[...] C’è un paese che non ha più una classe dirigente ma solo veline e velini disposti a tutto pur d’avere due minuti su un telegiornale e un titolo di prima pagina su un quotidiano.
Possiamo esser tranquilli in mezzo a questo "tsunami"? Due punti fermi negli ultimi tre giorni ci sono stati. Il primo è la correttezza e la forza di Giorgio Napolitano di fronte agli sguaiati tentativi di coinvolgerlo e il richiamo del Capo dello Stato al principio della divisione dei poteri che rappresenta il cardine dello Stato di diritto e che, in verità, Berlusconi ha calpestato e calpesta da dieci anni a questa parte. Le leggi "ad personam" e la sua prassi di governo lo provano a sufficienza, quale che sia in proposito l’opinione della nuova borghesia sponsorizzata e immaginata da Montezemolo e dal giovane Colaninno.
Il secondo punto di tranquillità è venuto dalle Considerazioni finali esposte il 31 maggio dal governatore della Banca d’Italia. Draghi, con una prosa secca quanto lucida e documentata, ha segnalato le luci e le ombre dell’economia italiana distribuendole equamente tra la classe politica, le parti sociali, gli operatori economici. Ha dato a ciascuno il suo, nessuno è stato privato dei riconoscimenti meritati e del fardello di critiche altrettanto dovute [...]
La destra giacobina a passo di carica
di EUGENIO SCALFARI *
La maionese è impazzita. Quando avviene questo incidente culinario (e può accadere anche se le uova sono fresche di giornata) non c’è che buttarne il contenuto e ricominciare pazientemente da capo. Un’altra immagine dello stesso fenomeno che ho usato qualche mese fa è quella dello specchio rotto. Lo specchio è uno strumento che serve a riflettere l’immagine. Se si rompe in tanti frammenti l’immagine non c’è più e sopraggiunge una sorta di cecità, sia che si tratti d’un soggetto individuale sia - peggio ancora - d’un soggetto collettivo.
Ma nel caso nostro, voglio dire nella società italiana, nelle forze politiche e sociali che ne sono parti rilevanti, nella classe dirigente che dovrebbe guidarla ed esserne punto di riferimento e di esempio, non ci sono più nemmeno i frammenti di quello specchio. Si direbbe che un cingolato ci sia passato sopra e l’abbia polverizzato. Così si procede a tentoni, animati solo dall’istinto di sopravvivenza, dagli spiriti animali, dalla psicologia del branco, dai legami corporativi.
La razionalità non fa più parte del nostro bagaglio intellettuale e morale. È stata picconata da tutte le parti la razionalità; accusata di essere all’origine dei delitti e del più grave tra tutti - quello della superbia. Così la luce della ragione è stata spenta, nuove ideologie si sono installate al posto di quelle crollate in rovina, fondamentalismi d’ogni tipo hanno preso il posto della tolleranza e della certezza del diritto. I circuiti mediatici hanno dato mano a questa devastazione e salvo rarissime eccezioni ancora continuano in questa funzione amplificatoria e istigatrice del peggio, accreditando e ventilando versioni dei fatti prive di verità e di ragione.
Questo complesso di circostanze ha toccato il suo culmine nel conflitto in atto tra il governo e il generale comandante della Guardia di finanza, Roberto Speciale. Un conflitto certamente grave perché motivato da ragioni tutt’altro che futili, ma che sta coinvolgendo le massime istituzioni repubblicane in un contesto, appunto, di impazzimento generale sapientemente alimentato da una psicologia del tanto peggio tanto meglio che ha ora raggiunto livelli mai visti prima.
Ci occuperemo dunque di questa incredibile vicenda cercando di chiarirne gli elementi di fatto con la massima obiettività possibile in questi chiari di luna. Non senza avvertire che essa è soltanto l’ultimo episodio d’una serie che costella da anni il costume nazionale gettando nello sconforto tutte le persone di buona fede e di buona volontà che costituiscono ancora la maggioranza del Paese e assistono impotenti e senza voce allo scempio della ragione.
Sarò conciso nel rievocare fatti già noti ma spesso trascurati o volutamente stravolti. E comincio dalla fine, cioè da quanto è avvenuto ieri, 2 giugno, festa della Repubblica.
La giornata è cominciata malissimo. A Roma nella tribuna dalla quale le autorità dello Stato assistevano alla parata delle Forze armate mentre sfilavano i vari corpi, le storiche bandiere dei reggimenti con i medaglieri guadagnati sui campi di battaglia e nelle rischiose missioni di pace, andava in scena una lite continua e sommamente disdicevole tra i rappresentanti dei due schieramenti politici, seduti alle spalle del presidente della Repubblica.
Poco dopo il capo dell’opposizione, Silvio Berlusconi, interrogato dai giornalisti sull’intenzione di chiedere udienza al Capo dello Stato per rappresentargli una situazione definita di "attentato alla democrazia" da lui e da tutti gli altri componenti del centrodestra, rispondeva: "Quella visita al Quirinale sarebbe nei nostri desideri, ma purtroppo non c’è più nessuna istituzione che ci dia garanzie d’indipendenza: la sinistra le ha occupate tutte".
Affermazione della quale è superfluo segnalare la gravità e che, pronunciata da chi ha guidato il governo per cinque anni e da un anno guida l’opposizione, segnala - essa sì - un degrado democratico che colpisce il presidente della Repubblica in prima persona e il suo ruolo di massima garanzia.
Prodi dal canto suo, nel corso di un drammatico Consiglio dei ministri avvenuto il giorno prima, di fronte alle reiterate divisioni sull’uso delle risorse disponibili, aveva detto: "Se si continua così io me ne vado, ma non vi illudete pensando a soluzioni dopo di me perché dopo di me ci sono soltanto le elezioni". Si può capire il perché di questa affermazione, volta a richiamare all’ordine gli alleati riottosi, ma non toglie che si tratti d’una forzatura poiché non spetta a Prodi stabilire che cosa potrebbe avvenire dopo le sue eventuali dimissioni; spetta soltanto al Capo dello Stato dopo che abbia consultato i gruppi parlamentari.
Quanto a Napolitano, egli ha più volte ripetuto che non intende sciogliere le Camere con la vigente legge elettorale che le rende ingovernabili e comunque senza prima aver accertato l’esistenza o meno d’una maggioranza parlamentare che possa dare fiducia ad un governo istituzionale insediato per formulare una nuova legge elettorale e adempiere ai compiti urgenti che incombono sulle materie dell’economia, della finanza pubblica e della sicurezza nazionale.
Infine lo stesso Napolitano ha dichiarato che il tema della Guardia di Finanza e della rimozione del suo comandante generale esulano dalle sue competenze. In quelle stesse ore, nel corso d’un convegno dei giovani industriali a Santa Margherita, Gianfranco Fini insultava pesantemente il ministro dell’Industria, Bersani, ottenendo dalla platea un’ovazione da curva sud dello stesso tipo di quelle ottenute da Berlusconi a Vicenza alcuni mesi fa sotto lo sguardo allora allibito di Montezemolo e del vertice della Confindustria.
Spettacolo preoccupante, quello di Santa Margherita; non perché gli industriali non possano applaudire un uomo di partito che esprime le sue idee, ma perché quell’uomo di partito è lo stesso che ha condiviso quella politica che ha portato il reddito nazionale a crescita zero, il debito pubblico a risalire, l’avanzo primario del bilancio a scomparire, la pressione fiscale ai suoi massimi, i fondi per le infrastrutture inesistenti e le liberalizzazioni interamente inevase. Questo, ad oggi, il grado di impazzimento di quella maionese di cui si è parlato all’inizio.
Ma ora risaliamo a quanto è accaduto tra il vice ministro delle Finanze e il generale Speciale. Ecco i fatti nella loro crudezza.
1. Speciale presenta a Visco qualche mese fa un piano di avvicendamenti comprendenti l’intero quadro di comando della G. d. F. Motivazione: è prassi che ogni tre anni gli incarichi siano avvicendati per ragioni di funzionalità.
2. Visco esamina il piano e vede che l’avvicendamento riguarda tutti i comandi salvo quelli di Milano e della Lombardia. Ne chiede ragione. Speciale, in ottemperanza, si impegna a riformulare il piano includendovi i comandi della Lombardia.
3. Visco sa benissimo il motivo dell’esclusione dei generali e dei colonnelli che hanno incarichi dirigenti a Milano: si è formato da anni in quella provincia un gruppo di potere collegato con il comando generale di Roma. Risulta a Visco che quegli ufficiali abbiano "chiuso gli occhi" su gravissime irregolarità verificatesi nel sistema delle intercettazioni telefoniche, avvenute nel corso di scalate finanziarie a banche e a giornali.
Alcuni di quei documenti sono stati trafugati e consegnati a giornali di parte per la pubblicazione. In alcuni casi le intercettazioni non sono neppure arrivate all’ufficio del Pubblico Ministero ma trafugate prima e consegnate ai giornali senza che la magistratura inquirente ne avesse preso visione.
4. Passano i giorni e le settimane ma Speciale non consegna il nuovo piano di avvicendamento.
5. Nel frattempo lo stesso Speciale avvisa, all’insaputa di Visco, il procuratore della Repubblica di Milano che i comandi della G. d. F. milanese stanno per essere sostituiti. Il procuratore si preoccupa per i nuclei di polizia giudiziaria che operano ai suoi ordini effettuando inchieste delicate e importanti. Speciale lo invita a mettere per iscritto quelle preoccupazioni. Arriva la lettera del procuratore. Speciale la mostra a Visco.
6. Visco, dopo aver riesaminato la pratica, telefona a Speciale per manifestare la sua sorpresa e il suo malcontento. Speciale mette in vivavoce la telefonata alla presenza di due alti ufficiali che ascoltano la conversazione.
7. Il tribunale di Milano, richiesto di verificare lo stato dei fatti in via di accertamento, esclude che esista alcuna indebita interferenza da parte di Visco.
8. Speciale rende pubblico il conflitto in atto presentandolo come un’interferenza di Visco sull’autonomia della G. d. F. Di qui i seguiti politici che conosciamo e che portano all’autosospensione di Visco dalla delega sulla G. d. F. e alla rimozione di Speciale dal comando generale per rottura del rapporto fiduciario tra lui e il governo.
Dove sia in questa arruffata vicenda l’attentato alla Costituzione e alla democrazia denunciato con voce stentorea da Berlusconi e da tutti i suoi alleati, Casini compreso, è un mistero.
Il vice ministro delle Finanze aveva - ed ha - il fondato sospetto di gravi irregolarità compiute da alcuni comandi collegati con il comando generale. Rientra pienamente nei suoi poteri stimolare il comando generale ad avvicendare i generali non affidabili. Alla fine, accogliendo le preoccupazioni del procuratore di Milano, lo stesso Visco consente ad escludere i comandi milanesi dall’avvicendamento dei quadri nel resto d’Italia.
Tra i dettagli (dettagli?) incredibili c’è quella telefonata messa in vivavoce all’insaputa dell’interlocutore ed ascoltata da due ufficiali di piena fiducia dello Speciale. Basterebbe questo dettaglio a rimuoverlo dal comando. Del resto - e purtroppo - non è la prima volta che il comando generale della G. d. F. dà luogo a gravissimi scandali. Almeno in altre due occasioni dovette intervenire la magistratura penale e fioccarono pesanti condanne di reclusione.
Ovviamente ciò non lede il valore e l’affidabilità di quel corpo militare, così come i tanti casi di pedofilia dei preti non vulnerano l’essenza della Chiesa quando predica il Vangelo. Certo ne sporca l’immagine e quindi danneggia fortemente la Chiesa. Così le malefatte di alcuni generali e perfino del comandante generale pro-tempore non inficiano l’essenza d’un corpo chiamato a tutelare le finanze dello Stato ma certamente ne sporcano l’immagine.
Quanto a Visco, quando il conflitto si è fatto rovente tracimando nella politica e in Parlamento, ha restituito la delega in attesa che si pronunci la magistratura di Roma che nel frattempo ha aperto un’inchiesta contro ignoti su quel tema.
C’è un’orchestrazione sapiente in tutto questo. La ricerca della spallata che tarda a venire. L’uso delle proteste provenienti dai tanti interessi corporativi. I danni gravi dell’eterno litigio all’interno del governo e della coalizione che lo sostiene. Il voto elettorale certamente sfavorevole al centrosinistra specie nel Nord. Il riemergere del massimalismo della Lega e dei falchi berlusconiani. Le rivalità fra i riformisti del centrosinistra per la leadership del Partito democratico. La sinistra radicale imbizzarrita.
C’è un paese che non ha più una classe dirigente ma solo veline e velini disposti a tutto pur d’avere due minuti su un telegiornale e un titolo di prima pagina su un quotidiano.
Possiamo esser tranquilli in mezzo a questo "tsunami"? Due punti fermi negli ultimi tre giorni ci sono stati. Il primo è la correttezza e la forza di Giorgio Napolitano di fronte agli sguaiati tentativi di coinvolgerlo e il richiamo del Capo dello Stato al principio della divisione dei poteri che rappresenta il cardine dello Stato di diritto e che, in verità, Berlusconi ha calpestato e calpesta da dieci anni a questa parte. Le leggi "ad personam" e la sua prassi di governo lo provano a sufficienza, quale che sia in proposito l’opinione della nuova borghesia sponsorizzata e immaginata da Montezemolo e dal giovane Colaninno.
Il secondo punto di tranquillità è venuto dalle Considerazioni finali esposte il 31 maggio dal governatore della Banca d’Italia. Draghi, con una prosa secca quanto lucida e documentata, ha segnalato le luci e le ombre dell’economia italiana distribuendole equamente tra la classe politica, le parti sociali, gli operatori economici. Ha dato a ciascuno il suo, nessuno è stato privato dei riconoscimenti meritati e del fardello di critiche altrettanto dovute.
Personalmente temevo che il tecnocrate Draghi si mettesse sulla scia della protesta confindustriale legittima ma sciupata dalla salsa demagogica servita a piene mani nell’Auditorium di Roma e in quello di Santa Margherita. Non è stato così e ne sono ben lieto. Draghi ha reso un servizio al paese, come ha fatto Mario Monti in altre occasioni. Come fece Ciampi nelle varie tappe della sua vita al servizio delle istituzioni.
Queste persone ci danno calma e recuperano la morale e la ragione. Seguendo questa traccia si potrà forse costruire uno specchio nuovo e recuperare un’immagine decente di noi stessi e d’un paese deviato dai cattivi esempi a ingrandire il fuscello che sta nell’occhio altrui senza occuparsi della trave che acceca il proprio.
* la Repubblica, 3 giugno 2007
Il documento del governo con le accuse al generale Speciale
Le deleghe al Vice Ministro Visco che comprendono anche l’esercizio dei poteri nei confronti della Guardia di Finanza furono attribuite dal Consiglio dei Ministri il giorno 7 giugno 2006. A partire da quella data il Vice Ministro iniziò -come è prassi costante - una serie di incontri e colloqui con i vertici della Amministrazione Civile e Militare al fine di verificare le problematiche aperte, le difficoltà esistenti e ogni altro elemento utile all’attività di Governo. Per quanto riguarda la Guardia di Finanza fu sentito il Generale Speciale, Comandante Generale, una prima volta il 9 giugno e successivamente il 26 giugno e il 13 luglio; furono ascoltati inoltre, il Comandante in Seconda, Generale Pappa, il Generale Favaro che avrebbe assunto l’incarico di Comandante in Seconda dopo pochi mesi, il Generale Spaziante, Capo di Stato Maggiore, e il Generale Poletti, Sottocapo di Stato Maggiore[...].
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Sul tema, nel sito, si cfr.
Il plenum del Consiglio superiore della magistratura interviene sull’attività di spionaggio sui giudici
"Il Sismi ha svolto un’attività estranea ai compiti dei servizi fatta per intimidire e far perdere credibilità"
Toghe spiate, Csm contro il Sismi
"Fu il servizio e non settori deviati" *
ROMA - E’ stato il Sismi e non i "settori deviati" del servizio a svolgere l’attività di spionaggio nei confronti magistrati che è venuta alla luce con la scoperta dell’archivio di via Nazionale a Roma. A dirlo è una risoluzione approvata all’unanimità dal Plenum del Csm.
Secondo il Consiglio superiore della magistratura il Sismi ha svolto un’attività "estranea" ai suoi compiti con lo scopo "intimidire" e far "perdere credibilità " ai magistrati.
Il vicepresidente del Csm Nicola Mancino, prima dell’approvazione da parte del plenum di Palazzo dei marescialli aveva dichiarato che "c’è stato uno sviamento di poteri da parte del Sismi. L’attività del servizio è andata al di là delle proprie attribuzioni e competenze".
La risoluzione del Csm arriva dopo le dichiarazioni dell’ex funzionario Pio Pompa che aveva voluto sminuire l’importanza dell’archivio. "La quasi totalità del materiale sequestrato nei miei pc personali - aveva scritto nella dichiarazione spontanea consegnata ieri pomeriggio al pm Pietro Saviotti - proviene da fonti aperte (internet, organi di informazioni, etc.). Le informazioni contenute nei files attinenti a magistrati sono tutte, ribadisco tutte, di fonte pubblica, giornalistica o informatica".
* LA REPUBBLICA, 4 luglio 2007
Voto al Senato su Speciale Padoa Schioppa: «Fu reticente»
Contestazioni, insulti e urla dalla Cdl *
Al Senato il ministro dell’economia Tommaso Padoa Schioppa inizia a parlare sul caso Speciale e la Guardia di Finanza e dai banchi della Cdl si sono alzate prima contestazioni e urla, poi sono apparsi cartelli con la scritta: «Ridateci la democrazia», cartelloni con la figura di Visco con su scritto "il padrino".
Dopo una giornata tesissima in Parlamento, la destra si presenta al dibattito come se andasse allo stadio. Gli ultrà di Berlusconi hanno interrotto subito Padoa Schioppa e il presidente del Senato Marini ha sospeso la seduta.
Si riassume così il comportamento della destra. Solo dopo una riunione dei capigruppo la seduta è ripresa e il ministro dell’Economia ha potuto fare il suo intervento. «Non voglio immaginare come gli italiani giudichino lo spettacolo che hanno visto», ha esordito il ministro. «L’obiettivo dominante del mio comportamento in questa delicatissima circostanza è stato restituire serenità e fiducia al corpo della Guardia di Finanza», ha detto Padoa-Schioppa. Per spiegare la rimozione del Generale della Guardia di Finanza, «ero consapevole della responsabilità che mi assumevo compiendo questo grave passo». Per quanto riguarda il comportamento del generale Roberto Speciale, fu reticente, poco trasparente ed eticamente scorretto. «Tutta la vicenda - ha affermato Padoa-Schioppa - è stata caratterizzata dall’assenza di una comunicazione serena e cooperativa, dalla mancanza di trasparenza, prudenza e riservatezza, e dal venir meno delle regole etiche e deontologiche che si chiama omissione». «La continua distorsione - ha aggiunto - di regole e procedure ha finito col deformare l’autonomia, che è indubbia prerogativa del Corpo, in qualcosa di diverso che chiamerei "separatezza", quasi che fosse venuto meno l’essenziale legame fra l’autorità di governo e il vertice del Corpo a servizio dello Stato».
Il ministro dell’Economia ha voluto rassicurare anche i tre senatori del gruppo svp che chiede rassicurazioni sulla politica fiscale: è «un tema all’attenzione del governo su cui sono pronto a un approfondimento», ha detto Padoa Schioppa. Nella risposta, il gruppo per le Autonomie ha dato il suo Sì all’odg della maggioranza.
La giornata in Senato
Il dibattito sul caso Visco è iniziato in mattinata con l’assicurazione del presidente Franco Marini che il decreto di nomina del generale D’Arrigo è alla registrazione della Corte dei Conti, non è stato respinto, come invece sostiene il senatore leghista Calderoli. Poco dopo l’assemblea era stata sospesa per consentire una riunione dei capigruppo su richiesta della Cdl. Nel corso della conferenza dei capigruppo il centrodestra ha chiesto il rinvio del dibattito fino a quando non verrà chiarita la vicenda della revoca e della nomina dei vertici della Guardia di Finanza.
In particolare, la Cdl voleva certezze sulla documentazione della Corte dei Conti che riguarda l’avvicendamento al vertice delle Fiamme Gialle tra il generale Roberto Speciale e il generale Cosimo D’Arrigo. La richiesta però non è stata accolta e la seduta è ripresa come da programma. L’opposizione «ne ha fatte di tutti i colori per far saltare il dibattito» dice il capogruppo dei Verdi-Pdci al Senato Manuela Palermi.
L’Unione è arrivata in Aula al Senato con un proprio ordine del giorno sul caso Visco-Guardia di Finanza. Lo voterà compatta e altrettanto compatta voterà contro tutti i documenti che presenterà la Cdl. Mercoledì è il giorno in cui l’Unione si gioca tutto. Ed un’altra tappa, un vero e proprio tour de force: alle 9.30 la presentazione delle mozioni e degli ordini del giorno, un lungo dibattito destinato a durare fino a sera, la replica del governo, affidata al ministro dell’Economia Tommaso Padoa Schioppa (il premier è al G8) dalle 19.40 alle 20, le dichiarazioni di voto e il voto, previsto intorno alle 22.30. In serata i capigruppo del centrosinistra hanno deciso di presentare un ordine del giorno di "apprezzamento" per l’operato delle Fiamme Gialle e di "condivisione" dell’operato del governo su cui ci sarebbe l’accordo di tutti.
«I numeri ci sono, siamo tranquilli», dice la capogruppo dell’Ulivo al Senato Anna Finocchiaro. L’ultima fibrillazione arriva dal ministro della Giustizia Clemente Mastella - che l’altro ieri aveva chiesto un odg della maggioranza per ribadire la solidarietà alle Fiamme Gialle -: «È ovvio - dice - che se non viene votato non c’è più il governo». Per una volta anche il collega alle Infrastrutture Antonio Di Pietro la pensa allo stesso modo. «Se non si vota l’odg tutti a casa il giorno dopo». E Giovanni Russo Spena, capogruppo del Prc al Senato, nota: «La maggioranza sarà unita e respingerà le mozioni della destra». ministro degli Esteri Massimo D’Alema, che mette in guardia: «Tutto questo è stato tirato fuori a scopo evidentemente scandalistico e di destabilizzazione, in coincidenza con un disegno per mettere in difficoltà il governo», ha spiegato il vice premier. «Ma se cade questo governo la probabilità maggiore è che si vada alle elezioni». Quindi, D’Alema ha difeso di nuovo l’operato dell’esecutivo: «Il governo ha il diritto di cambiare il comandante della Guardia di finanza quando viene meno il rapporto di fiducia».
E dopo il rientro di Mastella e Di Pietro, la maggioranza è, dunque, sicura di avere i voti necessari. Resta l’incognita dei senatori a vita. L’importante è raggiungere la fatidica quota 158 che garantisce di far passare l’odg di sostegno al governo, nell’aula di Palazzo Madama. Intanto la Casa delle Liberta tenta l’affondo. Silvio Berlusconi alza il livello dello scontro politico. Da una parte, chiede con forza il ritorno al voto o, in alternativa, un governo dello stesso colore che duri giusto il tempo di rivedere la legge elettorale. Dall’altra, rinnova l’appello al capo dello Stato perchè intervenga sul caso "Visco-Speciale". Il tutto sventolando prima la minaccia di uno sciopero fiscale e poi quello di una manifestazione di piazza sul modello del "no tax day". Ribadisce che, dopo la destituzione del generale della Guardia di Finanza Roberto Speciale, la situazione è «drammatica». Accusa il governo e il viceministro Vincenzo Visco di dire «bugie in continuazione» e di essere «arroganti». Poi, sollecitato dai giornalisti sul "niet" dell’Unione a qualsiasi ipotesi di elezioni anticipate, sbotta. «Ma perchè no? C’è bisogno che portiamo milioni di persone in piazza? O che inventiamo scioperi fiscali? Vogliono portarci a questo? Non credo e allora ci portino alle urne». Altrimenti, aggiunge, «facciano un governo, sempre della sinistra» per fare una nuova legge elettorale, ma poi subito al voto. «Tutto il resto - taglia corto - è poesia». Silvio Berlusconi ci ripensa e interviene in diretta telefonica alla trasmissione "Ballarò" per smentire di aver mai invitato la piazza allo sciopero fiscale. Decide di invertire la rotta. Precisa di non aver mai detto che proporrà uno sciopero contro le tasse, nè tanto meno di scendere in piazza. Ma aggiunge anche che «non bisogna tirare troppo la corda».
* l’Unità, Pubblicato il: 06.06.07, Modificato il: 06.06.07 alle ore 20.56
Dai dossier al segreto di Stato, tutti i punti da chiarire
Quella oscura ragnatela
che il governo non vuole vedere
di GIUSEPPE D’AVANZO
ROMA - In Occidente, solitamente, è la stampa a chiedere conto alla politica delle ragioni delle sue scelte; a pretendere luce là dove c’è ombra; a reclamare una coerenza nei comportamenti là dove avvista compromessi di basso profilo fra interessi opposti a danni del bene collettivo e dell’integrità delle istituzioni. Nel nostro bizzarro Paese avviene il contrario. E’ il governo a chiedere conto alla stampa delle sue cronache pur ammettendo che contengono "elementi di verità". Già quei frammenti di realtà imporrebbero al governo attenzione - se non proprio un chiarimento.
Se si volesse esagerare in retorica, si potrebbe anche sostenere che, per un esecutivo, dovrebbe essere un dovere istituzionale e morale dar conto in pubblico delle proprie decisioni che, a occhio nudo, appaiono contraddittorie o irragionevoli.
La bizzarria nazionale capovolge la scena. Fa sentire al ministro della Difesa, Arturo Parisi, il "dovere istituzionale e morale" di chiedere conto a questo giornale delle affermazioni contenute in una cronaca in cui si raccontava la "pervasività di un potere di pressione, condizionamento e ricatto" di una consorteria che definivamo una pidue per semplificazione evocativa: un "agglomerato oscuro" (la definizione è di un membro del governo in carica) che, avvantaggiato da un sistema politico frammentato, diviso e in debito di credibilità per i vizi, le anomalie e gli sprechi che si concede, è in movimento al "mercato della politica" per offrire i suoi servigi opachi.
Anche se stravagante, la richiesta di Arturo Parisi offre tuttavia l’opportunità di ritornare sulla questione con qualche dettaglio in più, utile al lettore. Il ministro della Difesa chiede di "dar conto" di tre questioni: (1) di documentare come si possa affermare "l’intenzione del governo in carica di tutelare, anche nella nuova stagione politica, il passato i traffici e la fortuna dei protagonisti del network" che a noi sembra governato dall’ex-direttore del Sismi, Nicolò Pollari; (2) di sapere come si può "sostenere che l’ammiraglio Bruno Branciforte (il nuovo direttore del Sismi) "viene consegnato a un imbarazzato stato di impotenza"; (3) di dar conto dei "margini di manovra dei "vecchi" che troverebbe prova nel fatto che un fidatissimo braccio destro del generale Pollari è al Personale della Difesa mentre, alle dipendenze del Direttore Generale, si interessa del reclutamento dei volontari a ferma breve delle Forze Armate".
Che, più del governo di centro-destra, il governo di centro-sinistra tuteli (1) "il passato, i traffici e la fortuna" di quel network, che ha in Nicolò Pollari il suo leader, non è solo documentato, è certo come il lunedì segue la domenica. Nicolò Pollari è imputato di aver accompagnato l’azione della Cia nel sequestro illegale di un cittadino egiziano. E’ un delitto eversivo dell’ordine costituzionale che viola la sovranità del nostro Stato e i diritti fondamentali della persona. Non proprio una marachella. A domanda della procura di Milano, nel novembre del 2005, il presidente del Consiglio Silvio Berlusconi esclude che ci sia il segreto di Stato sulla vicenda. Lo stesso fa Nicolò Pollari. Il 26 luglio del 2006, il presidente del Consiglio Romano Prodi, con un sorprendente ribaltamento e senza indicare alcuna ragione, oppone il segreto di Stato che dovrebbe seppellire per sempre l’affare. Di più, ricorre alla Corte Costituzionale; solleva un conflitto di competenza; denuncia "i comportamenti criminosi" dei magistrati di Milano. I fatti, ridotti all’osso, giustificano in abbondanza l’affermazione che, nel cambio di stagione politica, le responsabilità di Pollari abbiano ricevuto dal governo Prodi una tutela che Berlusconi non gli ha mai offerto. Della legittimità dell’iniziativa del governo deciderà ora la Corte Costituzionale. Il fascicolo alla Consulta ha come "relatore" Giovanni Maria Flick, che, in passato, è stato avvocato personale e ministro di Romano Prodi. Opportunità vorrebbe che il "relatore" designato si astenesse.
Si può sostenere che il nuovo direttore del Sismi, l’ammiraglio Bruno Branciforte, sia paralizzato nel suo comando (2)? Un esempio concreto. In un’intelligence, il settore Analisi, è un ganglio vitale. Quella Direzione ancora oggi, nel Sismi, non ha un responsabile. Se si escludono quattro nomine a "caporeparto", non si è mossa una foglia in quella "ditta", che pure qualche pasticcio ha combinato (Pollari organizza in via Nazionale un ufficio di dossieraggio e disinformazione) e dunque ha bisogno di una terapia urgente. Branciforte è ritenuto dal governo il miglior uomo in campo. Sapiente, esperto, deciso (il giudizio è largamente condiviso nelle Forze Armate). Perché un militare di cui tutti apprezzano l’energia appare agitarsi come una statua del Gianicolo? Tra gli addetti ai lavori si raccoglie una sola spiegazione. Non è oggi nelle condizioni per farlo.
Un intrigante braccio destro di Pollari, sostiene Parisi, è stato reclutato alla Difesa - è vero - ma è addirittura "alle dipendenze del Direttore Generale" (3) e si occupa di minuzie. E’ una replica? Si fa fatica a capirlo. Breve riepilogo. Quest’uomo, che Pollari definisce "il mio orecchio", dirige un "centro occulto" in via Nazionale. Affastella dossier contro "i nemici" di Silvio Berlusconi. Scheda rappresentanti del popolo, liberamente eletti (per dire, Cesare Salvi, Luciano Violante, Massimo Brutti, Sergio Cofferati); magistrati (Juan Ignatio Patrone); giornalisti (Serventi Longhi, Furio Colombo). Quel che è peggio - e dovrebbe forse inquietare il ministro - organizza alla vigilia delle elezioni un’operazione di discredito di Romano Prodi, candidato dall’opposizione a governare il Paese. C’è manovra più minacciosa per la democrazia? A questo pericolo si può opporre una soluzione burocratica ("è alle dipendenze del Direttore Generale")? Nemmeno un’opportunità istituzionale, ma soltanto quella che gli antropologi chiamano shame culture, la cultura della vergogna, avrebbe dovuto imporre al ministro l’esclusione del funzionario infedele dall’ambiente professionale e sociale di appartenenza. Non è avvenuto. E dunque è davvero "velenoso" parlare di un’irragionevole tutela?
Lo ripetiamo, è incomprensibile che a episodi così gravi e non contestati che deformano il confronto democratico, la libertà degli individui, i diritti costituzionali, si oppongano decisioni così storte e argomenti così minimalisti. Perché? Perché Luciano Violante, all’ipotesi di un "agglomerato oscuro" che si è messo al lavoro, replica: "Sono abituato a giudicare le cose che vedo e se si parla di poteri oscuri quelli non si vedono". L’ufficio di dossieraggio di via Nazionale lo scheda come un "nemico" di Silvio Berlusconi e, contro i "nemici" di Berlusconi, pianifica un operazione "anche cruenta". Non è oscura l’iniziativa di quel potere né il potere. Ogni cosa è concreta, documentata, illuminata e visibilissima. Come si può non vederla o girarsi da un’altra parte, con un accenno di superbia?
Quel che si fa fatica a capire, a dir la verità, è "la natura della corrente in cui siamo immersi". Anche se, a ben pensarci, il contrasto tra i propositi dichiarati e i comportamenti effettivi evoca un’immutabilità del sistema politico italiano "dove uomini e partiti non hanno idee, o per idee si spacciano affocamenti di piccole passioni, urti di piccoli interessi, barbagli di piccoli vantaggi: dove si baratta per genio l’abilità, e per abilità qualcosa di peggio" (Giosuè Carducci a proposito del quinto ministero Depretis, 19 maggio 1883).
* la Repubblica, 5 giugno 2007
Il pm di Potenza interessato all’attività, in particolare, di due logge
l’inchiesta nasce da un’indagine che coinvolge il faccendiere Massimo Pizza
Woodcock indaga sulla massoneria
venti indagati, perquisizioni in molte regioni *
POTENZA - Ci sarebbero almeno venti indagati in un’inchiesta sulla massoneria coordinata dal pm di Potenza Henry John Woodcock. La polizia ha compiuto oggi perquisizioni e controlli in diverse regioni italiane, in particolare in Toscana. Perquisiti anche locali che si trovano nello stesso appartamento che ospita la sede provinciale dell’Udc di Livorno.
A Potenza il riserbo sull’attività svolta dalla polizia è totale, ma fin dal mattino si sono rincorse voci su nomi e attività delle persone interessate dalle perquisizioni, fatte in abitazioni e studi professionali di imprenditori e anche di uomini politici: in totale, gli indagati sono oltre 20.
Nelle scorse settimane, Woodcock aveva chiesto a tutte le 103 prefetture italiane gli elenchi degli iscritti alla massoneria. Il magistrato, però - secondo quanto si apprende - sarebbe in realtà interessato, in particolare, all’attività solo di alcune logge.
Nei giorni successivi alla richiesta di Woodcock, alti dirigenti della massoneria italiana avevano spiegato che, da tempo, gli elenchi degli iscritti non devono essere più conservati nelle prefetture. Le perquisizioni di oggi avrebbero avuto proprio l’obiettivo di identificare alcuni iscritti alle logge.
L’inchiesta del pm di Potenza nasce da un’indagine in cui è coinvolto il faccendiere Massimo Pizza, sedicente appartenente ai servizi segreti, arrestato nell’ambito dell’inchiesta su grandi truffe a imprenditori e traffici con la Somalia, e a lungo detenuto nel carcere di Potenza.
Quanto ai controlli nello stesso appartamento che ospita la sede provinciale dell’Udc di Livorno, i locali, adibiti a magazzino, sono in uso a un dirigente dell’Udc livornese per la sua attività professionale. Alla perquisizione ha assistito anche il segretario provinciale del partito, Piero Di Francesco, che spiega: "La perquisizione non ha riguardato l’Udc ma locali non di pertinenza del partito. Avevo segnalato ai probiviri l’anomalia di condividere la sede con quella di altre attività, e voglio sottolineare che l’indagine non ha nulla a che vedere con il partito e la sua attività politica".
* la Repubblica, 4 giugno 2007
Caro Federico,
se il "fattaccio" avesse coinvolto il governo Berlusconi, come ti saresti comportato ? Che governo immorale ! La fine della nostra Repubblica, della nostra democrazia, della nostra "sacra Costituzione" ! E invece, eccoti qui che giustifichi Prodi e la sua banda di incompetenti, che sta portando il nostro Paese allo sbando, ridicolizzandolo all’estero, dove vivo.
Quando finirà questa commedia ? Quando torneremo a libere elezioni ? Quando ci libereremo da questi personaggi pericolosi, traditori delle istituzioni ? Quando diventeremo una vera democrazia ? Come può un Presidente della Repubblica tacere di fronte a un simile gravissimo episodio ?
Noi non bruceremo auto, non distruggeremo vetrine nelle città, non organizzeremo girotondini, non spareremo su ministri, commissari o prefetti. Sappiamo che il popolo onesto rappresenta la maggioranza degli italiani e quindi non possiamo che aspettare pazientemente la fine di questa leadership tragicomica.
Solamente allora potremo scrivere e urlare orgogliosamente, coscientemente: W o ITALY !
Simpaticamente.
biagio allevato
Caro Biagio
sicuramente saprai delle ultime cronache: solo sul Colle l’aria è un poò più pura, per il resto tutti e tutte (e il nostro Direttore ne sa qualcosa) sniffano cocaina alla grande.... Gli inciuci sono tanti e come puoi capire "tuttle vacche sono sempre più nere". E la politica dei politici mentitori pure: leggi e rileggi
Grazie. Molti saluti e
W o ITALY
Federico La Sala
Noch ist Italien, wie ichs verließ, noch stäuben die Wege,(L’Italia è ancora come la lasciai, ancora polvere sulle strade)
Noch ist der Fremde geprellt, stell er sich,wie er auch will (ancora truffe al forestiero, si presenti come vuole)
Deutsche Rechtlichkeit suchst du in allen Winkeln vergebens,(Onestà tedesca ovunque cercherai invano)
Leben und Weben ist hier, aber nicht Ordnung und Zucht;(c’è vita e animazione qui, ma non ordine e disciplina)
Jeder sorgt nur für sich, ist eitel, misstrauet dem andern, (ognuno pensa per sé, è vano, dell’altro diffida)
Und die meister des Staats sorgen nur wieder für sich... (e i capi dello stato, pure loro, pensano solo per sé)
Johann Wolfgang Goethe (Italienische Reise)
Cdl: «Emergenza democratica». Prodi: «Storie, governo saldo»
Su Speciale la destra tenta l’affondo*
«Non c’è nessuna emergenza democratica, è solo inventata». Così il premier Romano Prodi replica ai giornalisti che gli chiedono cosa pensa delle accuse dell’opposizione dopo la rinuncia da parte di Visco alla delega sulla Guardia di finanza e la rimozione del generale Speciale da comandante del Corpo. I leader della Casa della Libertà avevano parlato di «emergenza democratica» in relazione alle decisioni prese venerdì pomeriggio dal Consiglio dei ministri.
Per Prodi, Vincenzo Visco «ha dimostrato senso dello Stato e si è comportato come sempre da gentiluomo». E difende naturalmente l’operato del governo: «Le cose sono state fatte nell’unico modo istituzionalmente e politicamente corrette. Certo ero più contento se la vicenda non cominciava, ma il Cdm ha preso la decisione che doveva prendere e ora la maggioranza è più forte». «La maggioranza è certamente più forte, tutti hanno approvato quello che il governo ha fatto» ha ribadito. Secondo Prodi, quindi, a questo punto mercoledì prossimo non dovrebbe esserci nessun dibattito al Senato. A questo proposito il ministro Antonio Di Pietro annuncia di approvare le scelte del Governo e di ritirare pertanto l’ordine del giorno presentato al Senato e che avrebbe potuto mettere in difficoltà la maggioranza.
Sulla vicenda la Cdl intende mantenere forte il pressing. «Andremo da Napolitano» dice Berlusconi. Domenica mattina il leader di An Gianfranco Fini ha approfittato della platea dei giovani imprenditori di Santa Margherita ligure per ingaggiare uno scontro verbale con il ministro Pierluigi Bersani. «Una delle pagine più vergognose della storia d’Italia» continuava a ripetere Fini, al punto che prima Matteo Colannino, leader dei giovani industriali, poi lo stesso presidente di Confindustria, Luca Cordero di Montezemolo, sono intervenuti per lamentarsi che non si stesse parlando di economia come previsto. «La vera emergenza democratica - ha detto Montezemolo - è questa continua litigiosità».
* l’Unità, Pubblicato il: 02.06.07, Modificato il: 02.06.07 alle ore 18.53
A Pontida, dove è in corso il raduno della Lega Nord, la richiesta al capo dello Stato
Fini interviene sul caso Visco-Gdf: "Il presidente non può disinteressarsene"
Bossi, appello a Napolitano
"La gente vuole le elezioni"
PONTIDA (Bergamo) - Continua l’assedio della Cdl a Napolitano. Da Pontida Umberto Bossi ha detto: "La gente vuole le elezioni politiche, il paese è in grave difficoltà, mi rivolgo al presidente della Repubblica". E Gianfranco Fini da Roma: "Il presidente non può dire che la destituzione del comandante della Gdf non è di sua competenza".
Parlando a Pontida il leader della Lega è andato frontalmente contro Prodi. "Il governo - ha detto il Senatur - non ha i numeri per fare approvare le sue stesse leggi, il parlamento è paralizzato, c’è una situazione per cui non si può andare avanti. La parola deve tornare ai cittadini come dice la Costituzione, bisogna che ci siano subito le elezioni politiche, il presidente della Repubblica deve prendere atto di questa situazione", ha detto ancora il segretario federale della Lega Nord. Per Bossi, "la crisi della politica non è una invenzione dei giornalisti, se non si trova una soluzione c’è il rischio che aumenti perché il parlamento, che non ha i numeri, non può dare nessuna risposta".
Chiama in causa il capo dello Stato anche il vicepresidente del Senato, Roberto Calderoli, intervenendo sul caso Visco-Gdf. "Il presidente della Repubblica non può disinteressarsi della vicenda perché la nomina dei vertici dell’arma rientra nelle competenze del Quirinale", ha sottolineato Calderoli, che non ha risparmiato critiche anche al collega d’opposizione Pier Ferdinando Casini: "Deve leggersi la Costituzione. La legge 189/59 che regola la nomina del comandante generale della Gdf. Bisogna studiare prima di parlare, se no si fa la figura degli asini".
"Il presidente della Padania - ha sottolineato Calderoli da Pontida - sicuramente non si sarebbe disinteressato del problema. La nomina del sostituto di Speciale è un decreto del presidente della Repubblica che ha la responsabilità delle Forze armate e quindi l’ultima parola spetta a lui. E’ sua la responsabilità".
Calderoli ha quindi ribadito la necessità di un dibattito al Senato e ha contestato il presidente del Consiglio, Romano Prodi, "che ha adombrato il fatto che il dibattito sia inutile. Non so se Prodi comandi ancora al Consiglio dei ministri, ma al Senato comandano i senatori, e i senatori vogliono fare chiarezza su chi ha mentito: Visco o Speciale. Poi assumeremo le nostre decisioni che non saranno decisioni leggere. Noi abbiamo la nostra mozione e chiediamo al governo di esprimere fiducia alla Gdf, a Speciale e agli altri ufficiali coinvolti nella vicenda dei quali ci si è dimenticato".
* la Repubblica, 3 giugno 2007
Bossi si rivolge al Quirinale: "La gente vuole le elezioni, il paese è in difficoltà"
Per il leader di An "meglio il governo di Gengis Khan di quello di Prodi"
Fini: "Crisi politica non costituzionale"
ma Napolitano intervenga sul caso Visco"
"In quanto responsabile delle forze armate ha competenza anche sulla nomina dei vertici della Finanza"
ROMA - La crisi che nasce dal caso Visco è "politica e non costituzionale, ma non ci sono le condizioni per votare". Occorre "mandare a casa Prodi perchè è sempre meglio un governo di Gengis Khan", la maggioranza deve "avere il coraggio di staccare la spina" e dare il via libera a un governo tecnico per fare due riforme indispensabili: la legge elettorale e le pensioni. Gianfranco Fini sfrutta i microfoni di Lucia Annunziata di "In mezz’ora" su Rai 3 per rifare il punto sullo stato della politica e indicare quella che secondo lui e l’unica soluzione possibile, smarcandosi da Forza Italia e dalla Lega e facendo una timida apertura a Casini.
E, su fronti diversi, continua l’assedio della Cdl a Napolitano. In mattinata Umberto Bossi dal raduno di Pontida aveva detto: "La gente vuole le elezioni politiche, il paese è in grave difficoltà, mi rivolgo al presidente della Repubblica". Più tardi il leader di An affina il ragionamento e indica il da farsi. Parte dal caso Visco-Speciale e dalla crisi della Gdf: "Il capo dello Stato non può dire che la destituzione del comandante della Gdf non è di sua competenza. Il presidente della Repubblica è anche capo delle forze armate quindi anche della Guardia di finanza". Le Fiamme Gialle, per l’esattezza, sono forza militare ma non sono forza armata autonoma, il loro capo infatti arriva dall’esercito, come succedeva fino al 2000 anche ai carabinieri. Ma poi Fini mette qualche distinguo: inutile salire al Colle, come vorrebbe fare Forza Italia "perchè la crisi non è costituzionale" ma utile, invece, ragionare su un governo di passaggio per fare la riforme. Più simile, insomma, all’ipotesi dell’Udc che infatti non vuole salire al Colle.
Fini e Gengis Kahn - Dopo il richiamo a Napolitano, Fini dice la sua sullo stato di salute del governo Prodi. "Parto da un dato di realtà: oggi c’è il peggiore governo della storia italiana. Allora tutti quelli che sono in ambasce, anche nel centrosinistra, perché capiscono che Prodi sta distruggendo la credibilità complessiva del centrosinistra e del Partito democratico, abbiano il coraggio di battere un colpo". Secondo il leader di Alleanza nazionale, non può essere il Capo dello Stato a dichiarare la crisi ed è sbagliato chiederglielo: "Il governo non attraversa una crisi di tipo costituzionale, la crisi riguarda il consenso politico". Per Fini la situazione è molto semplice nella sua complessità: "Mandare a casa Prodi assumendosi la responsabilità di staccargli la spina", modificare la legge elettorale "in senso maggioritario perché così non ci sono le condizioni per votare" e attuare la legge Maroni sulle pensioni. "Chi non condivide questo programma - dice Fini - non entrerebbe nell’esecutivo. Pur di liberare l’Italia da Prodi accetterei anche un governo di Gengis Khan".
Bossi a Pontida - Parlando a Pontida il leader della Lega è andato frontalmente contro Prodi chiedendo, però, nuiove elezioni. "Il governo - ha detto il Senatur - non ha i numeri per fare approvare le sue stesse leggi, il Parlamento è paralizzato, c’è una situazione per cui non si può andare avanti. La parola deve tornare ai cittadini come dice la Costituzione, bisogna che ci siano subito le elezioni politiche, il presidente della Repubblica deve prendere atto di questa situazione". Per Bossi "la crisi della politica non è una invenzione dei giornalisti, se non si trova una soluzione c’è il rischio che aumenti perché il parlamento, che non ha i numeri, non può dare nessuna risposta".
L’affondo di Calderoli - Chiama in causa il capo dello Stato anche il vicepresidente del Senato, Roberto Calderoli, intervenendo sul caso Visco-Gdf: "Il presidente della Repubblica non può disinteressarsi della vicenda perché la nomina dei vertici dell’arma rientra nelle competenze del Quirinale". Calderoli non ha risparmiato critiche anche al collega d’opposizione Pier Ferdinando Casini: "Deve leggersi la Costituzione. La legge 189/59 che regola la nomina del comandante generale della Gdf. Bisogna studiare prima di parlare, se no si fa la figura degli asini".
Calderoli ha quindi ribadito la necessità di un dibattito al Senato (in calendario per mercoledì), ha contestato il presidente del Consiglio Romano Prodi, "che ha adombrato il fatto che il dibattito sia inutile. Non so se Prodi comandi ancora al Consiglio dei ministri, ma al Senato comandano i senatori, e i senatori vogliono fare chiarezza su chi ha mentito: Visco o Speciale".
* la Repubblica, 3 giugno 2007
Dietro l’affare Visco-Speciale c’è il prepotente riemergere di un ramificato potere occulto
L’errore del viceministro: non rendere pubbliche le ragioni dei cambi voluti a Milano
Una nuova P2 ricatta la politica debole
di GIUSEPPE D’AVANZO *
Non è una buona cosa maneggiare l’affare Visco/Speciale come una baruffa tra due caratteri autoritari e spicciativi, e non come un conflitto tra istituzioni che annuncia un ben altro sismo, più violento e dagli esiti imprevedibili. Un’analisi senza profondità, tempo e memoria di questo "pasticciaccio" impedisce di scorgere l’autentico focus della crisi che sta incubando: il ritorno sul "mercato della politica" degli interessi di quell’"agglomerato oscuro" che si è andato costituendo all’ombra del governo Berlusconi e nella spensierata indifferenza o sottovalutazione dei leader del centro-sinistra, Prodi, D’Alema, Rutelli in testa.
Si può dire che quel che fa capolino con l’offensiva del generale è una varietà modernizzata della loggia P2. La si può definire così, una P2, soltanto per semplificazione evocativa anche se il segno caratteristico di questa consorteria non è l’affiliazione alla massoneria (anche se massoni vi abitano), ma la pervasività - sotterranea, irresponsabile, incontrollata, trasversale - del suo potere di pressione, di condizionamento, di ricatto.
E’ necessario cominciare da Visco. I passi stortissimi del comandante generale della Guardia di Finanza non possono lasciare in ombra gli errori del viceministro, che sono gravi. Non è in discussione la limpidezza morale di Vincenzo Visco, ma l’efficacia delle sue mosse e soprattutto la coerenza delle sue iniziative con la strategia del governo di cui è parte. Il primo errore del viceministro è di non rendere trasparenti le ragioni dell’urgenza di cambiare aria nelle stanze del comando della Guardia di Finanza in Lombardia, di non farne una questione pubblica.
Visco cede alla tentazione di avviare, come si legge in una lucida analisi del Sole-24 Ore, "un rozzo spoils system nei confronti di personale militare ritenuto troppo vicino alla gestione politica precedente". Che in Lombardia, la Guardia di Finanza sia stata molto prossima e a volte subalterna alle volontà del ministro dell’Economia uscente, Giulio Tremonti - e che ancora oggi possa esserlo - è fatto noto dentro la Guardia di Finanza e nella magistratura, ma Visco tira per la sua strada in silenzio e al coperto, con un altro passo falso. "Anziché stare alla larga da diatribe annose e poco misurabili", pensa "di utilizzare un gruppo contro un altro, senza calcolare modi, conseguenze e nemmeno la forza di chi gli sarebbe potuto rivoltare contro" (ancora il Sole-24 Ore).
Tatticamente difettosa, l’iniziativa di Visco ha un altro deficit. Non è politicamente omogenea alle scelte del governo che ha deciso di stringere, contrariamente a quel che crede Visco, un patto di compromissione, un’intesa, un patto di non-aggressione, chiamatelo come volete, proprio con quel network di potere, di cui il generale Roberto Speciale è soltanto uno degli attori, e nemmeno il maggiore.
Di quel network di potere occulto e trasversale, ormai si sa o si dovrebbe sapere. E’ un "apparato" legale/clandestino deforme, scandaloso, ma del tutto "visibile". Nasce con la connessione abusiva dello spionaggio militare con diverse branche dell’investigazione, soprattutto l’intelligence business, della Guardia di Finanza; con agenzie di investigazione che lavorano in outsourcing; con la Security privata di grandi aziende come Telecom, dove esiste una "control room" e una "struttura S2OC" "capace di fare qualsiasi cosa, anche intercettazioni vocali: può entrare in tutti i sistemi, gestirli, eventualmente dirottare le conversazioni su utenze in uso, con la possibilità di cancellarne la traccia senza essere specificatamente autorizzato".
Quel che combina questo "mostro", che dovrebbe preoccupare chi ha a cuore la qualità della democrazia italiana, si sa. Qualche esempio. Dopo la vittoria elettorale di Silvio Berlusconi, pianifica operazioni - "anche cruente" - contro i presunti "nemici" del neopresidente del Consiglio. Durante la legislatura 2001/2006 raccoglie, "con cadenza semestrale", informazioni in Europa su presunti finanziamenti dei Democratici di Sinistra. E’ il "dossier Oak" (Quercia), alto una spanna, denso di conti correnti, bonifici, addirittura con i nomi e i cognomi di presunti "riciclatori" e "teste di legno" dei finanziamenti occulti dei Ds che fanno capo ai leader del partito. Prima della campagna elettorale del 2006, l’apparato legale/clandestino programma e realizza una campagna di discredito contro Romano Prodi.
Sarebbe un errore, però, considerare il network "al servizio" del centrodestra. Quell’apparato legale/clandestino, a cavallo tra due legislature, si è "autonomizzato", si è "privatizzato", è autoreferenziale. Raccoglie e gestisce informazioni in proprio. Vere, false non importa: sono qualifiche fluide - il vero e il falso - nella "mediatizzazione della politica dove ogni azione politica si svolge all’interno dello spazio mediale e dipende in larga misura dalla voce dei media". A questa variante moderna di P2 è sufficiente amministrare, saggiamente, la cecità e le nevrosi delle power élite, angosciate dalle mosse degli alleati; spaventate dai complotti possibili, probabili, prossimi.
Con accorta disciplina, il network spionistico sa essere il virus e il terapeuta della malattia del sistema politico italiano che impedisce, all’uno come all’altro schieramento, di riconoscersi la legittimità (morale prima che politica) di governare. Alimenta così la sindrome di Berlusconi consegnandogli dossier sul complotto mediatico-giudiziario. La cura con una pianificazione di annientamento dei presunti complottardi. Eccita il "complesso berlusconiano" della sinistra e lenisce quello stato psicoemotivo, prima che politico, con informazioni sulle mosse vere o presunte del temuto spauracchio.
Quanto più il conflitto pubblico precipita oscurandosi in un sottosuolo, dove poteri frantumati, deboli, nevrotici tentano di rafforzarsi o difendersi; tanto più il network è in grado di essere il custode dell’opaca natura del potere italiano o il giocatore in più che può favorire la vittoria nella contesa.
La minaccia di questa presenza abusiva e minacciosa nel "mercato della politica", alla vigilia delle elezioni del 2006, sembra chiara al centrosinistra. C’è chi esplicitamente, con grande scandalo e dopo anni di distratto silenzio, avverte che "sono tornati i tempi della P2" e chi, più lucidamente, ragiona sul quel che è accaduto e sul da farsi. Preoccupato da una realtà che ha consentito di "sviluppare un agglomerato oscuro fatto di agenzie di investigazione e polizie private in combutta con infedeli servitori dello Stato che si muove in una logica di ricatto", trova "lo spettacolo spaventoso" e promette che "il nuovo governo solleciterà il Parlamento a indagare, accertare, comprendere cosa è accaduto". (Marco Minniti, oggi viceministro agli Interni).
In realtà, il governo Prodi appena insediato muove in tutt’altra direzione. Preferisce guardare altrove, incapace di prendere atto dell’infezione, in apparenza impotente a comprenderne il pericolo, addirittura impedito a programmare il necessario lavoro di bonifica. Quel che appare al vertice del network, il direttore del Sismi Nicolò Pollari, incappa nelle indagini della procura di Milano per il sequestro di un cittadino egiziano.
L’inchiesta mostra le connessioni del network e dimostra la sua attività di dossieraggio illegale. Incrociata con i risultati dell’istruttoria Telecom, offre una scena così inquietante per la qualità della nostra democrazia che dovrebbe convincere il governo a darsi da fare in fretta, a rimuovere, rinnovare, risanare; a chiedere al Parlamento - appunto - di "accertare e comprendere". Accade il contrario. Il sequestro del cittadino egiziano è protetto da un segreto di Stato che nemmeno Berlusconi e Gianni Letta hanno mai proposto alla magistratura milanese. Di più, per dare un minimo di credibilità alla sorprendente iniziativa, l’esecutivo non esita ad accusare dinanzi alla Corte Costituzionale di illegalismo la procura di Milano. Un altro segreto di Stato va a coprire gli avvenimenti che hanno accompagnato la missione in Iraq di Nicola Calipari, salvo poi chiedere a Washington "verità e giustizia".
Che si voglia tutelare, anche nella nuova stagione politica, il passato, i traffici e la fortuna dei protagonisti di quel network è ancora più chiaro quando si procede alla sostituzione dei vertici dell’intelligence. L’ammiraglio Bruno Branciforte va al Sismi senza alcuna delega in bianco o margini operativi e decisionali. Viene consegnato a un imbarazzante stato di impotenza. In sei mesi, per vincoli politici, non ha avuto la possibilità di rimuovere nemmeno un dirigente. Lo staff, i direttori centrali e periferici, il potentissimo capo del personale sono gli stessi dell’éra Pollari.
Ad alcuni degli uomini più fidati del generale uscente è stato consigliato di fare un accorto passo laterale diventando gli uomini forti e ascoltati del ministero della Difesa. Al Sisde il nuovo capo, Franco Gabrielli, ammette addirittura davanti al Parlamento che "così com’è, il servizio interno non può svolgere appieno un efficace compito di prevenzione". E tuttavia non riesce a incuriosire il ministro dell’Interno che, in sei mesi, non ha ancora trovato il tempo e il modo di riceverlo.
Se i "nuovi" hanno difficoltà a fare il loro lavoro, i "vecchi" possono ampliare - al contrario - il loro margine di manovra e i "punti di appoggio". Pollari è oggi consulente di Palazzo Chigi; il suo fidatissimo braccio destro, che con spavalderia minacciosa si è detto dinanzi al Parlamento "di sinistra" e prodiano, è addirittura al "Personale" della Difesa mentre il generale Emilio Spaziante, l’operativo di Pollari nella Guardia di Finanza di Roberto Speciale, è il numero due al Cesis, la struttura che fa da link tra la presidenza del Consiglio e l’intelligence militare e civile, una poltrona che, nel 2001, già fu di buon auspicio per Nicolò Pollari che da lì partì alla conquista della direzione del Sismi.
Il governo di centro-sinistra ha preferito chiudere un accordo di non-aggressione con quel network che, soltanto alla vigilia delle elezioni, appariva all’opposizione di ieri "spaventoso", "oscuro". Un’intesa cinica, realista che avrebbe anche potuto resistere se la parabola dell’esecutivo avesse dimostrato di poter durare a lungo; se la forza del governo avesse dimostrato, in questo suo primo anno, di essere adeguatamente salda e autosufficiente per poter affrontare l’intero ciclo quinquennale della legislatura.
Ai primi scricchiolii di popolarità e consenso, ai primi segnali di debolezza politica interna, il network è ritornato a muoversi con tutta la sua pericolosità. Le minacce del generale Roberto Speciale ne sono una eloquente testimonianza. "So io che fare", ha detto ieri al Corriere della Sera. La congiuntura politica, la debolezza e le divisioni della maggioranza, qualche appuntamento di carattere giudiziario non inducono all’ottimismo e lasciano pensare che il peggio debba ancora venire, altro che il match Visco/Speciale.
Dunque. Ancora poche settimane e nel frullatore politico-mediatico entreranno le migliaia di intercettazioni telefoniche raccolte nell’inchiesta Antoveneta/Bnl. Un breve saggio di quanto possano essere esplosive lo si è già avuto nel 2006 con la pubblicazione della conversazione tra Gianni Consorte (Unipol) e il segretario dei Ds, Piero Fassino. Ma in quelle intercettazioni si sa, per dirne una, che si ascolta la voce dei maggiori leader del centro-sinistra, a cominciare da Massimo D’Alema e del suo collaboratore più affidabile, il senatore Nicola Latorre.
A incupire la scena, la preoccupazione che le intercettazioni legali possano incrociarsi con gli ascolti abusivi e le indagini illegali della Security Telecom. Per quel che se ne sa, è stato trovato soltanto un dvd con migliaia di dossier, nella disponibilità di un investigatore privato che lavorava per la società di telecomunicazioni (o per lo meno per gli uomini della sua sicurezza). Nessuno è in grado di escludere, a Milano come a Roma, che quel dvd sia soltanto una parte dell’archivio segreto. Mentre non c’è dubbio che anche la più irrilevante briciola di quelle informazioni, raccolte illegalmente, sia oggi nella disponibilità dell’"agglomerato oscuro". Che avrà il modo e l’occasione di giocare una nuova partita e qualche asso.
I tempi sono favorevoli. Le anomalie, i vizi, gli sprechi della politica italiana hanno scavato un solco tra il Paese e il Palazzo mettendo in moto, per dirla con le parole di Massimo D’Alema, "una crisi di credibilità della politica che tornerà a stravolgere l’Italia con sentimenti come quelli che, negli anni novanta, segnarono la fine della Prima Repubblica". La storia ci insegna che una democrazia fragile e largamente screditata può sopravvivere anche molto a lungo, grazie ai sui meccanismi di autotutela, soltanto però "in assenza di eventi traumatici "esterni" che la facciano crollare".
Ora tutta la questione è in questa eventualità. Non c’è dubbio che il network oscuro sia in grado di creare, anche artificialmente, un evento "traumatico" esterno. I dossier - veri o falsi, non importa - raccolti negli anni del governo Berlusconi dall’apparato legale/clandestino di spionaggio possono di certo esserlo. Se si guarda a come si è mosso, contro Vincenzo Visco, il generale Roberto Speciale, sembra di poter dire che in giro ci sia anche la volontà di farlo, la determinazione senza tentennamenti.
Il comandante della Guardia di Finanza ha tentato, infatti, di "giudiziarizzare" il braccio di ferro con il viceministro, di alimentare con la sua testimonianza (aggiustata per l’occasione) un’indagine penale e, sotto l’ombrello dell’inchiesta, mettere in circolo veleni, notizie mezze vere e mezze false o del tutto manipolate, capaci di "travolgere il Paese con i sentimenti degli anni novanta". Può essere stato soltanto un piccolo accenno di quanto accadrà di qui a dieci giorni. Sapremo presto quali iniziative intende muovere, quest’altra P2 - simile, ma non uguale a quella che abbiamo conosciuta - e quale forza di dissuasione o di compromesso è in grado di opporre il sistema politico.
* la Repubblica, 4 giugno 2007