I Discepoli
di Serge Wellens *
“Con la loro tristezza e la loro fame
le loro tentazioni e la loro fatica
erano là per ascoltare
la parola del panettiere
Era il miracolo del pane
la moltiplicazione degli uomini”
Les Disciples
«Avec leur tristesse et leur faim
leurs tentations et leur fatigue
Ils étaient là pour écouter
la parole du boulanger
C’était le miracle du pain
la multiplication des hommes»
Serge Wellens (1927-2010). Poesia tratta da La Concordance des temps, Ed. Folle avoine (1997)
Sul tema, nel sito, si cfr.:
IL VATICANO, L’ARCANGELO DELLA GIUSTIZIA, E UN BEL CARTELLO: "CHIUSO PER RESTAURO".
di Giorgio Nebbia *
Alla fine dello scorso aprile, alla vigilia della solenne inaugurazione dell’EXPO 2015 di Milano, la Fondazione Luigi Micheletti di Brescia ha riunito presso il suo Museo dell’Industria e del Lavoro (MusIL), un centinaio di studiosi invitandoli a chiedersi come si presentano, in Italia e nel mondo, le “agricolture”. “Agricolture” al plurale perché sono tante le forme in cui viene praticata la più importante attività umana, quella che assicura agli oltre settemila milioni di terrestri il cibo, ma anche molte altre materie prime essenziali.
Lo storico Pier Paolo Poggio, direttore della Fondazione Micheletti, ha curato la pubblicazione del libro, appena apparso col titolo: Le tre agricolture: contadina, industriale, ecologica (Jaca Book, Milano), che raccoglie le relazioni presentate al convegno sopra ricordato. Non c’è dubbio che a “nutrire il pianeta” contribuiscono tante diverse forme di coltivazione del suolo: dalla cerealicoltura della Valle Padana, agli oliveti pugliesi, agli agrumeti della Sicilia, dalle monocolture a mais del Nord America o della canna da zucchero del Brasile o della palma dell’Indonesia, dalle innumerevoli comunità agricole dei villaggi contadini sparsi in Africa, Asia, America Latina, ai giovani che abbandonano le città per mettersi a produrre mele “biologiche”.
Chiamateli agricoltori o imprenditori o contadini, sono le centinaia di milioni di persone che zappano con poveri strumenti, o si spostano con moderni trattori, o lavorano nelle fabbriche in cui i prodotti agricoli e zootecnici sono conservati e trasformati, sono loro che permettono a (quasi) tutti noi di trovare ogni giorno sulla tavola il pane fresco e la carne e la frutta. In molti paesi esiste ancora una agricoltura contadina che coltiva la terra in armonia con i cicli naturali ma che può soddisfare soltanto il fabbisogno alimentare delle piccole comunità locali, sempre più sostituita dalla agricoltura industriale, così come l’artigianato è stato soppiantato dalla grande manifattura di prodotti di serie e il piccolo negozio è soppiantato dai supermercati.
Il successo dell’agricoltura industriale, con alte rese per ettaro, è assicurato dall’uso intenso di macchine, di energia, di concimi artificiali, di sementi geneticamente modificate, di pesticidi, ed è presentato come l’unico mezzo “moderno” con cui è possibile sfamare la crescente popolazione mondiale, sempre più urbanizzata e lontana dai campi e dai pascoli. Questo successo economico e finanziario oscura le trappole in cui la transizione ha fatto cadere l’umanità. Le monocolture e l’impiego di pesticidi alterano la biodiversità che è condizione essenziale per la stabile successione delle coltivazioni; il crescente impiego di concimi artificiali provoca l’immissione nell’atmosfera di ossidi di azoto, uno dei “gas serra”; la zootecnica contribuisce all’immissione nell’atmosfera di metano, altro “gas serra”, per cui l’agricoltura industriale contribuisce in maniera crescente al riscaldamento globale e alle conseguenti modificazioni climatiche che sempre più spesso distruggono i fertili campi.
La coltivazione intensiva del suolo e l’abbandono delle terre meno produttive alterano il moto superficiale delle acque e provocano allagamenti e frane che colpiscono in primo luogo proprio l’agricoltura stessa. La pasta e l’olio, la frutta e le carni diventano “manufatti”, standardizzati nella qualità; la diversità biologica è sostituita dalla fantasia dei nomi, delle etichette, dalle mode gastronomiche e così aumentano sprechi e rifiuti. Si può quindi amaramente dire che l’agricoltura industriale, nel secolo ormai della sua esistenza, dopo aver distrutto l’agricoltura contadina sta distruggendo se stessa con i guasti ambientali e sociali.
Nell’introduzione al volume prima ricordato Pier Paolo Poggio ricorda che la salvezza, umana e ambientale del pianeta, è realizzabile con una agricoltura ecologica che veda “i contadini” appropriarsi del meglio della tecnologia attraverso il suo utilizzo selettivo e intelligente, producendo cibo con una “economia circolare”, per usare un termine oggi di moda, come hanno fatto sempre nel corso della storia.
Alla fine dei lavori del convegno di Brescia i partecipanti hanno redatto un “manifesto” in cui auspicano l’avvento di una economia agricola rinnovata, ecologica, appunto, capace di assicurare un reddito dignitoso, un lavoro soddisfacente, la sperimentazione di nuove forme di convivenza sociale e un rapporto consapevole con l’ambiente di vita e naturale. Una trasformazione legata ai prodotti e ai produttori di ciascun territorio, al servizio degli abitanti delle campagne e delle città, volta a limitare gli sprechi materiali ed energetici.
Una agricoltura ecologica può e deve raccogliere e superare l’eredità sia dell’agricoltura contadina sia di quella industriale, una transizione in cui è fondamentale il ruolo delle giovani generazioni e delle donne. La sua affermazione, passando da situazioni di nicchia a fenomeno socialmente rilevante, le consentirà di svolgere un ruolo prezioso di rigenerazione sul piano culturale, ambientale ed economico, rimettendo al centro dell’operare umano il valore del saper fare e della manualità, il valore del lavoro e del suo senso, il valore delle cose e delle relazioni, il valore dei tempi dell’attesa.
Abbastanza curiosamente simili concetti sono stati espressi da Papa Francesco parlando ai “Movimenti popolari”, per lo più piccoli contadini sparsi in tutto il mondo, riuniti sotto una bandiera che chiede “Terra, casa, lavoro”. “La passione per il seminare, ha detto il Papa, per l’irrigare con calma ciò che gli altri vedranno fiorire sostituisce l’ansia di occupare gli spazi di potere e di vedere risultati immediati”. Forse sarà questa la vera “modernità” per nutrire il pianeta.
L’articolo è stato inviato contemporaneamente aLa Gazzetta del Mezzogiorno
IL GIORNO PIU’ BELLO DELLA STORIA
di Gianni Rodari *
«S’io fossi un fornaio
Vorrei cuocere un pane
Così grande da sfamare
Tutta, tutta la gente
Che non ha da mangiare
Un pane più grande del sole
Dorato profumato
Come le viole
Un pane così
Verrebbero a mangiarlo
Dall’India e dal Chilì
I poveri, i bambini
i vecchietti e gli uccellini
Sarà una data da studiare a memoria:
un giorno senza fame!
Il più bel giorno di tutta la storia».
Se il “vampiro” abbandona la Chiesa
di Ida Bozzi (Corriere della Sera, 31 luglio 2010)
«Seguire Cristo non vuol dire seguire i suoi seguaci»: con il suo rifiuto della «cristianità» - più propriamente della cattolicità - espresso però «in nome di Cristo», la scrittrice americana Anne Rice ha aperto su Facebook una discussione che ha provocato un terremoto. Il fatto, rilanciato con grande evidenza dall’influente Huffington Post e poi dal «Washington Post» e dal «Guardian», risale a mercoledì, quando l’autrice di bestseller come Intervista con il vampiro ha pubblicato un post inequivocabile: «Oggi smetto di essere cristiana. Ne sono fuori. Resto fedele a Cristo come sempre, ma non all’essere "cristiana"». Risultato: oltre 1.300 commenti e 2.900 «mi piace» (il contrassegno che esprime consenso su Facebook).
La svolta, per l’autrice dalla vita tormentata e segnata da dure esperienze, viene a pochi anni dall’altrettanto clamorosa (ed enfatizzata) conversione alla fede dopo 40 anni di ateismo. Di famiglia cattolica, orfana di madre da adolescente, la Rice ha perso nel ’71 la figlia Michelle di appena 5 anni, morta di leucemia, e nel 2002 il marito Stan, ucciso dal cancro. Ma nel ’98, risvegliatasi da un coma, la conversione: la scrittrice ritrova la fede e dedica i nuovi libri alla storia di Gesù. Uno choc per i fan del vampiro Lestat de Lioncourt (diventato film con Brad Pitt, Antonio Banderas e Tom Cruise) e di altri personaggi della Rice, atei tormentati e pessimisti dalla sessualità libera. Ora la nuova svolta, motivata però non da un cedimento di fede, ma da una presa di posizione contro quelli che indica come eccessi normativi della Chiesa e le sue posizioni sui diritti civili: «Rifiuto di essere anti-gay. Rifiuto di essere anti-femminista. Rifiuto di essere contro il controllo delle nascite. Rifiuto di essere anti-democratica. Rifiuto di essere contro la scienza». Quasi un manifesto.
Contro le gerarchie per un cristianesimo che viva di libertà
di Giulio Giorello (Corriere della Sera, 31 luglio 2010)
Anne Rice confessa lo stesso disagio che per secoli non solo grandi letterati, filosofi e scienziati hanno espresso con veementi parole di denuncia, ma che donne e uomini «comuni» hanno provato sulla propria pelle, a volte persino rimettendocela sul rogo o in qualche camera dei supplizi. Non deve dunque stupire che la protesta dell’autrice di una grande saga di vampiri, capace di conquistare milioni di lettori in tutto il mondo, venga da una persona che aveva aderito al cattolicesimo dopo un lungo e tormentato cammino. Le prime vittime di una religione che si manifesta attraverso coazione e gerarchia sono i suoi fedeli, e non i miscredenti di qualsiasi estrazione - siano essi libertini, agnostici, atei, o quel che volete.
Anne è colpita dall’eccessivo numero di regole imposte dalla Chiesa di Roma. Ora, non è che le altre religioni ne siano prive, anzi. Tuttavia, ogni associazione privata (e tali non possono che essere tutte le Chiese, almeno nel quadro di una democrazia liberale) si basa su un insieme di norme che ne definiscono l’identità: queste possono venire cambiate o sostituite nel corso del tempo, ma non possono esser tutte eliminate, pena lo sciogliersi dell’associazione stessa. La vera questione riguarda il contenuto di queste regole e il modo in cui sono imposte e recepite.
L’associazione nota come Chiesa cattolica ha sempre ridefinito il suo nucleo più profondo in una struttura autoritaria: come hanno fatto notare gli ultimi due pontefici, che hanno tenuto a ribadire (nel caso qualcuno si fosse illuso) che la loro Chiesa non è (e non può essere) una democrazia. Si potrebbe obiettare da parte cattolica che l’obbedienza data liberamente a chi si ritiene il custode della parola di Dio è la forma più alta di libertà. Ma questa è solo retorica, che giustifica la rinuncia a quell’autonomia che tipi come Voltaire o Kant ritenevano caratterizzasse gli esseri umani quando escono dallo stato di minorità: perché non dire tutti, come il Leporello alle dipendenze di Don Giovanni, «son prontissimo a servir»? Discriminazione della donna, cui tra l’altro è negato il sacerdozio, concezione rigida della famiglia «naturale» (senza alcuna concessione a persone di orientamento non eterosessuale), divieto di esercitare l’autodeterminazione nelle scelte sessuali e persino nelle decisioni che riguardano la propria fine. Per non dire dell’incapacità delle alte gerarchie di fare veramente i conti con l’individualismo economico, il libertarismo politico e con l’innovazione scientifica e tecnologica, che spazza via superstizioni e vincoli vecchi di secoli.
Anne Rice, dunque, colpisce nel segno. E vista la società in cui vive credo che provi una certa insofferenza anche per lo scollamento, che il mondo cattolico ben conosce, tra un insieme di norme in teoria rigidissime e una pratica che le elude con mille accorgimenti. Quest’ultimo mi pare un tratto ancor più evidente in un Paese come il nostro che non nel contesto anglosassone. È possibile una vita cristiana diversa da così? Senza guardare ai tanti esempi dell’Europa soprattutto settentrionale o del Nordamerica, anche in Italia c’è qualche esempio prezioso: basti pensare al tipo di Chiesa e di etica, non autoritario e non discriminatorio, realizzato nelle valli valdesi del Piemonte occidentale. Difeso, come sa la storia, con una coraggiosa resistenza a qualsiasi genere di oppressione e intolleranza.
Il più grande uomo che sia mai esistito SI PUÒ dire di qualcuno, senza timore di essere smentiti, che è il più grande uomo che sia mai esistito? Da cosa misurate la grandezza di un uomo? Dal suo genio militare? dalla sua forza fisica? dalle sue capacità intellettuali?
La grandezza di un uomo, disse lo storico H. G. Wells, si può misurare ‘da ciò di cui è stato l’ispiratore, e dall’avere indotto altri a pensare seguendo criteri interamente nuovi e con un vigore che non si è spento con lui’. Wells, pur non professandosi cristiano, ammise: “Giudicato con questo metro, Gesù supera tutti”.
Alessandro Magno, Carlo Magno (chiamato “Magno” già dai suoi contemporanei) e Napoleone Bonaparte furono potenti sovrani. Con la loro formidabile presenza esercitarono grande influenza sui loro sudditi. Eppure Napoleone avrebbe detto: “Gesù Cristo ha influito ed esercitato autorità sui Suoi sudditi senza la Sua presenza fisica e visibile”.
Con i suoi insegnamenti dinamici e con il modo in cui visse la sua vita conforme ad essi, Gesù ha influito potentemente sulla vita degli uomini per circa duemila anni. Uno scrittore fece questa appropriata osservazione:
“Tutti gli eserciti che abbiano mai marciato e tutte le flotte che siano mai state costruite e tutti i parlamenti che si siano mai radunati e tutti i re che abbiano mai governato, messi insieme, non hanno influito sulla vita dell’uomo sulla terra in maniera così potente”.
(Con tutta la stima e il rispetto+Il bene del mondo)
"Stolto, questa stessa notte ti sarà richiesta la tua anima!... A Che vale all’uomo guadagnare il mondo intero lucrando, se poi perde la sua stessa anima! .... "
("E’ meglio un giorno da leone che! cento da pecora"...contento tu! contenti tutti!)
Pur se! anche loro erano fatti di Polvere-Fango e Sabbia;
con sentimenti e imperfezioni come tutti gli altri...
Senza alcuna ombra del dubbio! Andavano Avanti.
“Con la loro tristezza e la loro fame; sia fisica che “spirituale” e con tutte le loro tentazioni che; l’imperfezione gli recava e la loro fatica erano là per ascoltare...
Con discernimento per imparare a lampo e mettere in pratica al “campo” la parola del panettiere, Gesu’.
Il suo stesso corpo; simboleggiava il pane.
Era il miracolo del pane e I cinque pesciolini che; un ragazzo s’aveva portato, per andare appresso al Maestro e mangiando, “mangiando”;Il vero pane dal cielo!
“Chi si nutre della mia carne e beve il mio sangue rimane unito a me, e io unito a lui”. “Questo discorso è offensivo; chi lo può ascoltare?” “Molti dei suoi discepoli se ne tornarono alle cose [lasciate] dietro e non camminavano più con lui. Perciò Gesù disse ai dodici: “Non ve ne volete andare anche voi, vero?” Simon Pietro gli rispose: “Signore, da chi ce ne andremo? Tu hai parole di vita eterna;
"Padre santo, vigila su di loro a motivo del tuo nome che tu mi hai dato, affinché siano uno come lo siamo noi.
E dall’ora; Tutto; si muto’; nella moltiplicazione...degli uomini ( Con una genuina disposizione di buona volonta’) (Non faraonica o costantiana)
(Con tutto il bene del mondo)