ARCIGAY: L’OMOFOBIA DILAGA PER COLPA DELLA GERARCHIA CATTOLICA
(AGI) - Roma, 21 mag. - “Negli ultimi giorni si sono intensificate le telefonate e le email ai nostri Comitati provinciali e alla sede nazionale. I gay, le lesbiche, i/le trans hanno paura. Gli episodi di violenza e di discriminazione continuano ad aumentare”.
E’ quanto denuncia Arcigay, per bocca del suo presidente nazionale, Aurelio Mancuso. “Soprattutto le persone giovani - si legge in una nota dell’associazione - si domandano in che paese stanno vivendo e cercano se possono di andarsene via, cosa questa che negli ultimi anni ha determinato la ‘fuga’ di migliaia di gay e lesbiche in altri paesi europei, primo fra tutti la Spagna. Ma e’ bene denunciare con chiarezza di chi e’ la colpa se tanti cittadini italiani si sentono sempre piu’ esposti a diverse tipologie di angherie, senza che uno straccio di legge di tutela sia stata approvata. In primo luogo la gerarchia cattolica e le associazioni ecclesiali e piu’ estremiste, come CL, ACLI, Focolarini, Moige, Forum delle Famiglie, persistono in una campagna d’odio martellante che puo’ godere dell’appoggio delle maggiori reti Tv, dove l’opinione del movimento lgbt e’ scomparsa. Si deve sapere che la chiesa cattolica si sta rendendo responsabile di sofferenze immani, di discriminazioni di tutti i tipi, di fornire un sostegno ideologico a tutte quelle bande nazifasciste che si sono macchiate di omicidi, violenze, aggressioni nei confronti delle persone lgbt. La politica italiana e’ oltremodo direttamente responsabile del fatto che non sia mai stato possibile affrontare con serieta’ e determinazione una discussione vera, improntata sui fatti e non sulle facinorose divisioni ideologiche. La destra, con in prima linea la Lega e i settori piu’ retrivi della Pdl, non perde occasione per proclamare una fiera ed ottusa omofobia, il centro sinistra (non tutto)condanna l’omofobia, ma per ora non ha intrapreso un’azione politica forte d’opposizione politica e sociale nel paese. Ecco cosa sta accadendo, ecco perche’ i Pride cittadini di Milano e Roma del 7 giugno e il Pride nazionale di Bologna del 28 giugno 2008, saranno non solo giornate di festa e di riaffermazione del nostro diritto di esistere, ma anche giornate di grande partecipazione popolare al fine di contrastare l’attuale dilagante oscurantismo. In coerenza con la nostra storia e cultura politica non violente - conclude il comunicato - sara’ nostra cura dentro queste manifestazioni rendere evidente la nostra indignazione”. (AGI)
Sul tema, nel sito, si cfr.:
RISOLUZIONE DEL PARLAMENTO EUROPEO SULL’OMOFOBIA
La manifestazione nazionale a Bologna in concomitanza con quella di Berlino Sfilata di carri, musica e danze. "Laicità, parità, dignità" le parole d’ordine
Gay pride, l’orgoglio dei 200 mila
"Il Pd è assente". Invece no
Vendola (Prc) e Grillini (Ps) rimarcano le assenze. Concia: "Non è vero"
Della Vedova (Pdl): "Lavoriamo insieme per i diritti gay"
di CLAUDIA FUSANI *
ROMA - Vladimir Luxuria ha messo via il tailleur, per un pomeriggio, ed è tornata drug queen con una tiara papalina in testa, la scritta "no angel" e un mini bianca al posto della gonna. Sentenzia che "ogni tentativo di dialogo con la Chiesa sui diritti gay è inutile". E’ la regina della festa, non c’è dubbio. Franco Grillini indossa la fascia da sindaco con i colori però dell’arcobaleno ed è un po’ emozionato quando il fiume del corteo si ferma a Porta Saragozza per rendere omaggio al Cassero, il primo Centro di cultura omosessuale in Italia: "Era il 1982, ventisei anni fa e sono uno dei pochi di quelli che lo hanno inaugurato ad essere ancora vivo". Paola Concia, deputata del Pd, è felice come una bambina che non riesce a trovare le parole dalla gioia: "E’ allegro, bello, felice, soprattutto enorme, da tre ore sto camminando dalla testa alla coda del corteo, avanti e indietro per partecipare a questa gioia e non perdere neppure una di queste splendide immagini". Decine di carri (31), migliaia di persone, lotta di numeri, 200 mila per organizzatori, più prudente la questura. Lo striscione d’apertura con tre parole d’ordine: "Laicità, parità, dignità". Una comunità che c’è, esiste, cerca cittadinanza mentre si sente messa da parte un po’ da tutti.
Manifestazione nazionale. Gay pride 2008. L’Italia gay e lesbica scende in piazza a Bologna, manifestazione nazionale che raccoglie e comprende le quattro locali (Roma, Milano, Biella, Catania). Altre centinaia di migliaia sfilano contemporaneamente nelle strade di Berlino, Parigi, Sofia, Gerusalemme.
Il corteo nazionale bolognese arriva dopo le polemiche per quello romano a cui il ministro per le Pari Opportunità Mara Carfagna aveva tolto il patrocinio. "Carfy, te la sbatto in faccia la cravatta" si legge su un cartello. Il ministro infatti aveva chiesto un Pride più serio e meno appariscente, "in giacca e cravatta". Ma al di là di slogan e cartelli la polemica politica corre lungo tutto il serpentone del corteo. Si attacca l’assenza del Pd e si accusa la Pdl di aver cancellato dall’agenda politica parlamentare ogni disegno di legge che riguarda diritti e pari dignità per la comunità gay.
Carri, canzoni, travestimenti: comincia la festa. L’orchestrina che suona "Rosamunda...", le bandiere arcobaleno, striscioni e cori. Il corteo parte puntuale alle 14.30 sotto un caldo torrido da piazza Ravegnana. Sono in migliaia ma in effetti, data l’ora e la temperatura, non così tanti. Lo striscione di apertura recita "laicità, parità, dignità", lo tengono su Vladimir Luxuria, ex deputata di Rifondazione, Marcella Di Folco, presidente del Mit, Emiliano Zaino, presidente del Cassero, Sergio Lo Giudice e Aurelio Mancuso, presidente nazionale Arcigay. C’è anche Vittoria Franco, il ministro ombra del Pd per le pari Opportunità. Presente Alfonso Pecoraro Scanio. Assente il sindaco Sergio Cofferati che però in mattinata ha ricevuto gli organizzatori e ha deciso di intitolare una strada a Stefano Casagrande, uno che ha significato tanto per la comunità omosessuale bolognese prima di morire otto anni fa. Dopo circa un’ora il corteo raggiunge i giardini Margherita dove attendono i carri allegorici (uno si rompe di lato, due ragazzi cadono ma nulla di grave). In coda lo spezzone queering bo, dei centri sociali e collettivi bolognesi, distribuisce un "pacchetto sicurezza" contenente un preservativo, una pillola del giorno dopo (finta), due cannucce "sniffa-pulito" e una galaxy-card per, recita il volantino, "viaggiare, fermarsi, godere e condividere pari diritti in tutti i paesi del mondo".
Botta e risposta Vendola-Concia: "Il Pd è assente"; "No è falso". Ma il Pd c’è o non c’è al Gay pride? Dipende dai punti di vista, come sempre. E dipende da quanto e come si voglia mettere alla prova la convivenza tra le tante anime del Pd. Uno striscione dice: "Veltroni dì qualcosa di gay...". Ma il segretario è impegnato con gli ecodem. I fatti sono che Vittoria Franco, ministro ombra del Pd per le Pari Opportunità, apre il corteo, sorregge lo striscione di apertura, si guarda intorno e dichiara: "Mi sento a casa mia, Bologna sa esere molto accogliente e tutto il corteo è molto sobrio smentendo chi accusa i Pride di essere inutilmente folkloristici". Soprattutto, aggiunge il ministro ombra, "ci sono qui oggi molte persone per sostenere il principio della parità dei diritti tra tutti i cittadini". Perché, contrariamente a quello che dice il ministro Carfagna, "i gay hanno bisogno di sostegno per i loro diritti, sono ancora discriminati".
Il Pd schiera anche la deputata Paola Concia. Ma Franco Grillini - ex ds, poi socialista - leader storico dei gay e molto amico della deputata, le fa osservare che "di dodici deputati del Pd eletti tra Bologna e l’Emilia neppure uno è presente". Come se non bastasse ci si mette Nichi Vendola a rimarcare le assenze: "Il Pd non c’è" dice riferendosi ai big, ai leader. "Ed è un peccato perché qui oggi c’è una magnifica energia per ripartire con le battaglie di libertà in un momento in cui nel paese soffia un forte vento di intolleranza". Di sicuro, senza nulla togliere al ministro ombra, Veltroni, Bersani o altri avrebbero avuto qualche problema a spiegare male la loro presenza al Pride alla componente teodem del partito. Paola Concia non ci sta: "Se bisogna fare polemica per forza... Il Pd ha qui un suo ministro e la sottoscritta. E poi, se bisogna dirla tutta, perché la Sinistra democratica ha organizzato il suo congresso proprio in coincidenza con il Pride che si tiene il 28 giugno da vent’anni?".
Alleanze in nome dei diritti. Il Pride di oggi registra connivenze anomale ma interessanti. Tra la folla si muove infatti Benedetto Della Vedova, ex radicale transitato nelle file del Pdl. "Sono qui - spiega - perché un partito che rappresenta il 40% degli elettori (tra cui, senz’altro, una parte importante degli omosessuali italiani) non può restare insensibile alle richieste legittime della comunità gay". Perché non fare subito, ad esempio, quello che altre maggioranza europee del Ppe come Spagna, Francia e Germania hanno già fatto "come il pieno riconoscimento giuridico delle convivenze omosessuali"?. Un appello raccolto dalla Concia, "dobbiamo unirci non dividerci, non ha senso, è dimostrato". Dialogo e proposta bipartisan sui diritti gay. "Il Pride di oggi è bello perchè c’è tanta politica e non ci sono partiti" osserva finemente Grillini. Provarci. E perché no?
* la Repubblica, 28 giugno 2008.
VERSO IL GAY PRIDE
Domani l’appuntamento nazionale per il movimento lgbt.
Nella città di Cofferati e in un clima di omofobia, nella società e nelle istituzioni, che fa paura.
Presenza d’eccezione uno dei primi transessuali italiani. Che racconta la vita da omosessuali durante il regime, la deportazione e il cambio di sesso negli anni ’60
«Io, trans, da Dachau al Pride di Bologna»
Luciano è stato uno dei primi italiani a diventare Lucy. Oggi, a 84 anni, racconta il fascismo e si prepara a sfilare
di Linda Chiaramonte (il manifesto, 27.06.2008)
BOLOGNA. Il ventesimo secolo visto dagli occhi di Lucy. Una testimonianza quasi unica la sua, all’anagrafe Luciano, classe 1924, fra i primi transessuali italiani ad operarsi a Londra negli anni ’60 e fra le poche a raccontare la sua esperienza attraverso gli anni del fascismo, la guerra e la deportazione nel campo di concentramento di Dachau come disertore e omosessuale. Nato a Fossano, Cuneo, fin da bambino è consapevole della sua diversità, alla fine degli anni ’30 si trasferisce a Bologna con la famiglia dove vive l’adolescenza e i primi amori. All’epoca non si parlava di omosessualità, «non si sapeva neanche cosa significasse omosessuale» racconta, ma è a Bologna che frequenta un gruppo di amici omosessuali «perché ci stavo bene, mi sentivo uno di loro. Ci trovavamo quasi tutte le sere sempre nello stesso posto, vicino alla cattedrale o alla Montagnola e ci raccontavamo le nostre avventure. C’era già un giro; praticamente clienti fissi che venivano a cercarci. Sapevano dove trovarci. Poi andavamo nelle zone vicine dove era comodo e c’era un po’ di buio. Si faceva come si poteva. Io andavo con la divisa da marinaretto così ero sicuro che combinavo qualcosa».
Nell’esercito fascista. Da gay
Erano gli anni del fascismo e bisognava fare attenzione a non dare troppo nell’occhio. «Se avveniva tutto troppo alla luce del sole c’erano botte in vista», ricorda Lucy, «c’erano le bande di fascisti: dove trovavano un po’ di assembramento del nostro genere, succedeva sempre qualcosa. Stavamo sempre all’erta. Noi non ci siamo mai permessi di abbordare dei fascisti perché capivamo che era pericoloso. Invece c’erano delle checche che si buttavano allo sbaraglio e poi li abbiamo visti arrivare imbrattati con il catrame. Col catrame e tutti pelati! I fascisti facevano finta di starci e li invitavano in un posto dove c’era il resto di loro. Una volta che giravo con una di loro ho trovato una ghenga di queste persone: lui l’hanno massacrato, a me hanno dato due ceffoni, m’hanno fatto un muso così. L’unica volta che mi hanno picchiato, l’unica».
Il primo giorno da soldato nel ’43 Lucy lo ricorda ancora bene: «Uno shock! Io ho detto quello che ero, ma non ci hanno creduto. Ho detto: sono omosessuale. E loro: dicono tutti così, perciò vai vai... L’8 settembre si è disfatto l’esercito, ognuno ha cercato di andare a casa propria, io arrivai a Bologna, ma non trovai i miei genitori, andai a Mirandola, ma non mi trovavo bene lì, era un paese piccolo. Tornato a Bologna, nel frattempo era uscita la legge che se i militari fuggiti dall’esercito non si presentavano, uno dei genitori sarebbe stato ucciso. Non potevo permettere questo e mi presentai. Lì mi dissero: o con i fascisti o con i tedeschi. Risposi: non vorrei né l’uno né l’altro. Devi scegliere. Coi fascisti non ci vado. Allora vai con i tedeschi. Pazienza, vado coi tedeschi. Così andai a Suviana, ma non mi trovavo, non mi potevo adeguare ad un esercito. Perché dovevo fare il militare con loro? Io sono italiano!
Allora mi buttai nell’acqua, presi una bella bronchite, mi ricoverarono all’ospedale e decisi di scappare da lì. Ho vissuto un po’ a Bologna, vivevo di espedienti. Una sera che andai all’Albergo Bologna con un tedesco che avevo incontrato al bar Centrale, venne la polizia, probabilmente fu una spiata, e ci bloccarono. Lui non l’ho visto più e a me mi hanno accusato di essere un gay. Poi hanno saputo che ero a Suviana e avevo disertato. È stata una tragedia. Ci hanno portato direttamente in galera. Mi hanno processato e mi hanno condannato a morte. Ho chiesto la grazia a Kesserling che me l’ha concessa, però ai lavori forzati in Germania. Mi hanno assegnato a una fabbrica dove facevano le V1, V2, i pezzi di queste bombe. Anche da lì sono scappata via con un amico». La fuga è rocambolesca. Una sera, dopo aver scavalcato il recinto, sono corsi verso la piccola stazione, saliti su un treno nascosti sotto i vagoni, sulle ruote aggrappati ad una sbarra, ma invece di andare verso l’Italia il convoglio arrivò a Berlino. «Un disastro. Cambiammo treno, questa volta per l’Italia».
Anche lì nascosti, ma dopo poco l’amico uscì. «A un certo punto hanno fermato il treno, lui è sceso, correva in mezzo a un campo e dei militari gli hanno sparato e l’hanno preso. Nessuno si è curato di andarlo a guardare, ritirare, gli hanno sparato e lo hanno lasciato lì e il treno ha ripreso ad andare. Ma io sono stato preso. Prima mi hanno fatto un interrogatorio bestiale, e non capivano, perché non potevo dire che ero scappato da un campo di lavoro e dicevo un sacco di bugie. Allora mi hanno messo in campo di concentramento. A Dachau».
Nel campo di concentramento
A Dachau arrivò nel dicembre del ’43, uscì qualche tempo dopo la liberazione del campo perchè fu ferito a una gamba in un tentativo di fuga. Tornò a Bologna nell’agosto del ’45. Nel campo di concentramento Lucy era contrassegnato con un triangolo rosso: deportato come disertore. Arrestato perché omosessuale. Al ritorno in Italia Lucy, nonostante la grazia ricevuta, non è ben accolta dalla famiglia. È diventata una presenza scomoda per la sua scelta di indossare abiti femminili, truccarsi, e per il suo recente passato da disertore, due macchie troppo pesanti da sostenere per una famiglia che vive in un piccolo centro della provincia di Bologna. «I miei fratelli dicevano che ero lo scandalo della famiglia. La vergogna del mondo. Allora decisi di andarmene perché i miei fratelli dicevano: se c’è lui non posso sposarmi perché vanno a vedere cos’ha fatto lui, e magari pensano che sono anch’io così. Così ho detto: vi lascio liberi, io me ne vado. E me ne sono andato a Torino». Lì, dopo un passato da cameriere, s’inventa una nuova professione: tappezziere, poi arredatore, (riceve la pensione da artigiana ed è tesserata alla Cgil) alle quali affiancherà, fino agli anni ’90, la prostituzione.
Viaggia spesso a Parigi dove frequenta i locali di cabaret en travesti e dove fa anche l’attore. È in quegli anni che diventa sempre più Lucy. Anche a Torino frequenta il giro trans, i locali notturni, poi decide di operarsi a Londra. Una pioniera in tempi in cui il cambio di sesso era ancora agli inizi. Negli anni ’80 un grande amore, la separazione, e di nuovo il ritorno a Bologna per assistere i genitori malati. Negli anni ’90 un altro incontro con l’uomo che è ancora oggi il suo compagno: «Ll’ho conosciuto che era un ragazzo, quando ero in Fiera che facevo la vita», ricorda Lucy, «si vede che gli sono piaciuta. Lui ha avuto dei problemi con la famiglia. Gli dicevano: perché non ti sposi, così ha dovuto sposarsi. Infatti adesso ha tre bambini, una bella moglie. Però mantiene sempre la relazione con me». La loro storia dura da circa 15 anni, «ho avuto altre storie di cinque, sei anni, ma andavano a finire sempre allo stesso modo: che si sposavano e poi volevano pretendere che io ogni tanto... ma io dicevo no, lasciamo perdere! Ormai sei con la famiglia. E così feci con questo, solo che questo disse di no. E continuiamo a vederci. Per me è come se fosse stato mio marito».
Lucy pensa al passato e conclude: «Quello che è stato è stato, adesso siamo ricchi, non ci manca niente, dobbiamo agire di conseguenza, dobbiamo adeguarci al giovane, ad essere vecchi c’è sempre tempo!». Squilla il telefono, Lucy risponde, guarda verso la camera e dice: «Ciao, ciao. È lui!». Questa è solo una parte della lunga storia di Lucy, a cui mancano ancora molti tasselli: Torino, Fossano e Dachau. La sua vita è raccontata in prima persona nel promo del documentario «Essere Lucy» realizzato dalla regista Gabriella Romano, che da anni si occupa di storia glbt con un interesse particolare sul tema dell’omosessualità durante il fascismo. L’autrice, che lavora al progetto da circa due anni, ha avuto molte difficoltà per il finanziamento, e al momento il lavoro è fermo in attesa di fondi. Il documentario, oltre a mostrare il periodo bolognese relativo al fascismo e alla sua vita oggi, dovrebbe ripercorrere in un viaggio a ritroso i luoghi in cui ha vissuto.
Il documentario e il Pride
A credere in questo lavoro, presentato in anteprima a Bologna nei giorni del Festival cinematografico Dive-r-Genti a tematica trans, sono stati soprattutto lo Spi-Cgil Emilia Romagna, l’Arcigay Il Cassero di Bologna, Arcigay Milano e il Mit che ha dato il patrocinio. Oltre al prezioso contributo della casa di produzione Ethnos di Bologna che ha realizzato le riprese. Ai dialoghi è affiancato materiale di repertorio fotografico e cinematografico per collocare storicamente gli episodi personali di Lucy. Oggi Lucy, a 84 anni, ha ancora entusiasmo e grinta da vendere, ha voglia di raccontare la sua storia e avverte i segnali preoccupanti nei confronti di trans e gay. È stata invitata a partecipare al Bologna Pride 2008. Il corteo, con un carro allestito dal Mit (Movimento identità transessuale), farà una sosta davanti al monumento che commemora le vittime gay nei campi di concentramento. C’è preoccupazione per la transfobia e l’omofobia che si avverte di questi tempi, sono tante le denunce di violenze e aggressioni che arrivano ogni giorno, a sottolineare la brutta aria che si respira nel paese. Il report stilato da Arcigay nazionale che riguarda il periodo 2006/2008 registra 14 omicidi solo fra le persone trans. Il dossier è stato chiesto in visione anche dal commissario europeo Jacques Barrot, vicepresidente della commissione giustizia e diritti civili a Bruxelles. Sulle dichiarazioni dei giorni scorsi fatte dall’arcivescovo di Bologna Carlo Caffarra sull’omosessualità che «inficia ogni rapporto sociale» Marcella Di Folco, presidente nazionale del Mit, risponde con una battuta: «Lo invitiamo al Pride. In mezzo a tante trans qualche gonna in più non fa male!».
L’Anpi aderisce al Pride nazionale
Il cardinale Caffarra invitato al corteo lgbt di sabato
di Giusi Marcante (il manifesto, 25.06.2008)
BOLOGNA. Nei sei fogli del lungo elenco di adesioni spicca sicuramente quella dell’Anpi. Un gesto che i partigiani spiegano con il bisogno di «tutelare i diritti civili» in un momento in cui «in Italia si tenta di legalizzare la discriminazione». Il Pride nazionale di Bologna è pronto a scattare ma ha già ricevuto la scomunica della Curia. Ci ha pensato direttamente il cardinale Carlo Caffarra sulle colonne dell’inserto locale di Avvenire, ha spiegato che la mancata distinzione uomo-donna «inficia ogni rapporto sociale». Con ironica e opportuna leggerezza gli ha risposto Marcella Di Folco, leader del Movimento Italiano Transessuali. «Noi invitiamo il cardinale. In mezzo a tante trans qualche gonnella in più non fa male».
Tra le risposte laiche del Pride all’impossibilità di dialogo evidenziata dalle parole della Curia c’è la madrina della manifestazione. Sarà infatti una donna profondamente laica e una scienziata, l’astrofisica Margherita Hack, a benedire l’evento con un video messaggio che sarà proiettato su maxi schermo.
Sabato alle 14 l’appuntamento per la manifestazione dell’orgoglio omosessuale è direttamente sotto le Due Torri. Da lì partirà il corteo a piedi mentre un’ora dopo dai Giardini Margherita si muoveranno i trenta carri che comporranno la sfilata. Nel presentare la giornata, che promette di portare in piazza diverse decine di migliaia di persone, il presidente di Arcigay nazionale Aurelio Mancuso ha mostrato una lettera trovata proprio ieri mattina nella buchetta della sede bolognese. Un foglio azzurro con su scritto a stampa «Mi dispiace per voi ma ho sempre scherzato» seguito da una firma. La presenza poi di un cerotto nella busta ha lasciato l’impressione di una minaccia. «È solo un esempio di come l’aria sia molto pesante - ha commentato Mancuso - riceviamo continue segnalazioni di persone che hanno paura».
La presentazione del programma del Pride è stata anche l’occasione per annunciare la due giorni prevista per il 18 e il 19 ottobre in cui si uniranno numerose coppie gay, lesbiche e trans. È una scelta di auto-organizzazione che le associazioni (Arcilesbica, Arcigay, i transessuali del Mit, i genitori dell’Agedo e le Famiglie Arcobaleno) hanno scelto di fare in chiara e aperta polemica con «una legge che non arriva» visti anche «i segnali in controtendenza». Per il momento sono 53 le città dove si realizzeranno queste promesse pubbliche di unione e i nomi delle coppie andranno a costruire un registro nazionale.
critiche contro la decisione di negare piazza san giovanni e il mancato patrocinio
Roma, via al Gay Pride «più osteggiato»
«Neofascisti hanno tentato irruzione»
La deputata del Pd Paola Concia e il giornalista Stefano Campania hanno unito simbolicamente due coppie omo *
ROMA - Un gruppo di «30-40» estremisti di destra «vestiti con giacca e cravatta» hanno cercato di «irrompere» nel corteo del gay pride romano sventolando «bandiere nere con croce celtica». Lo ha segnalato il presidente di Arcigay Roma, Fabrizio Marrazzo, sostenendo che il gruppo è stato bloccato dalle forze dell’ordine. Il tentativo di irruzione, ha detto ancora Marrazzo, è avvenuto a Piazza Venezia all’incrocio con via dei Fori imperiali, nei pressi dell’altare della patria. Verso le 18,30 almeno una bandiera nera era ancora visibile a piazza Venezia.
VI ACCOLTELLIAMO - «Erano una ventina di persone vestite in giacca e cravatta e ci hanno detto: vi accoltelliamo tutti». È il racconto di un ragazzo che ha partecipato al gay pride romano e che dice di aver assistito alla «incursione dei fascisti» durante il corteo. «Ci hanno detto - ha proseguito - che dovevano andare ad un matrimonio e invece ci volevano aggredire». «Li conosciamo - ha detto un altro ragazzo dal carro dei centri sociali (’Strike’, ’La Torre’, ’Forte Prenestino’) - sono i fascisti del Circolo Futurista e di Casa Pound, volevano rovinarci la festa ma li abbiamo fermati». Secondo altri testimoni «durante l’incursione» sarebbe stato spintonato e buttato a terra anche un ragazzo
IL CORTEO - In una piazza della Repubblica gremita ha preso il via nel pomeriggio di sabato il Gay Pride romano, aperto con la celebrazione di due matrimoni simbolici sul carro itinerante dell’Arcigay. Confetti, fiori rosa, torta nuziale e persino il lancio di riso hanno accompagnato il rito celebrato dalla deputata del Pd Paola Concia e dal giornalista del Tg1 Stefano Campania, che hanno suggellato la promessa di unione simbolica alle prime due coppie omosessuali della giornata: Domenico e Jeff, da 20 anni insieme, e Annalisa e Susy. «Chiunque vorrà celebrare l’unione simbolica potrà farlo su questo carro - ha detto il presidente dell’Arcigay Fabrizio Marrazzo -. Fino ad ora abbiamo ricevuto richiesta da 80 coppie». Moltissime le bandiere, gli striscioni e i carri allegorici, tra cui quelli della Cgil, della storica associazione ’Muccassassina’ e di ’No Vat’.
GUERRA DI CIFRE- «Siamo 500.000, mezzo milione». È questa la stima della partecipazione al corteo del gay pride romano fornita dal presidente del Circolo di Cultura omosessuale, Rossana Praitano, che è tra le organizzatrici della manifestazione, quando la testa del corteo è arrivata in via dei Fori Imperiali. Secondo le forze dell’ordine, invece, la stima è di non oltre 10.000 partecipanti. Dai carri continua ad essere trasmessa musica techno, ma c’è anche spazio per «classici» degli anni Sessanta. Molti i fischietti e le bandiere con i colori della pace. Dopo quindici anni di giunte di sinistra o centrosinistra, è la prima volta che il Gay Pride romano si svolge mentre al Campidoglio siede un sindaco di destra, l’ex ministro Gianni Alemanno, che nelle scorse settimane ha preso le distanze dall’iniziativa. Ma nei mesi scorsi, quando era ancora primo cittadino il leader del Pd Walter Veltroni, le associazioni omosessuali avevano polemizzato anche col centrosinistra accusato di subire le pressioni del Vaticano per il mancato voto a una mozione che chiedeva di istituire nella capitale un registro delle coppie di fatto.
«CARFAGNA NUDA» - Il corteo, partito con le note della canzone dell’Equipe 84 «Tutta mia la città», terminerà a piazza Navona attraversando via Cavour, via dei Fori Imperiali, piazza Venezia, via delle Botteghe Oscure, largo di Torre Argentina e corso Vittorio Emanuele. Su uno striscione è scritto: «Carfagna nuda sui calendari, noi spogliati di tutti i diritti». E poi: «Politici servi ipocriti», «Chiesa di potere, Cristo in cui credete vi piglierebbe a tutti a calci nel sedere», «No Vat, più autodifesa meno Vaticano». Tante le bandiere rosse e gialle dell’Unione atei e agnostici razionalisti (Uaar) che espongono cartelli con scritto «Ai gay la piena cittadinanza, ai loro nemici cure psichiatriche» e «Sbattezziamoci tutti». Su alcune magliette si legge «Meglio frocio che fascista».
A MILANO - Aperto dallo striscione ’Ma non togliamo il disturbo’, anche a Milano è partito il corteo del Gay Pride, da corso Venezia a piazza Castello. Distribuiti foglietti bianchi adesivi con una X rossa che i manifestanti dovranno attaccare sulla bocca passando in piazza Duomo. «È la nostra forma di protesta - ha detto Aurelio Mancuso, presidente Arcigay - per ribellarci a chi vorrebbe ridurci al silenzio». Il corteo è formato cinque carri addobbati di palloncini e festoni e motivi luccicanti. Molte le bandiere della sinistra democratica, di sinistra critica e dell’Arcigay. «Gli italiani ci obbligano a prostituirci - noi vogliamo un lavoro diurno». È il cartello portato da un transessuale della Fenice, associazione nazionale Transex e Transgender al corteo dei milanese. «Siamo tra le categorie più discriminate e prese in giro - hanno detto - ci trattano come delle caricature, ma noi siamo solo delle persone normali che vogliono un lavoro normale».
«IL PIÙ OSTEGGIATO» - «Quello di quest’anno è il Pride più faticoso e senza dubbio il più osteggiato: abbiamo ricevuto due schiaffi, il ’no’ a piazza San Giovanni e il ’no’ al patrocinio del Comune ma, come potrete vedere tutti, anche quest’anno sarà una festa» ha detto il presidente del Circolo di Cultura omosessuale, Rossana Praitano, tra gli organizzatori del Pride capitolino che sta per partire da piazza della Repubblica per arrivare a piazza Navona. «Le motivazioni dell’evento di quest’anno - prosegue - sono le stesse degli scorsi anni ma il motto scelto è ’Testardamente parità, dignità, laicità’ proprio perché, nonostante gli ostacoli, siamo riusciti a portare a termine l’organizzazione. Arriveremo nel cuore della città con caparbietà e con la ragione dei giusti».
STATO LAICO - «Questo Pride si svolge in un clima politico particolare, quindi è più che necessario per riaffermare l’idea di uno Stato laico, dove la laicità rappresenta lo spazio neutrale e dove la libertà e l’uguaglianza garantiscono i diritti per tutti - ha detto, a Ecotv, Franco Grillini del Partito socialista -. Noi siamo la vera medicina per la libertà, il Gay pride è l’unico antidoto per la libertà». E Benedetto Della Vedova, esponente del Pdl: «Oggi vivere l’omosessualità in coppia stabile è un fenomeno diffuso e ampiamente accettato, quindi secondo la mia visione dovrebbe avere un riconoscimento giuridico. In Italia l’omosessualità è una questione importante, ma ancora irrisolta. Non escludo, e me lo auguro, che ci siano sorprese positive durante questa legislatura a tal riguardo».
PIAZZA SAN GIOVANNI - Critica la decisione della Questura di vietare il passaggio in piazza San Giovanni e il mancato patrocinio il ministro-ombra per le Pari opportunità, Vittoria Franco: «Sono decisioni gravi che segnano passi indietro preoccupanti per i diritti degli omosessuali. Siamo convinti che occorra garantire con leggi i diritti degli omosessuali, che ancora oggi subiscono violente discriminazioni nella loro vita di tutti i giorni, sul lavoro». Polemici anche Rita Bernardini, deputata radicale del Pd e segretaria di Radicali italiani e Sergio Rovasio, segretario dell’associazione ’Certi Diritti’: «Giudichiamo questo diktat imposto dalle autorità un pericoloso precedente che nega il diritto costituzionale a manifestare liberamente il proprio pensiero. Il diniego della Prefettura e Questura di Roma di utilizzare piazza San Giovanni come punto d’arrivo della manifestazione è del tutto ingiustificato. Per queste ragioni, parteciperemo al Gay Pride di Roma e alle 20.30 ci imbavaglieremo davanti all’ingresso della basilica di San Giovanni, nella stessa ora in cui il coro pontificio ’Traditio et Confessio’ inizierà i suoi canti».
«SI VA ALL’INDIETRO» - «Finalmente sui temi dell’omosessualità l’Italia si sta muovendo, ma all’indietro perché non solo, dopo 14 anni che organizziamo il Gay Pride, discutono sull’opportunità di farlo o no, ma ora mettono bocca anche sulla modalità di come farlo» attacca l’ex deputato di Rifondazione comunista Vladimir Luxuria, che partecipa al corteo. «Ora in Italia la prostituzione viene considerata una manifestazione contro la pubblica moralità, presto anche l’omosessualità sarà considerata un reato». Per l’esponente di Rifondazione «questo continuo pendolo tra destra e sinistra ha finito per far vincere le componenti cattoliche che hanno colonizzato i due schieramenti».
«ORGOGLIO DEL MALE» - Tra le voci contrarie, quella del gruppo politico cattolico ’Militia Christi’. All’alba alcuni militanti hanno affisso su un muro di via Cavour, nel centro della capitale, lungo il percorso del «vergognoso Gay Pride», uno striscione con scritto «Roma è sacra: no al Gay Pride, orgoglio del male!». «L’azione è un piccolo, ma significativo gesto di condanna e opposizione all’ennesimo nefasto evento che offende Roma, la sua storia, la sua identità, i suoi abitanti» spiega il gruppo in una nota.
* Corriere della Sera, 07 giugno 2008
Oggi pomeriggio cortei a Roma e Milano. Il Pd manda il ministro-ombra
Protesta stasera in San Giovanni per la piazza negata a causa di un coro sacro
Gay Pride, si sfila imbavagliati
c’è un carro per le nozze omosex
di RORY CAPPELLI *
ROMA - Alle 20.30 si imbavaglieranno in piazza San Giovanni, all’ingresso della basilica. Una protesta silenziosa contro la decisione di spostare da piazza San Giovanni a piazza Navona l’arrivo del Gay Pride. Decisione giustificata da Prefettura e Questura dalla contemporaneità - ritenuta incompatibile - del Gay Pride con il convegno Allargare gli orizzonti della razionalità, organizzato dalla Pontificia Università Lateranense. Nell’ambito del quale stasera alle 20.30 si terrà, appunto nella basilica, un concerto del Coro Interuniversitario di Roma "Traditio et confessio". Perciò "nella stessa ora in cui il coro inizierà i suoi canti" si toglieranno la voce i radicali Rita Bernardini, deputata, Sergio Rovasio, segretario dell’Associazione Radicale Diritti, esponenti del movimento Lgbt (lesbo gay bisex transgender), l’esponente di Rifondazione Comunista Elettra Deiana e il segretario romano del Prc Massimiliano Smeriglio.
Si imbavaglieranno anche al Gay Pride di Milano, che partirà oggi alle 16 da via Palestro per raggiungere piazza Castello, passando anche in piazza Duomo. Proprio qui la musica sarà spenta e la manifestazione passerà davanti alla cattedrale completamente muta per protesta "contro la volontà della politica e delle gerarchie cattoliche di farci stare zitti".
Nicola Zingaretti e Piero Marrazzo hanno patrocinato il Gay Pride di Roma come presidenti della Provincia di Roma e della Regione Lazio. Hanno dato il patrocinio anche al Simposio della Pontificia Università Lateranense. Entrambi sono intervenuti, giovedì, alla cerimonia inaugurale del Simposio, con il sindaco di Roma Gianni Alemanno e il cardinale Camillo Ruini. Ed entrambi - che non parteciperanno al Gay Pride - preferiscono non commentare quella che ai promotori del Gay Pride è sembrata una contraddizione, sottolineando però che, in loro rappresentanza, interverranno due assessori.
A Roma aprirà il corteo Vittoria Franco, ministra delle Pari Opportunità del governo-ombra del Pd. "Così partiremo - ha detto la presidente del Circolo Mieli Rossana Praitano - con un ministro che non c’è al posto di uno, Mara Carfagna, vero ma inesistente". Parteciperà anche la Cgil.
In uno dei carri che formeranno il corteo sarà allestita una "Sala civile itinerante" dove Paola Concia, l’unica deputata lesbica (dichiarata) del Parlamento italiano unirà in matrimonio (simbolico) le coppie che lo vorranno e dove saranno distribuiti i confetti Pelino "Gay Bride"(color lilla), ideati dall’amministratore della fabbrica di Sulmona, Mario Pelino, fratello di Paola, onorevole del Pdl. Gli stessi confetti che lei a metà maggio aveva regalato a Berlusconi durante le operazioni di voto sulla fiducia parlamentare del governo. "Gli stessi, sì - precisa - ma non lilla".
* la Repubblica, 7 giugno 2008.