Verrà la morte e avrà i tuoi occhi-
questa morte che ci accompagna
dal mattino alla sera, insonne,
sorda, come un vecchio rimorso
o un vizio assurdo. I tuoi occhi
saranno una vana parola,
un grido taciuto, un silenzio.
Così li vedi ogni mattina
quando su te sola ti pieghi
nello specchio. O cara speranza,
quel giorno sapremo anche noi
che sei la vita e sei il nulla
Per tutti la morte ha uno sguardo.
Verrà la morte e avrà i tuoi occhi.
Sarà come smettere un vizio,
come vedere nello specchio
riemergere un viso morto,
come ascoltare un labbro chiuso.
Scenderemo nel gorgo muti.
Cesare Pavese
Caro Vincenzo, voglio approfittare di quest’angolo dedicato alla poesia, per pubblicare due poesie (dedicate al precettore e alla nonna) di un Leopardi inedito, scherzoso e ironico, tornate alla luce di recente:
Poesia a Don Sebastiano
Illustrissimo Signore,
Immortal, gran Precettore,
Mi par cosa vergognosa
Senza dire qualche cosa
Il dovere incominciare
Verso sera a studiare.
Dunque su, Calliope amica,
Torna presto alla fatica,
Incomincia un po’ a cantare,
E lei resti ad ascoltare.
Verso la sera,
Fra l’ombra nera
Lieti studiamo,
Nason spregiamo
In un bruttissimo
Libro, sporchissimo,
Che pure è buono
A darsi in dono
A quel che vende,
E allegro prende
Libri stracciati,
Libri sporcati.
Ma il Precettore
Ha un libro bello
Espresso in quello
Vede il dolore
Del poveretto Nason, diletto.
Dunque andiamo, studiamo contenti
Precettore immortale, e giocoso,
Che sollevi le cure, e gli stenti
Dello studio, ch’è un po’ faticoso.
Lasciam pur la fatica diurna,
Cominciam la fatica notturna.
Ma per ora soscriver mi voglio
E lasciar di far versi l’imbroglio.
Servitore Devotissimo,
E scolare obbligatissimo.
Recanati è il mio paese,
E d’Ottobre siam nel mese.
Poesia a Virginia Leopardi
Di fiori un serto vivido, che Apollo a noi presenti
In Elicona è solito destar vaghi concenti.
E quei Poeti miseri che non san fare un corno
Fiori a raccor divertonsi per tutto il santo giorno.
A questo io stesso m’occupo, che sono un di costoro,
E stanco poi distendomi sotto un opaco alloro.
Or dunque il frutto nobile della fatica mia
Umil presento, e inchinomi a Vostra Signoria.
Spero che in volto placido accetterete il dono
E dell’ardir, che presimi darete a me perdono.
Prendetelo di grazia , e quindi se mai fia,
Che in un vasetto pongasi, o in quello che si sia,
Quell’acqua sì odorifera, quell’acqua istessa,
Al Precettor buonissima per celebrar la Messa.
Se dopo tante prediche che far non ne sapete
Nel cacator buttatelo, o dove mai volete.
Basta, che di riceverlo non isdegniate almeno,
Del resto cosa importami? Sarò contento appieno.