Mistica e poesia...

KHALIL GIBRAN (1883-1931). Aforismi, nota biografica, e un breve saggio di Isabella Farnelli - a cura di pfls

Io non conosco verità assolute, ma sono umile di fronte alla mia ignoranza: in ciò è il mio onore e la mia ricompensa
lunedì 22 settembre 2008.
 

-  Aforismi
-  di Khalil Gibran


-  Dai poco se doni le tue ricchezze,
-  ma se dai te stesso, tu doni veramente.


-  Credo vi siano al mondo
-  gruppi di persone e individui
-  che sono affini
-  indipendentemente dalla razza.
-  Dimorano nello stesso regno della coscienza.
-  E’ questa la parentela, semplicemente questa.


-  Mia madre non cucinava
-  e non lavava
-  e non spolverava per me.
-  Ma ciò che ricordo
-  è il suo essermi madre:
-  madre della mia interiorità.


-  Bisogna essere in due per parlare.
-  Dev’esserci un orecchio che oda;
-  dev’esserci qualcosa che ti lasci parlare.


-  Una stanza,
-  o una casa,
-  diventa sempre simile a chi vi abita.
-  Perfino la grandezza di una stanza
-  varia a seconda della grandezza
-  del cuore.


-  Se riuscirò ad aprire
-  un angolo nuovo
-  nel cuore di un uomo,
-  per lui
-  non sarò vissuto invano.


-  C’è molta gioia dolorosa
-  nella vita,
-  e anche molto dolce dolore.


-  Quando la mano della Vita pesa
-  e la notte non canta,
-  è il momento di amare e confidare.
-  E come diventa leggera la mano della Vita
-  e sonora la notte,
-  quando si ama e ci si abbandona.


-  Se tutti gli altri abitanti della terra
-  credessero
-  che l’anima dell’individuo
-  perisce con la morte,
-  ciò non mi spingerebbe di un millimetro
-  a dar loro ragione,
-  perché so
-  che la mia anima non perirà.


-  I difetti di un uomo
-  si possono guarire solo amandolo.
-  Possiamo amare qualcosa di acerbo
-  a tal punto da farlo maturare,
-  o amare colui che possiede
-  o patisce
-  un certo difetto
-  fino a produrre in lui quella maturità
-  che è in grado di sviluppare.
-  non possiamo certo ottenere lo stesso effetto
-  con il rimprovero o con il timore.


-  Anelo all’eternità, perché lì troverò i miei quadri non
-  dipinti, e le mie poesie non scritte


-  Bellezza è l’eternità che si contempla in uno specchio; e
-  noi siamo l’eternità, e noi siamo lo specchio


-  Come è nobile chi, col cuore triste, vuol cantare
-  ugualmente un canto felice, tra cuori felici


-  Diceva un foglio bianco come la neve: "Sono stato creato puro, e voglio rimanere così per sempre. Preferirei essere bruciato e finire in cenere che essere preda delle tenebre e venir toccato da ciò che è impuro". Una boccetta di inchiostro sentì ciò che il foglio diceva, e rise nel suo cuore scuro, ma non osò mai avvicinarsi. Sentirono le matite multicolori, ma anch’esse non gli si accostarono mai. E il foglio bianco come la neve rimase puro e casto per sempre - puro e casto - ma vuoto


Gli alberi sono liriche che la terra scrive sul cielo. Noi li abbattiamo e li trasformiamo in carta per potervi registrare, invece, la nostra vuotaggine


Il Vero giusto è colui che si sente sempre a metà colpevole dei misfatti di tutti.


Il ricordo è un modo d’incontrarsi


Il significato di un uomo non va ricercato in ciò che egli raggiunge, ma in ciò che vorrebbe raggiungere


Il silenzio dell’invidioso fa molto rumore


Il silenzio dell’invidioso, fa molto rumore.


Il vero giusto è colui che si sente sempre a metà colpevole dei misfatti di tutti


Io non conosco verità assolute, ma sono umile di fronte alla mia ignoranza: in ciò è il mio onore e la mia ricompensa


L’oblio è una forma di libertà


L’ovvio è quel che non si vede mai, finchè qualcuno non lo esprime con la massima semplicità


L’uomo veramente grande è colui che non vuole esercitare il dominio su nessun altro uomo e che non vuole da nessun altro essere dominato


La solitudine è una tempesta silenziosa che spezza tutti i nostri rami morti; e tuttavia spinge le nostre radici viventi più a fondo nel cuore vivente della terra vivente


La voce della vita in me non può raggiungere l’orecchio della vita in te; parliamoci, tuttavia: per non sentirci soli


Per arrivare all’alba non c’è altra via che la notte.


Quando l’amore vi chiama seguitelo. Benchè le sue vie siano ardue e ripide


Quando la mano di un uomo tocca la mano di una donna, entrambi toccano il cuore dell’eternità


Ragione e passione sono timone e vela della nostra anima navigante


Se riveli al vento i tuoi segreti, non devi poi rimproverare al vento di rivelarli agli alberi


Se tutti noi ci confessassimo a vicenda i nostri peccati, rideremmo sicuramente per la nostra totale mancanza di originalità


Se un albero dovesse scrivere la propria autobiografia, questa non sarebbe troppo dissimile da quella di una famiglia umana


*

Biografia

Sensibile scrittore divenuto celebre per la poetica raccolta di scritti riuniti nel volume "Il profeta", Kahlil Gibran è nato il 6 dicembre 1883 a Bisharri (Libano), da una famiglia piccolo-borghese maronita. I genitori erano cristiani maroniti, cattolici della Palestina settentrionale;crebbe con due sorelle, Mariana e Sultana, e il fratellastro Boutros, nato dal primo matrimonio della madre, rimasta vedova.

Famiglia unita e permeata dal rispetto reciproco, i Gibran si videro costretti ad emigrare per ragioni economiche negli Stati Uniti. Approdarono così sul suolo americano nel 1895. A dodici anni Kahlil cominciò a frequentare le scuole del posto ed è per questo motivo che il suo nome venne abbreviato in Kahlil Gibran, formula che usò successivamente anche nei suoi scritti in inglese.

In seguito, adulto, visse a Boston nel quartiere cinese, abitato da immigrati italiani, irlandesi e siriani.

Tornato nel 1899 per tre anni a Beirut per studiare la lingua e la letteratura araba, soggiornò poi in Libano e Siria, ma nel 1902, desideroso di rivedere la terra che aveva segnato gran parte della sua vita, tornò a Boston.

Nel 1908 è a Parigi per studiare all’Accademia di Belle Arti e si avvicina alla filosofia di Nietzsche e di Rousseau. Nel 1920 è tra i fondatori a New York della Lega Araba, che doveva rinnovare la tradizione araba con l’apporto della cultura occidentale.

Il successo (occidentale) di Gibran, infatti, si deve soprattutto al fascinoso sincretismo religioso che permea "Il profeta" (scritto nel 1923): su tutto prevale l’idea di una generica concezione della divinità, in cui vi si intrecciano immagini e simboli di ogni religione e filosofia (cattolicesimo, induismo, islamismo, mistici sufi accanto agli idealisti europei, romanticisti, Nietzsche e mistici arabi).

Per Kahlil Gibran l’esistenza è il tempo regalato per ricomporre la frattura esistente tra noi e Dio; quando nell’individuo bene e male, perfezione e imperfezione, piccoli sentimenti e grandi passioni riusciranno a convivere, ecco che nella coincidenza degli opposti si manifesteranno saggezza, perfezione e felicità.

La mistica di Gibran sfugge a ogni classificazione, il poeta parla per immagini ricorrendo a un mondo simbolico dai mille significati, che per la sua universalità sollecita l’uomo indù e il cristiano, l’ateo e il credente.

Il suo successo deriva proprio dal suo porsi tra oriente e occidente, tra Beirut, Parigi e New York.

In qualità di artista Gibran è stato un personaggio davvero eclettico, contrariamente a quanto la sua fama, legata perlopiù a "Il Profeta", faccia presupporre.

Oltre che scrittore infatti Gibran fu anche pittore e organizzatore di cultura, in controtendenza al suo carattere schivo ed introverso. Gran parte delle sue iniziative si devono al lodevole aiuto della sua amica Mary Haskell, che lo ha finanziato più volte.

Tra le altre sue opere segnaliamo "Il miscredente," breve romanzo scritto nel 1908 per la rivista "L’Emigrante", in cui impegno politico e tensione civile prevalgono ancora sulla dimensione religiosa.

Altre sue produzioni da ricordare sono il testo autobiografico (in cui esprime il dolore per la morte dell’adorata moglie Selma), "Le ali infrante" (1912), scritto in inglese e le "Massime spirituali", un testo tipico della sua produzione, tra l’aforistico e il mistico, teso a una conciliazione tra occidente e oriente.

Morì a New York il giorno 11 aprile 1931, stroncato dalla cirrosi epatica e dalla tubercolosi; la sua salma fu portata, secondo le sue volontà, in un eremo libanese.

Due anni dopo verrà pubblicata un’opera che aveva lasciato incompiuta: "Il Giardino del Profeta".

Fonte: Fralenuvol


Sull’Autore, in rete e nel sito, si cfr.:

-  Khalil Gibran (Wikipedia)

-  Khalil Gibran - o meglio - Gubran Halil Gubran.
-  "Twenty Drawings", l’unico libro d’arte pubblicato in vita dell’Autore, apparso a New York nel 1919, tradotto (e arricchito di nuovi testi) in italiano.


GIBRAN KHALIL GIBRAN

di ISABELLA FARNELLI *

"Un uomo venuto dal Libano diciannove secoli dopo" e’ l’ultimo in una sequenza di personaggi che narrano, gridano, tacciono, intessono congetture e sogni sulla figura, l’opera e la fama di Gesu’ di Nazaret, ciascuno secondo la propria esperienza o prospettiva.

E’ il tema di Gesu’ Figlio dell’uomo, l’opera che Kahlil Gibran pubblico’, in inglese, nell’autunno del 1928, cinque anni dopo Il profeta e sull’onda di quel successo. Se il resto degli ottanta monologhi e’ posto sulle labbra di personaggi coevi, documentati o immaginari (Pietro, la Maddalena, una vicina di Maria, Tommaso, la sposa di Cana, Barabba, la mamma di Giuda), nell’epilogo parla lui stesso, il poeta pittore nato all’ombra dei cedri nel 1883 ed emigrato bambino in America, che, come certi artisti in ritratti corali, svela tra i personaggi il proprio volto.

"Sette volte sono nato e sette volte sono morto / e ora nuovamente vivo, e ti guardo, / guerriero tra i guerrieri, / poeta dei poeti, / re al di sopra dei re, / nudo fino alla cintola a fianco dei compagni di viaggio. / ... / Vengono crocifissi, e nessuno assiste alla loro agonia. / Volgono il viso verso sinistra e verso destra, / e non trovano nessuno che prometta l’ingresso in un regno. / Ma un’altra volta e un’altra ancora si farebbero crocifiggere / perche’ il tuo Dio fosse il loro Dio, / e Padre loro il Padre tuo".

Posto a confronto con il canone, questo Gesu’ risulta eterodosso, se non altro per l’insistita volonta’, da parte dell’autore, di sfatare i fraintendimenti o addirittura i tradimenti che sarebbero stati perpetrati a danno della sua dottrina da alcuni interpreti, san Paolo in primis. Sfogandosi con l’amico e piu’ tardi biografo Mikhail Naimy, Gibran contestava che la tradizione ne avesse fatto "una dolce signora con la barba". Se dal canto suo lo definisce "poeta dei poeti", non e’ per allinearsi a chi ne sottolinea la mitezza, ma il contrario: il massimo dell’energia coincide per Gibran con il massimo della poesia, in quanto aderenza al dettato primario della natura e di Dio. Il Gesu’ che emerge dai monologhi va visto infatti, e in primo luogo, come soggetto poetico, e la stessa chiave puo’ aprire, al di la’ delle tante letture che ne sono state fatte, un efficace spiraglio interpretativo sia dell’opera sia della vita di Kahlil, nel loro intimo intreccio.

Se il Gesu’ di Gibran e’ fantastico ancorche’ suggestivo, come viene giustamente notato dalla critica cattolica (tra i nomi piu’ illustri Castelli e Ravasi), il Gibran di Gesu’ Figlio dell’uomo e’ invece scopertamente vero, forse al di la’ delle intenzioni. Quanto piu’ si appassiona nel cercare di restituire al personaggio la dimensione etica e insieme estetica che crede essergli stata sottratta, tanto piu’ si lascia prendere la mano da questa tentazione di bellezza, con una densita’ di paradossi, ossimori, endiadi e parallelismus membrorum che in altre opere (e nel canone scritturale) sono piuttosto simmetrie alluse, sapientemente sospese.

Si stava allontanando, in quegli anni, la cometa della sua vita: l’amica, agente, mentore, mecenate Mary Haskell, che dal 1904 lo aveva seguito, portandolo a quel sereno approdo, anche formale, che e’ Il profeta. Nel 1929, a una festa per il suo quarantaseiesimo compleanno organizzata presso l’amico artista messicano Jose’ Clemente Orozco, Gibran dichiaro’ di rimpiangere l’irruenza creativa degli esordi. In realta’ siamo nella fase ultramatura della sua produzione, che suddivisa tra due idiomi, l’arabo madrelingua e l’angloamericano di adozione, era iniziata nel primo con un saggio poetico sulla musica (1905) e nel secondo con una raccolta di parabole dal significativo titolo, Il folle (1918), raggiungendo nel Profeta (1923) sia l’equilibrio tra le due culture, sia quello tra il dire e l’evocare.

Sempre nel 1929, Gibran sottopose a Naimy il progetto di un libro composto di quattro storie: su Michelangelo, Shakespeare, Spinoza e Beethoven. "Che ne diresti se ciascuna delle storie fosse l’inevitabile esito del dolore, dell’ambizione, del senso di distacco e, infine, della speranza che sempre agita il cuore umano?". L’ardore di cogliere la verita’ profonda di un personaggio noto, e al tempo stesso di specchiarvi se stesso e l’umana universale vicenda, anima Gibran sin dalla fase giovanile, ma solo in Gesu’ Figlio dell’uomo assume forma di un’opera compiuta. Piu’ volte, ai suoi confidenti, Kahlil racconta di avere incontrato il Nazareno in sogno, sempre in situazioni di grande prossimita’ (Gesu’ gli si avvicina con i sandali impolverati, condivide con gusto il crescione selvatico, discorre con lui di argomenti qualsiasi); addirittura Kahlil ci si e’ immedesimato quando, bambino, ha subito una brutta frattura della scapola ed e’ rimasto ancorato per quaranta giorni a una specie di barra orizzontale, alla quale si e’ sentito crocifisso. Se anche non lo dichiarasse esplicitamente, il suo modo di esprimersi, sia nelle opere sia nell’eloquio, ricalca l’andamento delle Scritture, peraltro inseparabile dai moduli espressivi della letteratura semitica. Il "ma" che ricorre, oltre che nel lessico, nella tendenza di Gibran all’antitesi, riecheggia l’espressione secondo lui piu’ significativa di Gesu’ ai discepoli: "Ma io vi dico". Cosi’ il Nazareno annunciava la propria novita’ rispetto ai luoghi comuni.

Dal canto suo Gibran, nato da famiglia maronita, educato in contesto musulmano e, piu’ tardi, eclettico, ha sempre rifiutato di apporsi una qualsiasi etichetta, ribellandosi quando altri ci hanno provato, non solo in ambito religioso, ma anche politico, culturale e, addirittura, metrico. Se nella formazione, tanto letteraria quanto artistica, cio’ lo ha portato a scegliere la liberta’ di proposte flessibili (a Parigi l’Academie Julian, a Beirut certi corsi del Madrasat al-Hikmat), nell’eta’ adulta, refrattario alla "cristallizzazione" di formule e man-made laws, vittima forse a sua volta di fraintendimenti e di filtri non suoi, ma consapevole di cosa significassero nella storia i fondamentalismi, non ha mai voluto "ismi" di alcun genere. Neanche il buddismo: lo dicono i biografi, lo ammettono autorevoli studiosi che, confrontando i suoi scritti con la dottrina del Nirvana, giungono alla stessa conclusione a cui giunge chi analizza il suo Gesu’ o le sue assonanze sufite, bahai, induiste o altro.

Nelle elaborazioni sulla trascendenza che Kahlil condivide con Mary Haskell si legge un credo in Dio penetrante e radicato, ma dottrinalmente innominato; e le sue allusioni letterarie alle molteplici "nascite", come il famoso finale del Profeta, traducono anzitutto la fiducia nel potere vitale e unificante - e con cio’ sacro - della parola poetica.

"Un ponte tra Oriente e Occidente": cosi’ lo vede, non senza una sfumatura autobiografica, il critico libanese Suheil Bushrui; ma forse Gibran troverebbe limitante anche questa definizione. Barbara Young, che gli fu vicina negli ultimi anni, dedicandogli a sua volta una biografia, sceglie di intitolarla con le sue stesse parole, sigla di appartenenza e insieme di alterita’: This Man from Lebanon. L’uomo venuto dal Libano diciannove secoli dopo non ha ancora concluso la sua appassionata ricerca sul Figlio dell’uomo e su se stesso. E’ forse questo, a 77 anni dalla morte (avvenuta a New York nel 1931), a garantirne la non comune vitalita’, attraverso e nonostante le molte edizioni e ristampe. Una divulgazione talvolta a suo sfavore, che tra l’altro contribuisce a perpetuare su di lui e sui suoi aforismi, citati talvolta in modo distorto, curiosi equivoci e luoghi comuni. Errori anche banali, emblematici del suo detachment: la vicenda erratica dell’acca (sono corretti l’originario Gibran Khalil Gibran o l’anglicizzato Kahlil Gibran, ma non l’ibrido Gibran Kahlil Gibran), le inesattezze sulla sua eta’ e l’errore sulla sua data di nascita, che e’ il sei gennaio e non il sei dicembre come alcuni continuano a scrivere. Per non parlare delle credenze, fedi e filosofie che gli vengono attribuite, proprio in forza della sua capacita’ polisemica.

Il dialogo con le anime

E’ il 17 giugno 1895. Un ragazzino di dodici anni fa la fila a Ellis Island. In una babele di rumori, pacchi, odori, ansie, Kahlil lancia richiami per non perdere la mamma Kamila, il fratello maggiore Boutros e le due sorelline Mariana e Sultana; comunica in qualche modo con i funzionari portuali; ma soprattutto dialoga con se stesso, con le ombre profonde della Valle Sacra, con i cespugli del monastero di Mar Sarkis, con i fiumi incassati nelle gole, con le cime coperte di neve e di cedri che, ancora presenti, erano gia’ mito. Mentre lo sottopongono ai controlli sanitari, lui corre incontro alla pioggia impetuosa dei suoi monti, al Mediterraneo appena scorto in cima all’erta salita a dorso di mulo, alle stelle che "lassu’ proiettano ombre"... Quelle ombre ridisegna sulla bruma di "Al-Nayurk", iniziando cosi’ a trasfigurarla in mist, simbolo ricorrente nei suoi scritti, intraducibile forse anche per l’assonanza con misticismo e mistero. Cosi’ comincia ad amare la terra nuova, alla quale riconoscera’ sempre il merito di averlo sostenuto e fatto crescere.

E’ difficile trovare una vicenda esposta quanto la sua a interferenze sociali e culturali, ed e’ difficile enumerarle tutte; ma e’ nel monologo interiore, avviato in eta’ precocissima, che si innestano le successive esperienze, e non viceversa. Nel dialogo con le anime, dolente ma rasserenante, trovano un solco familiare anche i lutti che ben presto lo colpiscono. Quando Kahlil racconta alla Haskell - incontrata subito dopo - la morte di Sultana, di Boutros e della mamma, il tono, piu’ che di tragedia, e’ di trasfigurazione, sia degli eventi, sia delle figure, sia del contesto domestico. Non a caso il ritratto a memoria della madre morente - colei che, stando al racconto, lo introdusse a Leonardo e a san Tommaso d’Aquino - e’ intitolato Verso l’infinito. A vent’anni, nei primi timidi colloqui con la direttrice di scuola che lo invitava a esporre nel proprio istituto, traspare gia’ il riconoscimento della poesia e dell’arte come crinale tra nostalgia e futuro. Fu Mary a sua volta, per Kahlil, lo spartiacque tra i salotti neoplatonici di Boston e la crescita in forme espressive anche tecnicamente piu’ mature, quando lo mando’ a Parigi a studiare belle arti come primo atto di amorosa pedadogia.

Nella capitale francese, com’era stato a Boston e come continuera’ a essere dopo il trasferimento a New York, Kahlil continua a dar prova di un singolare approccio alle idee e alle persone: piu’ che l’acquisizione di una conoscenza, spesso la sorpresa di un riconoscimento, un’intuizione, quasi un’agnizione, sia in positivo (Rodin, i romantici, Nietzsche, con cui tuttavia non si va oltre una parentela di simboli) sia in negativo (ad esempio Tagore, alla cui opera rimprovero’ la scarsa "coscienza mondiale").

Significativo anche il modo di relazionarsi alle presenze femminili: i rapporti piu’ stabili saranno quello con la Haskell, che trascende il piano della fisicita’, e con May Ziadah, con la quale corrispose diciannove anni nella madrelingua senza mai incontrarla di persona, e alla quale scrisse che la vera comunicazione avviene tra i nostri "doppi invisibili". Kahlil parla anche di anima, nella cui immortalita’ crede fermamente, come crede alla verita’ che si svela al di la’ della soglia terrena: ma nei suoi contesti sfumati questa e altre parole, che pure usa in traslato (resurrezione, incarnazione), perdono la consistenza teologica loro propria. Sul piano letterario, la preminenza del dialogo interiore lo porto’ molto presto a elaborare una sequela originale, benche’ ovviamente non asettica, di personaggi e personificazioni riconducibili sia a moltiplicazioni di identita’ e di "maschere" (Folli, Eretici, Precursori, Scavatori di Fosse, Greater Self e Pigmy Selves) sia alla fiducia nel congiungersi e ricongiungersi degli esseri e di tutto l’Essere: due movimenti solo apparentemente contraddittori, evidentissimi nella sua pittura. Se ogni cosa e’ visibile in due o piu’ aspetti, d’altro canto Gioia e Dolore, come molte coppie di opposti, sono due aspetti dello stesso volto. Mentre, a cavallo tra Ottocento e Novecento, la letteratura occidentale propone modelli di frantumazione dell’io che sfociano tra problematicita’ e incomunicabilita’, in lui (che conobbe e ritrasse anche Jung) prevale il moto della conciliazione, nell’emblema dinamico di un half-embrace. Cio’ e’ evidente - talora piu’ nella forma che nel contenuto - in quasi tutte le raccolte di aforismi e parabole, ma soprattutto nel poemetto Il profeta, nel quale l’esile cornice narrativa e’ pretesto per la ricomposizione dei vari aspetti enunciati nei sermons, e la partenza del protagonista Almustafa prelude a un piu’ grande ritorno.

Esperienza forte dovette essere il riapprodare in Libano nell’adolescenza: in una terra dove, quindici chilometri a nord di Beirut, e’ presente una rupe con diciannove iscrizioni in quasi altrettante lingue, il paesaggio stesso suggerisce il dialogo con "i fantasmi delle ere", come scrive in una poesia. Piu’ avanti, tornato in America per rimanervi, Gibran ambientera’ in quel Libano la scena culminante del suo unico romanzo, Le ali infrante, pubblicato nel 1912, ispirato a una frase della madre. Un antichissimo tempietto conserva i resti di due affreschi: in una parete Venere-Astarte di ascendenza fenicia, nell’altra una Crocifissione bizantina; proprio davanti a quest’ultima l’eroina rinuncia all’amore terreno in vista di un piu’ sublime amore, quello che veramente unisce.

Il costruttore di aquiloni

Settembre 1922. Gibran e Mary, ritrovandosi al solito dopo l’estate, si raccontano come hanno trascorso le vacanze. Lei, tornata dal Sud, gli confida la corte pressante dell’uomo che di li’ a quattro anni diventera’ suo marito; lui, tornato dal mare, la rassicura comunque vada: "La relazione tra te e me e’ la cosa piu’ bella della mia vita. E’ la piu’ splendida che io abbia conosciuto in qualsiasi vita. E’ eterna".

Forse proprio Nantasket, la spiaggia di Boston dove Kahlil trascorse alcune estati con la sorella - sempre piu’ spesso negli ultimi anni, quando la salute declinava - gli ispiro’ una splendida affermazione di poetica, riferita nel diario di Mary allo stile del Profeta: "I poeti dovrebbero prestare orecchio al ritmo del mare. E’ il ritmo del libro di Giobbe e di tutte le parti magnifiche del Vecchio Testamento. Quel duplice modo di esprimere un’idea che era tipico degli ebrei. Si dice, e poi si dice nuovamente, in modo solo un poco diverso. Come accade per le onde del mare.

Sai quando arriva una grande onda, frusciando, e porta con se’ i sassolini con il loro caratteristico rumore. Poi alcuni dei ciottoli ruzzolano indietro, con un rumore piu’ lieve, una specie di sottocorrente di suono; e arriva frusciando una seconda ondata, minore della prima... Poi, pausa. E ben presto, ecco un’altra onda, e tutto si ripete".

Dinanzi al ritmo puro, lo stesso delle forme arcaiche di poesia, Gibran, che stringendo una meteorite disse di percepire la vita dell’intero universo, somiglia al protagonista di 2001 Odissea nello spazio, quando, scartati il teatro e la lirica che pure ha a disposizione nell’astronave, si fa accompagnare da una musica "senza architetture", e la spoliazione va di pari passo con la semplicita’ dell’infinito. Racconta Kahlil a Mary: "Si’, le persone che stavano in spiaggia devono aver capito che cercavo la solitudine... perche’ gli adulti raramente si avvicinavano. Ma ci sono novantasette bambini su quella collina. E devo aver fabbricato, per loro, qualcosa come... sessanta o settanta aquiloni! Tutti i tipi di aquiloni: grandi, piccoli, colorati, bianchi. E aquiloni siriani. Hai mai visto gli aquiloni siriani?".

Facile visualizzare, su quella spiaggia, molti pronunciamenti del Profeta: "Vorrei che andaste incontro al sole e al vento piu’ con la pelle e meno col vestito...". Oppure: "Se e’ Dio che vuoi conoscere, non essere per questo solutore di enigmi; guardati intorno, invece, e lo vedrai giocare con i tuoi figli". I bambini, notando la sua perizia nel fabbricare aquiloni, gli chiesero di essere giudice nella gara finale; e il trofeo, un enorme aquilone-segnale, ando’ al ragazzone grassoccio di una famiglia numerosa che viveva la’ tutto l’anno. Forse il poeta aveva letto nei suoi occhi l’anelito che era anche suo: "Non c’e’ desiderio piu’ profondo del desiderio di rivelarsi. Tutti vogliamo che la piccola luce che e’ in noi sia tratta da sotto il moggio. Il primo poeta deve aver sofferto intensamente quando gli abitatori delle caverne si mettevano a ridere delle sue folli parole.

Avrebbe dato arco e frecce e pelle di leone, tutto cio’ che possedeva, solo per comunicare ai suoi compagni di umanita’ l’intensa emozione e il trasporto che il tramonto gli creavanell’anima.Etuttavia, non e’ questa oscura pena - la pena di non essere compresi - che genera l’arte e gli artisti?".

I ragazzi si allontanano uno a uno dalla spiaggia: comincia a far freddo, e’ la stagione del ritorno a scuola. Molti anni piu’ tardi, le gare tra aquiloni, che nelle biografie di Gibran costituiscono un episodio marginale se mai menzionato, saranno al centro di un famoso struggente romanzo. Gibran non poteva prevederlo, ma e’ qualcosa del genere che intende quando dice: "Ancora un poco, una pausa tra gli aliti dell’aria, e un’altra donna mi dara’ alla luce". Piu’ che il ritorno in una terra definita, e’ l’unione trascendente, quella tra Goccia e Oceano, tra Sabbia e Schiuma (titolo del 1926) il richiamo del mare al quale Almustafa obbedisce, non senza lasciarne l’invito alla donna che ha creduto in lui: "Quando Amore ti chiama, segui il segno".

Altro non spiegherebbe, se lo si intervistasse oggi. Ripeterebbe forse, lanciando un aquilone o, come nel giugno 1912, guardando il Cambridge Street Bridge: "Costruire un ponte... ecco cosa voglio fare: costruirne uno cosi’ robusto e solido che lo si possa attraversare per sempre".

Diviso tra il disegno e il poema

Gibran Khalil Gibran nasce il 6 gennaio 1883 a Bisharri, nel Libano settentrionale. Il 17 giugno 1895, sull’onda di un flusso migratorio che coinvolge numerosi connazionali, approda a New York insieme alla madre Kamila, al fratellastro Boutros e alle due sorelle Mariana e Sultana. Da li’ si imbarcano immediatamente per Boston, dove si stabiliscono nel South End.

Mentre gli altri membri della famiglia lavorano e Boutros allestisce un negozio di cereali, il ragazzo, dal 1895 al 1897, frequenta la Quincy Public School, dove viene registrato come "Kahlil Gibran", con la "h" spostata e uno dei tre nomi depennato. Qualunque sia stata l’origine della variazione e l’effetto sul giovane, sara’ questa la formula con cui si firmera’ in inglese.

Dal 1898 al 1902 lo ritroviamo in Libano, dove frequenta corsi di istruzione superiore al Madrasat al-Hikmat di Beirut. Sulla via del ritorno gli giunge notizia della morte di una sorella, Sultana; nel giro di pochi mesi perde anche Boutros e la madre, rimanendo solo con Mariana, che continuera’ per tutta la vita il lavoro di cucitrice. Ai lutti familiari si accompagna, sull’altro versante, una carriera in ascesa come disegnatore, ritrattista, scrittore. Nel 1896, tramite l’insegnante d’arte di una istituzione caritativa, colpita dal suo talento nel disegnare, Gibran ha incontrato il fotografo visionario Fred Holland Day, animatore di un gruppo di poeti e artisti di ispirazione tra decadente e preraffaellita, che lo ritrae in numerose pose esotizzanti; e’ entrato cosi’ nei salotti di Boston, conoscendo tra gli altri Josephine Peabody, con la quale ha intessuto un’intensa quanto effimera amicizia.

Nel 1904, a una esposizione di alcuni suoi lavori presso Day, avviene l’incontro piu’ importante: quello con Mary Haskell, direttrice, titolare e insegnante di una scuola per ragazze. Sara’ lei che, dopo avergli finanziato un viaggio di due anni a Parigi per studiare belle arti, lo accompagnera’ per tutta la vita con il sostegno economico e morale di un’incrollabile fiducia, garantendogli una guida costante nella conoscenza dell’inglese scritto e letterario e rivedendo i suoi manoscritti. Sara’ cosi’ che Kahlil, dopo aver concepito e pubblicato fin da adolescente poemetti, articoli, aforismi e racconti in madrelingua, giungera’ alle opere della maturita’ in inglese, culminanti nel Profeta (1923).

Nel frattempo, sia per rinvigorire l’attivita’ artistica sia per superare la delusione al rifiuto di Mary di diventare sua moglie, si e’ trasferito da Boston a New York, senza interrompere con la Haskell una fitta corrispondenza, costellata di incontri. Mentre il rapporto con lei si mantiene nei margini di una casta, costante e affettuosa amicizia, l’artista intesse un intenso scambio epistolare con May Ziadah, scrittrice dimorante in Egitto, mai incontrata di persona; e stabilisce una rete di relazioni con famiglie americane influenti e numerosi connazionali (tra cui Mikhail Naimy), con i quali fonda un’associazione letteraria e condivide l’impegno per la terra d’origine, pur discordando talvolta sui criteri d’intervento.

Nel 1926 Mary Haskell si sposa e si trasferisce in Georgia, senza troncare i rapporti con il poeta, a fianco del quale subentra come "assistente" Barbara Young, senza peraltro giungere alla stessa profondita’ di condivisione.

Minato nel fisico da una vita di lavoro senza risparmio, spesso condotto nelle ore notturne, Gibran trascorre gli ultimi anni tra New York e Boston, dove e’ rimasta la sorella Mariana. Muore il 10 aprile 1931 al St. Vincent’s Hospital di New York, a quarantotto anni. Mary Haskell, accorsa da Savannah per le esequie, recupera il prezioso carteggio tra lei e il poeta, donandolo, verso la fine della sua esistenza (1964), alla University of North Carolina, dove e’ attualmente custodito. Gibran Khalil Gibran e’ sepolto nel monastero di Mar Sarkis a Bisharri, secondo la sua volonta’, che lasciava alla terra d’origine anche i diritti d’autore delle sue opere.

Un capolavoro e il suo seguito

Il modo migliore per accostarsi a Kahlil Gibran e’ leggere in parallelo The Prophet, indubbiamente il suo capolavoro, e Beloved Prophet, il volume tratto dal carteggio con Mary Haskell e dal diario di lei, che attraverso la narrazione dei loro incontri documenta la genesi di molte opere dell’artista. Data l’estensione della sua bibliografia, di seguito si segnalano, in sintetica sequenza cronologica, solo alcune delle principali edizioni e compilazioni attualmente disponibili in inglese e in italiano.

-  Sulla produzione pittorica, si veda l’apparato di Francesco Medici alla sua versione di Twenty Drawings. Concludono l’elenco due monografie, tra le piu’ complete disponibili in edizione italiana.
-  The Madman, His Parables and Poems, Knopf, New York 1918 (ed. it. Il folle, a cura di I. Farinelli, SE, Milano 1988).
-  Twenty Drawings, Knopf, New York 1919 (ed. it. Venti disegni, a cura di F. Medici, Laterza, Bari 2006).
-  The Forerunner, His Parables and Poems, Knopf, New York 1920 (ed. it. Il precursore, a cura di G. e I. Farinelli, SE, Milano 1994).
-  The Prophet, Knopf, New York 1923 (ed. it. Il profeta, a cura di I. Farinelli, Paoline Editoriale Libri, Milano 2001; Il Profeta, trad. di F. Medici, San Paolo, Cinisello Balsamo 2005; prima ed. it. Il profeta, trad. di E. Niosi-Risos, Carabba, Lanciano 1936).
-  Sand and Foam, a Book of Aphorisms, Knopf, New York 1926 (ed. it. Sabbia e schiuma, a cura di I. Farinelli, SE, Milano 1990).
-  Jesus, the Son of Man: His Words and His Deeds as Told and Recorded by Those Who Knew Him, Knopf, New York 1928 (ed. it. Gesu’ Figlio dell’uomo, a cura di I. Farinelli, Paoline Editoriale Libri, Milano 1996; prima ed. SE, Milano 1987).
-  The Earth Gods, Knopf, New York 1931 (ed. it. Gli dei della terra, a cura di I. Farinelli, SE, Milano 1989).
-  The Wanderer: His Parables and His Sayings, Knopf, New York 1932 (ed. it. Il vagabondo, a cura di I. Farinelli, SE, Milano 1988).
-  The Garden of the Prophet, Knopf, New York 1933 (ed. it. Il giardino del profeta, trad. di N. Crocetti, SE, Milano 1986).
-  Prose Poems, trad. dall’arabo di A. Ghareeb, Knopf, New York 1934.
-  Secrets of the Heart, a cura di A. R. Ferris, Philosophical Library, New York 1947 (ed. it. I segreti del cuore, a cura di N. Crocetti, Guanda, Milano 1982).
-  Tears and Laughter, a cura di A. R. Ferris, Philosophical Library, New York 1947.
-  Spirits Rebellious, trad. dall’arabo di M. H. Nahmad, Knopf, New York 1948 (ed. it. Spiriti ribelli, a cura di R. Rossi Testa e Y. Tawfik, trad. di G.
-  Angarano, R. Rossi Testa e Y. Tawfik, Guanda, Milano 1995).
-  Nymphs of the Valley, trad. dall’arabo di M. H. Nahmad, Knopf, New York 1948 (ed. it. Ninfe della valle, a cura di I. Farinelli, SE, Milano 2000).
-  A Tear and a Smile, trad. dall’arabo di M. H. Nahmad, Knopf, New York 1950.
-  A Treasury of Kahlil Gibran, a cura di M. L. Wolf, trad. dall’arabo di A. R. Ferris, Citadel Press, New York 1951.
-  The Broken Wings, trad. dall’arabo di A. R. Ferris, Citadel Press, New York 1957 (ed. it. Le ali infrante, a cura di S. Bushrui e I. Farinelli, Insieme Gruppo Editoriale, Recco 1992).
-  The Procession, a cura di G. Kheirallah, The Wisdom Library, New York 1958.
-  Kahlil Gibran: A Self-Portrait, a cura di A. R. Ferris, Heinemann, London 1960.
-  Thoughts and Meditations, trad. dall’arabo di A. R. Ferris, Heinemann, London 1961 (ed. it. Scritti orientali, a cura di G. e I. Farinelli, SE, Milano 1994).
-  Spiritual Sayings, a cura di A. R. Ferris, Citadel Press, New York 1962 (ed. it. Massime spirituali, a cura di G. e I. Farinelli, SE, Milano 1992).
-  The Voice of the Master, trad. dall’arabo di A. R. Ferris, Citadel Press, New York 1963 (ed. it. La voce del maestro, a cura di I. Farinelli, SE, Milano 1991).
-  Beloved Prophet: The Love Letters of Kahlil Gibran and Mary Haskell and her Private Journal, a cura di V. Hilu, Knopf, New York 1972 (ed. it. Mio amato profeta, trad. di I. Farinelli, Paoline Editoriale Libri, Milano 2007).
-  Dramas of Life: Lazarus and his Beloved and The Blind, a cura di K. Gibran e J. Gibran, Westminster Press, Philadelphia 1981 (ed. it. Lazzaro e il suo amore, introd. e trad. di F. Medici, San Paolo, Cinisello Balsamo 2001;
-  Il cieco, trad. e commento di F. Medici, San Paolo, Cinisello Balsamo 2003).
-  Blue Flame: The Love Letters of Kahlil Gibran to May Ziadah, a cura di S.
-  Bushrui e S.H. al-Kuzbari, Longman, Burnt Mill 1983 (ed. it. a cura di I. Farinelli, in preparazione).
-  Le tempeste, trad. dall’arabo di V. Colombo, Feltrinelli, Milano 1991.
-  Kahlil Gibran: Le parole non dette, a cura di I. Farinelli, Paoline Editoriale Libri, Milano 1991.
-  Kahlil Gibran: Parole sussurrate, a cura di I. Farinelli, Paoline Editoriale Libri, Milano 1993.
-  Kahlil Gibran: Le parole dette, a cura di I. Farinelli, Paoline Editoriale Libri, Milano 1994.
-  Gibran l’amore, a cura di I. Farinelli, Paoline Editoriale Libri, Milano 1997.
-  Kahlil Gibran. Le parole dell’amore, a cura di I. Farinelli, Paoline Editoriale Libri, Milano 2002.
-  Kahlil Gibran. Le parole dell’amicizia, a cura di I. Farinelli, Paoline Editoriale Libri, Milano 2004.
-  Suheil Bushrui, Kahlil Gibran of Lebanon, Colin Smythe, Gerrard Cross 1987 (ed. it. Gibran del Libano, trad. di I. Farinelli, Insieme, Recco 1993).
-  Robin Waterfield, Prophet, The Life and Times of Kahlil Gibran, London, Penguin Books, 1998 (ed. it. Profeta, Vita di Kahlil Gibran, trad. di A. Magagnino, Guanda, Parma 2000).

* NOTIZIE MINIME DELLA NONVIOLENZA IN CAMMINO Numero 634 del 9 novembre 2008

[Dal mensile "Letture" n. 651 del novembre 2008 col titolo "Gibran Khalil Gibran" e il sommario "L’ardore di cogliere la verita’ profonda in un personaggio e, al tempo stesso, di specchiarvi se stesso e l’umana universale vicenda anima la produzione poetica dell’autore libanese, al cui centro regna un Gesu’ trasfigurato"]


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