In ricordo di Marco Biagi

Un mazzo di fiori, ieri, è stato posato sul marciapiede porticato di via Valdonica. Quel marciapiede che ha visto un uomo piegarsi e accasciarsi al suolo tra le carezze del terrore

venerdì 23 marzo 2007.
 

di Vincenzo Tiano

Un mazzo di fiori, ieri, è stato posato sul marciapiede porticato di via Valdonica. Quel marciapiede che ha visto un uomo piegarsi e accasciarsi al suolo tra le carezze del terrore. Quel marciapiede consumato quotidianamente da passi ignari di studenti e lavoratori. Un marciapiede come tanti tutto il tempo. Eppure, bagnato dal sangue e asciugato dai fiori, il diciannove marzo d’ogni anno a partire dal duemiladue: una data che per idea di Mario e Alberto Mattei viene ricordata con una staffetta in bici, a ripercorrere l’itinerario abituale di Marco Biagi, dalla stazione fino a casa sua.

Dopo la staffetta, il ritrovo è nella Chiesa di S. Martino: la chitarra nitida e la voce tagliente di Enrico Traversa, avvocato e amico di Marco Biagi, interpretano le sue quattro canzoni preferite, intervallate dalla lettura del Vangelo e dal discorso commemorativo di Pietro Ichino, suo amico e collega di diritto del lavoro.

“The answer, my friend, is blowin’ in the wind” (Blowin’ in the wind, Bob Dylan - 1963). La risposta di tutto questo forse soffia nel vento. “Thro’ many dangers, toils and snares,/ I have already come” (Amazing Grace, John Newton - 1824). E’ proprio vero: è passato tra molti pericoli, ma la grazia lo condurrà a casa. “Jordan’s River is chilly and cold,/ halleluya,/ chills the body but not the soul,/ halleluya” (Micheal, row the boat ashore, traditional spiritual). Come il fiume anche le pallottole scoraggiano il corpo ma non l’anima. “Whe shall live in peace, some day/ Oh, deep in my heart I do believe/ that we shall overcome some day” (We shall overcome, Pete Seeger - 1963). Parole, queste ultime, che rievocano il sogno di Martin Luther King, il quale pagò con la vita in nome della libertà e dei diritti civili.

Il ricordo di Ichino è molto lucido, denso e umano. Nessuna idolatria né santificazione. Solo l’esperienza di studio e lavoro che lo ha legato a Marco Biagi. Il legame si è intensificato dopo la morte, attraverso una sorta di “passaggio del testimone”, al fine di proseguire le sue battaglie.

La novità di Marco Biagi, assieme a Ichino, è costituita dal metodo, un metodo nuovo - quello della comparazione internazionale - che prescinde dalle maggioranze di governo. Così anche le tecniche di protezione del lavoro, in un tempo in cui le linee di demarcazione tra gli interessi in gioco sono cambiate, non corrispondono (e non dovrebbero corrispondere) a colore politico alcuno. A parlare è un già onorevole del Pci, Ichino.

Ma soprattutto il fulcro dell’impegno di Ichino, che dichiara di rinunciare alla tranquillità dello studioso del diritto del lavoro, superando l’autereferenzialità della materia, è la battaglia contro l’atteggiamento fazioso. La faziosità, per Ichino, è figlia della paura, paura verso spunti, elementi, idee che “spiazzano il nostro catechismo semplificatore”. Faziosità che porta addirittura a separare da Marco Biagi le sue idee.

Ichino ha verso di lui un debito: proteggere la sua opera, attraverso la rottura di quello che definisce "cordone sanitario" che circonda la figura di Marco Biagi: un tabù che l’establishment politico volutamente mantiene, negando a Biagi addirittura la paternità della sua legge nel chiamarla legge trenta, con il timore di pronunciare quel nome, Biagi, circondato da autorevolezza. Non tanto proteggerla dalle critiche o dall’abrogazione - le prime si auspica ci siano, la seconda nulla toglie possa sostenersi se il dibattito è sereno e l’esame pragmatico - ma garantirne il rispetto e la paternità: essa è frutto di studio e lavoro genuini e l’onore è dovuto per questo. Poi il resto è discutibile. Discutere le sue idee con rispetto è, per Ichino, “dovere civile e morale di chi ha cuore le sorti della democrazia”.

Nel duemiladue, ancora lontano dallo studio del diritto, non conoscevo Marco Biagi e i suoi scritti. La tragica notizia attraversò la mia attenzione come un puro fatto di cronaca. Ad oggi, per le circostanze della vita, ho modo di attribuire valore culturale, sociale e politico a un uomo, il quale, prendendo a prestito parole de “La collina” di E.L. Masters, “cadde da un ponte lavorando per i suoi cari”. Semplicemente.

20 Marzo 2007


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