Ragazzi di vita

Dio è morto. Nel fallimento della sua creatura, che sventra Abele per del sangue nero. Forse un suicidio - di Francesco Pellegrino

giovedì 16 febbraio 2006.
 

Vignette su un giornale. Vicini echi di tolleranza. Sotto l’editoriale del giorno, forse sussurra rispetto. L’inchiostro di un foglio brucia le ferite di un popolo già sanguinante. L’odio dietro un velo. L’epitaffio: Dio è morto, così parlò Zarathustra. Assalti alle ambasciate, screzi di bambini cresciuti nel rancore, maturati nell’odio, morti nella violenza. Uomini-numeri, necrologi sugli stessi giornali che gridano tolleranza e sputano sarcasmo. Vignette. Storia di una società contraddetta e contraddittoria, che deride il Dio lontano nel deserto islamico, forse ha perso il suo. Corriamo da una religione all’altra, convinti di trovare scampo nella fuga, sollievo nell’affanno di una staffetta inutile. Chi raccoglierà il testimone? Bendati, dal buio della nostra coscienza. Al caldo tra i piedi di un tavolo in equilibrio precario. Crediamo di credere e ci illudiamo di poterlo fare domani. Mentre Lui guarda attonito la sua creatura. Nata perfetta, deforme per l’ira, morta mutila. Dio è lì, nel mondo delle Idee, nell’Iperuranio. E l’uomo si affanna per scinderne la trinitarietà, proiettandovi lo scisma della sua anima. Cammino per la strada, cade un foglietto da un diario, lo raccolgo: “ Da ore sono qui, sto triturando marijuana e penso a te. In questo pomeriggio scuro e freddo sei tu l’unico pensiero che mi fa riflettere. Sai spesso davanti al calore di questo caminetto ardente le mie funzioni vitali smettono di essere. Di fronte ad una sigaretta ormai finita penso a quello che tu vali per me, che tu non sai o forse si, boh! D’altronde la vita è un rebus complicato, impossibile da sciogliere. Fra un po’ di tempo dovrò andare fuori ad accendere un’altra sigaretta, forse l’ultima. Ciao. TVB (x oggi)” (Anonimo quindicenne). Gridiamo secolarizzazione, perdita dei valori, immoralità della stampa e mentre difendiamo con denti ed unghie le strutture sociali della nostra fede, ci lasciamo l’Unto alle spalle della vita. In un continuo nascondino perso, perché ci ha già trovati. Dio è morto. Fallito nel fallimento della sua creatura, che sventra Abele per del sangue nero. Forse un suicidio. Rabbia rancore amarezza. Fino a quando ci benderemo gli occhi, schiacciati dalla forza di gravità del luogo comune, costretti a guardare in basso dall’eccesso vestito di assoluto. E’ la cultura della morte che nell’oasi insinua martirio, tra gli arti di legno di una bambola, sulle tavole corrose di un abbecedario. E’ la cultura del denaro che nei muri insinua nichilismo, tra le luci psicotiche di un robot, sulle lettere di una tastiera. Dio muore, ogni giorno. Nelle mani rosse di una soldato, nel corpo di un bambino emaciato sotto le macerie, mentre il mondo gira pietoso, indifferente, sdegnoso. Urla: “Tale amore viene chiesto esplicitamente. Viene sottolineato il collegamento inscindibile tra amore di Dio e amore del prossimo. Entrambi si richiamano così strettamente che l’affermazione dell’amore di Dio diventa una menzogna se l’uomo si chiude al prossimo o addirittura lo odia”. Dio è risorto. Nei silenzi di un cimitero. Tra i grani di un rosario. Nei lamenti di un lazzaretto. Dio risorge. All’alba di un nuovo giorno. Nel vagito di ogni vita. Dio parla, negli occhi di un prete lontano, che morendo vive il Vangelo.

Francesco Pellegrino


Rispondere all'articolo

Forum