Bertinotti: questo governo durerà cinque anni
Intervista al Presidente della Camera dei deputati, Fausto Bertinotti
di Simone Collini (l’Unità, 21 ottobre 2006)
FAUSTO BERTINOTTI non si unisce al coro dei preoccupati: il governo - dice nell’intervista all’Unità - durerà cinque anni. E sulla Finanziaria ha parole di apprezzamento anche se avverte il rischio di non rendere visibile la «visione» sociale che essa contiene. E sul Pd: «Attenzione, anche se non lo condivido».
«I regolamenti parlamentari così come sono venuti definendosi - aggiunge Bertinotti - costituiscono un problema per il governo delle istituzioni. Quello attuale è un sistema che penalizza sia la maggioranza che l’opposizione, perché non consente alla prima di esercitare il suo diritto-dovere di decidere e non consente alla seconda di esprimere il suo diritto-dovere di essere influente nel percorso di formazione delle decisioni. Dunque un problema esiste, ma penso che sia impossibile affrontarlo e risolverlo per la legislatura esistente, mentre si può lavorare a una proposta strutturale per il futuro».
Ma intanto? Ancora una volta potrebbe essere posto il voto di fiducia su una Finanziaria.
«È una consuetudine che tutti lamentiamo. Il ricorso al decreto legge e l’utilizzazione della fiducia come derimenti della controversia parlamentare sono due elementi a cui bisognerebbe far ricorso soltanto eccezionalmente, altrimenti diventano una patologia. È evidente infatti che entrambi costituiscono una limitazione del diritto dell’assemblea».
La maggioranza ricorda all’opposizione che lo stesso avvenne nella scorsa legislatura.
«Non ci si può appellare al precedente quando questo in tutta evidenza è la manifestazione di una patologia».
Dov’è allora la via d’uscita?
«Non c’è altra via che quella del consenso. E per quel poco che vale anche la presidenza della Camera nei giorni scorsi si è adoperata in questa direzione, interloquendo con i capigruppo della maggioranza e dell’opposizione».
Risultato?
«Intanto, si è evitata una precipitazione in questa settimana di una conclusione, cioè che si strozzasse il lavoro della commissione, che invece ha avuto il tempo per poter procedere e concludere i suoi lavori ordinatamente. Questo può definire un percorso che seppure con delle criticità sia da parte dell’opposizione che della maggioranza, può consentire una non belligeranza sulla procedura».
Lo giudica un fatto importante?
«Lo è, perché è evidente che un conflitto procedurale rende opaca la questione dei contenuti».
La non belligeranza può darsi solo se l’opposizione non presenta migliaia di emendamenti e se il governo si mostra disposto al confronto, non crede?
«È chiaro, e penso che in questo senso un terreno di ricerca è la valorizzazione del lavoro di commissione. Un reale confronto in questa sede, non strangolato dai tempi, con la maggioranza non impermeabile alle argomentazioni dell’opposizione, può consentire una conclusione certamente non unanime, ma neanche di contrapposizione frontale. In questo caso, nell’impossibilità di giungere a un’approvazione nei tempi utili si potrebbe ricorrere alla fiducia, che interverrebbe però non su un atto di volontà unilaterale del governo ma sulle conclusioni della commissione».
Il ministro per i Rapporti con il Parlamento Chiti aveva proposto alle forze di opposizione di sintetizzare le loro posizioni in pochi emendamenti.
«La trovo una proposta giusta. Ma siccome ho un’interpretazione del ruolo di presidente della Camera che non è quella dello speaker, non mi taccio e dico anche che c’è un simmetrico: il governo a sua volta vari dei provvedimenti che abbiano la stessa sinteticità. Perché non si può presentare una Finanziaria di 217 articoli e poi risultare convincente nella richiesta di selezionare gli emendamenti».
Diceva che un dibattito sulle procedure può mettere in ombra i contenuti di questa manovra. Però non sembra che susciti molti consensi questa Finanziaria.
«Faccio una premessa: essendo la Finanziaria materia su cui decide anche il Senato e la Camera, è evidente che non ho titolo per esprimermi. Però un’osservazione politica generale bisogna farla. Penso che l’impianto sia coerente con il programma del governo e che i primi passi sul terreno della politica economica e sociale, pur senza avere la brillantezza dei primi passi in materia di politica internazionale, sono capaci di attrarre un consenso nel paese».
Cos’è allora che non consente il realizzarsi di questo processo positivo attorno alla Finanziaria?
«Diversi fattori. Primo: la mancanza di una percepibile visione di società. Questo non è un elemento di poco conto. Non essere in grado di far valere nei confronti del paese la visione di prospettiva entro cui sono iscritte delle misure vuol dire amputare la loro capacità di organizzazione del consenso. Specie se si deve, come io credo, fare fortemente leva sui ceti popolari, lungamente penalizzati da una distribuzione del reddito iniqua e da una condizione sociale caratterizzata da una crescente incertezza e precarietà».
Gli altri elementi che impediscono il dispiegarsi del consenso?
«Penso che si sia determinata una tendenza da cui bisogna uscire, quella alla polarizzazione della società attorno alla centralità del governo. Il consenso o il dissenso è nei confronti del governo, con una sostanziale marginalizzazione dei grandi soggetti sociali e politici. I sindacati e Confindustria ce la fanno ancora perché in qualche modo svolgono un ruolo o negoziale o concertativo. Ma i partiti, anche per il forte prevalere del sistema maggioritario e per il peso che ha rivestito Berlusconi, sono venuti affievolendosi nella loro presenza. Per una coalizione riformatrice, la presenza nella società civile del dibattito sulle scelte che si compiono è un punto decisivo».
Finite le ragioni che frenano il consenso?
«C’è n’è un’altra, e sono i tanti elementi di disturbo presenti in una Finanziaria così articolata e complessa. Questi tre elementi hanno secondo me finora oscurato l’impianto principale della Finanziaria. Aggiungo che a rendere poi ancora più difficilmente decodificabile l’impianto principale risultano i tanti conflitti che, trascinati, hanno indebolito la possibilità di organizzare il consenso. L’ultimo è quello sul Tfr. Anche se non do un giudizio di valore, dico che è bene che sia arrivato l’accordo con le parti sociali, ma nel frattempo abbiamo assistito a quindici giorni di bombardamento su un elemento determinante della manovra».
Riassumendo?
«Il deficit è di progettazione politica, non è nelle singole scelte compiute con questa Finanziaria».
Prodi, nell’intervista al Pais, ha parlato di pressioni sulla politica. Il quadro attuale le sembra solido o rischia di sfarinarsi?
«Penso che questo governo durerà cinque anni, che sia come quei malati sempre pieni di problemi che però non muoiono mai. Ma questa non è una buona ragione per non intervenire. Le cose che dice Prodi - per altro un po’ singolarmente, in un’intervista a un giornale straniero - sono meritevoli di una discussione politica aperta. Perché non si deve mettere all’ordine del giorno della coalizione gli argomenti proposti dal presidente del Consiglio? C’è stata una reazione del tutto incomparabile con l’ordine della denuncia, per quale ragione non ci deve essere un luogo della coalizione di centrosinistra che affronti i problemi politici?»
La denuncia del premier è meritevole di discussione, ma anche fondata?
«A me pare evidente che c’è un’insofferenza da parte di ambienti politicamente ed economicamente importanti del paese nei confronti della coalizione di centrosinistra. E questo per i contenuti che essa esprime».
Si parla di un peso eccessivo della sinistra radicale sulle scelte di governo.
«La trovo un’accusa del tutto fuorviante. E tuttavia, senza che sia vero che l’asse del governo sia spostato a sinistra, questi ambienti giudicano inaccettabili e non adeguati alla fase del paese gli elementi presenti nel programma di governo, che dovrebbe invece avere, sostanzialmente, una piattaforma neocentrista. Sanno bene queste forze che il problema di avere una maggioranza è reale e per questa ragione io non penso che ci siano forti propensioni a cambiamenti di maggioranza: perché irrealistici prima di tutto. C’è invece un fortissimo condizionamento sui contenuti per un cambio di asse politico-programmatico del governo».
Questi cosiddetti poteri forti, secondo lei vedono Prodi come un ostacolo al loro progetto?
«Mi pare evidente che sia così. Non perché Prodi sia amico delle sinistre, ma perché Prodi può vivere solo realizzando questo programma. In questo senso viene considerato un ostacolo. Se ne discuta pubblicamente, perché forse ne viene anche un elemento tonico nei confronti dell’azione del governo».
Un elemento tonico secondo lei può avvenire anche attraverso una riorganizzazione delle forze politiche in campo?
«Quello che penso è che siamo alla fine di un ciclo, nell’organizzazione dei partiti italiani, e all’inizio di un nuovo ciclo. Fin qui c’è stata l’onda lunga della pars destruens dei partiti della prima Repubblica. Ora comincia una nuova transizione, però in pars construens. Si possono costruire cioè dei soggetti politici più rivolti al futuro che segnati dal passato».
La sua previsione?
«Che tra cinque anni, alla fine di questa legislatura o poco dopo, avremo un panorama politico-partitico tutta affatto differente da quello attuale. Non sono sicuro, però, che allo stato attuale sia prevedibile lo scenario futuro. Vedo la situazione come un grande cantiere edile, con tanti lavori in corso. Ma per capire che edificio sarà alla fine bisogna aspettare di arrivare al tetto, perché in realtà anche questa pars construens ha tanti elementi di incertezza nelle fondamenta».
Prendiamo il Partito democratico.
«Ho verso di esso un atteggiamento di attenzione, seppure non ne condivida né il progetto né l’impianto. Ne capisco la ratio, per due partiti come i Ds e la Margherita. Debbo dire che non sono neanche così sicuro che si realizzi l’esito atteso. Propendo per un sì, ma propendo. Se devo essere onesto, l’impianto riformistico che dovrebbe presiedere a questa costruzione a me sembra troppo sfocato, cioè non vedo i lineamenti che lo dovrebbero rendere vincente».
Una riorganizzazione dei riformisti apre altri fronti.
«È chiaro. Nella nuova epoca anche le forze della sinistra alternativa hanno il problema di ridefinire cosa è oggi una forza che rimetta all’ordine del giorno la questione della trasformazione. Nella mia esperienza, penso che gli elementi di costruzione di cultura politica fatti da Rifondazione comunista siano rilevanti, dal rifiuto dello stalinismo fino alla nonviolenza, tuttavia anche qui penso sia necessario un salto di qualità, anche in grado di aggregare forze le cui energie sono indispensabili nell’intuizione del Partito della Sinistra europea. E penso sarebbe bene anche l’apertura ad altre forze di cultura socialista».
Marini ha definito urgente una modifica della legge elettorale.
«Secondo me bisognerà nel corso della legislatura porvi mano, ma oggi è totalmente immatura la discussione. E quando la si affronterà, bisognerà sbarazzarsi dell’idea, che è stata foriera di danni enormi, che le leggi elettorali fondano la geografia dei partiti».
L’intitolazione da parte del Prc di una sala del Senato a Carlo Giuliani ha suscitato le critiche del centrodestra.
«Mi pare una polemica sconclusionata. Un gruppo chiama con il nome di un giovane ucciso a Genova una sala, mi pare non sia il caso di discuterne. La vera questione è un’altra, ed è scritta nel programma del governo, che bisognerebbe attuare. Parlo della commissione d’inchiesta sui fatti di Genova. Questo è un tema di discussione che andrebbe messo al centro in queste giornate, dal momento che riguarda il problema di costruire una verità condivisa su un passaggio cruciale degli ultimi anni».
Sull’argomento, cfr. sul sito, l’art. UNA MISSIONE: PER L’ITALIA!!! Un’intervista a Carlo a. Ciampi: http://www.lavocedifiore.org/SPIP/article.php3?id_article=1243
Lupi, pecore, pastori?! Un NO per il REFERENDUM.
25 GIUGNO: SALVIAMO LA COSTITUZIONE E LA REPUBBLICA CHE E’ IN NOI
di Federico La Sala
(Libertà - quotidiano di Piacenza, 08.06.2006, p. 35)
Nel 60° anniversario della nascita della Repubblica italiana e dell’Assemblea Costituente, l’Avvenire (il giornale dei vescovi della Chiesa cattolico-romana) lo ha commentato con un “editoriale” di Giuseppe Anzani, titolato (molto pertinentemente) “Primato della persona. La repubblica in noi” (02 giugno 2006), in cui si ragiona in particolar modo degli articoli 2 e 3 del Patto dei nostri ’Padri’ e delle nostre ’Madri’ Costituenti. Salvo qualche ’battuta’ ambigua, come quando si scrive e si sostiene che “il baricentro dell’equilibrio resta il primato della persona umana di cui è matrice la cultura cattolica” - dove non si comprende se si parla della cultura universale, di tutto il genere umano o della cultura che si richiama alla particolare istituzione che si chiama Chiesa ’cattolica’ (un po’ come se si parlasse in nome dell’Italia e qualcuno chiedesse: scusa, ma parli come italiano o come esponente di un partito che si chiama “forza...Italia”!?), - il discorso è tuttavia, per lo più, accettabile...
Premesso questo, si può certamente condividere quanto viene sostenuto, alla fine dell’editoriale, relativamente al “diritto alla vita” (“esso sta in cima al catalogo ’aperto’ dell’articolo 2, sta in cima alla promessa irretrattabile dell’art. 3”) e alla necessità di una responsabile attenzione verso di essa (“Non declini mai la difesa della vita; senza di essa è la Repubblica che declina”).
Ma, detto questo, l’ambiguità immediatamente ritorna e sollecita a riporsi forti interrogativi su che cosa stia sostenendo chi ha scritto quanto ha scritto, e da dove e in nome di Chi parla?!
Parla un uomo che parla, con se stesso e con un altro cittadino o con un’altra cittadina, come un italiano comune (- universale, cattolico) o come un esponente del partito ’comune’ (’universale’, ’cattolico’)? O, ancora, come un cittadino di un partito che dialoga col cittadino o con la cittadina di un altro partito per discutere e decidere su quali decisioni prendere per meglio seguire l’indicazione della Costituzione, della Legge dei nostri ’Padri’ e delle nostre ’Madri’ che ci ha fatti - e invita a volerci! - uomini liberi e donne libere, cittadini-sovrani e cittadine-sovrane?!
Nonostante tante sollecitazioni a sciogliere i nodi e chiarirsi le idee da ogni parte - dentro e fuori le istituzioni cattoliche, c’è ancora molta confusione nel cielo del partito ’cattolico’ italiano: non hanno affatto ben capito né la unità-distinzione tra la “Bibbia civile” e la “Bibbia religiosa”, né tantomeno la radicale differenza che corre tra “Dio” e “Mammona” o, che è lo stesso, tra la Legge del Faraone o del Vitello d’oro e la Legge di Mosè!!! E non hanno ancora ben-capito che Repubblica dentro di noi ... non significa affatto Monarchia o Repubblica ’cattolica’ né dentro né fuori di noi, e nemmeno Repubblica delle banane in noi o fuori di noi!!!
Il messaggio del patto costituzionale, come quello del patto eu-angelico ...e della montagna è ben-altro!!! La Costituzione è - ripetiamo: come ha detto e testimoniato con il lavoro di tutto il suo settennato il nostro Presidente, Carlo A. Ciampi - la nostra “Bibbia civile”, la Legge e il Patto di Alleanza dei nostri ’Padri’ e delle nostre ’Madri’ Costituenti (21 cittadine-sovrane presero parte ai lavori dell’Assemlea), e non la ’Legge’ di “mammasantissima” e del “grande fratello” ... che si spaccia per eterno Padre nostro e Sposo della Madre nostra: quale cecità e quanta zoppìa nella testa e nel cuore, e quale offesa nei confronti della nostra Legge dei nostri ’Padri’ e delle nostre ’Madri’- di tutti e tutte noi, e anche dei nostri cari italiani cattolici e delle nostre care italiane cattoliche!!!
Nel 60° Anniversario della nascita della Repubblica italiana, e della Assemblea dei nostri ’Padri e delle nostre ’Madri’ Costituenti, tutti i cittadini e tutte le cittadine di Italia non possono che essere memori, riconoscenti, e orgogliosi e orgogliose di essere cittadine italiane e cittadini italiani, e festeggiare con milioni di voci e con milioni di colori la Repubblica e la Costituzione di Italia, e cercare con tutto il loro cuore, con tutto il loro corpo, e con tutto il loro spirito, di agire in modo che sia per loro stessi e stesse sia per i loro figli e le loro figlie ... l’ “avvenire” sia più bello, degno di esseri umani liberi, giusti, e pacifici! Che l’Amore dei nostri ’Padri’ e delle nostre ’Madri’ illumini sempre il cammino di tutti gli italiani e di tutte le italiane...
Viva la Costituzione, Viva l’Italia!!!
Federico La Sala
L’Italia specchio della politica
di ILVO DIAMANTI *
IL PREMIER, Romano Prodi, ieri, sconsolato, ha ammesso di non riconoscerli più, gli italiani. I quali, a suo avviso, sarebbero "impazziti". Incapaci di capire e di accettare la gravità della condizione in cui versano. Di guardare al futuro. Una strana dichiarazione, per chi governa, per volontà e con il voto degli italiani. A meno che gli italiani non siano impazziti e abbiano perduto il senso del futuro "dopo" il voto. E in questo caso sarebbe difficile non attribuirne la responsabilità, almeno in parte, a chi ha governato in questi mesi. Il fatto è che per fare politica, per governare non è sufficiente diagnosticare i mali e prescrivere le terapie di cui ha bisogno la nostra economia. Occorre convincere i cittadini. Dimostrare loro quanto siano necessari i "sacrifici" (i tagli) previsti. Trovare le soluzioni ma anche le parole per comunicarle. Per spiegarle.
Se gli italiani "non capiscono", anche ammesso che sia vero, non possono essere loro a sbagliare. Ma chi li rappresenta. Per definizione. D’altronde, l’idea che gli italiani sbagliano, non capiscono, è ormai consolidata. L’ha sostenuta Berlusconi, per anni. Anche se il Cavaliere affermava un’immagine opposta. Quella di un Paese felice. Con un grande futuro. Il mito delle due Italie. L’Italia media, depressa e pessimista, che si scontrava, allora, con la narrazione che ne davano Berlusconi e i media. Assai più ottimista.
Lo stesso mito che oggi propone Prodi. Ma a parti invertite. È l’Italia media, secondo lui, a rifiutare la gravità della situazione. Malata di bulimia, non accetta la dieta preparata dal governo. Comune la convinzione che "gli italiani non capiscono". Sono impazziti. Non pensano al futuro. Facile ricorrere all’immagine di una "Italia divisa a metà" (evocata dal titolo di un libro, curato da Renato Mannheimer e Paolo Natale, per Cairo; e tematizzata da un volume di Itanes, Dov’è la vittoria?, appena edito dal Mulino). Divisa: sul piano elettorale, fra destra e sinistra. Ma anche tra società e politica, fra i cittadini e le istituzioni. Però non funziona. L’Italia divisa a metà? Magari. Questo Paese rammenta assai di più l’immagine dello "specchio rotto", sul quale domenica scorsa si è fermato lo sguardo attento e dolente di Eugenio Scalfari. Una società che si sbriciola in mille pezzi. In mille schegge. Il nostro Paese. Diviso e al tempo stesso unito da molteplici differenze, di storia, economia e cultura. Quelle differenze, che hanno sempre costituito una risorsa e una ricchezza, per noi, oggi stentano a stare insieme, dentro a una cornice comune. Come le tessere che rifiutano di combaciare, nello stesso puzzle; rivendicando, ciascuna, la propria irriducibile specificità.
Le nostre questioni territoriali, vecchie e nuove: riesplodono. A Napoli: la questione meridionale. Nel Lombardoveneto: la questione settentrionale. E i "particolarismi" metropolitani. Roma che contende a Venezia il ruolo di capitale del cinema. E a Milano l’hub aeroportuale. Torino che protesta contro Milano - e contro il governo "amico" - per aver perso l’expo. La metropoli diffusa del Nordest contro tutti. Quanto alla coesione sociale e professionale, che dire? Protestano tutti. Tutti i ceti e tutte le categorie. In modo chiassoso. Qualche volta violento. Ma comunque ad alta voce. Protestano i tassisti, i farmacisti, i notai e gli avvocati. Protestano i ceti medi. Ma neanche gli altri ceti sembrano felici. Protestano i commercianti, gli artigiani, gli industriali piccoli, medi e grandi.
Protestano gli evasori, piccoli, medi e grandi. E quelli che non evadono, perché non vogliono e soprattutto, non possono farlo. Protestano i sindaci. Protestano i pensionati e i lavoratori che contano di andare in pensione presto. E quelli che temono di non arrivarci. Protestano i ricercatori, i professori universitari e i rettori. Protesto anch’io, che sono professore universitario, pro rettore, faccio ricerca, non credo che arriverò alla pensione e risiedo nel Nordest.
Ciascuno ha le sue buone ragioni. Tutti, certamente, hanno i loro buoni interessi da difendere. Tutti, nel loro piccolo (medio e grande) hanno un buon motivo per incazzarsi. E lo fanno. Senza preoccuparsi troppo dell’interesse comune, delle buone ragioni di medio e lungo periodo. Senza pensare al futuro. In questo, forse, Prodi ha ragione. Però, a nostro avviso, sbaglia quando contrappone le responsabilità sociali a quelle della politica, delle istituzioni e del governo.
Purtroppo: non c’è distanza fra questa società e la politica che la "rappresenta". Non c’è distacco fra la frammentazione sociale e quella della maggioranza di governo. C’è, anzi, coincidenza fedele. La politica, il centrosinistra, il governo: invece di ridurre e sanare la confusione sociale, la complicano e la moltiplicano. Alimentano le spinte centrifughe cui è sottoposta la società; le tensioni localiste e municipaliste. La Cdl: protesta contro il governo. Ogni settimana una città, una piazza. Ma sta all’opposizione. Fa il suo mestiere. Però, marciano contro il governo anche soggetti politici "amici". I partiti e i gruppi della "sinistra tradizionale" (come la definisce Michele Salvati), che una settimana fa hanno promosso e partecipato alla manifestazione contro il precariato. Cioè, contro i "riformisti" del centrosinistra. Contro gli alleati. Mentre i "girotondini" preparano, a loro volta, strategie e liste alternative. D’altronde, questa legge elettorale ha alimentato ulteriormente il frazionismo partigiano. Riducendo gran parte dei partiti a oligarchie di potere.
Un vizio che oggi affligge la maggioranza, più dell’opposizione. Non che la Cdl sia coesa e omogenea. Anzi. Però, appunto, sta all’opposizione. L’Unione, invece, oggi è un ossimoro, tanto appare sbriciolata. Sette partiti, il doppio almeno di fazioni, frazioni, correnti, che attraversano e segmentano i partiti. E si incrociano, intrecciano, contrastano. Un melting pot di culture politiche, identità, che si traducono in un catalogo sempre più lungo di marchi e definizioni. Comunisti, radicali, socialisti, socialdemocratici, popolari, mastelliani, dipietrini, ulivisti, teodem, social-liberali, liblab, blairiani, veltroniani, verdi, riformisti, new-global. Mentre si avvicina l’Italia di mezzo (cioè, Follini). Ma certamente dimentichiamo qualche sigla, qualche soggetto, qualche neologismo usato per evocare un gruppo, talora, più modestamente, un nuovo comitato che rivendica un posto a tavola. Pardon: al "tavolo di concertazione". E ciascuno spinge, grida, minaccia, fino al limite della rottura. Per cercare visibilità. Spazio.
La difficoltà di costruire una finanziaria e, più in generale, una politica di governo coerente e comprensibile riflette, indiscutibilmente, questa situazione frammentaria e frammentata. Che Prodi, Padoa-Schioppa e gli altri ministri hanno affrontato ricorrendo a continue mediazioni e soluzioni creative. Difficile indicare una "missione", in queste condizioni. Ma è difficile, a maggior ragione, pretendere che i cittadini "capiscano" ciò che solleva polemiche e contrasti fra i ministri e i leader della maggioranza. Interpretarne il disorientamento come segno di follia. Come è difficile, a maggior ragione, chiedere agli italiani un sentimento comune e di unità, se è l’Unione, per prima, ad apparire "spezzata". Incapace di proporre identità, valori, progetti comuni.
Basta pensare al Partito Democratico, che, ancora, incontra il consenso di gran parte degli elettori di centrosinistra. Ma procede per inerzia. Un passo avanti, due di lato. Poi una sosta. Come se si potesse costruire un nuovo soggetto politico in questo modo. Senza entusiasmo. Senza passione. Per necessità. Per cui si sta insieme perché altrimenti sarebbe peggio. Tornerebbe il Tiranno. Di cui, peraltro, di giorno in giorno cresce la nostalgia. Perché la sua assenza al governo, e la sua voce intermittente, all’opposizione, pesano. Soprattutto al centrosinistra. Che, senza il Nemico, appare spaesato.
Se il Paese appare "impazzito", in frantumi, senza futuro, è perché somiglia troppo alla politica. E, in particolare, al centrosinistra che governa. Anzi: la politica e il centrosinistra ne offrono un’immagine ancor più frammentata e opaca. Come uno specchio in frantumi. Se Prodi vuole "curare" il Paese, promuoverne la coesione e il senso del futuro deve cominciare dal governo e dalla sua maggioranza.
* la Repubblica, 12 novembre 2006
L’Italia ripudia la guerra! Ed è per lo spirito di Assisi, e con Dante!!!
La Civiltà del DIALOGO e dell’AMORE di Giovanni Paolo II o ... la civiltà della “FORZA Deus Caritas est” di Benedetto XVI?!
IL VAN-GéLO di RATZINGER è il Van-GéLO dell’IMPERATORE COSTANTINO !!!
di Federico La Sala *
La sua linea teologico-politica offende (non solo le altre religioni e l’intera umanita, ma soprattutto) la nostra ITALIA, e LA LEGGE stessa dei nostri ‘ Padri’ e delle nostre ‘Madri’ Costituenti - la COSTITUZIONE, la nostra “Bibbia civile” (Carlo A. Ciampi)!
A PARTIRE DA NOI STESSI E DA NOI STESSE - DAL NOSTRO PRESENTE STORICO , ATTUALE ! Per cominciare, "la verità della storia" ("Il morto fa presa sul vivo"!) ... non è la storia della Verità (l’Eu-angélo, il Buon-messaggio!) in cammino!!! E “il dialogo e il rispetto” di Benedetto XVI, sono abissalmente lontani dal dialogo e dal rispetto, portati avanti e manifestati da GIOVANNI XXIII, e da GIOVANNI PAOLO II - W O ITALY (“L’Italia ripudia la guerra come strumento di offesa alla libertà degli altri popoli e come mezzo di risoluzione di risoluzione delle controversie internazionali; consente in condizioni di parità con gli altri Stati, alle limitazioni di sovranità necessarie ad un ordinamento che assicuri la pace e la giustizia fra le nazioni; promuove e favorisce le organizzazioni internazionali rivolte a tale scopo”: art. 11 della Costituzione dei nostri ’Padri’ (‘Giuseppe’) e delle nostre ’Madri’ (‘Maria’)!, sono come quelli del LUPO (o dell’Orso) nei confronti dell’ AGNELLO, nei confronti della religione ebraica come della religione islamica e della stessa intera umanità. L’istruzione "Dominus Jesus" aveva detto già tutto - contro Giovanni Paolo II e il suo spirito di Assisi, che mirava alla pace e il dialogo, con tutto il cuore e con tutta l’anima!!! “Ratzinger, lo sterminatore dell’ecumenismo” (Leonard Boff).
La teologa tedesca Uta Ranke-Heinemann, figlia dell’ex-presidente della Repubblica, e collega di corso del cardinale Ratzinger - in un’intervista del 18.01.1990, in Italia per presentare il suo libro "Eunuchi per il regno dei cieli” - ecco cosa disse di Ratzinger: "un uomo intelligente, ma privo di qualsiasi sensibilità umana".
Vale la pena tenerne conto, ora, quando ascoltiamo le sue parole o leggiamo i suoi testi ... e sappiamo che sono quelle della massima autorità del mondo ’cattolico’-romano.
Al contrario, ricordiamoci di Dante!!! All’inferno, oggi, certamente, egli non avrebbe messo Wojtyla (Bonifacio VIII, con il suo Giubileo 1300-2000) e nemmeno più Maometto ... ma proprio Papa Ratzinger - proprio per la sua volontà di distruggere lo spirito di Assisi (Dante era terziario francescano)! Ricordiamoci - da italiani e da italiane, che "Dio" - in ’volgare’ - si dice Amore e "che muove il Sole e le altre stelle", ma certamente - come ben sappiamo per le vicende politiche recenti - non l’intelligenza teologico-politica e politico-teologica di tutta l’attuale Gerarchia della Chiesa romano-’cattolica’!!!
Che ideologia folle, questa religione costantiniana che vuole imporsi come universale: si pretende che, dopo la Legge del "Dio" che dice di onorare il padre e la madre, si sostituisca e si imponga la Legge del "Dio" che dice di amare la Madre (’Maria’) e il Figlio (’ Gesù Cristo’)!!! Ma che Spirito Santo è questo ... contro e senza il padre, Giuseppe ?! Questo è l’ordine simbolico e il credo del Mentitore ... e di “Mammasantissima” (della madre-Giocasta e del figlio-Edipo - come aveva ben capito e ben detto Freud!!!) Che ideologia folle, questa religione costantiniana che vuole imporsi come religione universale: si pretende che, dopo la Legge del "Dio" che dice di onorare il padre e la madre, si sostituisca e si imponga la Legge del "Dio" che dice di amare la Madre (’Maria’) e il Figlio (’ Gesù Cristo’)!!! Ma che Spirito Santo è questo ... contro e senza il Padre - Giuseppe?! Questo è l’ordine simbolico e il credo del Mentitore ... e di “Mammasantissima” (della madre-Giocasta e del figlio-Edipo - come aveva ben capito e ben detto Freud!!!) - questa è la Legge del "Dio" del Faraone, come ben sapeva e sa "Israele"!!! Certamente non di Melchisedech, non di Abramo, non di Mosé, non di Gesù, e non di Maometto!!! Il VAN-GELO cattolico-romano di PAPA RATZINGER è quello del Figlio-Imperatore Costantino ( - come Gesù!) e della Madre-Imperatrice Elena (- come Maria!).
Fin dall’inizio - e subito - Benedetto XVI si è richiamato al IV secolo d. C. per proclamare "urbi et orbi" cosa voleva e vuole: scatenare l’inferno, distruggere definitivamente la memoria della E dell’Eu-angélo (Buon-messaggio), rilanciare la vecchia guerra contro la storia della Verità in cammino ... e mettere fuori legge ogni ’battuta’ o motto di spirito: "Aus".. "Witz"!!! Che tutto vada all’inferno .... nel più profondo dell’inferno! Van-gélo, van-gélo: questo è il messaggio del Lupo travestito da Agnello, oggi! Il deserto avanza ... e la pace dell’impero cattolico-romano, pure - con la sua “croce”: "In hoc signo vinces" !!! "Con questo segno vincerai" - sicuramente, il trono e l’altare ... dei morti!!!
"AMORE E’ PIù FORTE DI MORTE" (Cantico dei cantici: 8.6 - traduz. di G. Garbini) e segna “la diritta via”.... non per la "selva oscura" (Inferno), ma per "la divina foresta spessa e viva" del "paradiso terrestre"(Purgatorio) ed è lo stesso Amore che è al fondamento stesso della Legge dei nostri ‘Padri’ e delle nostre ‘Madri’ Costituenti... la nostra robusta e sana COSTITUZIONE. W O ITALY ! VIVA L’ITALIA !!!
Federico La Sala
Una lettera - ‘sollecitazione’ del 2002 !!! [Cfr. l’Unità del 29 dicembre 2002, p. 30.]
Deponiamo le armi, apriamo un dibattito tra cattolici e non.
Bisogna cominciare a vaccinarsi: il conto alla rove-scia è partito. L’allineamento dei “pianeti” si fa sempre più stretto e minaccioso (Usa, Uk, Spagna, Italia, Grecia, Turchia, Israele..) e il papa - accerchiato e costretto alla rassegnazione - lo ha detto con decisione e rassegnazione: “Dio sembra quasi disgustato dalle azioni dell’umanità”. Io credo che non si riferisse solo e tanto all’umanità degli altri, ma anche e soprattutto delle sue stesse “truppe” che lavorano dietro le quinte e alacremente a tale progetto. Come è già apparso chiaro in varie occasioni (ultima, plateale, nel Kazakistan nel 2001) la gerarchia della Chiesa Cattolico-Romana ha il cuore duro come quello dei consiglieri del faraone. Si è mantenuta a connivente distanza da Hitler, ha appoggiato Mussolini, sta appoggiando il governo Berlusconi, e non finirà per appoggiare Bush? Figuriamoci.
Lo sforzo di memoria e riconciliazione non è stato fatto per ri-prendere la strada della verità, ma per proseguire imperterrita sulla via della volontà di potenza... Non ha sentito e non vuole sentire ragioni - nemmeno quelle del cuore: la “risata” di Giuseppe (cfr. Luigi Pirandello, Un goj, 1918,“Novelle per un anno”) contro il suo modello-presepe di famiglia (e di società) continua e cresce sempre di più, ma fanno sempre e più orecchi da mercanti! Cosa vogliono che tutti e tutte puntino le armi non solo contro Betlemme (come già si è fatto) ma anche contro il Vaticano?
Credo con Zanotelli che “stiamo attraversando la più grave crisi che l’homo sapiens abbia mai vissuto: il genio della violenza è fuggito dalla bottiglia e non esiste più alcun potere che potrà rimettervelo dentro; e credo - antropologicamente - che sia l’ora di smetterla con l’interpretazione greco-romana del messaggio evangelico! Bisogna invertire la rotta e lavorare a guarire le ferite, e proporre il modello-presepe correttamente.
Lo abbiamo sempre saputo, ma ora nessuno lo ignora più! Chi lo sa lo sa, chi non lo sa non lo sa, ma lo sanno tutti e tutte sulla terra, nessuno e nessuna è senza padre e senza madre! Dio “è amore” (1Gv.: 4,8) e Gesù (non Edipo, né tanto meno Romolo!) è figlio dell’amore di un Uomo (Giuseppe, non Laio né tanto meno Marte, ma un nuovo Adamo) e una Donna (Maria) e non Giocasta né tanto meno Rea Silvia, ma una nuova Eva. Cerchiamo di sentire la “risata”. Deponiamo le armi: tutti e tutte siamo “terroni” - nativi del pianeta Terra, cittadini e cittadine d’Italia, d’Europa, degli Stati Uniti d’America, di Asia, di Africa ecc., come di Betlemme, come di Assisi e di Greccio... E non si può continuare con le menzogne e la violenza!
Non siamo più nella “fattoria degli animali”: fermiamo il gioco, facciamo tutti e tutte un passo indietro se vogliamo saltare innanzi e liberarci dalla volontà di potenza che ha segnato la storia dell’Occidente da duemila anni e più! Si tratta di avere il coraggio - quello di don Milani - di dire ai nostri e alle nostre giovani che sono tutti e tutte sovrani e sovrane o, che è lo stesso, figli e figlie dell’amore di D(ue)IO... dell’amore di "due Soli" esseri umani, come anche Dante aveva già intuito, sul piano politico ma anche sul piano antropologico. Cerchiamo finalmente di guardarci in faccia e intor-no: apriamo il dibattito - o, perché no, un Concilio Vaticano III (come voleva già il cardinale Martini) tra credenti e non credenti - e teniamo presente che Amore non è forte come la morte, ma è più forte di Morte (Cantico dei cantici: 8,6; trad. di G. Garbini, non degli interpreti greco-romani della Chiesa Cattolica).
Caro La Sala, ho letto, apprezzato e, ovviamente condivido. Gianni Vattimo
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www.ildialogo.org/filosofia, Venerdì, 22 settembre 2006
Prodi va a lezione di dottrina
Anche il premier alla messa «dio, patria e famiglia» del papa, che chiude ogni porta al dissenso cattolico. Fischi per lui, applausi e contestazioni anche per Berlusconi
di Paola Bonatelli (il manifesto, 20.10.2006)
Verona. Dio, patria - le radici cristiane dell’occidente - e famiglia. Il messaggio di papa Benedetto XVI, che ieri mattina a Verona è intervenuto con una lunga relazione al IV Convegno ecclesiale organizzato dalla Cei, è stato forte e chiaro. Chi ha orecchie per intendere intenda. Ma il presidente del Consiglio Romano Prodi, che probabilmente del messaggio è uno dei destinatari, alla messa pontificia celebrata nel pomeriggio allo stadio Bentegodi s’è presentato comunque. E, all’uscita, s’è beccato anche una dose di fischi (e qualche applauso). Con lui, oltre a parecchi politici locali, Silvio Berlusconi - pure lui fischiato e applaudito - il ministro Giuseppe Fioroni, che la mattina aveva accolto il papa in aeroporto, Rosi Bindi, Marini, Casini, Gustavo Selva e l’impassibile Gianfranco Fini. La reazione, con relativa rincorsa alla smentita della notizia dei fischi a Prodi, rimbalzata immediatamente sui media presenti in massa nella città scaligera, non s’è fatta attendere. Con il sindaco Paolo Zanotto e Rosi Bindi che si sono scapicollati a dichiarare che loro non hanno sentito nessun fischio.
La faccenda di per sé meriterebbe scarsa rilevanza, se non fosse che piomba in uno scenario, quello del convegno che si chiude oggi con la relazione del cardinale Ruini, fortemente segnato dalle parole del papa, che hanno chiuso parecchie porte. In particolare alle istanze di rinnovamento postulate dalla società civile, ben presente e attiva anche tra i laici che hanno partecipato all’assise scaligera.
Dio, patria e famiglia, si diceva. Dio, che ha creato tutto, compresa l’intelligenza matematica che serve per capire i meccanismi dell’universo, cioè appunto che c’è un creatore. La scienza a questo deve servire, a dimostrare che c’è un’intelligenza originaria. La patria - questa Italia che da 700 anni filati si tiene in corpo il Vaticano - così fedele e con tanti capitelli dedicati alla Vergine Maria ma che è tanto bisognosa di evangelizzazione e catechesi perché partecipa, in buona compagnia, «di quella cultura che predomina in Occidente e che vorrebbe porsi come universale e autosufficiente, generando un nuovo costume di vita», da cui deriva una «nuova ondata di illuminismo e laicismo». La famiglia, infine: l’unica, quella vera, quella buona, è ovviamente quella fondata sul matrimonio.
Sì, bisogna fronteggiare le guerre, il terrorismo, la fame e la sete, «alcune terribili epidemie» (ma non è la Chiesa cattolica che vieta l’uso dei preservativi in Africa?), tuttavia «occorre anche fronteggiare, con pari determinazione e chiarezza di intenti, il rischio di scelte politiche e legislative che contraddicano fondamentali valori e principi antropologici ed etici... in particolare riguardo alla tutela della vita umana in tutte le sue fasi, dal concepimento alla morte naturale, e alla promozione della famiglia fondata sul matrimonio, evitando di introdurre nell’ordinamento pubblico altre forme di unione che contribuirebbero a destabilizzarla».
E voilà, in un solo periodo, ecco servita la condanna di aborto, eutanasia e pacs sia per etero che per gay. Per non parlare della scuola, quella cattolica ovviamente, nei confronti della quale «sussistono ancora, in qualche misura, antichi pregiudizi, che generano ritardi dannosi, e ormai non più giustificabili, nel riconoscerne la funzione e nel permetterne in concreto l’attività». Ma non era stato D’Alema a finanziarle?
Insomma, di materia per riflettere e magari prender posizione ce ne sarebbe in abbondanza. Può darsi che questo succeda nei prossimi giorni. Ma ieri a Verona ogni voce di dissenso, critica o delusa che fosse, è stata soffocata dalla faraonica celebrazione della messa allo stadio. L’unico vero spettacolo di questi cinque giorni di convegno, dal momento che i previsti bagni di folla per le strade non si sono proprio visti, è la papamobile che entra sulla pista accompagnata da alcuni giovanotti che le corrono accanto, con migliaia di fazzoletti gialli, azzurri, arancioni, verdi che sventolano, musiche tra Ennio Morricone e Richard Wagner, un potentissimo coro che occupa un terzo del gigantesco parterre. Ai lati del palco papale, con trono in marmo rosso di Verona realizzato per l’occasione, due ali di religiosi in tonaca bianca e stola verde. Benedetto indossa una veste verde smeraldo, i vescovi che officiano con lui sono in tonaca verde più sbiadito. Durante la messa i vescovi si mettono e tolgono continuamente la mitra bianca, facendo comparire lo zucchetto viola. Non c’è che dire. Sarà un papa reazionario ma è molto fashion.
Napolitano: laicità dello Stato essenziale per la democrazia*
Il prossimo 20 novembre Giorgio Napolitano sarà ricevuto da papa Benedetto XVI in Quirinale. E proprio mentre dalla Santa Sede arriva la conferma della visita, il Capo dello Stato, con un messaggio all’assise dei Repubblicani europei di Luciana Sbarbati, rivendica il valore della «laicità dello Stato».
«Il tema della laicità dello Stato - afferma Napolitano - è un elemento essenziale della democrazia moderna e trova un alto riferimento nei valori della Costituzione italiana e nei principi posti a base dell’integrazione europea».
Parole che suonano come un richiamo all’indipendenza della politica dai dettami di Oltretevere e una chiara bocciatura di chi continua a invocare il valore preminente delle radici cristiane dell’Europa. Un messaggio, quello di Napolitano, che arriva all’indomani del Convegno della Cei a Verona con i politici accorsi in massa per la messa nello stadio Bentegodi, con Camillo Ruini che consegna ai suoi eredi la difesa dei «valori etici irrinunciabili», con il papa che attacca gli «amori deviati» e invita a fronteggiare il rischio di scelte politiche e legislative che contraddicono fondamentali valori e principi antropologici e etici radicati nella natura dell’essere umano.
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www.unita.it, Pubblicato il: 21.10.06 Modificato il: 21.10.06 alle ore 15.38