Ciampi: "Manca una missione per l’Italia"
di Massimo Giannini (la Repubblica 11.10.2006, p. 3)
«Manca la missione. Questo è il vero problema dell’Italia di oggi...». Al culmine della tempesta politica sulla Legge Finanziaria, Carlo Azeglio Ciampi lancia un messaggio ai naviganti. E inutile imporre o litigare per le troppe tasse. E inutile rinviare o rifiutare i grandi interventi sulla spesa pubblica. E inutile guardare sempre e solo al proprio interesse particolare.
Che si tratti di un interesse di coalizione o di partito, di corporazione o di categoria. «Quello che conta e che oggi non si vede - dice l’ex presidente della Repubblica - è un grande obiettivo, generale e condiviso, che il Paese possa comprendere e che dia un senso a tutto ciò che si sta facendo».
Ciampi è appena rientrato da una passeggiata a Villa Ada. «Mi godo questa splendida ottobrata romana...», dice. Non vuole intervenire direttamente nel dibattito politico di questi giorni. «Mi sono dato una regola - chiarisce - mi occupo solo di questioni europee. Sono stato a Trento per il convegno su De Gasperi, poi a Berlino alla Fondazione Bertelsmann, tra un mese sarò a Firenze per una giornata di studio sull’Europa organizzata dal Gabinetto Viesseux. Non voglio parlare di problemi specifici di politica italiana. E un impegno che ho preso con me stesso, per rispetto e per coerenza...».
Ma l’ex capo dello Stato segue con grande attenzione tutto quello che sta succedendo. I primi passi del governo Prodi, il travagliato parto della manovra economica, le difficoltà all’interno della maggioranza, i malumori di molte parti sociali. Ciampi si guarda bene dal lanciare moniti paternalistici e dare consigli pubblici a Tommaso Padoa-Schioppa, con il quale ha condiviso tanti anni in Banca d’Italia, e che è anche suo amico personale, oltre che, a questo punto, «collega» in quanto ministro del Tesoro. La stessa, rovente poltrona che lui stesso occupò, tra il 1996 e il 1999, con il primo governo di centrosinistra.
«Sì - osserva Ciampi - vedo che in questo momento ci sono parecchie difficoltà sulla Finanziaria. Non la giudico, nel dettaglio delle misure che contiene. Certo, quando si fa una manovra, soprattutto di quell’entità, ci sono passaggi sempre molto complessi, che vanno affrontati con grande equilibrio e senso di responsabilità. In questa circostanza colpisce un fatto: da un lato c’è una buona accoglienza da parte dei sindacati, ma dall’altro lato c’è una evidente presa di distanza, oltre che da parte delle imprese, soprattutto da parte degli enti locali. Questo fa riflettere...». L’ex presidente non lo dice. Ma questa sua riflessione rafforza il dubbio che, nella fase che ha preceduto il varo della Finanziaria, ci sia stato un cortocircuito nel confronto triangolare tra governo e parti sociali. Si è riprodotto, ma questa volta amplificato ed estremizzato, lo schema della «concertazione asimmetrica» che caratterizzò a tratti anche il primo governo ulivista.
«Anche con le mie Finanziarie succedevano inconvenienti di questo tipo, e io sono convinto che alla fine queste tensioni con i sindaci rientreranno», aggiunge Ciampi, con una previsione in parte già confermata dal buon esito dell’incontro di ieri pomeriggio a Palazzo Chigi tra il premier e i vertici dell’Anci. «Il contributo degli enti locali al risanamento e allo sviluppo, del resto, è fondamentale. Io stesso me ne resi conto immediatamente, nel ‘96, quando partimmo con la rincorsa all’euro. Per questo mi inventai il «Patto di stabilità interno», che doveva servire proprio a questo: risanare il bilancio, per poi convogliare tutte le risorse verso lo sviluppo».
Allora la prima parte della scommessa funzionò.
«Raggiungemmo il nostro obiettivo, che allora era il risanamento e poi l’ingresso nella moneta unica. Fu un grande traguardo, che ci diede una certezza: una volta raggiunta la stabilità finanziaria, sarà finalmente possibile concentrare tutti gli sforzi per il rilancio della crescita economica». Con questa convinzione, poco prima di essere eletto al Quirinale, Ciampi lanciò l’idea di un «nuovo Patto sociale», che puntava all’obiettivo più ambizioso: aumentare la produttività, ridurre il costo del lavoro, rimettere in moto gli investimenti delle imprese e quindi l’occupazione.
Quella proposta, sottoposta all’attenzione della Confindustria e di Cgil, Cisl e Uil, fu in pratica il suo ultimo atto da ministro del Tesoro. Ma quella che allora parve una certezza (la stabilità acquisita come presupposto per la crescita possibile) presto si è trasformata in un’illusione. Nessuno ha ripreso in mano quella sfida. «E oggi - commenta l’ex Capo dello Stato - ci rendiamo conto una volta di più che l’obiettivo più importante di tutta la politica economica resta proprio quello di tornare alla crescita...».
Su questo terreno, purtroppo, la Legge Finanziaria appena approvata non fornisce risposte convincenti. C’è un’attenuante, che non può essere sottaciuta. Con una manovra da quasi 35 miliardi di euro, Padoa-Schioppa non ha potuto dedicare proprio alla crescita tutte le disponibilità di bilancio.
Ha invece dovuto concentrare un grande sforzo, ancora una volta, al riprisitno della stabilità finanziaria. Di nuovo, Ciampi si tiene lontano dai veleni da Transatlantico: extradeficit, buchi nascosti, eredità lasciate dal governo Amato e poi dal governo Berlusconi. Ma una cosa, per amore di verità, ci tiene a dirla: «Nei cinque anni tra il 2001 e il 2006, purtroppo, è stato abbandonato un sentiero virtuoso che noi avevamo imboccato. E stato annullato l’obiettivo dei 5 punti di avanzo primario rispetto al Prodotto lordo, che pure era un impegno che avevamo sottoscritto in sede europea. Ed è stata nuovamente invertita la tendenza alla riduzione del rapporto debito/Pil, che aveva caratterizzato la legislatura precedente. Questo, per me, è stato un colpo durissimo. Anche sul piano personale...».
Era ovvio che, in queste condizioni, il nuovo governo non potesse costruire una Finanziaria interamente dedicata allo sviluppo. E il ragionamento di Padoa-Schioppa: «Con questa manovra 2007 ci liberiamo una volta per tutte dell’incubo del risanamento, e dal prossimo anno ci dedichiamo interamente alla crescita». Ha una sua logica, che Ciampi capisce e condivide. Ma scontato questo limite «esogeno», che prescinde dalla volontà di chi l’ha redatta, la Finanziaria sconta anche un suo limite «endogeno», che invece non può prescinderne. E appunto quella che Ciampi chiama «la missione». «Vede - ragiona l’ex presidente - noi nel ‘96 una missione ce l’avevamo, l’abbiamo spiegata agli italiani e a quella abbiamo ancorato tutto il nostro impegno politico. Oggi è proprio questo che manca: la missione. Se il Paese non la vede, sta ai politici inventarsela, farla capire e cercare di farla condividere da tutti. Bisogna dare un senso, a quello che si fa. Oggi, come nella seconda metà degli anni ‘90, ci deve essere una direzione di marcia, un filo rosso che tiene tutto assieme, una stella polare da seguire. Sa come dicevo io, nel ‘96? Bisogna fare delle scelte, perché se non si sceglie si "svagola"...».
Ecco il punto. Quello che sta più a cuore a Ciampi. Quello già indicato su questo giornale da Ilvo Diamanti, domenica scorsa. Questa Italia in declino ha un urgente bisogno di «una missione». E di una politica capace di scegliere con spirito di modernizzazione
L’INTERVISTA / «Nei prossimi mesi le scelte di fondo»
Ciampi: «Ora il governo si gioca tutto»
«I fischi? Mio diritto votare. Nel ’94, con il Polo, nessuno protestò. La manovra punta alla stabilità ma serve crescita» *
Presidente Ciampi, urla e fischi hanno accompagnato, l’altro ieri a Palazzo Madama, il voto suo e degli altri senatori a vita. Proteste che stavolta lei sembra aver incassato meno traumaticamente. Si sta forse abituando al clima di conflitto permanente, di tutti contro tutti, che ha così spesso censurato negli anni del Quirinale?
«Quando è cominciata la bagarre, che di sicuro non mi faceva piacere, mi sono limitato ad alzare gli occhi verso l’aula e a guardare in faccia coloro che facevano quegli apprezzamenti. Per mostrare tutta la mia serenità: esercitavo un mio diritto-dovere, secondo coscienza. Per quanto riguarda le polemiche politiche, posso anche capirle, ma di sicuro non voglio attizzarne di nuove. Mi limito a dire che, nella storia repubblicana, i senatori a vita sono stati in molti casi decisivi per i governi. Nel ’94, ad esempio, tre di loro furono indispensabili per tenere a battesimo il primo esecutivo Berlusconi e non rammento contestazioni come adesso».
Il Polo vorrebbe togliervi la possibilità di votare. Con l’effetto di ridurvi a una presenza ornamentale, platonica. Che ne pensa?
«Ripeto: non voglio polemizzare in un momento in cui tutto diventa oggetto di polemiche. Facciano pure. Sappiano però che, per raggiungere un simile risultato, dovranno modificare prerogative scritte nella Costituzione e finora mai messe in dubbio».
Lei ha motivato l’appoggio alla Finanziaria con un intervento piuttosto critico, per toni e sostanza. Insomma: il suo è stato un sì "per carità di patria"?
«Ho votato per senso di responsabilità, per evitare al Paese il danno dell’esercizio provvisorio di bilancio. Ho tuttavia ritenuto onesto spiegare che sarà indispensabile una riforma, contro questo modo di procedere. Ho sempre considerato improvvido costruire una manovra economica su degli articoli-monstre, che inglobano centinaia di commi e rendono difficile un giudizio approfondito sulla legge. Certo, anche in passato non si scherzava. Ma stavolta, con 1.365 commi...».
È stato un giro di boa molto tormentato, per Palazzo Chigi. Con mesi di aspri contrasti interni alla maggioranza e con una conseguente caduta di consenso. Serve una fase due, come da più parti si chiede?
«Chiamatela come volete, fase due o completamento della fase uno, non importa, sono questioni puramente nominalistiche. Interessa la sostanza. Perché, di fatto, il governo si gioca il proprio futuro nei prossimi mesi. È dunque necessario che siano perfezionate in tempi rapidi le scelte di fondo e che sia data alla gente la sensazione che si lavora a obiettivi seri e importanti».
Allude al senso della "missione", da trasmettere al Paese come accadde nell’ultimo scorcio degli anni Novanta? Quando, con lei nelle vesti di superministro dell’Economia e a prezzo di pesanti sacrifici per tutti, entrammo nel club dell’euro?
«Qualcosa del genere. Anche allora le Finanziarie costarono scioperi, malcontento e alcuni brutti sondaggi, ma riuscimmo a evitare grandi scontri tra noi, che componevamo il governo. Eravamo anzi solidali e caricatissimi, determinati su quanto facevamo: una condizione indispensabile per far capire agli italiani che la partita dell’Europa era davvero fondamentale. Ricordo che nel 1996, nei giorni in cui mi insediai al ministero del Tesoro, mi ritrovai in eredità dal governo precedente l’impegno a una riduzione del fabbisogno del 4,5 per cento. E ricordo che, scrivendo il Dpef di luglio, aggiunsi un post scriptum nel quale esprimevo la speranza (che allora poteva sembrare temeraria) di raggiungere traguardi ancor più ambiziosi. Bene: rincarammo la manovra e ce la facemmo, chiudendo il cerchio a quota 2,7 per cento. Ho messo in cornice, come un bollettino della vittoria, il comunicato del 2 gennaio 1998, che registrava quel risultato».
Per capire il travaglio del governo, al deficit di comunicazione (che pure Prodi ha riconosciuto) andrebbe quindi sommato un deficit di convinzione dentro il governo stesso?
«Non voglio esprimere giudizi, e tantomeno giudizi sommari in ore così delicate. Mi permetto solo un consiglio. La Finanziaria punta alla stabilità, e questa è l’ovvia base di partenza. Ma quel che è sul serio fondamentale è la crescita. Altrimenti anche la stabilità avrà prospettive di corto respiro e si finirà con l’arretrare in fretta».
* Corriere della Sera, 17 dicembre 2006
«Vogliono intimidirci, in gioco la libertà di espressione» *
Il senatore a vita Emilio Colombo, il giorno dopo il passaggio della Finanziaria a Palazzo Madama, è amareggiato. «Non mi aspettavo una reazione così violenta. Sono uscito dal Senato impressionato. Con questi sistemi e metodi si indeboliscono le istituzioni democratiche. Si indebolisce il Parlamento, che è una delle strutture democratiche del Paese».
Senatore Colombo, la destra vi ha messo sul banco degli imputati...
«Ma questi urlatori hanno letto la Costituzione? Chi autorizza a fare questa distinzione tra i senatori eletti, quelli di diritto e quelli nominati dal Presidente della Repubblica? Dicono che non siamo stati eletti. Ma io sono stato eletto in Italia per 50 anni. Ad una tornata elettorale per le europee ricevetti un milione di consensi. Per anni, in termini percentuali, sono stato tra i più votati in Italia».
Cosa l’ha ferita nel comportamento dell’aula di palazzo Madama?
«Ognuno di noi ha la sua dignità, e noi non possiamo essere feriti nella nostra dignità mentre in Parlamento esercitiamo le nostre funzioni. Non è ammissibile. Non so in quale sede dobbiamo vederci per un chiarimento sulla Costituzione».
Pensa di appellarsi al Presidente della Repubblica?
«No. Io credo che dovremmo rimanere sul piano politico più che su quello giuridico-costituzionale. Sul banco degli imputati non ci sono i senatori a vita. In gioco c’è la libertà di voto e la responsabilità di ciascuno dei membri del Parlamento di esprimere il proprio voto. Si tende a intimidire. A influire sulla libertà di voto e sul giudizio politico di ciascuno. Sono fatti gravi. Toccano il fondamento della Costituzione, la libertà e la responsabilità».
La destra afferma che avete disatteso il vostro ruolo «istituzionale»...
«Se io ho votato la Finanziaria è, prima di tutto perché ho sentito la responsabilità di evitare il caos. Cosa sarebbe successo se venerdì sera fosse caduto il governo?».
Non è però la prima volta che voi senatori a vita finite nel mirino del centrodestra...
«È il problema del nostro bipolarismo che non ha le caratteristiche del bipartitismo dei Paesi anglosassoni. Qui l’opposizione entra in Parlamento solo con l’obiettivo di far cadere il governo e non con la responsabilità di discutere delle leggi e del governo. Ma così si consuma il bipolarismo, e ciò che le Camere rappresentano».
Chiedono anche al Presidente della Repubblica di nominare dei senatori a vita culturalmente più vicini al centrodestra...
«La nomina dei senatori a vita è una prerogativa del Presidente della Repubblica. E nessuno ha il diritto di influire in una scelta che è nei poteri del Capo dello Stato».
La Finanziaria che ha votato le piace?
«Certo ho molte critiche alla Finanziaria che è stata licenziata dal Senato. Sembra sempre una tavola imbandita in cui tutti spingono per chiedere qualcosa. Non mi piace, ad esempio, la scelta sull’assunzione dei precari. Ma vede io ho partecipato, nella mia vita, a 8-9 bilanci dello Stato. E a me hanno insegnato che in quelle occasioni mi dovevo vestire di blu, con la giacca e la cravatta, perché quello della Finanziaria è un atto solenne. Un atto che implicitamente è un atto di fiducia. La legge di Bilancio è una legge di fiducia».
* www.unita.it, Pubblicato il: 17.12.06. Modificato il: 17.12.06 alle ore 13.17
Vola Colombo bianco vola
diglielo tu
che tornerò...
(Silvio, torna presto !)