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ITALIA: W o ITALY. LO SPIRITO DI ASSISI? WOJTYLA? Giovanni Paolo II è morto e sepolto - e lo Spirito dell’Italia anche!!? Il Dalai Lama non è stato accolto - ufficialmente. La saggia sollecitazione di Marco Pannella è caduta miseramente nelle coscienze strapiene di opportunismo economico e di cecità spirituale, politica e culturale - a cura di pfls

venerdì 7 dicembre 2007.
 
[...] Peccato per il mancato incontro con papa Ratzinger, "avrei desiderato vederlo, per un saluto, per rispetto, per un impegno morale". Ma allo stesso tempo, "mi mancano Giovanni Paolo II e la sua determinazione nel promuovere i valori umani e il discorso interreligioso, come nel meeting di Assisi. Oh, Giovanni...". Il suo cuore batte ancora per Wojtyla e il Dalai Lama non ha alcuna difficoltà ad ammetterlo con i giornalisti che ha incontrato questa mattina a Milano nel corso della sua visita in Italia. Wojtyla "un grande, non solo ufficialmente, ma personalmente, un uomo davvero meraviglioso - così lo ricorda - per cui ho sentito una sensazione piacevole sin dal primo incontro". Di Ratzinger apprezza che sia "un grande esperto", "mi ha detto che fede e ragione devono camminare insieme" [...]

Il leader radicale è fiducioso che gli incontri ci saranno

«Ricevere il Dalai Lama sarebbe un gesto prudente»

Pannella: è ora di dire basta ai toni ricattatori della Cina. I diritti umani devono contare più dei soldi

ROMA - «A imporre al governo italiano di ricevere il Dalai Lama non dovrebbe essere il coraggio ma la prudenza». La prudenza? «Sì, sarebbe imprudentissimo girarsi dall’altra parte e cedere ai possibili toni ricattatori della Cina: vorrebbe dire aprire la strada non solo ad altri ricatti ma anche ad altri ricattatori». Marco Pannella il Dalai Lama lo conosce bene («tra noi c’è un rapporto di amicizia»). E quella del popolo tibetano è una delle cause che sente più vicina al suo vecchio cuore di radicale. Non sorprende, quindi, il suo invito al governo affinché il Dalai Lama sia ricevuto ufficialmente. A colpire è il suo ottimismo.

Crede che il governo lo riceverà, nonostante le possibili ritorsioni della Cina?

«Sono fiducioso. Perché questa è una posizione prudente, ragionevole e responsabile».

Ma, dopo che Bush e la Merkel lo hanno incontrato, in Cina le aziende americane e tedesche hanno perso diversi contratti. Non è un rischio da tener presente?

«Potrei dire che i diritti umani devono contare più del portafoglio, ed è vero. Potrei aggiungere che tra il 6 e l’8 dicembre proclameremo per il 2008 il primo Satyagraha mondiale, la prima forma di lotta non violenta proprio per la difesa dei diritti umani. Ma il punto è un altro: c’è chi pensa alle ritorsioni? Bene, queste situazioni non si scongiurano ma si governano. E dalla Cina arrivano segnali positivi».

Di quali segnali parla?

«Finora contro la moratoria sulla pena di morte in discussione all’Onu la Cina non ha fatto pressioni. Non solo: a Pechino il potere di decretare la pena di morte è passato dall’equivalente del nostro giudice di pace alla massima autorità giudiziaria. Non è mica un piccolo passo».

D’accordo, ma cosa c’entra con il Tibet?

«È un segnale che la parte provvisoriamente vincente della dirigenza comunista vuole tentare una politica nuova, più aperta, prima delle Olimpiadi. Cerca in qualche modo di guadagnare consensi nella comunità internazionale. E questo fa ben sperare anche per il Tibet».

La Cina non fa paura.

«A noi no. E non deve farla nemmeno al governo se è disposto a dare un contributo a questi segnali positivi».

Ecco, il governo. I radicali hanno un ministro, Emma Bonino, che sul tema dei diritti umani è sempre stato in prima linea. Finora la sua voce non si è sentita.

«Ma se è proprio lei che coordina la nostra battaglia...».

Ma forse resta dietro le quinte perché si trova in una posizione delicata: ministro per il Commercio estero, in prima fila davanti al pericolo delle ritorsioni economiche.

«Questa è solo facile demagogia da ritardatari. Dovete chiederlo a lei ma spero e credo che Emma, se potrà, il Dalai Lama lo incontrerà».

Forse se i Radicali non fossero stati al governo avrebbero fatto di più.

«No. La direzione del partito ha chiesto ufficialmente che Prodi e Bertinotti ricevano il Dalai Lama. Proprio come nel 1994 quando per nostro esclusivo intervento, e nonostante le tante pressioni contrarie, andò prima da Berlusconi e poi da Scalfaro».

Lorenzo Salvia

* Corriere della Sera, 26 novembre 2007


-  Il leader spirituale incontra la stampa e si dice "dispiaciuto" del mancato incontro con Ratzinger
-  "La natura della mia venuta non è politica, non voglio creare problemi, sono solo un visitatore straniero"

-  Dalai Lama: "Mi manca Wojtyla
-  un grande uomo meraviglioso"

-  "La Cina mi ha accusato di separatismo e ha rafforzato la repressione. E’ un genocidio culturale
-  Hanno detto che il capo del Tibet non esiste più. Ma il terrore non è un bene neanche per loro"

MILANO - Peccato per il mancato incontro con papa Ratzinger, "avrei desiderato vederlo, per un saluto, per rispetto, per un impegno morale". Ma allo stesso tempo, "mi mancano Giovanni Paolo II e la sua determinazione nel promuovere i valori umani e il discorso interreligioso, come nel meeting di Assisi. Oh, Giovanni...". Il suo cuore batte ancora per Wojtyla e il Dalai Lama non ha alcuna difficoltà ad ammetterlo con i giornalisti che ha incontrato questa mattina a Milano nel corso della sua visita in Italia. Wojtyla "un grande, non solo ufficialmente, ma personalmente, un uomo davvero meraviglioso - così lo ricorda - per cui ho sentito una sensazione piacevole sin dal primo incontro". Di Ratzinger apprezza che sia "un grande esperto", "mi ha detto che fede e ragione devono camminare insieme".

E’ da vero uomo di pace che il Dalai Lama si presenta ai cronisti che lo aspettano all’Hotel Principe di Savoia. Cerca di stemperare le polemiche dopo l’imbarazzo col quale alcune istituzioni italiane hanno accolto il suo arrivo. "La natura della mia visita non è politica, non voglio creare problemi allo Stato e alle autorità dei Paesi che visito. Per me - dice - non c’è problema, sono solo un visitatore straniero". Accompagnato dai suoi monaci, lascia intendere di conoscere i motivi che inducono i politici alla cautela: "Vorrei andare in Tibet e anche in Cina per una visita breve, ma la propaganda cinese mi demonizza, per loro sono un nemico del popolo e così quelli che mi incontrano, da Bush alla Merkel, diventano anche loro mezzi demoni".

Gli dispiace, si diceva, di non poter avere un colloquio con Ratzinger, "in passato ho avuto l’opportunità di incontrarlo, questa volta invece no, evidentemente avrà le sue difficoltà, avrà poco tempo o altri impegni". E se ne rammarica, convinto dell’importanza della conoscenza reciproca, perché "nonostante le differenze filosofiche, tutte le religioni danno lo stesso messaggio di amore, compassione, tolleranza, perdono e disciplina morale". Per la stessa ragione non vede di buon occhio le conversioni: "E’ più salutare rimanere con la propria fede di cuore, quella di nascita, altrimenti si rischia di far confusione".

Fermo restando che "la religione del cuore è quella cui si appartiene" nulla vieta, comunque, "di imparare anche dalle altre", come faranno le ottomila persone che, al Palasharp di Milano, parteciperanno alla tre giorni sul tema della pace interiore. Condizione, quest’ultima, necessaria - secondo il premio Nobel - per raggiungere la pace nel mondo: "Tanta guerra è frutto dell’azione dell’uomo, dell’intenzione umana: soldi e tecnologia non possono risolvere i nostri problemi, credo che si debba invece migliorare l’uomo dal profondo". In questo senso, "tutte le grandi religioni, anche se diverse, hanno un’enorme potenzialità di realizzare la pace interiore".

Ma oltre alla pace interiore c’è anche un altro valore in cui il leader spirituale crede, quello della democrazia, rivendicato dal movimento dei monaci buddisti della Birmania. Lui, di fronte alla repressione militare, ha provato "grande dispiacere" perché "lo scopo della loro manifestazione era la democrazia, valore universale ed estremamente nobile". Allo stesso modo il suo Tibet si batte da anni per ottenere l’autonomia dalla Cina, già concessa - come prevede la Costituzione cinese - ad alcune altre etnie.

Nonostante questo, "nel 2002, quando si ripresero i contatti con la Cina, dissi che non chiedevamo l’indipendenza ed ero fiducioso, ma sono stato accusato di separatismo e si è rafforzata la repressione finché, nel giugno del 2007, nel nostro ultimo incontro, mi hanno detto che il capo del Tibet non esiste più".

Quello che sta avvenendo nel suo Paese, denuncia Tenzin Gyatso, è "un genocidio culturale" ma "repressione e terrore non sono un bene neanche per la Cina". Al Paese che dal 1951 occupa il Tibet, il leader spirituale ricorda che "se l’istituzione del Dalai Lama per successione continuerà o meno, dipenderà dal popolo tibetano: sarà lui a decidere". Per quanto lo riguarda, non esclude - come aveva già detto - né che il suo successore possa essere una donna né che possa essere scelto mentre lui è ancora in vita.

Da una parte, infatti, "se una donna sarà la più adatta per portare beneficio tramite l’insegnamento, allora sarà possibile che il prossimo Dalai Lama si incarni in una donna". Dall’altra invece "nella tradizione tibetana esistono già esempi di reincarnazioni in vita", e visto che lo scopo delle reincarnazioni è ultimare il lavoro incompiuto nella vita precedente, se la situazione del Tibet rimarrà tale e quale Tenzin Gyatso non esclude di rinascere nell’esilio cui è costretto da quasi cinquant’anni.

* la Repubblica, 6 dicembre 2007.


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