casa Bianca,
Christina Romer a capo del Council of Economic Advisers, organismo con compiti consultivi diretto in passato da Alan Greenspan e Ben Bernanke, che poi sono diventati presidenti della Federal Reserve.
La filosofia comune a tutti i membri della squadra, aggiunge Obama, è che "non possiamo avere una Wall Street che prospera se non prospera anche Main Street". Il presidente eletto ribadisce la necessità di un ampio piano anticrisi "da attuare subito" ma da coordinare, comunque, con gli altri paesi.
Nella conferenza stampa di presentazione del suo team economico, spiega che il piano punta a creare due milioni e mezzo di nuovi posti di lavoro entro gennaio del 2011 e a porre fine al "circolo vizioso" innescato dalla crisi.
Il piano "avrà i contenuti e le dimensioni necessarie per riportare l’economia in pista, ma non voglio rendere pubblici i numeri in questo momento", dice Obama, che giudica con favore le iniziative recenti dell’amministrazione Bush ma rileva che "non c’è un minuto da perdere" perché "queste straordinarie pressioni sul nostro sistema finanziario rendono necessarie risposte straordinarie dalla politica". In ogni caso, aggiunge, "avremo la necessità di coordinarci con altri paesi nel mondo per mettere a punto una risposta globale".
In questa fase, comunque, il neopresidente non vuole "discutere di numeri" e quindi non fornisce cifre sul piano. "Dobbiamo essere certi che sia vasto abbastanza - precisa - da provocare una scossa nel sistema economico. Faremo in modo che scuota l’economia per farla tornare in forma, c’è un consenso a livello politico sul fatto che ci sia bisogno di un nuovo stimolo e, cosa rara, su questo c’è convergenza di vedute fra economisti conservatori ed economisti liberali". I media hanno ipotizzato un intervento di dimensioni comprese tra i 500 e i 700 miliardi di dollari, anche se alcune fonti si sono spinte a ipotizzare la necessità di un intervento da 1.000 miliardi di dollari.
Quanto alla crisi del settore auto, "non permetteremo che fallisca" afferma Obama, pur ripetendo che Washington non darà alle industrie "un assegno in bianco". E il fatto che le tre grandi dell’automobile, Gm, Ford e Chrysler, non abbiano presentato al Congresso proposte efficaci per uscire dalla crisi "mi ha sorpreso - chiosa il presidente eletto - ci devono dire che cosa vogliono fare sia in termini di produzione, sia in termini di riconversione".
* la Repubblica, 24 novembre 2008
24 Nov 2008
Chi è Geithner: un simil-Obama al Tesoro? *
Timothy Geithner, il neosegretario al tesoro scelto da Obama, oltre alla stessa età (47 anni) ha in comune un altro importante tratto biografico col presidente eletto. E’ una caratteristica rara nella maggioranza degli americani: Geithner ha avuto una vita cosmopolita costellata di importanti esperienze all’estero. Il superministro economico prelevato dai vertici della Federal Reserve - la banca centrale - è l’architrave del progetto Obama, l’uomo del New-New Deal che deve salvare l’America e il mondo dalla terribile morsa a tenaglia fatta di recessione e deflazione. E’ un tecnocrate indipendente, un uomo delle istituzioni, un tutore dell’interesse pubblico. Il quale ha prevalso nella selezione di Obama a scapito di altri candidati ottimi ma legati proprio agli interessi delle grandi banche e società finanziarie, che pure gravitano nell’entourage democratico. Dopo che l’establishment di Wall Street ha subìto un crollo di credibilità, perfino il mondo della finanza sente il bisogno di aggrapparsi a un’autorità imparziale per uscire dal tunnel. Non è solo in questione la caratura etica della nuova Amministrazione. Certo, dopo che il Gotha del credito è stato sommerso da un’ondata di indignazione popolare, sarebbe stato imprudente richiamare in servizio l’ex ministro del Tesoro di Bill Clinton, Robert Rubin, che è stato per anni il numero uno di Citigroup.
Al di là dei potenziali conflitti d’interessi, s’impone un nuovo tipo di sospetto: chiunque abbia avuto legami con l’èra della finanza creativa non passa più automaticamente il test della credibilità professionale. La storia di Geithner è interessante per le sue anomalìe rispetto al tradizionale curriculum delle élites dirigenti americane. Ha trascorso lunghi periodi della sua vita a Tokyo, Delhi e Bangkok, ha lavorato per un’istituzione multilaterale come Il Fondo monetario.
Appartiene a quella razza di “nuovi nomadi” che molti americani avevano sempre guardato con diffidenza, fino al 4 novembre e alla vittoria di Obama. Anche nella sua esperienza di civil servant, come alto funzionario del Tesoro Usa sotto il tandem Rubin-Summers, Geithner portò una spiccata visione internazionalista. E’ stato ricostruito nei dettagli il ruolo decisivo che lui ebbe in una notte tempestosa del ponte di Thanksgiving, esattamente 11 anni fa, quando ai vertici del Tesoro di Washington bisognava decidere il da farsi di fronte all’ultima crisi globale: l’effetto-domino partito nel 1997 dalla svalutazione thailandese, che stava contagiando tutte le nazioni del sudest asiatico con gravi fughe di capitali e insolvenze. Anche allora c’era sul tappeto l’opzione di “lasciar fare il mercato”. Fu il giovane Geithner a convincere Rubin di venire in soccorso ai “dragoni” con un piano di aiuti da 100 miliardi di dollari. La sua capacità di tener testa ai capi e di esprimere un dissenso ragionato fece crescere la stima di Rubin e Summers, che in seguito vollero Geithner alla guida della Federal Reserve di New York.
Nel sistema americano la Federal Reserve è per l’appunto un’autorità monetaria federativa: la banca centrale degli Stati Uniti si trova al vertice di banche centrali regionali (uno schema replicato in una certa misura dalla Bce di Francoforte nei suoi rapporti con le banche centrali nazionali dei paesi dell’Eurozona). Il governatore della banca centrale di New York è il più importante dopo il presidente della Fed Ben Bernanke. L’autorità di New York infatti è quella che gestisce direttamente gli interventi sulle istituzioni finanziarie di Wall Street.
Come governatore quindi Geithner ha accumulato un’esperienza tecnica di primissimo livello. Da mesi lui è in trincea, a pompare liquidità e chiudere le falle che si aprono nel sistema del credito. Geithner è un perfetto “manager delle crisi”, lucido e con i nervi saldi; tuttavia non è un profeta portatore di nuove dottrine economiche. Con questo banchiere centrale Obama si è dato un collaboratore credibile, autorevole e indipendente. Ma la grande “visione” per trainare l’America fuori dalla crisi spetta solo al presidente.
24 Nov 2008
Obama, Citigroup, e il “caso” Robert Rubin *
300 miliardi di dollari di garanzie statali, più 20 miliardi di ricapitalizzazione immediata, da aggiungersi ai 25 miliardi già versati settimane fa. Anche per i democratici il cosotosissimo salvataggio pubblico di Citigroup è un terreno minato: chiama in causa la responsabilità dell’Amministrazione Clinton e dei suoi uomini di punta, alcuni dei quali sono autorevoli consiglieri economici di Obama.
Il nome più esposto è quello di Robert Rubin. Già esponente di spicco della Goldman Sachs negli anni Ottanta, Rubin divenne ministro del Tesoro di Clinton ed ebbe un ruolo importante nell’abolizione del Glass-Steagall Act: la legge varata dopo la Grande Depressione per ridurre i rischi del sistema bancario distinguendo le investment bank dalle banche di deposito. L’abolizione del Glass-Steagall Act appare come un errore fatale che ha aperto una nuova fase nell’ipertrofìa abnorme della finanza creativa. Fu quella riforma che facilitò la fusione tra Citicorp e Travelers, da cui nacque l’attuale Citigroup, nel 1998. Come non bastasse, al termine del suo mandato nell’Amministrazione Clinton, Rubin fu nominato presidente proprio della Citigroup, di cui è rimasto uno dei più autorevoli consiglieri fino a un’epoca recente. In quel ruolo fu lui a spingere perché Citigroup assumesse rischi sempre più elevati, per rincorrere il modello di business di Goldman Sachs.
Genera sconcerto la notizia che alla Citigroup non è stata posta nessuna condizione in cambio del massiccio dispiegamento di aiuti statali: neppure la rimozione del top management figura all’ordine del giorno, un provvedimento che in questi casi è il minimo prezzo da pagare. A condizioni così generose e lassiste, altre banche potranno essere tentate di chiedere “il trattamento Citigroup”. Inoltre poche settimane fa, con la benedizione del Tesoro e la promessa di ulteriori aiuti pubblici, la Citigroup stava per comprare un’altra banca in difficoltà, Wachovia. Per fortuna Wachovia è finita sotto il controllo di Wells Fargo, ma nessuno può fugare il sospetto che il management di Citigroup volesse impadronirsene per “fondere” due voragini di perdite e occultare le proprie responsabilità.
Il disastro Citigroup chiama pesantemente in causa la stessa banca centrale. Non essendo una investment bank (come lo erano Bear Sterns, Lehman Brothers e Merrill Lynch) bensì una tradizionale banca di depositi, Citigroup ricade sotto i pieni poteri di vigilanza della Federal Reserve, che non ne esce certo a testa alta. Ma i sospetti più infamanti riguardano Rubin. Durante questo weekend Rubin ha guidato in prima persona le trattative di Citigroup con il Tesoro. Creando così un pericoloso conflitto d’interessi con il suo altro ruolo: consigliere di Obama. E nello staff economico presentato dal neopresidente figurano l’amico e collega prediletto di Rubin, Larry Summers, nonché il figlio di Rubin, James. Un brutto pasticcio, aggravato dal fatto che Rubin ha ricevuto dalla Citigroup 160 milioni di dollari di compensi mentre gli azionisti della banca perdevano 250 miliardi.
* la Repubblica - ESTREMO OCCIDENTE. Blog di Federico Rampini, 24.11.2008