Chi va dicendo in giro
che odio il mio lavoro
non sa con quanto amore
mi dedico al tritolo,
è quasi indipendente
ancora poche ore
poi gli darò la voce
il detonatore.
Il mio Pinocchio fragile
parente artigianale
di ordigni costruiti
su scala industriale
di me non farà mai
un cavaliere del lavoro,
io sono d’un’altra razza,
son bombarolo.
Nello scendere le scale
ci metto più attenzione,
sarebbe imperdonabile
giustiziarmi sul portone
proprio nel giorno in cui
la decisione è mia
sulla condanna a morte
o l’amnistia.
Per strada tante facce
non hanno un bel colore,
qui chi non terrorizza
si ammala di terrore,
c’è chi aspetta la pioggia
per non piangere da solo,
io sono d’un altro avviso,
son bombarolo.
Intellettuali d’oggi
idioti di domani
ridatemi il cervello
che basta alle mie mani,
profeti molto acrobati
della rivoluzione
oggi farò da me
senza lezione.
Vi scoverò i nemici
per voi così distanti
e dopo averli uccisi
sarò fra i latitanti
ma finché li cerco io
i latitanti sono loro,
ho scelto un’altra scuola,
son bombarolo.
Potere troppe volte
delegato ad altre mani,
sganciato e restituitoci dai tuoi aeroplani,
io vengo a restituirti
un po’ del tuo terrore
del tuo disordine
del tuo rumore.
Così pensava forte
un trentenne disperato
se non del tutto giusto
quasi niente sbagliato,
cercando il luogo idoneo
adatto al suo tritolo,
insomma il posto degno
d’un bombarolo.
C’è chi lo vide ridere
davanti al Parlamento
aspettando l’esplosione
che provasse il suo talento,
c’è chi lo vide piangere
un torrente di vocali
vedendo esplodere
un chiosco di giornali.
Ma ciò che lo ferì
profondamente nell’orgoglio
fu l’immagine di lei
che si sporgeva da ogni foglio
lontana dal ridicolo
in cui lo lasciò solo,
ma in prima pagina
col bombarolo.
Fabrizio De Andrè
I disobbedienti alle leggi del branco
Vent’anni fa moriva Fabrizio De Andrè
di Giampaolo Mattei (L’Osservatore romano, 10 gennaio 2019)
«Nella mia vita non posso prescindere da Cristo”. Un lungo silenzio, avvolto dal fumo della sigaretta, aveva come “preparato” le parole che Fabrizio De Andrè con schiettezza ci aveva confidato, un anno prima di morire, durante un vivace colloquio sulla fede. Non aveva “il dono della fede” (parole sue) ma possedeva certamente - lo ha detto di lui anche il poeta Mario Luzi - una visione religiosa della vita. «Quale sarà la mano che illumina le stelle» ha scritto nella canzone Ho visto Nina volare («un’estatica contemplazione del mistero della creazione, in quella solitudine che ti mette a contatto con l’ Assoluto»), pubblicata in quel suo ultimo disco (Anime salve, 1996) che si conclude con il brano Smisurata preghiera: «Ricorda, Signore, questi servi disobbedienti alle leggi del branco».
De Andrè ha saputo scrivere poesie e vestirle di musica. Ha tentato, riuscendoci, di schierare i suoi versi dalla parte degli emarginati, dei poveri, dei perdenti agli occhi del mondo. «L’insegnamento di Cristo - ci disse in quell’intervista pubblicata poi nel libro Anima mia - mi ha spinto a scegliere di cantare la storia degli uomini perdenti. Amo parlare di chi è pronto a pagare per difendere la propria dignità: Dio non si scorderà di loro». I perdenti, era il suo pensiero, «sono le persone che più mi affascinano. Resto convinto che dietro ogni emarginato si nasconda un vero eroe. Solo queste persone dimenticate riescono, come ci ricorda lo scrittore Álvaro Mutis, a “consegnare alla morte una goccia di splendore”».
In questi vent’anni De Andrè è stato ricordato con analisi di ogni genere, alcune opportune e altre, forse, meno. Il suo ricordo ci consegna alcune considerazioni. È stato un uomo che ha scelto di fare della discrezione e del silenzio il suo modo di vivere. Una scelta paradossale per un cantante. E persino “provocatoria” mentre si sta andando, e non solo nella musica leggera, verso forme di comunicazione sempre più commerciali e rumorose. Ci sono suoi colleghi che avvertono le agenzie promozionali anche quando aprono e chiudono la finestra e pur di comparire non rispettano più nulla. De Andrè ha badato a raccontare storie, provando a suscitare emozioni. Non il solo, ma non in numerosa compagnia.
Un’altra considerazione riguarda le tante lacrime versate in sua memoria. Sarebbe opportuno - e utile - trasformarle finalmente in un impegno a raccogliere l’eredità artistica di un autore come De Andrè. Vent’anni fa è come se il “mosaico” della canzone avesse perduto una “tessera” della poesia, del poco rumore, della musica scritta senza svilirla con la moda. Quella “tessera” andrebbe sempre riempita con la stessa voglia di fare musica, di fare poesia, di non essere cialtroni, di usare linguaggi non da “audience” o da conto in banca.
I tanti discorsi sulla dignità culturale della canzone - ma perché avvitarsi in puntualizzazioni se alcuni autori che cantano sono chiamati poeti? - si rincorrono stancamente. Anche perché, quasi certamente, quella “tessera” finirà per riempirla chi avrà più capacità pubblicitaria. L’arte, purtroppo, non c’ entra niente. E la questione delle logiche promozionali coinvolgeva e, forse, irritava De André. Tanto che, proprio a proposito di “uffici stampa”, aveva un pensiero provocatorio: «Nessuno mi toglie dalla testa che Cristo ha salvato tutti e due i ladroni che stavano sulla croce accanto a lui, sì, anche quello cattivo. Ma forse il suo “ufficio stampa”, gli evangelisti, non ha voluto che si sapesse. Ecco così ribadita anche l’attualità della mia vecchia canzone Il testamento di Tito».
È un pezzo contenuto nel disco La buona novella (1970) ispirato ai Vangeli apocrifi. E De André lo raccontava così: «La buona novella cerca di raccontare l’uomo. Ho scritto quelle canzoni in pieno sessantotto e resto convinto che abbiano una carica rivoluzionaria. Ho voluto dire ai miei coetanei che le stesse nostre lotte le aveva sostenute Cristo, il più grande rivoluzionario della storia. Mi accusarono di essere anacronistico perché parlavo di Gesù nel mezzo della rivoluzione studentesca i cui obiettivi, per certi versi, non erano così lontani dal Vangelo: abolizione della classe sociale e dell’autoritarismo, creazione di un sistema egualitario. In più Lui ha combattuto per una libertà integrale, piena di perdono. Sì, perdono e non potere».
De Andrè ci ha lasciato canzoni sulle quali si può discutere e anche non essere d’accordo. Ha scritto provocazioni con ironia e schiettezza, intelligenza e cultura. Non ha avuto remore a parlare di morte, dolore, emarginazione. Non ha fatto calcoli di vendite quando ha scritto in dialetto genovese. Generazioni di italiani sono cresciute cantando le sue canzoni diventate molto più che canzoni. La guerra di Piero, ad esempio, è ormai un inno contro ogni violenza.
E anche generazioni di cristiani hanno cantato, e continuano a farlo, alcune sue splendide intuizioni. Come l’ Ave Maria. Quando glielo ricordammo ci parve di scoprire un’ emozione dietro un sorriso e un filo di voce rauca, avvolto sempre nella nuvola del fumo di sigaretta: «Non ho il dono della fede maa nella mia vita non posso prescindere da Cristo».
10 ANNI FA L’ADDIO A FABRIZIO DE ANDRE’ *
L’ 11 gennaio 1999 è una delle date più tristi della musica italiana: a Milano moriva per un tumore Fabrizio De André, l’artista che più di ogni altro nel nostro Paese ha dato al termine di cantautore un significato universale.
La sua eredità artistica è incalcolabile e va ben al di là dell’influenza sui suoi contemporanei e sulle generazioni successive alla sua: Faber, il soprannome usato dai suoi amici più cari, anche a dispetto della sua personalità schiva, è stato un maitre a penser, un personaggio che ha cambiato il modo di fare musica in Italia pur tenendosi lontano dalla tv, dalle più grandi manifestazioni musical-popolari, incidendo relativamente poco ed esibendosi in pubblico con proverbiale parsimonia.
Tra gli artisti: Jovanotti, Dalla, Nannini, Ferro, Finardi, Battiato, Capossela
Parata di star da Fazio per ricordare De André
Stasera su Raitre allo speciale di ’Che tempo che fa’ un cast da record per ricordare Faber nel decennale della morte. Fazio: ’’Ad accompagnare le esibizioni degli artisti riflessioni che nascono dai temi tipici delle sue canzoni. Sarà un appuntamento più emotivo che televisivo’’
Roma, 11 gen. - (Adnkronos/Ign) - Un cast di stelle della musica mai viste tutte insieme in una prima serata tv per ricordare Fabrizio De André(nella foto) nel giorno del decimo anniversario della sua morte. E’ ’Fabrizio 2009’ lo speciale di ’Che tempo che fa’ che andrà in onda stasera dalle 20.10 alle 23.50 su Raitre. Da Lucio Dalla a Franco Battiato, da Gianna Nannini ad Antonella Ruggero saranno tantissimi gli artisti impegnati nella rivisitazione dei grandi successi del cantautore e poeta genovese.
La prima parte della scaletta musicale della serata vedrà Luciana Littizzetto e Lalla Pisano recitare ’Le nuvole’, Lucio Dalla cantare ’Don Raffaè’, Gianna Nannini interpretare ’Via del campo’, Roberto Vecchioni in collegamento dall’Istituto Statale Comprensivo De André intonare ’Girotondo’, Franco Battiato eseguire ’Inverno’, la PFM riproporre’Bocca di Rosa’.
In collegamento dal teatro F. De André di Casalgrande di Reggio Emilia, Antonella Ruggiero canta ’Ave Maria’, Andrea Bocelli ’La canzone dell’amore perduto’, Vinicio Capossela ’La città vecchia’, Jovanotti ’Il suonatore Jones’ in collegamento dal cimitero di Spoon River in Illinois, Eugenio Finardi con Nicola Piovani in ’Verranno a chiederti del nostro amore, Samuele Bersani propone ’Il bombarolo’.
Al termine della prima parte, innumerevoli emittenti radiofoniche di tutta Italia riproporranno in contemporanea ’Amore che vieni amore che vai’ cantata dallo stesso De André.
Poi ancora Piero Pelù canterà ’Il pescatore’, Edoardo Bennato e Massimo Bubola ’Quello che non ho’, Tiziano Ferro ’Le passanti’, Ivano Fossati ’Smisurata preghiera’.
Concluderanno la carrellata di suggestivi omaggio il figlio di Fabrizio, Cristiano De André e Mauro Pagani che intoneranno insieme ’Creuza de ma’ in collegamento dal Porto Antico di Genova.
Lo speciale, una sorta di ’’best of’’ in diretta televisiva per concentrare le emozioni di quanti l’11 gennaio si sentono legati tra loro attraverso la musica di Faber, sarà condotto da Fabio Fazio con Dori Ghezzi.
’Fabrizio 2009’ ha un prologo nella lunga intervista di Fabio Fazio a Renzo Piano sul rapporto tra Fabrizio De André e Genova. ’’Degli infiniti modi possibili per raccontare Fabrizio De André - ha spiegato Fazio - ho scelto quello che mi è sembrato più opportuno, far accompagnare le esibizioni degli artisti da riflessioni che nascono proprio dai temi tipici delle sue canzoni: la guerra, l’amore, gli umili, Genova, il mare, la religiosità, così da formare alla fine della serata una sorta di piccolo vocabolario di De André ad uso e consumo di tutti noi. Sarà un appuntamento più emotivo che televisivo - ha concluso il conduttore - e mi riempie di gioia assistere da spettatore privilegiato allo spettacolo difficilmente ripetibile di tanti artisti che reinventano De André e gli ridanno voce, accettando, per una volta, di condurci tutti quanti ascoltandolo, In direzione ostinata e contraria’’.
La confezione musicale della serata è affidata a Mark Harris, musicista di lungo corso e collaboratore di De André così come la maggior parte dei componenti della house band (Rosario Iermano, Ellade Bandini, Michele Ascolese, Claudio Pascoli, Pier Michelatti) che accompagnerà i diversi artisti nelle loro esecuzioni.
Per 10 anni dal 1969 al 1979 il cantante fu tenuto sotto controllo fino al sospetto più incredibile: "E’ un simpatizzante delle Br"
"Quel terrorista di De Andrè"
Così la polizia schedò il cantautore
di MIMMO FRANZINELLI *
TRA I possibili approcci alla musa di Fabrizio De André, il tema del potere è tra i più suggestivi, considerato che attraversa l’intero arco della sua produzione, dalla traduzione delle ballate di Georges Brassens (da "Il gorilla" a "Morire per delle idee") a un brano come "Il testamento di Tito", grondante ribellione esistenziale. Un potere non soltanto politico, ma che snatura la religione e s’insinua anche in ambito familiare. L’intero canzoniere del musicista genovese dispiega valenze libertarie, che hanno influenzato una parte significativa della generazione del ’68 e ancora oggi parlano ai giovani.
De André non si è mai atteggiato ad agit-prop. Ciò nonostante, la polizia lo ritenne un personaggio infido e pericoloso. A ridosso dell’attentato di piazza Fontana gli attivisti dell’ultrasinistra sono sottoposti a perquisizioni e interrogatori. Tra le centinaia di extraparlamentari inquisiti figura un certo Isaia Mabellini, in servizio di leva con gli alpini, considerato dal questore di Brescia un marxista-leninista; in calce alla relazione inviata il 20 dicembre 1969 alla Direzione generale della PS, un’osservazione significativa: "É in rapporto di amicizia con tale De André Fabrizio, non meglio generalizzato, ligure, universitario a Milano, filo cinese, noto cantautore e contestatore". Con inflessibile logica burocratica, la segnalazione coinvolge il musicista nelle indagini; dal ministero dell’Interno chiedono infatti ragguagli al questore di Brescia, Manganiello che il 25 maggio 1970 aggiorna il fascicolo Milano - Roma - Attentati dinamitardi del 12.12.1969: "Le Questure di Milano e Genova sono pregate di identificare il De André Fabrizio e fornire sul suo conto dettagliate informazioni direttamente".
Nel giro di un paio di settimane la questura di Genova redige una circostanziata scheda: "Il De André Fabrizio, noto cantautore, pur essendo studente universitario fuori corso in giurisprudenza, si interessa di questioni artistiche, provvede alla incisione dei dischi delle proprie canzoni, ha effettuato qualche spettacolo in televisione, ma non appare mai nei pubblici teatri. Accompagnato sempre dalla moglie, viaggia a bordo dell’auto Fiat 600 targata GE-293864 ed è titolare del passaporto nr. 5191279 rilasciato a Genova il 10.12.1969. Non risultano precedenti penali a suo carico, salvo una denuncia, risalente al 28.8.1959 ad opera della Polizia di frontiera di Bardonecchia, per danneggiamento su edificio destinato al culto. In linea politica, pur non essendo aderente ad alcun partito o movimento - viene indicato come simpatizzante per l’estrema sinistra extraparlamentare e frequenta, in Genova, persone note per tale orientamento o favorevoli al PCI e al PSIUP".
Alla vicenda s’interessa il questore di Milano Marcello Guida, assertore della pista rossa per la bomba stragista, che fa sorvegliare le frequentazioni milanesi del "sedicente De André": "Il predetto De André, cantautore, viene regolarmente in questo capoluogo ogni mese, alloggiando sistematicamente all’Hotel Cavour in questa via Fatebenefratelli n. 21 e ripartendo il giorno successivo, dopo aver preso contatti con dirigenti di case discografiche". Per qualche tempo l’attenzione investigativa si affievolisce, tranne riprendere con maggiore insidiosità nel giugno 1976, quando l’Antiterrorismo relaziona sull’acquisto di "un appezzamento di terreno in località Tempio Pausania (Sassari) dove intenderebbe istituire una comune per extraparlamentari di sinistra. Nei periodi di permanenza in Genova, lo stesso avrebbe contatti con elementi appartenenti al gruppo anarchico ed a quello filocinese. Il De André è persona nota a codesto Ministero".
L’antiterrorismo ligure accerta che il musicista è "emigrato in data 12/3/1976 a Tempio Pausania" e invia all’Ispettorato Generale per l’Azione Contro il Terrorismo e al Nucleo Antiterrorismo di Cagliari un nutrito rapporto, in cui si registra la sua adesione al Comitato genovese per la difesa del divorzio, come se rivestisse risvolti penali.
Trascorso un triennio, un aggiornato promemoria viene inserito dal SISDE in due distinte collocazioni archivistiche: "Brigate Rosse - Varie" e "Fabrizio De André". Stavolta il cantautore viene definito senza mezzi termini un simpatizzante dei terroristi e un loro finanziatore: "Secondo la nota fonte confidenziale il Circolo "Due Porte" è una recente creazione di copertura per le Brigate Rosse. In esso si tengono normali riunioni di circolo politico-ricreativo e riunioni ristrette per l’organizzazione eversiva. Lo stesso Circolo deve servire da strumento economico e la raccolta dello sfruttamento dei fondi economici necessari alle Brigate Rosse. Una delle prime iniziative è stato lo spettacolo del cantautore Fabrizio De André alla Fiera del Mare. Il cantante, simpatizzante delle BR, è stato invitato da il "Due Porte"".
I malevoli investigatori ignorano la produzione artistica del musicista, che nel 1973 - quando il terrorismo di sinistra era in incubazione - dedica il 33 giri Storia di un impiegato a un sessantottino deluso tramutatosi in giustiziere proletario, visitato da incubi notturni in cui il sistema si fa beffa di lui e lo utilizza per rafforzarsi: "Noi ti abbiamo osservato dal primo battere del cuore / fino ai ritmi più brevi dell’ultima emozione, / quando uccidevi, favorendo il potere / i soci vitalizi del potere ammucchiati in discesa / a difesa della loro celebrazione".
Pur senza disporre di riscontri minimamente verosimili, questori e agenti investigativi diffidano di De André, indirettamente ricollegato all’eccidio di Milano e poi trasformato in fiancheggiatore delle Brigate Rosse... Un’immagine totalmente fantastica, frutto di ottusità e di pregiudizio, oltre che di abissale incomprensione. Più che su De André, questi rapporti segnaletici ci informano sulla mentalità dei loro estensori: inadeguati sul piano professionale, disponibili a dare ombra a fantasmi, secondo i desideri dei loro superiori, in un pauroso deficit di cultura democratica.
* la Repubblica 10 gennaio 2009