I forzieri del Vaticano salvi grazie ai lingotti
Tablet rivela: nel 2007 parte delle azioni trasformate in oro e obbligazioni *
CITTÀ DEL VATICANO - Il Vaticano sembra potersi permettere, in questi tempi inquieti, di guardare con una certa serenità alla crisi dei mutui e alle tempeste finanziarie: sta infatti seduto - rivela il settimanale britannico Tablet - su una “roccia d’oro” perché già nel 2007, e su consiglio di abili consulenti finanziari, aveva trasformato i suoi investimenti azionari in lingotti, oltre che obbligazioni e contanti.
La rivista del Regno Unito ha fatto esaminare ad un analista economico i dati contenuti nel rapporto annuale sulla gestione delle finanze vaticane relativa allo scorso anno, preparato dalla Prefettura degli Affari Economici della Santa Sede e reso pubblico già nel luglio 2008.
Non si tratta di cifre nuove, ma dalla lettura degli esperti emerge ora che la Santa Sede, sapientemente consigliata, aveva fiutato in anticipo i venti avversi del mercato e convertito i propri investimenti azionari, come un novello “re Mida”, in tanto metallo prezioso. La Santa Sede possiede una tonnellata di oro che può valere circa 19 milioni di euro.
* Fonte: Corriere. com
VATICANO: SETTIMANALE INGLESE, PREOCCUPAZIONE PER FINANZE IN 2008
(ASCA) - Citta’ del Vaticano, 26 set - ’’I risultati del primo periodo del 2008 sono preoccupanti e non inducono all’ottimismo’’: le preoccupazioni per la situazione finanziaria della Santa Sede arrivano da mons. Vincenzo Di Mauro, segretario della Prefettura vaticana degli Affari Economico, in un documento riservato pubblicato oggi dal settimanale cattolico inglese ’The Tablet’.
Il settimanale riporta pero’ anche l’opinione di un esperto finanziario, di cui non fa il nome, secondo il quale la Santa Sede ’’appare finanziariamente ben posizionata per raccogliere profitti, anche nell’attule tempesta finanziaria’’. Secondo il documento, la Santa Sede disporrebbe di 340 milioni di euro in valuta, di 520 milioni in obbligazioni e azioni, e di 19 milioni in oro - per un totale di circa una tonnellata di lingotti.
’’Si rende sempre piu’ necessario - afferma ancora mons. Di Mauro nel rapporto citato dal ’Tablet’ - il richiamo alle Amministrazioni della Santa Sede ad operare con prudenza e con la massima oculatezza nella gestione operativa delle spese e nell’assunzione di nuovo personale’’. L’anno scorso, secondo i dati resi noti dalla Santa Sede questa primavera, gli investimenti finanziari, per l’influenza della crisi e del calo del dollaro, avevano portato profitti di 1,4 milioni di euro, contro i 14 milioni di euro dell’anno precedente, provocando il primo ’rosso’ nel bilancio del Vaticano da tre anni a questa parte.
Il documento pubblicato dal ’Tablet’ risulta pero’ molto piu’ dettagliato. Secondo i dati rivelati dal settimanale, il patrimonio immobiliare della Santa Sede ammonterebbe infatti a 424 milioni di euro, mentre il valore totale dei beni (immobiliari, finanziari e altro) vaticani sarebbe di oltre 1,4 miliardi di euro.
’’Complessivamente - conclude l’esperto consultato dal ’Tablet’ - la Santa Sede e’ stata ben consigliata e non ha probabilmente perso molto nella crisi. Hanno abbandonanato man mano le azioni e nel tempo si sono concentrati su investimenti obbligazionari e monetari’’.
“Il Vaticano non è in fallimento”: la sua ricchezza nascosta nei fondi neri
Il "ministro dell’economia” di Bergoglio, il cardinale George Pell, al settimanale Catholic Herald spiega che le casse dello Stato sono più in salute di quanto inizialmente apparissero: "Alcune centinaia di milioni di euro - dice - erano nascosti in particolari conti settoriali e non apparivano nei fogli di bilancio"
di Francesco Antonio Grana (il Fatto, 04 dicembre 2014)
Centinaia di milioni di euro “nascosti” nei bilanci ufficiali della Santa Sede sono emersi nel lavoro di riforma delle finanze vaticane voluto da Papa Francesco. È quanto ha svelato a sorpresa, in un’intervista al settimanale Catholic Herald, il “ministro dell’economia” di Bergoglio, il cardinale George Pell.
Il “ranger australiano”, come lo ha soprannominato il Pontefice che lo ha chiamato da Sydney a Roma e nominato al vertice della neonata Segreteria dell’economia, ha spiegato al settimanale cattolico britannico che paradossalmente, proprio a motivo dei “fondi neri”, le casse della Santa Sede sono più in salute di quanto inizialmente apparissero. “È importante sottolineare - afferma Pell - che il Vaticano non è in fallimento. A parte il fondo pensione che ha bisogno di essere rafforzato per le richieste su di esso nei prossimi 15 o 20 anni, la Santa Sede sta facendo la sua strada essendo in possesso un patrimonio e investimenti consistenti”.
Pell, che fa parte del “consiglio della corona” del Papa, il cosiddetto “C9”, e che è sotto la lente di ingrandimento in Australia per la gestione dei casi di pedofilia quando era arcivescovo di Melbourne, ha fatto luce sulla situazione delle finanze vaticane dopo che la Santa Sede ha chiuso il bilancio 2013 in rosso per 24,5 milioni di euro. Un dato che è stato spiegato come dovuto “soprattutto alle fluttuazioni negative derivanti dalla valutazione dell’oro per circa 14 milioni di euro”. Ora la scoperta di centinaia di milioni di euro extrabilancio, svelata da Pell, dimostra che alcune parti del Vaticano sono molto più floride della Santa Sede nel suo complesso.
“In realtà - ha spiegato il prefetto della Segreteria per l’economia - abbiamo scoperto che la situazione è molto più sana di quanto sembrasse, perché alcune centinaia di milioni di euro erano nascosti in particolari conti settoriali e non apparivano nei fogli di bilancio. È un’altra questione, a cui è impossibile rispondere, quella se il Vaticano dovrebbe avere riserve molto più grandi”.
Secondo Pell, infatti, finora diversi dicasteri della Curia romana, e specialmente la Segreteria di Stato, “hanno goduto e difeso una sana indipendenza. I problemi erano tenuti ‘in casa’, come si usava nella maggior parte delle istituzioni, laiche e religiose, fino a poco tempo fa. Pochissimi erano tentati di dire al mondo esterno che cosa stava accadendo, tranne quando avevano bisogno di un aiuto supplementare”. Una vera e propria ammissione ufficiale non solo della mancanza di trasparenza con cui venivano redatti i bilanci dei diversi dicasteri vaticani, ma anche della gestione abbastanza arbitraria delle casse dei numerosi “ministeri papali”, che facilitava così abusi e in particolare il riciclaggio del denaro sporco.
Ma Pell non si ferma qui e ammette anche che per secoli personaggi senza scrupoli hanno approfittato dell’ingenuità finanziaria e delle procedure segrete del Vaticano. Per il porporato, infatti, le finanze della Santa Sede erano poco regolate e autorizzate a “sbandare, ignorando i principi contabili moderni”. Ma d’ora in poi, promette Pell, non sarà più così: “Le nuove strutture e organizzazioni stanno portando le finanze vaticane nel Ventunesimo secolo e rendendo il loro funzionamento trasparente, con piena responsabilità”.
Sempre secondo il cardinale australiano, “chi era nella Curia romana seguiva modelli a lungo consolidati. Proprio come i re avevano permesso ai loro governanti regionali di avere quasi mano libera, purché i libri fossero in equilibrio, così hanno fatto i Papi con i cardinali di Curia, come fanno ancora con i vescovi diocesani”.
Il prefetto della Segreteria per l’economia ammette, inoltre, che i tentativi della riforma finanziaria voluta da Papa Francesco inizialmente hanno vacillato. “Quando torneremo agli ultimi anni del pontificato di Benedetto XVI - afferma Pell - troveremo che i problemi erano tornati alla banca vaticana. Il presidente dello Ior, Ettore Gotti Tedeschi, è stato licenziato dal consiglio laico e una lotta di potere in Vaticano ha portato alla fuoriuscita regolare di informazioni. Lo scandalo è esploso quando Paolo Gabriele, il maggiordomo del Papa, ha rilasciato migliaia di pagine di documenti fotocopiati privati del Vaticano alla stampa”.
Sulla vicenda denominata Vatileaks Pell confessa: “La mia prima reazione è stata di chiedere come un maggiordomo abbia goduto di un qualsiasi accesso, tanto meno l’accesso regolare per anni, a documenti sensibili. Parte della risposta è che ha condiviso un grande ufficio unico con i due segretari papali. Tutto questo è stato gravemente dannoso per la reputazione della Santa Sede e una croce pesante per Papa Benedetto”.
MONITO DI AVVENIRE
"Già torna la malafinanza"
DAL QUOTIDIANO DELLA CEI UN DURO ATTACCO ALLE BANCHE
di GIACOMO GALEAZZI (La Stampa, 22/1/2010)
«Come prima, peggio di prima». Con un duro editoriale, dal titolo «Se già torna la malafinanza», l’Avvenire denuncia oggi l’atteggiamento delle istituzioni finanziarie, e anche delle banche italiane, all’indomani della crisi globale, e in particolare il ritorno in grande stile dei «derivati» e della «finanza creativa».«Il temporale è già passato e la festa può ricominciare...», ironizza l’editoriale del giornale dei vescovi italiani, a firma di Giancarlo Galli.
L’articolo ricorda come le responsabilità della crisi fossero state individuate «nei comportamenti di banchieri e speculatori», e «nella talvolta interessata disattenzione dei controllori», oltre che «nella debole autorevolezza dei politici». E ricorda anche le successive autocritiche, seguite dalla «solenne promessa»: «non lo faremo più». «Davvero pentimento da marinai impenitenti», rileva amaramente l’Avvenire. Infatti, «non solo la stragrande maggioranza di coloro che si trovavano ai vertici hanno conservato le poltronissime, ma senza perdere tempo hanno preso a ribattere le vecchie strade».
Ecco quindi la ricomparsa di «quegli strani Ufo» che hanno per nome «derivati», definiti nell’editoriale «scommesse da casinò », con i risparmiatori nei panni di «ingenui pesciolini alla mercè degli squali». Il giornale dell’episcopato non manca di denunciare anche che, al contrario di quanto promesso, non ci sia stata nessuna revisione dei compensi e dei «bonus milionari» che, «sotto ogni cielo, banchieri e finanzieri si autoattribuiscono». E questo nonostante che i beneficiari, in particolare nel mondo anglosassone, siano «quegli stessi personaggi, spesso inamovibili, che sono stati salvati dalla bancarotta da interventi pubblici».
Corriere della Sera, 8.10.08
Le finanze della santa sede e la grande crisi del ‘29
Risponde Sergio Romano
Da racconti dell’epoca, mi risulta che il Vaticano uscì indenne dalla crisi del 1929, anzi ne trasse vantaggi. Anche nell’odierna bufera che investe i mercati, a detta di un quotidiano inglese, i banchieri di Dio si sono messi anticipatamente in salvo investendo in beni rifugio. Invece di leggere le cronache finanziarie, sarebbe stato probabilmente più utile aver sottoscritto un abbonamento all’Osservatore Romano.
Adriano Ponti
Temo che i «racconti dell’epoca » abbiano diffuso una idea alquanto sbagliata del modo in cui le finanze della Santa Sede uscirono dalla grande crisi finanziaria del 1929. Per capire ciò che accadde occorre fare un piccolo passo indietro al febbraio del 1929, quando Mussolini e il cardinale Gasparri firmarono i Patti lateranensi. L’Italia liquidò il debito assunto con la Legge delle guarentigie e versò allo Stato pontificio un miliardo e 750 milioni, di cui un miliardo in consolidato 5% al portatore e 750 milioni in contanti. La Chiesa non poteva vendere immediatamente il consolidato (se lo avesse fatto l’Italia avrebbe corso il rischio di una crisi finanziaria), ma disponeva di una somma che, tradotta in euro, ammonterebbe oggi a 534 milioni. Per investirla e trarne frutto, Pio XI creò una Amministrazione speciale e chiamò a dirigerla uno dei più abili e intelligenti finanzieri di quegli anni. Si chiamava Bernardino Nogara, era stato dirigente della Banca Commerciale Italiana, aveva rappresentato l’Italia in alcuni dei maggiori negoziati economico- finanziari degli anni precedenti ed era per più (aspetto molto importante agli occhi di papa Ratti) un cattolico lombardo, membro di quelle famiglie della buona borghesia milanese che Paolo XI aveva conosciuto e apprezzato negli anni in cui era stato Prefetto dell’Ambrosiana e arcivescovo della «capitale morale».
Per bene amministrare questo nuovo patrimonio vaticano, Nogara si servì dei suoi contatti internazionali e distribuì la somma prudentemente fra diversi investimenti: oro, valuta, azioni di società ferroviarie e titoli pubblici dei Paesi più affidabili, con una preferenza per Svizzera, Francia, Gran Bretagna e Stati Uniti. Secondo lo storico inglese John Pollard, autore di un libro sulle finanze vaticane apparso anche in Italia presso Corbaccio («L’obolo di Pietro. Le finanze del Papato moderno 1850-1950»), il portafoglio avrebbe dovuto fruttare ogni anno più di 87 milioni di lire. Rassicurato da queste previsioni e dai buoni risultati della fase iniziale, Pio XI si lanciò in un ambizioso programma edilizio per rinnovare la Città del Vaticano, restaurare Castel Gandolfo, promuovere la costruzione di nuove chiese e realizzare le opere pubbliche (fra cui una stazione ferroviaria) necessarie alle esigenze del nuovo Stato. Le opere vennero in parte realizzate, ma la fonte dei redditi, nel 1931, cominciò a inaridirsi.
Nogara dovette spiegare al Papa che il crollo della sterlina, l’insolvenza delle banche e il fallimento di alcune grandi imprese avevano duramente colpito le finanze vaticane. Per uscire dalla crisi dovette in primo luogo convincere Pio XI a ridurre le dimensioni del suo programma edilizio e decise in secondo luogo di puntare soprattutto su due investimenti: l’oro e il mercato immobiliare. Riuscì a salvare in tal modo una parte consistente del patrimonio, ma il reddito del capitale fu considerevolmente ridotto. Sembra che il Papa, poco esperto di cose economiche, abbia capito con un certo ritardo la gravità della crisi. Quando ne fu consapevole disse che era «la più grande calamità umana dopo il Diluvio».
L’uomo senza pecunia
di BARBARA SPINELLI (La Stampa, 12/10/200)
Benedetto XVI conosce certamente la poesia di Heinrich Heine che gli alunni in Germania imparano a memoria. S’intitola Germania-Fiaba d’Inverno, e non solo è difficile tradurne la cadenza ma è difficile trasmettere quel che per i tedeschi significa: è una scheggia piantata nel cuore, non si stacca. Il poeta narra come un giorno torna in patria, e ascolta la strana nenia cantata da una fanciulla con sentimento vero e voce falsa: la nenia evoca l’amore e le miserie d’amore, il sacrificio e il ritrovarsi in un mondo migliore, dove tutte le sofferenze scemano.
Evoca la valle di lacrime che è la terra, le gioie che svaniscono presto, e l’Aldilà dove l’anima nuota, trasfigurata, in eterne delizie. D’un tratto Heine cambia tono, rompe l’incanto: «Era la vecchia canzone della rinuncia, la ninnananna del cielo con cui si culla il popolo, questo gran villano, quando mugugna». Il Santo Padre non ha intonato un canto diverso, il 6 ottobre, in apertura del Sinodo internazionale dei vescovi. Ha detto parole bellissime e commosse, come la fanciulla di Heine che suona l’arpa. Ma è una nenia per bambini, la sua, anche se così negativa sul mondo: è indifferente alla tempesta che in questi giorni agita l’economia del pianeta, alle sofferenze che scatena.
Non ha parole per descrivere l’inverno di tutto un mondo, che stiamo vivendo: la dura scoperta del reale, che Heine colloca «nel triste mese di novembre, quando il vento strappa le foglie dagli alberi, i giorni diventano più foschi, il cuore è come se lentamente sanguinasse». Il testo del Pontefice, se non fosse stato detto in pubblico e nel momento che traversiamo, se fosse una mistica segreta preghiera, resterebbe nel ricordo come traccia sublime. Parla del visibile e dell’invisibile di cui la creazione è fatta; del vero realismo, che non costruisce sulla sabbia ma sulla roccia. Ma anche in lui, d’un tratto, il sublime sembra spezzarsi: «Tutto questo un giorno passerà. Lo vediamo adesso nel crollo delle grandi banche: questi soldi scompaiono, sono niente. E così tutte queste cose, che sembrano la vera realtà sulla quale contare, sono realtà di secondo ordine. Chi costruisce la sua vita su queste realtà, sulla materia, sul successo, su tutto quello che appare, costruisce sulla sabbia. Solo la Parola di Dio è fondamento di tutta la realtà».
Nemmeno se avesse detto queste parole vestito d’un saio - non era vestito d’un saio - il Papa sarebbe stato vicino a chi soffre. Le parole son belle, ma nella voce è come se mancasse un poco di bontà, di veridicità. La voce non dice quel che propriamente sta accadendo. Denuncia una sorta di danza panica attorno al dio denaro, mentre quel che viviamo è un risveglio amaro e una prova scabrosa. È l’uscita costosa da molteplici bolle d’illusioni, ed è lo sforzo che ci tocca fare per non incapsularci in altre bolle: ieri la bolla che dilatava irrealisticamente il valore delle cose, oggi la bolla che le svaluta indiscriminatamente tutte; ieri si credeva che il mercato si regolasse da solo, oggi si sogna uno Stato di nuovo onnipotente.
Come altre volte in passato - le terribili crisi finanziarie narrate da Emile Zola sul finire dell’800, nel romanzo Il Denaro; il grande crollo del 1929 - quel che rischia il naufragio è la parte migliore dell’uomo: la fiducia innanzitutto, quest’inclinazione che fonda la civiltà e il coesistere umano pacifico. All’origine del tracollo borsistico c’è un precipizio mondiale della fiducia: fiducia nel mercato e nella politica, negli imprenditori e nella finanza, fiducia del cittadino verso le banche e delle banche tra loro. Ecco, davvero, un nichilistico non credere più in nulla, non aver più fede nella buona fede dell’altro.
Al posto della fiducia si insediano sospetto, diffidenza verso i simili, paura che la vita dell’uomo, come nello stato di natura descritto da Hobbes, «trascorra solitaria, povera, brutale e breve». Il denaro appare in questi scenari apocalittici come sporco, diabolico. Lo pensava Marx, che citando Shakespeare lo chiamava prostituta. Lo pensavano i bolscevichi, che fantasticavano d’abolirlo. A destra lo pensava Charles Maurras, che l’associava alla democrazia, ai giornali, al dominio dell’opinione. Eppure è proprio grazie al denaro, alla sua natura astratta, simbolica, che la fiducia si rafforza: se io ti vendo un oggetto in cambio di una banconota fatta di carta vuol dire che scommetto sulla tua onestà, che credo in una convenzione sconnessa dagli oggetti. La fiducia può essere eccessiva, è vero. Ma è vero anche il monito di un altro grande tedesco, Friedrich Hebbel: «Chi ha cominciato a fidarsi di tutti, finisce col considerare chiunque come un farabutto».
Il pericolo è qui: che dalla fiducia illimitata si passi alla sfiducia illimitata; che l’economia di mercato, da angelo che era, appaia come un farabutto. Le parole di Benedetto XVI non danno fiducia ma accrescono sfiducia, panico, e questo sordo divorante sospetto. Infine ci sono i poveri, gli ultimi. Difficile dir loro che quel che è visibile è chimera, che bisogna guardare alla vera realtà dell’oltre mondo perché questo mondo passerà. Nell’intimo possiamo pensare - capita spesso - che il male sia in terra. In pubblico siamo responsabili della fiducia in rovina. La crisi non colpisce solo gli speculatori. I deboli hanno da temere la perdita di lavoro, l’insicurezza della pensione, le minacce di pignoramento, la restrizione del credito, i salvataggi pagati dal contribuente, il carovita. Al crac finanziario s’aggiunge inoltre l’aumento dei prezzi alimentari, che resterà a nostro fianco quando le borse riprenderanno: un numero sempre più grande di poveri morirà di fame sulla terra. È bello ricordare che il pane quotidiano è in realtà soprasostanziale, come nella versione greca e latina di Matteo 6,9-13. Ma il pane invocato è anche quello fatto di farina, acqua e sale. La Chiesa ha antiche diffidenze verso il denaro, nonostante la Bibbia sia in materia contraddittoria. È come se desiderasse il ritorno all’economia del baratto, pur di liberarsi dal dio Mammona.
Ma nel baratto scambiamo un oggetto contro un altro, e non per questo siamo più liberi e sicuri d’ottenere giustizia. Siamo meno liberi, perché dipendiamo dalla persona con cui barattiamo. Abbiamo sempre il sospetto che lo scambio non sia completamente equo, perché forse le quattro sedie che dò in cambio di una stufa hanno per me un valore che l’altro non valuta. Simmel spiega bene come il denaro - grazie alla sua natura astratta, spersonalizzata - liberi interiormente da rancori oltre che da schiavitù e renda più giusta la proprietà, oltrepassando le appropriazioni ineguali, senza scambio, che sono il furto e il dono. «Il denaro crea rapporti fra gli uomini, ma lascia gli uomini al di fuori di essi, è l’equivalente esatto delle prestazioni oggettive ma un equivalente molto inadeguato per ciò che vi è di personale e individuale in esse» (Georg Simmel, Filosofia del Denaro). Il denaro è fiducia nell’uomo, è entrare in relazione con lui senza paura. Il cardinale Siri, che era un conservatore, coltivava una vicinanza ai poveri che spesso è coltivata dai veri conservatori. Usava ripetere il proverbio: Homo sine pecunia imago mortis. L’uomo senza denaro è immagine della morte: è uomo chiuso, che diffida del simile, che non pratica lo scambio, amicistico o mercantile.
Anche queste antiche saggezze sono realistiche, autenticamente: non inventano, non costruiscono sulla sabbia. L’assenza di pecunia è assenza di cibo, di vita, di fede nell’altro. Gli accenni di Siri al denaro fanno pensare a una Chiesa che non si occupa solo dei primi nove mesi di vita e delle ultime ore dell’uomo, ma anche di quello che c’è in mezzo: un corto tragitto mortale, ma non sprezzabile. Non incantabile, comunque, con l’Eiapopeia vom Himmel, con la ninnananna del cielo.
Corriere della Sera 26.9.08
E i lingotti salvano il Vaticano dal «rosso»
Il Vaticano sembra potersi permettere, in questi tempi inquieti, di guardare con una certa serenità e distacco alla crisi dei mutui e alle tempeste finanziarie che stanno scuotendo il resto del mondo: sta infatti seduto - rivela il settimanale britannico Tablet - su una «roccia d’oro» perché già nel 2007, e su consiglio di abili consulenti finanziari, aveva trasformato i suoi investimenti azionari in lingotti, oltre che obbligazioni e contanti.
La rivista del Regno Unito ha fatto esaminare a un analista economico i dati contenuti nel rapporto annuale sulla gestione delle finanze vaticane relativa allo scorso anno, preparato dalla Prefettura degli Affari economici della Santa sede e reso pubblico già nel luglio 2008. Non si tratta di cifre nuove, ma dalla lettura degli esperti emerge ora che la Santa sede, sapientemente consigliata, aveva fiutato in anticipo i venti avversi del mercato e convertito i propri investimenti azionari, come un novello «re Mida», in tanto metallo prezioso. La Santa sede possiede attualmente una tonnellata di oro che può valere circa 19 milioni di euro. Il Tablet ironizza: «La roccia di Pietro, su cui è stata fondata la Chiesa, si è trasformata in una roccia d’oro». E da quale posto migliore osservare quanto sta accadendo in queste ore nelle tumultuose acque dell’economia mondiale?
Il settimanale riporta l’opinione di un esperto finanziario, di cui non fa il nome, secondo il quale la Santa sede «appare finanziariamente ben posizionata per raccogliere profitti, anche nell’attuale tempesta finanziaria». «Complessivamente - aggiunge - la Santa sede è stata ben consigliata e non ha probabilmente perso molto nella crisi. Hanno abbandonato man mano le azioni e nel tempo si sono concentrati su investimenti obbligazionari e monetari».
Secondo i dati contenuti nel rapporto finanziario del 2007, il Vaticano disporrebbe di 340 milioni di euro in valuta, di 520 milioni in obbligazioni e in poche azioni, insieme ai 19 milioni in oro più molti altri in preziosi. Una quota più che ragguardevole per un piccolo stato come quello pontificio. La roccia tuttavia è più traballante di quello che appare. «I risultati del primo periodo del 2008 sono preoccupanti e non inducono all’ottimismo», dice il vescovo Vincenzo Di Mauro, segretario della Prefettura degli Affari economici. «Si rende sempre più necessario - aggiunge - il richiamo alle Amministrazioni della Santa sede a operare con prudenza e con la massima oculatezza nella gestione operativa delle spese e nell’assunzione di nuovo personale».
In ogni caso, questo è certo, il Vaticano si avvale dei migliori consulenti disponibili sul mercato, che finora non lo hanno tradito. Solo una decina di anni fa avvenne un curioso incidente, mai reso noto. Il «portafoglio» personale del Papa era affidato a una grande banca internazionale e se ne occupava un funzionario che aveva il compito di investire nel modo migliore il denaro raccolto nell’Obolo di San Pietro e di essere pronto a smobilizzarlo a ogni occorrenza per le opere di carità. Era però in vacanza mentre Papa Wojtyla, in Brasile nel 1997, staccava un assegno per la costruzione di un orfanotrofio a Rio de Janeiro. Assegno risultato «scoperto»: un errore tenuto nascosto a cui però fu poi dato rapido rimedio.
Anche Benedetto XVi interviene sulla crisi che si è abbattuta sui mercati
ammonendo chi costruisce tutto "sul successo e sulla carriera"
Mutui, Papa: "I soldi scompaiono
solo la parola di Dio è solida"
Lo stravolgimento dei mercati per il Pontefice è l’ennesima riprova
della vacuità della scelta di chi decide di puntare tutto sui valori "visibili"
Benedetto XVI
CITTA’ DEL VATICANO - Anche il Papa è intervenuto sulla crisi mutui, ricordando che "i soldi scompaiono" e che "solo la parola di Dio è una realtà solida". "Vediamo adesso nel crollo delle grandi banche che i soldi scompaiono, sono niente, - ha detto Benedetto XVI, parlando a braccio, in apertura dei lavori del sinodo dei vescovi sulla Bibbia - e tutte queste cose che sembrano vere in realtà sono di secondo ordine". Una considerazione, ha aggiunto il Papa, rivolta soprattutto a chi "costruisce solo sulle cose sono visibili, come il successo, la carriera, i soldi".
La riflessione Benedetto XVI è partita dal brano evangelico sulla casa costruita "sulla sabbia o sulla roccia". "Costruisce sulla sabbia la casa della propria vita - ha osservato il Papa - chi costruisce solo sulle cose visibili e toccabili, come il successo, la carriera, i soldi".
"Apparentemente - ha commentato - queste sono le vere realtà, ma questa realtà prima o poi passa: vediamo adesso nel crollo delle grandi banche, che scompaiono questi soldi, che non sono niente". "Solo la parola di Dio è fondamento della realtà e cambia il nostro concetto di realismo: realista è chi riconosce la realtà nella parola di Dio".
10:44 Il Papa: "I soldi sono niente"
"Vediamo adesso nel crollo delle grandi banche che i soldi scompaiono, sono niente, e tutte queste cose che sembrano vere in realtà sono di secondo ordine". Lo ricordi chi "costruisce solo sulle cose sono visibili, come il successo, la carriera, i soldi". Lo ha detto il Papa, parlando a braccio, in apertura dei lavori del sinodo dei vescovi sulla Bibbia. "Solo la parola di Dio - ha detto - è una realtà solida". - cliccare sul rosso, per andare sul sito - la Repubblica, 06.10.2008.
Usa, no al piano da 700 miliardi Crollano Borse e banche europee
Vano l’appello del presidente Bush
La Camera dei rappresentanti degli Stati Uniti ha bocciato il pacchetto da 700 miliardi di dollari per salvare il sistema finanziario americano. È mancato il quorum per un pugno di voti. I voti contrari sono stati 228, mentre quelli a favore sono stati 205. Per far passare la legge erano necessari 218 voti favorevoli.
Crolla Wall Street: subito dopo il voto il Dow Jones faceva segnare -5,4%, il Nasdaq a -6,2%. L’euro schizzava a 1,4570 dollari.
Il documento per qualche minuto è rimasto congelato: in molti hanno cercato di convincere, aggrappandosi a tecnicismi procedurali, chi aveva votato contro a cambiare idea. Ma non c’è stato nulla da fare. Vano anche l’ennesimo appello del presidente George Bush in mattinata: «Il Congresso potrà mandare un forte messaggio ai mercati approvando prontamente il piano di salvataggio».
La giornata è stata nera per le Borse europee che hanno chiuso con un tonfo una seduta tutta in calo: sono stati bruciati 320 miliardi. A influire sui listini è principalmente lo scetticismo sul piano di salvataggio Usa delle banche, oltre ai timori dovuti alla diffusione della crisi anche nel vecchio continente.
La nazionalizzazione di Bradford&Bingley in Inghilterra e di Fortis con l’aiuto di Belgio, Olanda e Lussemburgo, insieme alle difficoltà di Dexia a Parigi e di Hypo Real Estate a Francoforte deprimono le Borse e i titoli bancari in generale, peggiori dei listini in tutto il Continente: l’indice Eurostoxx di settore ha chiuso in calo del 7,2%. Peggio hanno fatto solo le materie prime, con un calo del 9,38%. Negli Stati Uniti il colosso finanziario Citigroup ha annunciato che acquisterà le attività legate alle operazioni bancarie di Wachovia, evitandone il fallimento. La Bce è intervenuta con l’immissione di 120 miliardi di euro sui mercati, per fronteggiare la crisi.
Il piano Paulson prevede la creazione di un board incaricato della supervisione del programma di salvataggio finanziario, di cui faranno parte i vertici di Fed e Sec, il direttore della Federal Home Finance Agency ed esponenti del governo. L’accordo prevede inoltre un divieto per i manager delle società che beneficiano del piano di accedere a buonuscite d’oro e permette al Tesoro, in alcuni i casi, di prendere il controllo delle società che attingono ai fondi del piano di salvataggio. I conservatori, facendosi portavoce del malumore in una larga fetta dell’opinione pubblica americana per l’entità dell’enorme intervento con soldi pubblici, hanno continuato a sollevare dubbi sull’efficacia e l’opportunità del piano. L’alternativa però, secondo quanto ha detto ai negoziatori sabato notte il miliardario Warren Buffett, è semplicemente quella di andare incontro alla «più grande catastrofe finanziaria nella storia americana». E ora l’approvazione definitiva potrebbe slittare a mercoledì e forse persino più in là.
Nel frattempo le Borse europee sono penalizzate anche da un altro genere di incertezze, quelle sui nuovi terremoti economici europei, effetto del vasto tzunami finanziario americano. Nel fine settimana c’è stata una doppia nazionalizzazione: della banca britannica Bradford & Bingley da parte del governo di Londra e della banca belga Fortis da parte dei governi di Belgio, Olanda e Lussemburgo e dopo l’annuncio del piano di salvataggio targato Benelux il titolo si è risvegliato in rimonta ad Amsterdam.
Ma i salvataggi resi necessari dal propagarsi della crisi subprime Usa non sono finiti. Lunedì il ministro delle Finanze belga Didier Reynders si è detto pronto a sostenere anche la banca franco-belga Dexia, su cui si concentrano forti ribassi borsistici. Già dieci giorni fa il titolo Dexia, in virtù della sua esposizione dichiarata nei confronti della fallita Lehman Brothers - anche se l’istituto smentisce di avere problemi di liquidità -, aveva subito gravi perdite in borsa. Lunedì ha iniziato la settimana perdendo il 32 percento, poi approndondendo le perdite nel corso della seduta.
Non è migliore la situazione in Germania dove per salvare Hypo Real Estate, istituto tedesco specializzato in mutui in difficoltà, è stata aperta una linea di credito da parte di un consorzio di banche pubbliche. Il titolo della banca stava crollando in borsa lasciando sul terreno il 75,5% del valore.
Anche a Piazza Affari a Milano le contrattazioni sono iniziate con vendite a mani basse sui bancari. Il titolo più bersagliato dagli investitori è stato Unicredit che ha iniziato cedendo subitoil 5,70%. Sotto pressione anche la Popolare di Milano, il Banco Popolare, Intesa Sanpaolo, Mps e Mediobanca tutti titoli con ribassi iniziali superiori ai due punti percentuali.
A cercare di risollevare le economie del Vecchio Continente la Bce annuncia un’asta a un giorno da 30 miliardi di dollari, nell’ambito dell’azione coordinata con la Fed. Praticamente si tratta di iniettare sul mercato monetario questi altri 30 miliardi di dollari.
Il presidente della Bce, Jean Claude Trichet a Bruxelles a colloqui con il premier belga Ives Leterme, mentre è in corso un consiglio dei ministri straordinario sulla crisi della banca Fortis. Secondo il quotidiano Figaro banca francese Bnp Paribas potrebbe acquisire tutte le attività del gruppo belga-olandese Fortis, il quale però ricorrerebbe intanto a una operazione di aumento di capitale.
Intanto è stato diffuso un rapporto della Commissione europea secondo il quale il Business Climate Indicator, indice sulle aspettative imprenditoriali nei paesi dell’Eurozona, è calato a settembre ai minimi degli ultimi cinque anni: arretra a -0,79 punti dai -0,28 punti di agosto e contro gli attesi -0,93 punti. Bulgaria, Slovenia e Slovacchia sono gli unici tre Paesi della nuova Europa a 27 dove a settembre la fiducia economica non è risultata in crisi. Nell’Unione europea, l’Esi - il più generale indicatore di fiducia economica - ha raggiunto il suo livello più basso dal dicembre 1993, mentre per la zona euro si avvicina al dato del 2001.
Il petrolio e l’euro non stanno bene. A New York il greggio arriva a un minimo a 102,56 dollari. Mentre a Londra il future novembre sul brent cede il 3,19% a 100,24. Ma anche l’euro ha una battuta d’arresto e lunedì cala a ridosso dei 1,43 dollari.
Quanto al destino della nazionalizzata Bradford & Bingley, nell’immediato il Banco Santander pagherà 612 milioni di sterline (1,1 miliardi di dollari Usa) per rilevare la rete di 197 agenzieed i circa 20 miliardi di sterline di depositi di circa 2,7 milioni di clienti.
Bradford&Bingley è il secondo colosso bancario britannico a cadere vittima della crisi dei mercati finanziari, dopo che già Northern Rock era stato salvato dal Governo poco dopo l’ esplosione della crisi legata al credito immobiliare statunitense ad alto rischio. Il Governo britannico a sua volta pagherà circa 14 miliardi di sterline per rendere possibile il trasferimento dei depositi della clientela a Santander; la banca spagnola già opera nel Regno Unito attraverso Abbey National. Oltre a questo sempre il Governo di Londra si farà carico di quattro miliardi di sterline per proteggere i depositi superiori alle 35mila sterline.
* l’Unità, Pubblicato il: 29.09.08. Modificato il: 29.09.08 alle ore 20.46
Ansa» 2008-09-28 19:25
CRISI MUTUI: SVOLTA A CONGRESSO USA
WASHINGTON - Volata finale in Congresso a Washington per tentare di chiudere sul piano per il salvataggio di Wall Street, dopo che nella notte un accordo di massima è stato raggiunto tra democratici, repubblicani e amministrazione Bush.
I membri della Camera stanno ricevendo in queste ore informazioni e aggiornamenti sullo stato della trattativa, arrivata a un punto di "grande progresso", come ha annunciato nella notte la ’speaker’ della Camera, Nancy Pelosi, affiancata dai leader dei due partiti e dal ministro del Tesoro Henry Paulson.
Il Congresso punta ad approvare entro la giornata odierna un provvedimento che dettagli l’intervento da 700 miliardi di dollari, con l’obiettivo di farlo arrivare al massimo lunedì sulla scrivania del presidente George W.Bush per la firma. "Anche se attendo di esaminare il linguaggio del provvedimento - ha commentato il candidato alla Casa Bianca, Barack Obama - sembra che l’accordo di massima abbracci i principi" che il senatore democratico aveva indicato come indispensabili per il suo appoggio.
Il piano, ha detto Obama in una dichiarazione, prevede un ’board’ indipendente incaricato della supervisione del programma di salvataggio finanziario; la possibilità per il governo federale - e quindi per i contribuenti - di recuperare i 700 miliardi di dollari investiti; maggiori aiuti per i proprietari di casa a rischio di pignoramento; regole che limitino i compensi dei manager delle società che attingono al piano federale.