15 anni fa l’apertura alle donne pastore in Inghilterra e Galles
Chiesa anglicana: ’’Sì alle donne vescovo’’.
Vaticano: ’’Strappo alla tradizione’’
Voto positivo dei componenti del Sinodo generale riuniti a York, nel nord della Gran Bretagna, che si sono espressi anche a favore di un "codice di condotta", per evitare lo scisma dei più tradizionalisti. La Santa Sede: ’’Ulteriore ostacolo per la riconciliazione’’
Londra, 8 lug. [2008] (Adnkronos/Dpa) - Le donne vescovo potrebbero diventare presto una realtà nella Chiesa anglicana dopo il voto positivo espresso dal Sinodo generale. Un voto considerato "storico" poiché ha mostrato un "margine sostanziale" di sostegno alla futura consacrazione delle donne vescovo, secondo i primi commenti.
I componenti del Sinodo generale della chiesa anglicana riuniti a York, nel nord della Gran Bretagna, hanno votato anche a favore di un "codice di condotta" che prevede un vescovo uomo per religiosi e fedeli tradizionalisti che obiettassero sul vescovo donna. Circa 1.300 religiosi avevano infatti minacciato uno scisma e l’abbandono della chiesa se non fossero state introdotte misure di salvaguardia a tutela dei più tradizionalisti. La votazione è arrivata a oltre 15 anni di distanza dall’apertura alle donne pastore in Inghilterra e Galles.
Da parte sua, il Vaticano ha criticato con una nota ufficiale il voto. Per il Pontificio consiglio dell’unità dei cristiani, la decisione rappresenta ’’uno strappo alla tradizione apostolica mantenuta da tutte le Chiese del primo millennio; ed è perciò un ulteriore ostacolo per la riconciliazione tra la Chiesa cattolica e la Chiesa d’Inghilterra’’. ’’Abbiamo appreso con rincrescimento la notizia’’ della ’’legislazione che conduce all’ordinazione delle donne all’episcopato’’ si legge nella nota diffusa dal Vaticano.
’’La posizione cattolica in merito - afferma il Pontifici consiglio per l’unità dei cristiani - è espressa chiaramente da Papa Paolo VI e da Papa Giovanni Paolo II. Una tale decisione significa uno strappo alla tradizione apostolica mantenuta da tutte le chiese del primo millennio: è perciò un ulteriore ostacolo per la riconciliazione tra la Chiesa cattolica e la Chiesa d’Inghilterra’’. Per il futuro, prosegue il testo, ’’questa decisione avrà delle conseguenze per il dialogo, che finora aveva buoni frutti’’. Infine, la nota comunica che il cardinale Walter Kasper, responsabile del Pontificio consiglio, è stato invitato alla prossima Conferenza di Lambeth a fine luglio nella quale si riunirà tutta la comunione anglicana.
La crisi nel dialogo ecumenico e nei rapporti fra Roma e Canterbury è in atto da decenni ma, in questo periodo, diversi rappresentanti della Chiesa anglicana hanno alla fine scelto di entrare nella Chiesa cattolica. Ora però la cosa assume connotati diversi vista la spaccatura che si sta delineando nello stesso episcopato anglicano (dalla Gran Bretagna agli Stati Uniti, dall’America all’Oceania) su questioni etiche e teologiche.
Sul tema, nel sito, si cfr.:
FLS
ANTROPOLOGIA (TEATRO) E CRISTOLOGIA (METATEATRO):
AMLETO (SHAKESPEARE) E LA TEOLOGIA DELL’EUROPA, DOPO LA RIFORMA PROTESTANTE (1517) E IL MATRIMONIO DI LUTERO E KATHARINA VON BORA (1525) E LA RIFORMA ANGLICANA (1534), DOPO IL MATRIMONIO DI ENRICOVIII E ANNA #BOLENA E DOPO LA NASCITA DI ELISABETTA (1533), REGINA D’INGHILTERRA (1558-1603).
LODEVOLE la "traccia" seguita da #Dennis #Taylor, nella sua opera "Shakespeare and the Elizabethan Reformation: Literary Negotiation of Religious Difference" (Lexington Books, 2022: ):
LODEVOLISSIMA, MA ANCORA RIDUTTIVA, QUESTA IPOTESI DI "LETTURA": NON COGLIE, A MIO PARERE, IL VASTO RESPIRO "FILOSOFICO" DELLA "ANALISI" PORTATA AVANTI E PROPOSTA DA SHAKESPEARE. Ricordando la presenza di Giordano Bruno a Londra dal 1583 al 1585 e, al contempo, la sua condanna al rogo a Roma nel 1600, non è meglio pensare, forse, che Shakespeare non «immagina modi cooperativi di risolvere la "commedia degli errori" nazionale», ma sollecita a porre all’ordine del giorno dell’Europa dell’epoca (e, addirittura, di #oggi), alla luce di una "#question" teologico-politica (non solo religiosa e non solo anglicana) di #lungadurata ("#essere, o non essere"), la necessità storica di risolvere il problema antropologico e cristologico e aprire la strada a una "idea" di cittadino "cristiano" e di cittadina "cristiana", cioè di una #cittadinanza europea, che si portasse oltre il #cattolicesimo androcentrico, paolino e costantiniano (#Nicea 325-2025)?!
ANTROPOLOGIA #TEOLOGIA E #STORIOGRAFIA: "SAPERE AUDE!" (#ORAZIO - #KANT).
AMORE E’ PIU’ FORTE DI MORTE": MEMORIA DI #MARTIN #LUTERO E DELLA #RIFORMAPROTESTANTE (1517) E DELLA #RIFORMA #ANGLICANA (1534), IN RICORDO DELLA "PRIMA RINASCITA" (GIOACCHINO DA FIORE, FRANCESCO DI ASSISI, E DANTE ALIGHIERI)
IL #NODO ANTROPOLOGICO (E TEOLOGICO-POLITICO) DEL #MATRIMONIO E DELLA #CONOSCENZA "BIBLICA", OGGI (#14DICEMBRE 2024). Ricordando che Lutero e Katharina von Bora si sposarono nel 1525, forse, è bene ricordare che la cultura dominante (meglio, la filosofia egemone) è quella della tradizione socratico-platonica, rilanciata da Niccolò #Cusano (con la sua "dotta ignoranza" e la sua paolina "pace della fede"), e, che, quando Lutero in un’omelia tenuta nel 1531, così parla (v. oltre), fa tremare tutto l’ordine tragico della antropologia e della teologia conosciuta e "giustficata", anche e ancora da un Erasmo da Rotterdam, che confonde "Cristo" con "Socrate"!
IL TEMA DEL #PRESEPE E DEL "#COMENASCONOIBAMBINI. Lutero, in verità, riprende coraggiosamente il filo evangelico (francescano e dantesco) e riscopre l’#alleanza di #fuoco tra l’uomo e la donna, altro che la vecchia o la nuova tragica "alleanza": «La parola di Dio è in realtà iscritta nel coniuge. Quando l’uomo guarda sua moglie come fosse l’unica donna sulla terra, e quando una donna guarda suo marito come se fosse l’unico uomo sulla terra, allora proprio lì siete faccia a faccia con Dio che parla». (cfr. #Luciano Moia, "Riscoperte. Amoris laetitia e Lutero, quegli incroci sorprendenti", Avvenire, 13 dicembre 2024).
BUON NATALE 2024
Umanesimo. Erasmo da Rotterdam e il matrimonio: amore «bello e santo»
Disponibili per la prima volta in italiano tutte le opere del filosofo sul tema. Pagine ricche di acume che rivelano intuizioni e aperture per l’epoca decisamente controcorrente
di Matteo Al Kalak (Avvenire, mercoledì 2 ottobre 2024)
La Costituzione italiana, all’articolo 29, stabilisce che “la Repubblica riconosce i diritti della famiglia come società naturale fondata sul matrimonio”. Sono ricorrenti i dibattiti che, ancora oggi, animano le cronache sul valore di questo istituto, la definizione stessa di famiglia, la necessità di incrementare la natalità, e così via. Insomma, piaccia o non piaccia, la famiglia è una piccola società, un luogo in cui la collettività riconosce una parte fondamentale del proprio corredo. Secondo i padri costituenti, questa “cellula” della Repubblica era fondata sul matrimonio. È l’unione tra due individui che genera qualcosa di nuovo e speciale, in grado di perpetuare e sostanziare la società stessa. Il matrimonio è, dunque, un punto di partenza, un nesso tra persone che, più di altri, sollecita la cura del legislatore.
A scandagliare le profondità di questa istituzione che, in buona sostanza struttura le società umane sono stati in molti. Tra di essi, figura anche uno dei più celebri umanisti del XVI secolo: Erasmo da Rotterdam. Per la prima volta, il pubblico italiano ha l’opportunità di accedere, in modo sistematico e organizzato, ai suoi scritti sul matrimonio in una traduzione che consente di toccare con mano l’acume - e come stupirsi? - con cui il grande intellettuale affrontò questo nodo cruciale ( Scritti sul matrimonio, Aragno, pagine 752, euro 50,00).
Una ricca introduzione della storica Lucia Felici consente di comprendere l’originale posizione di Erasmo nel panorama di una cristianità sempre più scossa e divisa dalle contrapposizioni religiose. Come spiega la studiosa, il progetto di Erasmo non scardinava la tradizionale visione patriarcale della famiglia, né andava a rivoluzionare il consueto impianto delle virtù richieste ai due coniugi (va dunque rifuggita ogni tentazione di un Erasmo proto-femminista). Ciò nonostante, la condizione femminile all’interno del matrimonio ne esce rafforzata e, secondo Felici, la sensibilità erasmiana presenta vari punti di contatto con quanto accadeva nel mondo riformato.
La raccolta include due testi fondamentali nella produzione di Erasmo: l’Encomium matrimonii e la Christiani matrimonii institutio. Due opere che bene riassumono la concezione dell’umanista olandese. La prima, breve e pungente, rivelava la sua potenza programmatica presentando il matrimonio come lo stato migliore e più santo in cui l’uomo potesse vivere, poiché Dio a ciò lo aveva ordinato sin dalla creazione. Il matrimonio era la Chiesa domestica cui il cristiano doveva aspirare, in una polemica nemmeno troppo velata con un clero i cui abusi avevano alimentato la contestazione del mondo protestante. Erasmo non si rifugiava in un quadro idilliaco: esplicitava i problemi che potevano derivare dalla vita di coppia, ma tracciava anche possibili soluzioni. L’Institutio, composta più tardi, riprese il tema in modo serio e “accademico”, approfittando per replicare alle critiche indirizzate all’Encomium. Il trattato toccava tre punti essenziali: la centralità del matrimonio; i metodi per consolidarlo; l’educazione dei figli. Se il ruolo del marito restava cruciale e, per così, si manteneva come pilastro dell’architettura matrimoniale, Erasmo rigettava gli atteggiamenti con cui la legge consentiva di punire l’adulterio e, più in generale, ogni legittimazione della violenza tra i coniugi. Può sembrare una concessione minima, ma, per i tempi, rappresenta un avanzamento deciso e controcorrente.
Ma è a Erasmo - più che a un moderno lettore - che va forse lasciata l’ultima parola. «Non tollero - scrive Erasmo - chi mi dice che quel desiderio amoroso [del matrimonio] è turpe e che esso non viene dalla natura ma dal peccato. Che cosa potrebbe esserci di più lontano dal vero. Noi rendiamo turpe con l’immaginazione ciò che per sua stessa natura è bello e santo». L’amore del matrimonio, vissuto alla luce del Vangelo, è “bello e santo” (quasi un’anticipazione dell’Amoris laetitia; cfr. §62): dirlo cinque secoli fa era davvero rivoluzionario.
CRISTIANESIMO E GEOPOLITICA, SENZA PREGIUDIZI, ALLA LUCE ANTROPOLOGICA E TEOLOGICA DEI "DUE SOLI" (DANTE 2021):
STORIA DI EUROPA, DI IERI E DI OGGI: "THE BOOK OF SIR THOMAS MORE". Partendo dal suo tempo (quasi cento anni dopo), Shakespeare cerca di chiarire il percorso che l’Inghilterra di EnricoVIII ed Elisabetta ha fatto e che cosa ha guadagnato, a partire dagli eventi del 1517 e dopo la rottura con la Chiesa Cattolica e dopo la Riforma Anglicana!
Una possibile chiave interpretativa sta proprio nella natura del conflitto teologico-politico (e nel legame di Tommaso Moro con le indicazioni di san Paolo, e del Papa):
" Voi volete schiacciare gli stranieri [...]"Supponiamo adesso che il re, nella sua clemenza verso i trasgressori pentiti, giudicasse il vostro grave reato limitandosi a punirvi con l’esilio: dove andreste, allora?
Quale paese vi accoglierebbe vedendo la natura del vostro errore? Che andiate in #Francia o nelle #Fiandre, in qualsiasi provincia della #Germania, in #Spagna o in #Portogallo, anzi no, un luogo qualunque #diverso dall’Inghilterra, vi ritroverete inevitabilmente stranieri.
Vi farebbe piacere trovare una nazione dal carattere così barbaro che [...] vi cacciasse via come cani, quasi che Dio non vi avesse creati né vi riconoscesse come suoi figli [...]?". Questo il problema, a mio parere.
La Chiesa anglicana: la religiosità di Elisabetta, un lascito al suo popolo
Lealtà, servizio e umiltà, le qualità della Regina che hanno toccato i suoi sudditi. La Reverenda Jules Cave Bergquist: nei suoi messaggi parlava della sua fede e del conforto e del sostegno che offriva proprio a lei
di Francesca Sabatinelli - Città del Vaticano, 09 settembre 2022.
Il mondo anglicano vive il suo profondo dolore per la morte di Elisabetta II, capo della Chiesa d’Inghilterra. Ad esprimerlo, in tutta la sua interezza, è stato ieri nel suo messaggio di cordoglio l’arcivescovo di Canterbury, Justin Welby, primate della comunione anglicana. “Abbiamo perso - aveva scritto Welby - una persona la cui lealtà irremovibile, capacità di servizio e umiltà ci ha aiutato a dare un significato a chi siamo attraverso decenni di straordinari cambiamenti nel nostro mondo e nella nostra società”. Lealtà, capacità di servizio e umiltà, doni spirituali che riconosce anche la Reverenda Jules Cave Bergquist, cappellano di Napoli, Bari, Sorrento e Capri e vicario per l’Italia del Vescovo anglicano per l’Europa:
Reverenda, l’arcivescovo di Canterbury, Justin Welby, ha sottolineato nel suo messaggio di cordoglio per la morte di Elisabetta II, l’incrollabile lealtà, il servizio e l’umiltà della Regina, qualità che hanno segnato profondamente i sudditi, i fedeli del regno ...
Io credo che si possa capire tutto alla luce di qualcosa che la Regina ha detto in occasione del suo 21mo compleanno. Era in Sudafrica con la famiglia e ha parlato alla sua gente dicendo “Dichiaro davanti a voi tutti che tutta la mia vita sia lunga o corta sarà dedicata al servizio vostro e anche al servizio della nostra grande famiglia imperiale, alla quale noi apparteniamo tutti”. E quindi lei, già all’età di 21 anni, sapendo di divenire poi regina, ha dedicato la sua vita al servizio. E ha riferito a questo diversi momenti della sua vita. Trascorsi gli anni l’impero è diventato il Commonwealth, una famiglia di nazioni, molte delle quali sono indipendenti oggigiorno, tutte però con forti legami di una storia insieme, ma con rapporti aggiornati, e la Regina ha saputo gestire questo aggiornamento con intelligenza e spirito di servizio. Poteva fare questo soltanto con i doni spirituali della lealtà, verso la sua gente, dello spirito di servizio e dell’umiltà nel trasformare l’impero in un Commonwealth, una famiglia.
Qual è l’eredità di Elisabetta? Che cosa lascia al mondo anglicano? Quale segno della sua fede cristiana?
Lei è conosciuta per una fede molto forte e molto personale. Andava in chiesa ogni domenica e anche in altri momenti dell’anno, nelle cappelle dei palazzi reali di tutta Gran Bretagna. È anche vero che nei momenti in cui la Regina indirizzava un messaggio alla sua gente, tipo a Natale, oppure in momenti di crisi, non lasciava mai scappare l’opportunità di parlare della fede e del conforto e del sostegno che offriva proprio a lei. E credo anche che la sua eredità sia quella di aver saputo trasmettere l’importanza della fede ai suoi discendenti, e quindi anche a Carlo e a William, il rispetto per la fede e l’importanza dei titoli che loro erediteranno come lei ha ereditato, come quello di Defensor fidei, difensore della fede, o di suprema governatrice della Chiesa anglicana. Sono titoli personali ma devono essere radicati nella realtà dell’essere il responsabile spirituale di una Chiesa.
In molti hanno sottolineato la capacità di Elisabetta II di interpretare un ruolo che lei considerava una missione, lei è d’accordo?
Sì, certo. Come dicevo prima, a proposito del suo 21mo compleanno, è sempre stato importantissimo per Elisabetta. Essere monarca per lei era essere Difensor fidei. Sappiamo tutti che Difensor fidei è stato un titolo dato ad Enrico VIII dal Papa (Papa Leone X ndr) per aver scritto un libro sui sette sacramenti. È un titolo ereditato dalla Regina e poi anche dai re. Molte persone mi chiedono: “Ma la Regina è il capo della vostra Chiesa, della Chiesa di Inghilterra, della Chiesa anglicana?” Il capo della Chiesa nostra è Cristo, come per la Chiesa Cattolica. Il Papa per voi è il vicario di Cristo, per noi la Regina, così come i suoi successori, sono governatori supremi della Chiesa d’Inghilterra, significa che il ruolo comprende l’accertarsi che la sua Chiesa abbia i vescovi per essere governata, significa quindi invitare i vescovi ad assumere le responsabilità per il gregge. La Regina ha saputo aggiornare anche questa missione e tramandarla ai suoi discendenti. Era molto importante per lei, non solo la fede personale, ma anche guardare alla fede come una cosa da tramandare al suo popolo, ai suoi eredi.
Lei l’ha incontrata personalmente? Ne ha un ricordo?
No, non l’ho mai incontrata, ho conosciuto sua sorella, Margaret, anche lei donna di grande fede. Però ho incontrato il principe Carlo (Re Carlo III). Ero responsabile nazionale delle vocazioni e lui veniva ad un seminario anglicano a Oxford, quindi ho avuto l’opportunità di parlargli. È una persona molto interessante, è molto curioso di sapere, di incontrare, di agire per il bene. Perlopiù in Inghilterra è conosciuto come agricoltore biologico, sperimenta da decenni una agricoltura ecosostenibile. È appassionato, instancabile sostenitore dei movimenti per salvaguardare il creato, e credo che in questo andrà molto d’accordo con Papa Francesco, autore della Laudato si’. Però Carlo ha parlato anche del titolo di Difensor fidei, che sapeva un giorno avrebbe ereditato. A lui interessano molto anche le altre Chiese cristiane, così come le altre religioni presenti nel territorio. È conosciuto per avere conoscenza profonda dell’Islam, per esempio. Quindi, credo che nel futuro Carlo saprà salvaguardare la libertà della fede di tutti i suoi sudditi.
In molti leggeranno come una novità avere un Re che si interessa anche di altre religioni, ma non è vero, e la prova ne è il fatto che il nonno di Carlo, cioè il padre di Elisabetta (Re Giorgio VI, ndr) era ancora imperatore dell’Impero britannico quando fece costruire decenni fa la prima moschea in Inghilterra, a Londra, a St John’s Wood, su di un terreno della casa reale. Fece costruire questa moschea per i suoi sudditi musulmani, quindi già al tempo del padre della Regina la monarchia inglese voleva salvaguardare la possibilità di professare la propria fede e di avere i posti dove farlo. Io sono piena di speranza che la regina abbia saputo tramandare a Re Carlo III l’importanza della fede, nella vita sia della famiglia reale, sia dei suoi sudditi.
L’elezione di Roberta Metsola è un segnale
Potrà non complicare il voto sui diritti riproduttivi, ma legittima le posizioni antiabortiste in Europa
di Giulia Blasi (La svolta, 19 gennaio 2022)
Per parlare dell’elezione di Roberta Metsola a Presidente del Parlamento Europeo non voglio partire da facili dicotomie buono/cattivo. Di Metsola si sta parlando molto perché oltre a essere una donna (con nome e cognome, non la solita Una Donna che per settimane sembrava dovesse diventare Presidente della Repubblica e adesso, come da copione, è sparita dal radar) è anche la più giovane presidente nella storia del Parlamento Europeo, e solo la terza a rompere la lunga teoria di volti maschili incorniciati nei corridoi dei palazzi di Bruxelles.
La morte improvvisa di David Sassoli ha solo accelerato un processo che era già in corso da tempo per la ricerca di una figura all’interno delle fila del centrodestra, e Metsola - già presidente a interim e figura che gode di una grande stima fra i colleghi - è stata eletta anche con i voti del gruppo S&D, il gruppo dei socialisti e democratici guidato da Iratxe García Pérez, politica spagnola apertamente femminista. L’elezione di Metsola con i voti dell’S&D è stata frutto di un negoziato, come sempre succede in questi casi: in cambio del loro sostegno, i socialisti hanno chiesto e ottenuto una serie di nomine a cariche importanti.
Tutto regolare, quindi, dal punto di vista della democrazia parlamentare e del suo funzionamento. Il motivo per cui l’elezione di Roberta Metsola sta facendo discutere è un altro: la neopresidente maltese è nota da tempo per le sue posizioni antiabortiste, espresse anche nel corso del suo mandato come europarlamentare, e Malta è l’unico paese dell’Unione europea ad avere reso la procedura abortiva del tutto illegale (l’ultimo intervento sul tema risale al 2005), senza eccezioni. Cosa che - come sempre accade lì dove l’accesso all’aborto è limitato o vietato - spinge le donne ad andare all’estero per poter interrompere una gravidanza. Quelle che non possono farlo cercano di procurarsi un aborto con altri metodi, non sempre sicuri. Il blocco dei voli in ingresso a marzo 2020 ha anche lasciato le donne maltesi sprovviste di contraccettivi, considerati “non essenziali” dal governo.
Non è certo l’elezione di Metsola a ricordarci che opporsi all’autodeterminazione delle donne non è ancora considerato un difetto invalidante per una figura politica di spicco: nel 2013 il rapporto Estrela, che fra le altre cose chiedeva il riconoscimento dell’accesso all’aborto come diritto umano, fu bocciato dal Parlamento Ue anche a causa dell’astensione di alcuni politici di centrosinistra, fra cui spiccano i nomi di Silvia Costa e Patrizia Toia, ma anche del compianto Sassoli. Anche l’ex presidente Antonio Tajani non ha mai fatto mistero delle sue posizioni antiabortiste. Se Metsola viene giudicata con maggiore severità non è perché ha difeso il diritto del governo maltese di ostacolare il diritto delle cittadine di decidere dei loro corpi, e nemmeno perché da una donna ci si aspetta che quel diritto sia disposta a difenderlo anche contro le sue personali convinzioni. Dal canto suo, la nuova presidente ha emanato vaghe rassicurazioni sulla sua intenzione di rispettare la volontà del Parlamento e la missione dell’Europa di proteggere i diritti di tutti, dichiarazioni che la storia ci insegna essere soggette ad ampia interpretazione.
Il problema è più simbolico che pratico, ma sappiamo benissimo quanto i simboli siano determinanti nel definire questioni politicamente delicate come quella dell’aborto. L’ennesima donna bianca, bionda, rassicurante e conservatrice nella stanza dei bottoni ci mostra che la faccia del potere cambia, ma di poco, e non in un modo che possa minacciare l’ordine costituito. Metsola, come tante prima di lei, si presta a fare da scudo con la sua femminilità a un’osservazione ricorrente di chi si batte per i diritti riproduttivi, vale a dire che la sottorappresentazione delle donne in politica rende più difficile il processo di restituire centralità all’esperienza femminile, in tutte le sue varianti. Metsola è una donna: la sua parola sull’aborto conta, perché viene da una persona con un utero, una persona che l’esperienza di vivere in un corpo femminile la fa ogni giorno, e se la sua parola è contro l’aborto, quella parola verrà assunta come finale da chi ritiene che interrompere una gravidanza sia una scelta aberrante, un crimine a cui opporsi con ogni mezzo, e non una decisione che spetta solo a chi quella gravidanza la ospita.
L’elezione di Roberta Metsola potrà non complicare o sbilanciare il voto sulle questioni legate ai diritti riproduttivi, ma è un segnale. Conferisce legittimità all’azione di quei governi che in Europa lavorano per sopprimere le libertà individuali, inclusa quella di scegliere se portare avanti una gravidanza. Perché l’aborto è, e sarà sempre, solo una questione di controllo dei corpi: la vita non c’entra, la natalità non c’entra, c’entra solo la volontà di sottrarre alle donne e alle persone che possono generare la libertà di disporre di sé.
“Virgo et Sacerdos. Idee femminili di sacerdozio tra Ottocento e Novecento” di Liviana Gazzetta
Intervista *
Dott.ssa Liviana Gazzetta, Lei è autrice del libro Virgo et Sacerdos. Idee femminili di sacerdozio tra Ottocento e Novecento pubblicato dalle Edizioni di Storia e Letteratura: in che modo, a cavallo tra ’800 e ’900, soprattutto in Francia e Italia, si pose il problema del ruolo femminile nel sacerdozio cattolico?
È noto che la questione del diaconato e del sacerdozio femminile si affaccia con chiarezza nella Chiesa della fase conciliare e, ancor più, postconciliare, a partire quindi dagli anni ’60 del XX secolo. Ciò che però emerge da questa ricerca è che anche prima della fase conciliare si è espresso un desiderio, o meglio, un’aspirazione femminile al sacerdozio: è nella devozione alla Vergine Sacerdote (Virgo sacerdos), che si sviluppò in particolare tra le figlie del Cuore di Gesù a cavallo tra ‘800 e ‘900, che si può mostrare l’esistenza di una domanda latente di sacerdozio. Si tratta di una via che definirei di natura cultuale e mariologica al sacerdozio femminile, dove l’aspirazione era espressa sotto il segno della vocazione, e non della rivendicazione, della dedizione e non della pretesa di spazi. E fu questa via a preoccupare la Chiesa ben prima che negli anni ’60 venisse ad essere ufficialmente sollevata la questione dell’ordinazione femminile.
Come si sviluppò la devozione alla «Vierge Prêtre?
La devozione alla «Vierge Prêtre» o «Virgo sacerdos» si sviluppò in special modo (ma non solo) nella congregazione delle figlie del Cuore di Gesù, fondata nel 1872 da Marie Deluil-Martiny e approvata nel 1902 da Leone XIII: un ordine contemplativo, nato all’incontro di complesse matrici spirituali, centrate sull’oblazione eucaristica, la riparazione dei peccati e l’imitazione di Maria al Calvario o -per usare le parole della stessa fondatrice- sullo spirito eucaristico, lo spirito di vittima, lo spirito sacerdotale.
Il titolo di «Virgo Sacerdos» era entrato apertamente nella liturgia cattolica a partire dal 1709, quando presso il seminario di Saint Sulpice si era cominciato ad utilizzare con regolarità, per la festa della Presentazione al tempio, un inno dei Vespri che lo conteneva. Tale festa era qui diventata la celebrazione per eccellenza della spiritualità sacerdotale e della devozione a Maria, costituendo anche il momento della rinnovazione pubblica della professione per i membri della congregazione di San Sulpizio, oltre che festa del seminario. Se nei secoli precedenti Maria era stata al centro soprattutto di una riflessione teologica e filosofica, ora la via al sacerdozio mariano era tutta spirituale e in alcuni casi misticheggiante: Maria era il modello del prete concepito come culmine delle virtù religiose, sempre più interpretata come riferimento contro ogni forma di degenerazione nella vita del clero.
La spiritualità e la devozione alla «Virgo Sacerdos» o «Vierge Prêtre» fu dunque ereditata dalla scuola francese del ‘700. All’interno di una più complessa elaborazione spirituale, l’aspettativa della madre Maria di Gesù (questo il nome assunto in religione dalla Deluil Martiny) era che si realizzasse il tempo in cui i preti avrebbero adempiuto pienamente il loro ministero, nella purezza e nella perfezione di vita che le sembrava mancare attorno a sé; le sue ‘figlie’ dovevano essere come delle vittime che, in analogia a Maria ai piedi della croce e accanto al ‘discepolo amato’, sostenessero i sacerdoti nella loro missione e si immolassero per riparare l’indegnità dei membri del clero.
Nel 1906 le religiose chiesero di poter usare l’appellativo di «Vierge Prêtre» nei riti del proprio istituto e Pio X accolse la richiesta, facendo stendere una preghiera che fu poi arricchita di indulgenze; lo stesso papa concesse nel 1910 che nelle cappelle dell’istituto si potesse aggiungere alle litanie mariane l’invocazione «Virgo Sacerdos, ora pro nobis». Le religiose fecero allora produrre anche delle immagini collegate alla devozione: immagini che raffiguravano la Vergine, abbigliata in vesti sacerdotali, che al di sopra del globo terrestre schiacciava il serpente con le braccia alzate verso il cielo.
Come si è articolata storicamente la riflessione teologica sul tema del sacerdozio di Maria?
Il tema del sacerdozio di Maria percorre un po’ tutta la storia della cristianità. In origine il titolo di «sacerdos» attribuito alla Vergine è attestato nell’ambito della tradizione omiletica: nel contesto, cioè, di un genere letterario, sviluppatosi nella cultura greca tra VII e IX secolo, in cui si usavano metafore e immagini che stabilivano un rapporto tra Maria e l’Eucarestia, o che riconoscevano un ruolo attivo della Madonna nel donare il pane di vita grazie al suo ruolo materno, anche se va detto che gli omelisti usavano idee e suggestioni che difficilmente possono essere ricondotte a concetti: alla base di questa tradizione, ad esempio, stava l’autorità dello Pseudo Epifanio, che attribuiva a Maria il valore di tavola, di altare e di prete.
Nel Medioevo l’idea del sacerdozio della Vergine conosce un significativo sviluppo sul piano teorico. Una delle vie filosofico-teologiche attraverso cui tra Alto e Basso Medioevo è possibile parlare di sacerdozio mariano è costituita dalla diffusione delle idee dello Pseudo Dionigi. Poiché nella prospettiva sincretistico-neoplatonica di questo autore (e dei molti suoi seguaci) la relazione tra i diversi ordini di realtà si pone in chiave gerarchica, ciò induce inevitabilmente a collocare la Vergine in una posizione di primato nei confronti delle gerarchie della Chiesa (e non di rado anche di quelle angeliche). Chi contribuisce in modo determinante in questa direzione è l’autore come lo Pseudo Alberto Magno: il suo Mariale super missus est in più punti sostiene che la pienezza conferita nell’ordinazione sacerdotale appartiene anche a Maria, anche se non la riceve con apposito sacramento, e lascia intendere che non esiste nessuna motivazione - neppure l’inferiorità indiscussa del sesso femminile - per fondare la sua esclusione dal sacerdozio.
In età moderna, oltre e più che la via dottrinale, si è profilata una ‘via al sacerdozio’ della Vergine di natura più propriamente devozionale e spirituale. Questa declinazione si manifesta in un sentimento del legame speciale tra il prete e la Vergine, in un ricorso particolare del sacerdote alla mediazione di Maria nelle funzioni sacramentali: quasi una somiglianza, un’imitazione particolare della Madonna ad opera del prete, che avvia la tradizione delle messe offerte secondo le intenzioni di Maria e la pratica della rinnovazione delle promesse sacerdotali in concomitanza con le feste mariane. Soprattutto all’interno della scuola francese (in primis il seminario di san Sulpizio) si sostiene che Maria ha una sovranità sugli apostoli che non le deriva tanto da una precisa giurisdizione, sempre ritenuta sconveniente al sesso femminile, ma dalla pienezza dello spirito e della grazia: ciò che la rende, dopo l’Ascensione, non il capo dotato di autorità sulla Chiesa, ma il cuore della comunità dei credenti.
Quali vicende segnarono l’indagine inquisitoriale cui fu sottoposto l’ordine delle Figlie del Cuore di Gesù della Deluil Martiny?
Dimostrando di temere soprattutto le conseguenze della devozione sul piano pastorale, per l’associazione tra figura femminile e titolo di sacerdote che essa comportava, il Sant’Uffizio impose una drastica censura alle figlie del Cuore di Gesù e alle loro iniziative. A partire dal 1912 l’ordine venne sottoposto a più riprese all’esame del Sant’Uffizio, che con tre interventi successivi nel 1913, 1916 e 1927 vietò dapprima le immagini, quindi le forme devozionali alla Vergine sacerdotale che vi erano state sviluppate; nel 1927 una lettera del cardinal Merry Del Val, segretario della Suprema, precisò che tale devozione non era approvata e non poteva essere propagata in nessuna forma. Nonostante non riguardassero la dottrina della partecipazione di Maria al sacerdozio in sé, tali interventi hanno quasi oscurato un’intera tradizione teologico-spirituale sul tema del sacerdozio della Vergine, che per secoli ha attraversato cristianesimo e il cattolicesimo occidentali.
Il Sant’Uffizio affermò che, se da un punto di vista dottrinale non si poteva non attribuire a Maria il titolo di mediatrice nella salvezza, e quindi di sacerdote, non era però conveniente farne uso, soprattutto se a farlo erano delle donne. Le conseguenze della devozione considerate più riprovevoli erano quelle che stabilivano un’associazione tra figura femminile e sacerdozio: perché cioè con il culto alla «Vierge Prêtre» le religiose potevano, da una parte, prefigurarsi quasi come delle sacerdotesse (e magari accreditare queste convinzioni presso i fedeli); dall’altra, proporsi come riparatrici degli errori del clero.
Dopo la bufera d’inizio secolo, nel 1989 la famiglia religiosa ha visto concludersi il processo di canonizzazione della fondatrice, proclamata beata da papa Giovanni Paolo II.
In che modo la vicenda del culto alla Virgo sacerdos offre spunti per il dibattito attuale intorno al divieto alle donne all’esercizio del ministero sacro?
Sul piano spirituale emerge il circuito virtuoso che già tra ‘800 e ‘900 poteva crearsi, in determinati settori del cattolicesimo femminile, tra una soggettività consapevole di sé e il modello della Vergine corredentrice: un circuito che può ‘ispirare’ ancor più oggi, a fronte di una crescita esponenziale dell’autonomia e dell’autorevolezza femminile nella vita ecclesiale.
Sul piano storico la vicenda mostra un protagonismo femminile fin qui insospettato, connesso sia all’esigenza di un maggior ruolo nell’accesso al sacro, sia alla richiesta di una profonda riforma ecclesiale. In essa emerge quanto diffusa e radicata fosse la preoccupazione per l’inadeguatezza del clero maschile tra le nuove fondazioni femminili nel primo ‘900, mentre nei procedimenti inquisitoriali emerge un altrettanto diffuso fastidio nei loro confronti. Sul piano storiografico la ricerca indica che la cosiddetta femminilizzazione del cattolicesimo, che interessa l’età contemporanea, porta con sé un’ambivalenza e una conflittualità strutturali. Se dalle spinte per un maggiore coinvolgimento femminile contro i ‘nemici’ della Chiesa si passava all’idea di una comunanza d’azione delle religiose col clero, si usciva dai confini prescritti alle donne e si poteva incorrere nell’interdizione; ed evidentemente lo sconfinamento risultava tanto più grave in quanto veicolato attraverso l’identificazione con Maria corredentrice. In sostanza si evidenzia come all’interno della Chiesa i rapporti tra i sessi non siano meno conflittuali che negli altri ambiti della società, e ciò nonostante la Chiesa si appelli ricorrentemente al contributo o al ‘genio’ femminile.
Nei fenomeni qui ricostruiti, infine, si comprende come la domanda femminile di sacerdozio possa espressa sotto il segno della vocazione e non della rivendicazione di un diritto, della dedizione di sé e non della protesta: un’offerta cui la Chiesa non riesce ancora a rispondere anche perché (si pensi che alla dichiarazione Inter insigniores) si confondono di fatto questi due piani.
Liviana Gazzetta è dottore di ricerca in Storia sociale europea (presso l’Università Cà Foscari di Venezia), socia del Coordinamento Teologhe Italiane e presidente dell’Istituto per la storia del Risorgimento di Padova. I suoi interessi di studio e la sua attività di ricerca si sono sviluppati nell’ambito della storia dei movimenti delle donne in età contemporanea; su questi temi ha pubblicato molti articoli e alcune monografie, l’ultima delle quali è Orizzonti nuovi. Storia del primo femminismo in Italia 1865-1925, Roma 2018.
* Fonte: Letture.org.
«Ambizioncella muliebre»: sul titolo sacerdotale mariano
di Daniele Menozzi, Storico (Il Regno, Re-blog, 2 Febbraio 2021)
La proclamazione del dogma dell’Immacolata concezione nel 1854 è stata interpretata come un «evento strutturante» nella storia del cattolicesimo contemporaneo. Ha in effetti avuto diverse conseguenze di rilievo. A esse si può ascrivere anche l’avvio della discussione, non ancora conclusa all’interno della Chiesa, sul sacerdozio femminile. Claude Langlois - il noto studioso della femminilizzazione del cattolicesimo ottocentesco, che per primo ha colto il nesso tra la valorizzazione della figura di Maria derivante dalla dichiarazione del suo concepimento senza peccato e la manifestazione del desiderio femminile per il sacerdozio - ha poi mostrato come l’aspirazione al ministero, chiaramente formulata da Teresa di Lisieux nel 1896, fosse condivisa anche da altre personalità del panorama religioso di fine Ottocento. Tra queste indicava Marie Deluil-Martiny, nata nel 1841 a Marsiglia da una famiglia aristocratica, fondatrice nel 1872 della congregazione delle Figlie del Sacro Cuore a Berchem presso Anversa, uccisa nel 1884 da un anarchico che era stato suo giardiniere e beatificata nel 1989 da Giovanni Paolo II.
Avvio della discussione sul sacerdozio femminile
L’attenzione della suora francese al tema è ora analizzata da Liviana Gazzetta, autrice di diverse opere sulla storia del movimento cattolico femminile. Il volume Virgo et sacerdos. Idee di sacerdozio femminile tra Ottocento e Novecento (Edizioni di storia e letteratura, Roma 2020), pur non potendo contare sull’insieme degli scritti di Deluil-Martiny, ancora inaccessibili per il processo di canonizzazione, si è potuto valere, oltre che di quanto già pubblicato, della serie documentaria «Devotiones variae» depositata presso l’Archivio della Congregazione per la dottrina della fede (Virgo et sacerdos. Idee di sacerdozio femminile tra Ottocento e Novecento, Edizioni di storia e letteratura, Roma 2020). L’opera si presenta, più che sotto forma di una ricostruzione organica, come una serie di affondi successivi che sviluppano e approfondiscono alcune ipotesi di lavoro. Nonostante l’apparente frammentarietà e qualche ripetizione, il libro non solo risulta di straordinario interesse per una questione, il sacerdozio femminile, di bruciante attualità ecclesiale, ma anche del tutto persuasivo nei suoi, per quanto provvisori, esiti conoscitivi.
Il titolo di Virgo sacerdos.
Filo conduttore della ricostruzione è la declinazione tra Ottocento e Novecento del richiamo a Maria col titolo di Virgo sacerdos. Il sintagma, di origine patristica, trova nel Medioevo una duratura sistemazione dottrinale sulla base della pregiudiziale premessa dell’impedimentum sexus per l’accesso al sacerdozio. L’appellativo comporta l’attribuzione alla Vergine non del carattere sacerdotale, che appartiene esclusivamente a chi ha ricevuto l’ordine e detiene quindi il potere di sacrificio; bensì dello spirito sacerdotale. Maria possiede, in grado eminente rispetto a ogni creatura, questo attributo che condivide peraltro con tutti i battezzati in quanto comporta soltanto la capacità di rendersi vittime, ostie immolate per la salvezza del mondo.
In questa chiave la locuzione entra nella liturgia fin dal XVIII secolo, ma nella seconda metà dell’Ottocento diverse opere di ecclesiastici attivi nel prorompente movimento mariano inseriscono la distinzione in una più ampia interpretazione teologica della figura della Vergine. Gli episodi centrali della sua vita - generazione di Cristo, purificazione al Tempio, presenza sotto la croce - sono letti come una compartecipazione all’offerta al Padre della vittima divina che la portano ad assumere, sia pure in grado diverso, i titoli stessi del Figlio: mediatrice, corredentrice e sacerdote. Questa letteratura alimenta la spiritualità di Deluil-Martiny e del gruppo riunito attorno a lei, in particolare di Elise Le Vassor de Sorval, che, succedendole nella direzione della congregazione, la sviluppa con notevolissime capacità organizzative e politiche.
Maria con la dalmatica
Si tratta di una ricezione creativa che si fonda sulla comune adesione all’egemone cultura intransigente. Ne è infatti punto di partenza la prospettiva di riconquista cristiana di una società moderna che si è sottratta alla direzione ecclesiastica. Di fronte alla costatazione dell’inadeguatezza del clero nella lotta in corso per la restaurazione della cristianità, si definisce un carisma specifico dell’istituto religioso: l’offerta vittimale in riparazione degli errori e dell’insufficienza dei sacerdoti. Il riferimento alla Virgo sacerdos ne è la sintesi spirituale, simbolica e devozionale. Lo mostrano i testi delle preghiere in uso nella congregazione; le immagini devozionali in cui Maria, in piedi sul globo, indossa sopra la tunica la dalmatica mentre schiaccia la testa del serpente (all’epoca generalmente identificato con la rivoluzione anticristiana); l’abito delle suore che ripropone la pianeta dei preti.
Aspirazione a un ministero sacerdotale
Nel discorso pubblico delle appartenenti alla congregazione la generale interpretazione della figura di Maria come paradigma esemplare per stabilire il ruolo femminile nella Chiesa si applica anche alla funzione sacerdotale attribuita alla Vergine. Per questa via esse esprimono l’esigenza di un protagonismo ecclesiale della donna che ne affermi la parità senza metterne in questione la diversità. Ma i loro documenti privati lasciano chiaramente trasparire qualcosa di più: l’aspirazione all’esercizio di un ministero sacerdotale che le donne saprebbero svolgere in modo più degno e più adeguato ai bisogni dei tempi. Pur senza una specifica denuncia, il Sant’Uffizio - che aveva preso in esame una prima volta tra il 1838 e il 1842 il tema della Virgo sacerdos, senza assumere in merito alcuna decisione - avverte nelle pratiche dell’istituto un pericolo per l’ortodossia.
Da Roma concessioni poi revocate
Inizialmente Roma era stata larga di concessioni. Dopo il riconoscimento di Leone XIII, nel 1906 la congregazione aveva ottenuto da Pio X di inserire una menzione alla Vierge prêtre nelle preghiere della congregazione, ben presto arricchite di indulgenze. Poi nel 1910 il pontefice aveva concesso che nelle litanie mariane le religiose aggiungessero l’invocazione Virgo sacerdos, ora pro nobis. Provvedimenti assai significativi, perché in quegli stessi anni papa Sarto taglia corto sulle istanze di emancipazione femminile presenti nella comunità ecclesiale, escludendo le donne dal canto sacro e imponendo che non prendano la parola nelle assemblee del movimento cattolico. Ma il Sant’Uffizio, nel 1913 - ma renderà pubblica la decisione tre anni dopo - revoca tutte le precedenti concessioni e vieta l’uso dell’immagine devozionale che aveva avuto anche una traduzione pittorica in un’opera di Silverio Copperoni.
Le preoccupazioni del consultore
Opportunamente Gazzetta pubblica in appendice al libro il parere del consultore, il domenicano Giovanni Lottini, che spiega le motivazioni della decisione. Pur dicendosi sicuro che le religiose non abbiano la pretesa di proclamarsi sacerdotesse, afferma che, qualora non siano per tempo fermate, «mosse da una certa ambizioncella muliebre, queste donne giungeranno a darsi detto titolo ed a chiedere e forse con le loro femminee arti a strappare anche qualche approvazione». Il riconoscimento dell’abilità di chi governa la congregazione nel promuoverne il carisma sul piano istituzionale si traduce nell’individuazione delle misure per bloccarne le iniziative. Il domenicano sostiene quindi che, per quanto storicamente fondato e dottrinalmente irreprensibile, il riferimento alla Virgo sacerdos deve essere interdetto dalle pratiche religiose. Sottolinea in particolare che negli istituti femminili l’infima cultura teologica delle donne - evidentemente ritenute incapaci di distinguere tra ordine e spirito sacerdotale - potrebbe facilmente indurre a costruire su questa devozione pretese al ministero. Suggerisce perciò che la venerazione a Maria venga promossa sotto il titolo di madre, anziché sotto il titolo di sacerdote.
Una rimozione definitiva
Nel 1927 il segretario del Sant’Uffizio, cardinal Merry del Val, in risposta a una domanda apparsa su La Palestra del clero, conferma in una pubblica lettera che attorno al titolo sacerdotale mariano occorre mantenere completo silenzio. Poco dopo una revisione della costituzione delle Figlie del Sacro Cuore ne formalizza la rimozione dalla vita interna dell’istituto. In realtà collegamenti con il tema della Virgo sacerdos riemergono in comunità religiose - in primo luogo i Figli del Cuore sacerdotale di Gesù, oggi noti come padri Venturini dal nome del fondatore - e in pii sodalizi, come le Figlie della Regina degli angeli fondata da Elena da Persico. In effetti la loro spiritualità si alimenta alle stesse fonti dell’istituto franco-belga. In questi casi il richiamo all’imitazione di Maria consente di superare la visione di un mero ruolo oblativo delle donne nella Chiesa, ma non si traduce, almeno a livello delle testimonianze a oggi accessibili, in manifestazioni di aspirazioni ad un ruolo ministeriale.
Gli interventi dei papi nel post-concilio
Nel post-concilio, al momento in cui affiora nuovamente e con più forza, sulla spinta del rinnovamento ecclesiale, la questione del sacerdozio femminile, gli interventi del papato - come mostrano l’esortazione apostolica Marialis cultus emanata da Paolo VI nel 1974 e la lettera apostolica Mulieris dignitatem pubblicata da Giovanni Paolo II nel 1988 - lo hanno nuovamente collegato al ruolo idealtipico di Maria per la definizione della posizione ecclesiale della donna. Il riferimento mariano è stato però utilizzato per ribadire l’impedimentum sexus al sacerdozio femminile. La vicenda della congregazione delle Figlie del Sacro Cuore, oggi restituita alla memoria ecclesiale dalla ricerca storica, per quanto ancora bisognosa di approfondimenti, fornisce un prezioso aiuto per contestualizzare, e quindi relativizzare, questi interventi papali.
Per superare i blocchi alla discussione
Non solo perché essi appaiono ancorati a una mariologia riduttiva rispetto a una tradizione più ricca e articolata, che era stata rimossa dalla vita ecclesiale all’inizio del Novecento in seguito agli evidenti condizionamenti storici che caratterizzavano la visione dei rapporti di genere dei membri del Sant’Uffizio. Soprattutto perché i documenti papali rivelano i limiti di una decisione determinata da un clima ecclesiale in cui si riteneva necessario ribadire la natura teandrica della Chiesa in contrapposizione alla rivendicazione del diritto delle donne ad accedere al ministero. Il contesto ha fatto dimenticare che l’aspirazione al sacerdozio femminile non si era storicamente espressa in termini giuridici e rivendicativi; ma, fondata sull’adeguamento alle necessità dei tempi del tradizionale richiamo al carattere mariotipico della presenza femminile nella Chiesa, si era sviluppata su un terreno vocazionale, spirituale e cultuale. Ricollocare su questa piano la discussione, può aiutarne a superarne i blocchi.
Papa: nuovi ruoli alle donne, apre a Lettorato e Accolitato
’Ma la Chiesa non può conferire loro l’ordinazione sacerdotale’
di Redazione ANSA *
CITTA DEL VATICANO. Papa Francesco ha stabilito con un Motu proprio che i ministeri del Lettorato e dell’Accolitato siano d’ora in poi aperti anche alle donne, in forma stabile e istituzionalizzata con un apposito mandato. Le donne che leggono la Parola di Dio durante le celebrazioni liturgiche o che svolgono un servizio all’altare in realtà già ci sono con una prassi autorizzata dai vescovi.
Fino ad oggi però tutto ciò avveniva senza un mandato istituzionale vero e proprio.
Aprire ufficialmente le porte alle donne nel Lettorato e nell’Accolitato non significa che potranno diventare sacerdoti. E’ quanto precisa lo stesso Papa facendo proprie le parole di Giovanni Paolo II: "Rispetto ai ministeri ordinati la Chiesa non ha in alcun modo la facoltà di conferire alle donne l’ordinazione sacerdotale".
* ANSA 11 gennaio 2021 - 19:06 (ripresa parziale).
Svezia, i preti donna superano gli uomini
Sono il 50,2% dei ministri abilitati al servizio religioso. Ma nelle gerarchie della Chiesa evangelica luterana di Stoccolma contano ancora poco e guadagnano di meno
di Andrea Tarquini (la Repubblica, 22 Luglio 2020)
BERLINO - La Svezia è uno dei paesi all’avanguardia per la gender equality, la parità di diritti e opportunità tra donne e uomini. In ogni campo della vita sociale: dalla pubblica amministrazione all’economia, dalla cultura ai media, dalla polizia alle forze armate. Ora Stoccolma raggiunge un nuovo primato anche nel campo della fede: per la prima volta nella sua storia la Chiesa svedese, evangelica luterana, conta più pastori donne che non pastori uomini. Per l’esattezza il 50,2 per cento dei ministri evangelici abilitati a officiare il servizio religioso sono donne: 1.533 su un totale di 3.063 presuli. E nella rete di seminari da qualche anno ben il 70 per cento degli iscritti sono donne.
La notizia, data dalla chiesa protestante svedese stessa e anticipata dalla radio pubblica, ha però un rovescio della medaglia: gli uomini restano in maggioranza ai gradi alti della gerarchia ecclesiastica luterana del regno delle tre corone, per quanto essa sia più semplificata di quella cattolica. E non è tutto: a pari mansione, un pastore donna nella chiesa svedese resta meno retribuito di un pastore uomo. La differenza media è l’equivalente in corone di almeno 215 euro mensili.
"Nel 1990 avevamo previsto che cento anni più tardi, ovvero nel 2090, le donne-pastore sarebbero aumentate di numero fino ad arrivare alla metà del totale; la realtà si è rivelata molto piú veloce delle nostre prognosi", ha detto la portavoce ecclesiastica Christina Grenholm.
E’ dal 1958 che la chiesa protestante svedese ha accettato il sacerdozio femminile. E dal 2000, anno della totale separazione tra Chiesa e Stato, i corsi di teologia sono stati presi d’assalto dalle donne, che appunto sono attualmente circa il 70 per cento del totale degli studenti di teologia nel paese.
Un grande passo in avanti, ma appunto i problemi restano. La stessa chiesa evangelica svedese lo riconosce, notando che molte volte il servizio divino è officiato da un pastore uomo e da un pastore donna. E sottolineando che ai vertici la rappresentanza maschile resta superiore.
Come in economia, politica e forze armate la migliore metà del cielo svedese ha conseguito una vittoria importantissima anche nella fede, ma non ha ancora sfondato il tetto. E ci si può immaginare quanto sia probabilmente duro e umiliante scegliere di servire Dio e la Chiesa in nome della fede, e officiare accettando retribuzioni inferiori dei confratelli maschi. Anche la Svezia non è perfetta. Nelle chiese protestanti di molti paesi le donne sono ammesse al sacerdozio. In Germania una donna vescovo, Margot Kässmann, è stata persino presidente dei vescovi luterani.
Sul tema, nel sito, si cfr.:
ADAMO ED EVA, MARIA E GIUSEPPE UGUALI DAVANTI A DIO: L’ALLEANZA DI FUOCO. SI’ ALLE DONNE VESCOVO : LA CHIESA ANGLICANA SORPASSA LA CHIESA "CATTOLICA". Il cattolicismo "andropologico" romano è finito
FLS
Lilith: la libertà della prima donna creata da Dio
di Sofia Russo (Il Chiasmo, 3 agosto 2020)
La leggenda di Lilith, demone-femmina, possiede un’ampia letteratura diffusa sia in epoca antica, medievale e moderna. Questo mito affonda le sue origini nella religione mesopotamica e nei primi culti di quella ebraica che, insieme ad altri miti come ad esempio quello del diluvio universale, potrebbe averlo appreso dai babilonesi durante la prigionia degli ebrei a Babilonia. Nella religione mesopotamica, Lilith, è un demone femminile portatore di sciagure e morte, legata al vento e alla tempesta e alcune trascrizioni che accennano a questo culto sembrerebbero risalire al III millennio a. C.
Nella religione ebraica, invece, Lilith è la prima moglie di Adamo che si rifugia nel Mar Rosso per fuggire dal marito. Lilith, infatti, essendo stata creata da Dio dalla polvere, come Adamo, pretendeva di averne anche gli stessi diritti, che, però, le furono negati. Per questo suo gesto di ribellione viene associata a un demone notturno, che spesso compare nella forma di una civetta, e capace di danneggiare i bambini maschi. Tuttavia, alla fine dell’Ottocento, durante l’emancipazione femminile, Lilith diventa simbolo della libertà delle donne.
Mi sembra, dunque, opportuno esaminare questa figura sia nella religione mesopotamica che in quella ebraica, così da poter identificare e capire la complessità di questa figura archetipica della Femminilità.
Per quanto riguarda il nome di Lilith, le fonti sono scarse. Sicuramente è rintracciabile la radice sumera Lil, che è presente nei nomi di varie divinità assiro-babilonesi e di spiriti cattivi. Nella religione accadica si rintracciano scongiuri e preghiere contro figure maligne e demoniache di nome Lilitu o Lilu. Tuttavia nel 2000 a. C. sembra che il nome fosse diventato Lilake: in merito a questo Robert Graves cita una tavoletta sumera di Ur che riporta la storia di Gilgamesh e il salice. Anche in questo episodio Lilake sarebbe una figura demoniaca femminile che risiede nel tronco di un salice, custodito dalla dea Inanna, Signora del Cielo ed equivalente della romana Venere. Un’ etimologia ebraica, invece, farebbe derivare il nome di Lilith da Layl o anche Laylah, cioè spirito della notte. Tuttavia gli studiosi moderni ritengono che l’origine sia nel sumerico Lulu che significa libertinaggio. Lilith sarebbe, dunque, un demone notturno lascivo e libidinoso.
Il Rilievo Burney è un altorilievo di terracotta, conservato al British Museum, risalente al II millennio a. C. probabilmente di origine babilonese. Raffigura una divinità, non ancora bene identificata, che, però, potrebbe essere Lilith. L’immagine scolpita è una figura ibrida, disposta in piedi frontalmente, con le braccia aperte e piegate come se stesse pregando, le mani congiunte e le dita unite. La bocca è atteggiata in un vago sorriso, ma l’espressione è tipica della plasticità arcaica: impenetrabile e ineffabile. I capelli sono fatti da quattro serpenti sovrapposti e formano un cono. I seni si protendono prosperosi, con evidente funzione sensuale. Le gambe sono femminili ma i piedi sono artigli di avvoltoio che spuntano dalle dita rugose.
Lilith tiene nelle mani due pentacoli che ricordano i segni geroglifici della Bilancia, simbolo di potenza e giustizia. Ai lati sono rappresentati due volatili che ricordano un gufo o una civetta e due leoni. L’altorilievo è scolpito in un triangolo equilatero, il cui vertice superiore è la testa di Lilith. Osservando l’opera si può percepire l’energia aggressiva che la permea e l’espressione agghiacciante e demoniaca di Lilith, così statica. Questa scultura racconta già il mito di Lilith: la prima moglie di Adamo è una creatura demoniaca di cui non fidarsi.
Nella tradizione ebraica il mito di Lilith appartiene alla tradizione delle testimonianze orali raccolte negli scritti rabbinici che formano la versione jahvista della Bibbia, che precede di qualche secolo quella dei sacerdoti. Queste versioni della Genesi sono molto complesse e presentano una serie di contraddizioni e incongruenze che si eliminano a vicenda: probabilmente la leggenda di Lilith è andata perduta o rimossa, proprio nell’epoca del passaggio dalla tradizione jahvista a quella sacerdotale poi ulteriormente modificata dai Padri della Chiesa.
Nella Bibbia ebraica Lilith compare una sola volta in Isaia 34:14:
L’ebraico lilit viene tradotto con civette, ma il libro di Isaia viene datato intorno al VII secolo a. C., cioè il secolo della cattività degli ebrei a Babilonia e, dunque, proprio il periodo in cui essi avrebbero appreso questo culto dalla religione mesopotamica.
Alcuni passaggi oscuri della Genesi hanno poi fatto pensare ad un’altra donna che precedette Eva. Nel primo libro della Genesi, infatti, si legge:
Dunque ci si riferisce a due individui e la creazione di Eva è descritta nel secondo libro della Genesi, successiva a quella di Adamo, da una sua costola (Genesi 2:22):
Seguendo il passo biblico si avverte un altro particolare interessante nella reazione di Adamo alla vista della sua compagna (Genesi 2:22-25):
Lo stupore di Adamo che questa volta la donna sia carne della sua carne conferma che ci deve essere stata una prima volta, riferito dunque a una donna precedente creata dal suolo come lui. Che in queste righe aleggi una rimozione è evidente.
Una fonte interessante che parla di Lilith come della prima figura femminile vista da Adamo è sicuramente L’alfabeto di Ben-Sira di un autore anonimo, scritto nel X secolo d. C. Nell’opera si racconta che Lilith abbandonò il giardino dell’Eden, lasciando Adamo. Viene raccontato che quando i due si accoppiavano, evidentemente Lilith giaceva sotto e Adamo sopra, per questo la donna mostrava insofferenza, domandando al compagno perché dovesse stendersi sotto di lui, pur essendo stati creati insieme dal suolo. Propone, quindi, di invertire le posizioni. La domanda di Lilith è, fondamentalmente, una domanda di uguaglianza per stabilire una parità e un’armonia fra i corpi e le anime. Ma Adamo rifiuta nettamente:
A questo rifiuto Lilith pronuncia infuriata il nome di Dio e, accusando Adamo, abbandona il paradiso terrestre. Si rifugia nel Mar Rosso dove, accoppiandosi con Asmodai, demone biblico, crea un’infinita generazione di demoni detti Lilim.
Il rifiuto di obbedire a Adamo che Lilith rivendica, oltre ad essere un atto di ribellione nei confronti dell’uomo è anche un atto di ribellione verso Dio che, infatti, la esilia nel regno delle ombre, Edom. Quello che è interessante è notare come questo mito sia stato rimosso dalle Sacre Scritture, rimanendo però vivo in quelle incongruenze della Genesi già menzionate e, soprattutto, in Eva. Sarà infatti Eva, spinta dall’istinto di curiosità e trasgressione, a mangiare il frutto dell’albero della conoscenza del bene e del male. Da questo momento in poi non solo Lilith, ma anche Eva e tutte le altre donne verranno, consciamente o inconsciamente, associate dalla cultura giudaico-cristiana al simbolo demoniaco del serpente e quindi del Male.
Nell’immaginario collettivo Lilith è un demone, simbolo di trasgressione e peccato e, nella cultura cristiana, ha subito una vera e propria damnatio memoriae. L’archetipo che, però, rappresenta non può essere rimosso in nessun modo, perché vive nel nostro inconscio, e simboleggia la forza, la disobbedienza e la trasgressione del Femminile, di tutti quei divieti posti sui desideri, non solo sessuali, delle donne. Lilith rappresenta un tabù culturale e religioso che sopravvive ancora ai nostri giorni.
Rimuovendo la creazione della prima donna si è rimosso anche l’energia vitale delle donne, la capacità di difendere i propri diritti, la legittimazione del desiderio sessuale e la giusta parità con l’uomo, in ogni ambito, anche nella divisione del potere. Da secoli si esalta solo la dimensione materna del Femminile, a svantaggio di tutto il resto, della complessità dell’ Anima, cioè delle sue aspirazioni e dei suoi desideri. Agendo in questo modo le donne sono state tagliate totalmente fuori dalla costruzione della società che è, ancora oggi, prettamente maschile, e si è creato uno sbilanciamento degli equilibri tra i due sessi.
La cultura giudaico-cristiana, da Lilith in poi, ha premiato solamente l’archetipo della donna in quanto madre per due ragioni: perché si garantiva la sopravvivenza della specie e perché più facile da controllare.
Nel corso della storia dell’Occidente, la concezione giudaico-cristiana che vede la donna come fonte di peccato e perdizione ha decisamente influito sul pensiero patriarcale, e questo ha portato le donne a stare blandamente ai margini di una società controllata e costruita da uomini per gli uomini e che, non tenendo conto della diversità e della pluralità del genere umano, è destinata al collasso. Questo è il momento di riscoprire la figura di Lilith, in quanto archetipo della ribellione e della disobbedienza a un potere assoluto che non accetta confronti, poiché è un mito che agisce nella psiche di tutti ed è, quindi, risorsa dell’umanità intera.
Per saperne di più:
Per una conoscenza maggiore dei temi trattati si consiglia la lettura di: Eva o Lilith? Identità femminile nella società (post)-patriarcale di Flaminia Nucci (Roma, Alpes Italia s.r.l, 2015), Lilith, la luna nera di Roberto Sicuteri (Astrolabio, Roma, 1980) e Lilith di Salvator Gotta (Baldini & Castoldi-editori, Milano, 1943).
INTERVISTA
“Maria Maddalena. Equivoci, storie, rappresentazioni” di Adriana Valerio
di Letture.org *
Prof.ssa Adriana Valerio, Lei è autrice del libro Maria Maddalena. Equivoci, storie, rappresentazioni edito da Il Mulino: innanzitutto, cosa sappiamo della Maddalena?
La Maddalena è senza dubbio, insieme a Maria, la madre di Gesù, la figura femminile più conosciuta dei vangeli, e, soprattutto, è la discepola più importante, citata sempre per prima nella lista degli altri nomi femminili presenti negli elenchi forniti dagli evangelisti che la presentano come colei che, insieme «ad alcune donne» lo ha seguito nella predicazione itinerante. Come ricorda l’evangelista Luca, «Maria, chiamata la Magdalena» è stata «liberata da sette demoni», espressione che indica forse una guarigione, da un male profondo o da una grave condizione di sofferenza, che l’ha spinta a mettersi al seguito di Gesù attraverso nuove modalità relazionali che comportavano condivisione e partecipazione alla vita del gruppo dei discepoli. È lei, insieme ad altre donne che seguono il Maestro di Nazaret, ad essere testimone della crocifissione di Gesù, della sua sepoltura e, vicina al sepolcro vuoto, prima destinataria e annunciatrice della resurrezione.
Per questo nel vangelo di Giovanni la Maddalena rappresenta il tipo ideale di discepolo che vede, riconosce, testimonia e annuncia. Nell’incontro di fede con il Risorto, diventa «apostola di Cristo», perché da lui inviata ai discepoli, compreso Pietro, per annunciare l’evento pasquale del quale si fa testimone e garante. Ci troviamo in presenza di un vero e proprio mandato apostolico che le fa guadagnare il titolo di «apostola degli apostoli», presso i Padri della Chiesa. Purtroppo la sua figura subisce un radicale ridimensionamento: Paolo non la menziona tra i testimoni della risurrezione; nelle comunità che si iniziano a strutturare la funzione di apostolo diventa prerogativa maschile, l’esercizio autorevole dell’impegno missionario non viene riconosciuto né alle donne né alla Maddalena, la cui identità prenderà altre caratteristiche più consone ai modelli femminili di subalternità da proporre alle credenti.
Quali informazioni sulla Maddalena forniscono gli scritti gnostici?
Forse proprio a motivo dell’esclusione crescente delle donne dalle funzioni di guida, molte donne trovano accoglienza in quelle comunità che hanno recepito l’importanza della figura della Maddalena come destinataria della rivelazione del Cristo Risorto. Infatti, in un quadro di esperienze divergenti, quanto mai variegate e complesse, a partire dal II secolo si diffonde il movimento gnostico al quale molti gruppi cristiani si collegano desiderosi di percorrere le vie della conoscenza (gnosis) e della sapienza (sophia) e le donne sono le indiscusse protagoniste di queste comunità che hanno conservato una memoria di Maria Maddalena. La sua figura presente negli scritti gnostici - molti dei quali raccolgono tradizioni risalenti all’epoca dei testi canonici del Nuovo Testamento - emerge come simbolo autorevole di conoscenza, nella misura in cui lei, «discepola» e «compagna» di Gesù, ne rivela la Sapienza nascosta. Lei è in grado di vedere la Luce e di accoglierla, al contrario degli uomini che rimangono nelle tenebre ed è la sua capacità di ascolto e di comprensione che la fa essere leader e autorità spirituale.
Come si è evoluta l’immagine e la figura di Maria di Magdala nei secoli?
È stato papa Gregorio Magno a generare un fatale equivoco interpretativo che ha portato la Chiesa d’Occidente a costruire un personaggio travisato e leggendario.
Mentre nella tradizione orientale l’immagine della Maddalena si era consolidata intorno al suo essere testimone della resurrezione, in quella occidentale si segnalavano già dal III secolo alcune confusioni di identità tra lei e altre donne presenti nei vangeli. Lentamente, ma progressivamente, si inizia a ridimensionare il suo ruolo di apostola imponendo l’immagine della peccatrice pentita. Sotto lo stesso nome di Maria Maddalena, infatti, forse per la necessità di armonizzare racconti simili, sono state unificate donne diverse: la Maddalena, liberata dai sette demoni, interpretati questi, però, come segno di vita dissoluta (Mc 16,9; Lc 8,2); l’anonima prostituta che bagna di lacrime i piedi di Gesù cospargendoli di profumo (Lc 7,36-50); Maria di Betania descritta nel vangelo di Giovanni come colei che unge i piedi del Nazareno con costosa essenza di nardo asciugandoli con i suoi capelli (Gv 12,1-8); l’anonima donna che, nella casa di Simone il lebbroso, versa sul capo di Gesù «un profumo molto prezioso» (cfr. Mt 26,6-13; Mc 14,3-9). Gregorio Magno non ha dubbi: fonde queste figure con la Maddalena e, con il peso della sua autorità, avvia quel processo di costruzione d’identità che nei secoli successivi la vedrà non più come l’apostola, ma come la peccatrice per antonomasia.
I testi medievali documentano una rappresentazione variegata e per nulla unitaria della Maddalena recepita nella sua complessità che si articola sostanzialmente nelle tre modalità espresse dalla sintesi patristica: lei è peccatrice, penitente e apostola. La Maddalena penitente diventa modello di ascesi e di fuga dal mondo, ed è una delle sante più popolari per il credente desideroso di ravvedimento e di redenzione.
La sua figura è ripetutamente richiamata anche dalle mistiche italiane che trovano nella presenza fedele della Maddalena il modello più alto da seguire nel percorso di fede, dal momento che lei, a differenza degli uomini impauriti e fuggitivi, rimane discepola salda e appassionata. La conversione che chiama a penitenza, la pietà dolente e fedele ai piedi del crocifisso, l’amore appassionato che non abbandona, ma soprattutto l’annuncio della resurrezione del Signore ne fanno l’emblema della nuova soggettività femminile perché, discepola e apostola, penitente ed evangelizzatrice, rappresenta la straordinaria fusione di vita attiva e di vita contemplativa.
La predicazione, la letteratura, l’iconografia, la musica e, oggi, il cinema continuano a consegnarci in maniera prepotente la storia di una donna segnata dalla passione amorosa che rinuncia a tutto per Gesù rimanendogli vicina tutta la vita, fin sotto la croce.
Argomento ben più provocatorio e complesso è stato posto negli ultimi anni da un filone letterario che presenta la Maddalena, erroneamente e provocatoriamente, come la compagna o la sposa di Gesù, aprendo la scabrosa questione della vita sessuale del Messia e della possibilità di un suo coinvolgimento amoroso con la discepola prediletta.
Quali equivoci e manipolazioni si sono addensati su di essa?
Le immagini di peccatrice e di penitente hanno preso il sopravvento sulla memoria dell’apostola ridimensionandone il ruolo ecclesiale. Per questo è stata ritratta sia in chiave sensuale e trasgressiva, sia nella dimensione della donna pentita che, nell’incontro con Gesù, si è convertita, mortificando il corpo e conducendo una vita ritirata. La Maddalena è stata legata alla falsa immagine della prostituta, di colei che si fa perdonare nella misura in cui trascende la propria sensualità e il proprio erotismo seducente attraverso un percorso di penitenza e di espiazione. Per tanti è ancora oggi colei che ha avuto una vita sessuale sregolata per poi pentirsi: emblema dell’umanità schiava del peccato e pertanto richiamo potente all’altra donna, Eva, causa dell’ingresso del male nel mondo.
Ci può essere un archetipo femminile più equivoco e più forte della peccatrice che, a contatto con il Signore, si ravvede rinnegando il proprio corpo e la propria sensualità tentatrice, divenendo paradigma di mortificazione e riscatto?
In che modo riflettere sul «caso Maddalena» significa ritrovare, nel cuore del cristianesimo, ruoli che alle donne sono ancora negati nella Chiesa cattolica?
Il «caso Maddalena» va inserito nella più ampia analisi della presenza delle donne nella storia del cristianesimo in vista di una ricostruzione di modelli relazionali più consoni a una Chiesa inclusiva che sia in accordo con la prassi liberatrice che Gesù ha messo in atto anche nei confronti delle donne. Per questo occorrerebbe ripensare i tradizionali modelli ecclesiologici secondo il principio di «corresponsabilità battesimale e apostolica» più adeguato alla nostra odierna sensibilità attenta alla dignità e alla rappresentanza femminile. La donna non può essere più esclusa dai maggiori organi di governo della chiesa.
La storia esegetica della Maddalena è dunque un ulteriore tassello da aggiungere nel processo di decostruzione dei modelli organizzativi e patriarcali della Chiesa antica da sottoporre ad analisi critica in ogni suo elemento, in quanto soggetto a modifiche e adattamenti. Per questi motivi, occorre interrogarsi sulla comprensione della Bibbia e sulle sue errate interpretazioni, sul peso della Tradizione nell’elaborazione della visione antropologica, sul tabù sessuale legato alle dinamiche di genere, sull’esclusione delle donne dalla successione apostolica e dai ruoli di potere nella Chiesa, sull’identità della stessa comunità di fede alla luce del messaggio evangelico e delle recenti acquisizioni circa la dignità e l’uguaglianza della persona umana, maschio e femmina. Per questo la Maddalena è diventata la paladina di una riforma della Chiesa che deve mettere al centro il messaggio evangelico e l’affermazione di un «discepolato di eguali» per valorizzare il ruolo di ogni battezzato riconoscendo alle donne la capacità di essere guide autorevoli.
* Adriana Valerio ha insegnato Storia del cristianesimo e delle chiese nell’Università Federico II di Napoli. Tra le sue ultime pubblicazioni: Le ribelli di Dio (Feltrinelli, 2014), Donne e Chiesa (Carocci, 2016), Il potere delle donne nella Chiesa (Laterza, 2017) e Maria di Nazaret (il Mulino, 2017).
* Fonte: Letture.org.
Arcivescovo Canterbury: "Via statue razziste dalle chiese" *
Le statue legate al periodo del colonialismo e della schiavitù potrebbero essere rimosse dalle più importanti chiese britanniche. Lo ha detto alla Bbc l’arcivescovo di Canterbury, Justin Welby, intervenendo nel dibattito avviato negli Stati Uniti, dove da giorni i manifestanti prendono di mira i monumenti dedicati a personalità che vengono legate ad un passato razzista. "Alcune dovranno essere rimosse - ha detto il capo della Chiesa anglicana - Alcuni nomi dovranno cambiare. Esamineremo molto attentamente la questione e vedremo se devono restare lì".
*
SUL TEMA, NEL SITO, SI CFR.:
VERITA’ E RICONCILIAZIONE. LA SAGGIA INDICAZIONE DEL SUDAFRICA DI MANDELA, DI TUTU, E DI DECLERCK
GUARIRE LA NOSTRA TERRA: VERITÀ E RICONCILIAZIONE.
FLS
Il pARTicolare.
Raffaello e la Madonna del Divino Amore
di Federica Maria Marrella [2018]*
Ci fu un saggio. Una volta.
Un saggio scritto che lessi con una voracità a me inconsueta, poiché la lentezza in realtà mi caratterizza, generalmente.
Eppure, quel saggio raccontava una storia bellissima. La storia di un dipinto simbolo e ritmo di perfezione.
Tondo in cui il tutto ha bisogno del singolo elemento, di ogni singolo particolare.
Verrà esposto a Torino nella Pinacoteca Agnelli, dal 17 marzo al 28 giugno, un dipinto di Raffaello Sanzio generalmente custodito a Napoli, nel museo di Capodimonte. L’opera è La Madonna del Divino Amore, realizzata nel periodo romano dell’artista, precisamente nel 1516 - 1518. Anni in cui la volta della cappella Sistina di Michelangelo Buonarroti era stata già compiuta. Anni in cui lo stile stesso di Raffaello si modifica, si espande nelle forme, nei tondi e negli angoli, come quella punta di ginocchio che tiene seduto il bambin Gesù.
Ma osserviamo l’opera.
Raffaello ritrae Maria, la madre Anna, Gesù e San Giovannino. Questo è il gruppo centrale, sapientemente ritratto e scolpito, poiché i corpi paion scolpiti, disegnati di sguardi, presentimenti, dettagli e silenziosi discorsi.
Maria e Anna, i capi leggermente appoggiati, sembrano sostenersi nell’osservare il miracolo di fronte a loro. Un sostegno muto e abbondante di sentimento. Lo stesso dialogo silenzioso e di sguardi realizzato nel cartone di Leonardo (Il Cartone di Sant’Anna, Louvre, Parigi). Quel cartone famoso, creato anche esso molti anni prima, nel 1499-1500, cartone in cui sant’Anna guarda, però, la figlia. E la figlia guarda il Cristo. E san Giovannino guarda anche egli il Cristo. E anche qui i corpi sono possenti. Entrambi gli artisti erano rimasti colpiti e, forse consciamente, forse inconsciamente ispirati dai corpi del Buonarroti. Quei corpi di scultura che si realizzano anche in pittura, nel disegno, nello studio della forma umana.
Le Conversazioni sono sempre materia molto complessa. Eppure la massa scultorea del cartone di Leonardo, i sentimenti umani concretizzati anche con la matita in uno sfumato misterioso, il movimento creato nella roccia umana, quel peso presente e concreto, tipico dell’umanesimo leonardesco che vedeva nell’uomo e nel suo corpo il più grande mistero di ogni tempo, ecco tutto questo in Raffaello sparisce. Questa possanza fisica, che si nota osservando ogni soggetto singolarmente, nel dialogo degli sguardi prende leggerezza, eleganza. Quella perfezione di cui parla Ernst H. Gombrich raccontando La madonna della seggiola (1514), altra opera di Raffaello. Quella perfezione e leggerezza che ha bisogno del tutto per esistere.
Eppure, il tutto nel dipinto di Raffaello, non si ferma al primo piano, al dialogo silenzioso ma serrato tra madre e figlia e tra i piccoli protagonisti. Il dialogo di fronte al mistero, pretende anche la solitudine del silenzio. Il distacco. La paura. Il disagio. madonna-del-divino-amore-dopo-il-restauro-img_5938
Queste parole sembrano così lontane dalla creazione di Raffaello Sanzio, il pittore che diede vita alla perfezione della natura, alla leggerezza, al tratto perfetto. All’armonia. Il pittore che, secondo le parole di Pietro Bembo, diede vita alla natura stessa. Raffaello invece, in questo dipinto, ritrae il dolore, la perplessità, la paura del mistero e dell’incomprensibile. Ritrae la pretesa e la ricerca di solitudine.
Eccolo, il pARTicolare.
Sullo sfondo, Giuseppe. San Giuseppe, perché ha già l’aureola. È già santo, anche nel suo tormento. Con le braccia conserte, ci sembra di vederlo che cammina avanti e indietro, su quel corridoio nascosto dalla luce perfetta che inonda il soggetto in primo piano. San Giuseppe, con la sua aureola, le sue braccia conserte, la sua mano tesa ad accartocciarsi il mantello, la sua testa confusa e i suoi pensieri legittimi, cammina, avanti e indietro. Crea un solco, su quel pavimento grigio.
Lo potremmo togliere, San Giuseppe, come ha giocato Gombrich sul dipinto de La Madonna con la seggiola. Il grande storico dell’arte aveva provato con la mano a coprire un elemento del dipinto e si è accorto che tutto il resto crollava.
La perfezione geometrica e l’armonia aveva bisogno del tutto.
E anche qui, senza san Giuseppe, questa conversazione crollerebbe.
Perché di fronte al miracolo, è concessa, anzi non solo concessa, è richiesta la paura. È da vivere il dubbio. Il dubbio che solca i pavimenti.
Che si stringe nel petto.
E che ci rende santi.
E quella distanza diventa unione nei colori. Il manto di Maria, azzurro, si unisce a quel cielo terso, in cui spicca il volto barbuto di San Giuseppe. Ogni elemento si unisce. Nel dialogo silenzioso, e dove non è possibile, nella Natura.
Federica Maria Marrella
* ArtSpeciallyDay, sabato 8 dicembre 2018 (ripresa parziale - senza immagini).
Sul tema, nel sito, si cfr.:
AUGUSTO, LA SIBILLA TIBURTINA, E LA "MADONNA DI FOLIGNO" DI RAFFAELLO.
FLS
Le note spirituali della Civiltà Cattolica
“L’amore delle donne accompagna la passione di Gesù”.
di p. Giancarlo Pani S.I., vicedirettore de "La Civiltà Cattolica" *
Il Vangelo di Matteo presenta il racconto della passione di Gesù incorniciato tra due episodi che hanno come protagoniste alcune donne. La prima è una donna di Betania, che unge il capo di Gesù con un prezioso olio di nardo (Mt 26,6-13), le altre sono Maria di Magdala e le donne sul Calvario quando Gesù muore (27,55s) e, dopo il sabato, si recano al sepolcro alla prima luce dell’alba (28,1). Sono figure che illuminano il mistero.
Mancavano due giorni alla Pasqua. «Mentre Gesù si trovava a Betània, in casa di Simone il lebbroso, gli si avvicinò una donna che aveva un vaso di alabastro, pieno di profumo molto prezioso, e glielo versò sul capo mentre egli stava a tavola» (Mt 26,6s). È un momento di convivialità con la presenza del Signore.
Ad un certo punto compare una donna: chi sia, non si sa, non ha nome e non dice nemmeno una parola. Compie solo un gesto. Nella sala si spande la fragranza del profumo che suscita sdegno e proteste. Perché questo spreco? Si poteva venderlo per molto denaro e darlo ai poveri!
La donna tace, e Gesù afferma: «Perché infastidite questa donna? Ha compiuto un’azione buona verso di me. I poveri infatti li avete sempre con voi, ma non sempre avete me. Versando questo profumo sul mio corpo, lei lo ha fatto in vista della mia sepoltura» (vv.10-13). La donna - rivela Gesù - ha preparato il suo corpo per la morte.
Quello che gli apostoli non riescono a comprendere e che Gesù aveva detto più volte, lo ha compreso una donna: i capi dei sacerdoti e gli scribi volevano ucciderlo. In ogni caso, lei è l’unica ad aver capito che la vita di Gesù ha un esito preciso, la morte, e la morte viene perché Gesù ha donato la vita, perché si è fatto tutto a tutti. La donna lo ha veduto, lo ha ascoltato, custodisce le sue parole nel cuore, lo ha amato; e ora vuole essergli vicino con gratitudine. Risponde con amore all’amore di Gesù. Quel profumo è il suo dono, è tutto quello che ha, è tutta la sua vita. Perciò glielo versa fino in fondo, fino all’eccesso, che è la misura dell’amore che si dona senza misura.
La donna ha fatto un’azione buona, dice Gesù; in greco, alla lettera, «un’opera bella». È la bellezza di chi ama e che non bada a nulla per la persona amata. Lei ha compreso che la morte a cui Gesù va incontro è il frutto di un’intera vita donata ai fratelli. E lei, nella sua piccolezza, nella sua povertà, ha voluto esprimerlo con il suo gesto di amore. E Gesù lo accoglie, perché sa accogliere l’amore che gli diamo, che sia poco o tanto. Per lui non conta quello che si dona, ma il cuore con cui lo si dona.
Qui è una donna che dona e la donna sa bene che cosa comporta dare al mondo una vita; lei sa che dando la vita rischia di perdere la propria. Ma è il dono di un amore totale, che non teme il dolore, la sofferenza, la morte. È la profezia di quanto Gesù sta per vivere fino alla croce. La fragranza di quel profumo accompagnerà il Signore nella passione, nella morte, nella resurrezione. È un annuncio di vita e di gioia: è il profumo di Dio, il profumo del Vangelo. «Dovunque sarà annunciato questo Vangelo, nel mondo intero, in ricordo di lei si dirà anche ciò che lei ha fatto» (v. 13).
***
Sul Calvario, quando Gesù muore, ci sono le donne che lo accompagnano. Sono lì, nel dolore e nel pianto per il Signore che le ha amate e che loro hanno amato. Una presenza e un amore che sono un segno anche per noi. Quando la vita spesa per gli altri ci porta al calvario e alla croce, spesso la luce della risurrezione è talmente lontana da perdere ogni forza confortatrice. La sofferenza può essere così amara e così totalizzante da spingerci in una situazione di disperata solitudine, di fallimento senza rimedio: la forza del Vangelo per il quale abbiamo tentato di vivere ci si vanifica in mano.
Ai piedi della croce - nel Vangelo di Matteo - i discepoli non ci sono. Ai loro occhi Gesù che muore è il segno della fine di tutto, di una speranza delusa, di un drammatico fallimento. Singolare è allora la figura delle donne sotto la croce. Non è pensabile che ai loro occhi potessero esserci prospettive diverse. Anche per loro Gesù muore, anche per loro il domani è nelle tenebre. Ma c’è un amore più forte che, nel buio, le tiene ai piedi della croce: ed è a questo amore semplice ma pieno, piccolo ma autentico, che per primo si rivela la resurrezione di Gesù.
L’amore delle donne è una strada anche per noi: tante volte ci troviamo nel buio, nello sradicamento totale, nell’assurdo, nel silenzio di Dio. Ma come le donne sono rimaste ai piedi di Gesù che muore, così la nostra preghiera insistente e il nostro silenzio fedele di fronte a un Dio che sembra non rispondere, ha in sé il germe di una speranza: anche a noi, come alle donne, si manifesterà la gloria del Signore che risorge.
* La Civiltà Cattolica,·Domenica 5 aprile 2020]
Sul tema, nel sito, si cfr.:
UOMINI E DONNE, PROFETI E SIBILLE, OGGI : STORIA DELLE IDEE E DELLE IMMAGINI.
RINASCIMENTO ITALIANO, OGGI : LA SCOPERTA DI UNA CAPPELLA SISTINA CON 12 SIBILLE.
FLS
Il cardinale John Henry Newman sarà santo
Il Papa riconosce il miracolo dell’intellettuale inglese convertito dall’anglicanesimo. Diventa venerabile il porporato ungherese Giuseppe Mindszenty perseguitato dal comunismo
di Redazione (La Stampa, 13/02/2019)
Roma. Il beato John Henry Newman, il cardinale teologo e poeta inglese della seconda metà dell’800 che si convertì dall’anglicanesimo al cattolicesimo, diventerà santo. Francesco ha approvato oggi il miracolo attribuito alla sua intercessione in un’udienza con il cardinale Angelo Becciu, prefetto della Congregazione per le Cause dei Santi, durante la quale il Pontefice ha approvato anche le virtù eroiche del cardinale ungherese Giuseppe Mindszenty, che fu arcivescovo di Esztergom e primate di Ungheria, costretto agli arresti domiciliari dal regime comunista filosovietico e poi esule a Vienna, dove è morto nel 1975.
Grande intellettuale, la cui opera è ancora oggi oggetto di studi e approfondimenti, Newman era cappellano di Oxford prima di convertirsi al cattolicesimo. Anticipatore del rapporto fra fede e ragione e di numerosi temi del Concilio Vaticano II (fra cui la valorizzazione del laicato, la sfida educativa e il dialogo ecumenico) e fondatore in Inghilterra dell’Oratorio di San Filippo Neri, fu creato cardinale da Pio IX. Nel 2010 era stato Papa Benedetto XVI a beatificarlo in occasione del suo viaggio apostolico nel Regno Unito. Francesco ora lo canonizza.
Il cardinale ungherese Mindszenty fu invece un grande oppositore dei regimi comunisti e anche della Ostpolitik della Santa Sede, ossia al dialogo con i Paesi del Blocco dell’Est portata avanti dal cardinale Agostino Casaroli. Nato a Csehimindszent, nella campagna ungherese, ordinato prete nel 1915, venne nominato vescovo di Veszprém nel 1944 e imprigionato dai nazisti. Nel 1945 fu promosso arcivescovo di Esztergom e primate d’Ungheria; Pio XII lo creò cardinale nel ’46. Quando l’Ungheria divenne un Paese satellite dell’Unione Sovietica, Mindszenty si oppose strenuamente al comunismo che individuò in lui un nemico da eliminare. Nel 1948 il porporato fu prelevato in episcopio dalla polizia e arrestato; in prigione fu sottoposto a torture, umiliazioni e violenze fisiche per poi essere condannato all’ergastolo dopo un fino processo. Trascorse otto anni tra carcere e arresti domiciliari, controllato a vista dalle guardie che gli impedivano pure di pregare. Fu liberato nel 1956 ma si rifugiò nell’ambasciata statunitense di Budapest, non potendo partecipare ai Conclavi del ’58 e del ’63.
Tra gli altri decreti firmati oggi dal Pontefice figurano anche quelli di due servi di Dio italiani dichiarati venerabili: il sacerdote bresciano Giovanni Battista Zuaboni, fondatore dell’Istituto Secolare Compagnia della Sacra Famiglia, e la suora toscana Serafina Formai (al secolo Letizia), fondatrice della congregazione delle Suore Missionarie del Lieto Messaggio.
Diventano venerabili anche due gesuiti: un martire dell’Ecuador, Salvatore Vittorio Emilio Moscoso Cardenas, ucciso “in odium Fidei” a Riobamba nel 1897, e lo spagnolo Emanuele García Nieto, morto a Comillas nel 1974, e la religiosa colombiana Maria Berenice Duque Hencker (al secolo Anna Giulia), fondatrice della Congregazione delle Suore dell’Annunziazione.
Sul tema, nel sito, si cfr.:
COR AD COR LOQUITUR (Il cuore parla al cuore): IL MOTTO EPISCOPALE DEL CARDINALE NEWMAN
ADAMO ED EVA, MARIA E GIUSEPPE UGUALI DAVANTI A DIO: L’ALLEANZA DI FUOCO. SI’ ALLE DONNE VESCOVO: LA CHIESA ANGLICANA SORPASSA LA CHIESA "CATTOLICA". Il cattolicismo "andropologico" romano è finito
Federico La Sala
L’esperto.
Newman? Un ponte fra la Chiesa di Roma e gli anglicani
Parla lo studioso inglese Roderick Strange. «Da convertito ha portato nella Chiesa di Roma una sensibilità tutta inglese, dimostrando come sia possibile essere inglesi e cattolici allo stesso tempo»
di Silvia Guzzetti, da Londra (Avvenire, mercoledì 13 febbraio 2019)
Fare le piccole cose della vita di tutti i giorni bene e coscienziosamente senza puntare a nulla di eccezionale o esagerato. Questa la santità secondo John Henry Newman, il cardinale inglese che presto sarà santo. «Il grande teologo scrisse due paginette su questo argomento in un volume curato da don William Neville, il cappellano che lo assistette mentre moriva», spiega Roderick Strange, grande esperto di Newman, al quale ha dedicato tre libri, A mind alive (“Una mente viva”), Newman and the Gospel of Christ (“Newman e il Vangelo di Cristo”) e John Henry Newman. A portrait in letters (“John Henry Newman. Un ritratto in lettere”).
«Il suo approccio alla santità ha anticipato la piccola via di santa Teresa di Lisieux - dice don Strange -. E questo santo così inglese non puntava certo alla fama e avrebbe sorriso della decisione della Chiesa cattolica di canonizzarlo». «Non ho nulla del santo», scriveva Newman nel 1850, cinque anni dopo essere diventato cattolico, a una donna che suggeriva la possibilità che venisse contato tra i grandi della Chiesa.
Come avrebbe reagito Newman al riconoscimento del miracolo che lo porterà ad essere proclamato santo?
L’idea l’avrebbe confuso e sorpreso e, nello stesso tempo, anche divertito. Certo, lavorava duramente per avvicinarsi alla perfezione indicata dal Signore. Come tutti i veri santi era profondamente consapevole dei suoi limiti e delle sue debolezze e anche delle cose che sbagliava.
Come era Newman?
Riservato, sobrio, modesto. John Henry Newman è il santo inglese per eccellenza. Non a caso è il primo, in quasi cinque secoli, ad essere elevato all’onore degli altari dopo i martiri del sedicesimo e diciassettesimo secolo. Per trovarne un altro, prima di lui, dobbiamo risalire a san Tommaso Moro, John Fisher e alle centinaia di altri che hanno sacrificato la vita per mantenere la fiammella della fede cattolica accesa durante la riforma di Enrico VIII.
Perché un santo inglese dopo così tanto tempo?
Papa Francesco promuove l’idea che ci sono modi diversi di essere cattolici in diversi Paesi e regioni. Non c’è dubbio che il modo di essere cattolico di Newman era strettamente intrecciato con il suo essere inglese.
Perché Newman venne accusato di non essere un vero cattolico una volta entrato a far parte della Chiesa di Roma?
Perché era molto aperto nel suo modo di vivere il cristianesimo rispetto ad altri anglicani diventati cattolici nello stesso periodo. Frederick Faber, per esempio, il fondatore del “Brompton Oratory”, ancora oggi una delle chiese più famose di Londra, amava le devozioni italiane e cercava di importarle in Inghilterra. Nell’Ottocento i cattolici venivano guardati con diffidenza e si parlava della «missione italiana in Inghilterra», ovvero del tentativo dei fedeli di Roma di trasformare gli inglesi in italiani nel loro modo di professare il cristianesimo. Non era questo l’approccio di Newman che cercava sempre di risalire ai padri della Chiesa ovvero a quelle che riteneva le fonti vere del cristianesimo.
Che cosa lo distingueva dagli altri anglicani diventati cattolici a metà 1800?
Federick Faber e anche il cardinale Henry Edward Manning erano degli appassionati difensori del potere temporale del Papa. Al futuro santo Newman gli aspetti politici del cattolicesimo non interessavano. Un esempio fra tanti. Mentre i vescovi inglesi pensavano che i cattolici dovessero frequentare università gestite dalla Chiesa, Newman era convinto che dovessero andare nelle università statali e studiare insieme a chi non credeva. Era molto pratico e sapeva che l’unica possibilità concreta che avevano di assicurarsi un’istruzione universitaria era frequentare gli atenei che già esistevano. Newman diceva anche che le università pubbliche non potevano essere ambienti più corrotti di un esercito o del mondo degli affari, ambienti che i cattolici potevano frequentare. Per queste sue opinioni veniva considerato con sospetto, anche se la Chiesa di Roma, ufficialmente, non aveva ancora preso posizione sulla questione delle università.
È possibile immaginare Newman come un patrono dell’ecumenismo e pensare che la Chiesa cattolica e quella anglicana siano oggi più vicine?
Non c’è dubbio. Spero che la Chiesa d’Inghilterra possa riconoscere che quello che Newman ha portato alla Chiesa cattolica faceva parte della sua identità anglicana. Il grande teologo è sempre stato molto coerente. Era giunto alla conclusione che, per essere un vero seguace di Cristo, bisognasse appartenere alla Chiesa cattolica ma era anche persuaso che una grande parte di quello in cui credeva fosse compatibile con le sue radici anglicane. È significativo che, una volta diventato cattolico, abbia ripubblicato i suoi sermoni anglicani senza modificarli. Penso che molti anglicani vedano Newman come un vero ponte tra le due Chiese. Qualcuno che ha portato nella Chiesa di Roma una sensibilità tutta inglese, dimostrando come sia possibile essere inglesi e cattolici allo stesso tempo.
PER LA CRITICA DELLA FACOLTÀ DI GIUDIZIO E DELLA CREATIVITÀ DELL’ "UOMO SUPREMO" ... *
L’effetto Matilda raccontato da Ben Barres, scienziato transgender
Un’attivista per i diritti delle donne vissuta alla fine dell’Ottocento, una storica della scienza e un importante neurobiologo. Il filo rosso che collega queste tre persone si chiama effetto Matilda.
di Simone Petralia (OggiScienza, 16 agosto 2018)
IPAZIA - Matilda Joslyn Gage è stata una femminista e una libera pensatrice statunitense. Nel corso della sua vita ha lottato per il suffragio femminile, per i diritti dei nativi americani e per l’abolizione della schiavitù. “Woman as inventor”, un suo breve saggio del 1870, è al tempo stesso un elogio dell’inventiva femminile e una denuncia lucida e argomentata delle discriminazioni e delle disparità di trattamento a causa delle quali il talento delle donne è spesso calpestato o non riconosciuto.
L’effetto Matilda: cos’è
La comunità scientifica, si sa, non è esente da pregiudizi. A parità di abilità e conoscenze, per esempio, uno scienziato famoso godrà di maggior credito rispetto a un ricercatore poco noto. Nel 1968, il sociologo Robert K. Merton ha definito questa forma di discriminazione “effetto san Matteo”, dal verso attribuito all’evangelista: “a chiunque ha, sarà dato e sarà nell’abbondanza; ma a chi non ha, sarà tolto anche quello che ha” (Mt 13, 12). Prendendo spunto dal lavoro di Merton e dal saggio di Matilda Joslyn Gage, nel 1993 la storica della scienza Margaret W. Rossiter ha sviluppato il concetto di “effetto Matilda”.
L’effetto Matilda indica la tendenza a sottovalutare o a sminuire i risultati scientifici conseguiti dalle donne. È stato dimostrato che le ricerche condotte da scienziate suscitano in media meno interesse e vengono citate con minor frequenza rispetto a lavori analoghi realizzati da uomini; quando l’importanza di una scoperta compiuta da una donna è innegabile, invece, questa viene spesso attribuita a un collega maschio. L’effetto Matilda ha segnato la carriera di molte grandi scienziate - da Nettie Stevens a Rosalind Franklin, da Cecilia Payne Gaposchkin a Wu Jianxiong - le quali spesso si sono viste negare un premio Nobel che sarebbe spettato loro di diritto; ma a subirne gli effetti sono state e sono tuttora anche migliaia di ricercatrici sconosciute che vedono il loro lavoro ignorato o svilito a causa di questo pregiudizio.
Il punto di vista di Ben Barres
“Ho vissuto nei panni di una donna e in quelli di un uomo. Questo mi ha dato la possibilità di riflettere sulle barriere che le donne devono affrontare”. Sono parole di Ben Barres, neurobiologo americano. Morto prematuramente nel dicembre del 2017, Barres è ricordato soprattutto per le sue importanti ricerche sul modo in cui le cellule gliali contribuiscono alla formazione e allo sviluppo dei neuroni. È stato uno scienziato di successo, ma - da uomo transgender - anche un alfiere della causa LGBTQ+, sempre in prima linea per il raggiungimento della parità dei diritti di tutte le minoranze.
Barres ha effettuato la transizione dal genere femminile a quello maschile nel 1997, quando aveva 42 anni e lavorava già da tempo alla Stanford University. Nel corso della sua vita ha avuto quindi la possibilità di toccare con mano le piccole e grandi differenze nel modo in cui solitamente ci si relaziona a un altro essere umano, a seconda che lo si percepisca come un uomo o come una donna. Soprattutto ha vissuto sulla sua pelle, per anni, ciò che per la maggior parte degli uomini è pura teoria: l’effetto Matilda.
Nel corso di una conferenza tenutasi nel gennaio del 2005, Lawrence Summers - importante economista, all’epoca presidente della Harvard University - aveva sostenuto che la scarsa presenza femminile in certi ambiti scientifici, come la matematica o l’ingegneria, è da imputare a una caratteristica innata delle donne, la mancanza di una attitudine intrinseca alla scienza. Poco tempo dopo anche lo psicologo cognitivo Steven Pinker e il biologo Peter Lawrence avevano formulato ipotesi analoghe. Quella del determinismo sessuale è un’idea che, in forme e con sfumature differenti, viene riproposta periodicamente. Alcuni scienziati e intellettuali - tra cui il nostro Piergiorgio Odifreddi - sostengono ancora oggi che la difficoltà che le donne hanno a emergere in certe discipline, come la matematica, sia dovuta al fatto che non sono biologicamente portate per l’astrazione.
Nel luglio del 2006, a distanza di alcuni mesi dalle esternazioni Summers e degli altri studiosi, esce su Nature un lungo articolo in cui Barres espone il suo punto di vista sulla questione. La domanda a cui cerca di rispondere è evidente sin dal titolo: “Does gender matter?”, il genere condiziona davvero le performance in ambito scientifico? La risposta è molto chiara: sì. Il genere conta, dice Barres, non tanto perché le donne abbiano caratteristiche innate che le rendono meno capaci degli uomini, quanto piuttosto per l’assunzione sociale che le donne siano per natura meno capaci. In altre parole, a condizionare i risultati scientifici femminili è proprio l’effetto Matilda.
Barres ha la possibilità di replicare alle affermazioni di Summers e degli altri sostenitori dell’innatismo biologico non da un punto di vista puramente teorico, ma rifacendosi alle sue esperienze personali. Avendo vissuto la prima parte della sua vita da donna, ha toccato con mano il sessismo strisciante e ha poi potuto paragonarlo al trattamento successivo riservatogli in quanto uomo. Quando studiava al MIT, racconta, era stata l’unica persona della sua classe - composta soprattutto da ragazzi - a risolvere un complesso problema matematico; il professore, non si sa se per gioco o sul serio, le aveva detto che a risolverlo doveva essere stato il suo fidanzato. Durante il dottorato ad Harvard aveva fatto domanda per un posto all’università; i candidati erano solo due: lei, che all’attivo aveva sei importanti pubblicazioni, e un uomo che aveva pubblicato un solo paper. Venne scelto il candidato maschile. Poco dopo la transizione, un membro della facoltà che aveva assistito a un seminario di Barres non sapendo che fosse transgender, aveva detto che le sue ricerche erano con ogni evidenza superiori a quelle della sorella. Aveva letto le pubblicazioni precedenti di Barres, firmate col nome femminile, senza capire che si trattava della stessa persona; il solo fatto che a scriverle fosse stata una donna era bastato a modificare, in peggio, la sua percezione sulla qualità complessiva del lavoro.
Nel suo articolo, oltre a raccontare episodi legati alla sua storia personale, Barres dimostra la pervasività dell’effetto Matilda ricorrendo anche ai dati. Numerose statistiche, infatti, dimostrano come il pregiudizio di genere sia un potente bias, una vera e propria distorsione cognitiva che condiziona il modo in cui si giudicano le persone. Questo avviene in tutti gli ambiti, anche in un contesto apparentemente evoluto e razionale come quello scientifico. Le donne che fanno domanda di finanziamento per le loro ricerche, per esempio, devono essere 2.5 volte più produttive degli uomini per essere considerate egualmente competenti.
Altri studi sulle minoranze
Altri studi dimostrano come il pregiudizio riguardi, oltre che le donne, anche tutte le persone appartenenti a minoranze di qualche tipo, sia etniche che legate all’orientamento sessuale o all’identità di genere. Sembra che l’unico modo per tenersi al riparo da questo bias sia essere maschi, bianchi, cisgender - cioè non transgender - e ovviamente eterosessuali. “La gente che non sa che sono transgender”, scrive Barres nel suo articolo, “mi tratta con molto più rispetto. Posso persino completare un’intera frase senza essere interrotto da un uomo”. Le persone riconosciute come transgender, invece, devono affrontare pregiudizi analoghi a quelli delle donne, soprattutto coloro che affrontano un percorso di transizione contrario rispetto a quello di Barres, ovvero dal genere maschile a quello femminile; passaggio percepito da molti, in maniera più o meno inconscia, come una sorta di “declassamento sociale”.
Tornando all’effetto Matilda, Barres nota come siano in pochi ad ammettere che si tratti di un problema reale del mondo scientifico. Non solo quasi tutti gli uomini sono inconsapevoli dei loro privilegi, ma anche molte donne sembrano essere riluttanti a riconoscere il peso reale della discriminazione di genere. Questo per varie ragioni, tra cui un fenomeno noto come “rifiuto dello svantaggio personale”, per cui le donne confrontano i loro risultati solo con quelli ottenuti da altre donne, escludendo gli uomini e inserendosi implicitamente in una categoria a parte.
Sono molte le cose che si potrebbero fare per contrastare l’effetto Matilda. In primo luogo, sostiene Barres, evitare di far sentire le ragazze - a scuola, in famiglia e in qualsivoglia contesto - non all’altezza dei loro coetanei maschi o non adatte a intraprendere una carriera scientifica; a lanciare segnali di questo tipo sono, in maniera il più delle volte inconsapevole, gli stessi genitori o gli insegnanti. Occorre poi che la comunità scientifica lavori per migliorare l’equità nei processi di selezione e per dare sempre più posizioni di leadership alle donne e a persone appartenenti a minoranze. “La diversità fornisce un punto di vista più ampio, più sensibilità e maggior rispetto per le diverse prospettive, valori inestimabili in qualsiasi ambito”. Serve, infine, riconoscere che il problema esiste. Non voltarsi dall’altra parte, ma parlare, esporsi, raccontare quello che si è subito e non vergognarsi - mai - di essere chi si è. Seguire, insomma, l’esempio di Ben Barres.
* Sul tema, nel sito, si cfr.:
FILOSOFIA, E TEOLOGIA POLITICA DELLA’ "ANDRO-POLOGIA" ATEA E DEVOTA....
LA RISATA DI KANT: SCHOPENHAUER (COME RATZINGER) A SCUOLA DEL VISIONARIO SWEDENBORG.
CREATIVITÀ: KANT E LA CRITICA DELLA SOCIETÀ DELL’UOMO A "UNA" DIMENSIONE. Una sollecitazione a svegliarsi dal sonno dogmatico.
Federico La Sala
CREATIVITÀ E CARITÀ ("CHARITAS"). ADAMO ED EVA, MARIA E GIUSEPPE UGUALI DAVANTI A DIO. Il cattolicismo "andropologico" romano è finito...*
Risorsa famiglia.
Così lo sguardo femminile può cambiare l’economia
di Luigino Bruni (Avvenire, giovedì 23 agosto 2018)
Economia è una parola greca che rimanda direttamente alla casa ( oikos nomos, regole per gestire la casa), quindi alla famiglia. Eppure l’economia moderna, e ancor più quella contemporanea, si è pensata come un ambito retto da principi diversi, distinti e per molti versi opposti ai principi e ai valori che hanno sempre retto e continuano a reggere la famiglia. Un principio fondante la famiglia, forse il primo e quello sottostante gli altri, è quello di gratuità, che è quanto è di più distante dall’economia capitalistica, che conosce surrogati della gratuità (sconti, filantropia, saldi) che svolgono al funzione di immunizzare i mercati dalla gratuità vera.
La famiglia, infatti, è il principale luogo dove apprendiamo, per tutta la vita e in un modo tutto speciale da bambini, quella che Pavel Florensky chiamava ’l’arte della gratuità’. E lì che soprattutto da bambini impariamo anche a lavorare, perché non c’è lavoro ben fatto senza gratuità. La nostra cultura, però, associata la gratuità al gratis, al gadget, allo sconto, alla mezza ora in più al lavoro non remunerata, al prezzo zero (San Francesco ci ha invece detto che la gratuità è un prezzo infinito: non si può né comprare né vendere perché è impagabile).
In realtà la gratuità è qualcosa di molto serio, come ci ha spiegato con estrema chiarezza anche la Caritas in veritate, che rivendica alla gratuità anche lo statuto di principio economico. Gratuità è charis, grazia, ma è anche l’agape, come ben sapevano i primi cristiani, che traducevano la parola greca agape con l’espressione latina charitas (con l’h), proprio ad indicare che quella parola latina traduceva ad un tempo l’agape ma anche la charis, e per questo quell’amore diverso non era né solo eros né solo philia (amicizia). La gratuità, questa gratuità, allora, è un modo di agire e uno stile di vita che consiste nell’accostarsi agli altri, a se stesso, alla natura, a Dio, alle cose non per usarli utilitaristicamente a proprio vantaggio, ma per riconoscerli nella loro alterità e nel loro mistero, rispettarli e servirli.
Dire gratuità significa dunque riconoscere che un comportamento va fatto perché è buono, e non per la sua ricompensa o sanzione. La gratuità ci salva così dalla tendenza predatoria che c’è in ogni persona, ci impedisce di mangiare gli altri e noi stessi. E’ ciò che distingue la preghiera dalla magia, la fede dall’idolatria, che ci salva dal narcisismo, che è la grande malattia di massa del nostro tempo, per assenza di gratuità.
Se la famiglia vuole, e deve, coltivare l’arte della gratuità, deve fare molta attenzione a non importare dentro casa la logica dell’incentivo che oggi vige ovunque. Guai, ad esempio, ad usare la logica dell’incentivo all’interno delle dinamiche familiari. Il denaro in famiglia, soprattutto nei confronti dei bambini e dei ragazzi (ma con tutti), va usato molto poco, e se usato deve essere usato come un premio o riconoscimento dell’azione ben fatta per ragioni intrinseche, e mai usato come prezzo. Uno dei compiti tipici della famiglia è proprio formare nelle persone l’etica del lavoro ben fatto, un’etica che nasce proprio dal principio di gratuità. Se, invece, si inizia a praticare anche in famiglia la logica e la cultura dell’incentivo, e quindi il denaro diventa il ’perché’ si fanno e non si fanno compiti e lavoretti di casa, quei bambini da adulti difficilmente saranno dei buoni lavoratori, perché il lavoro ben fatto di domani poggia sempre su questa gratuità che si apprende soprattutto nei primi anni di vita, e soprattutto a casa.
L’assenza del principio di gratuità nell’economia dipende anche, e molto, dall’assenza dello sguardo femminile. La casa, l’oikos, è sempre stato il luogo abitato e governato dalle donne. Ma , paradossalmente, l’economia è stata, e continua ad essere, una faccenda tutta giocata sul registro maschile. Anche i maschi hanno sempre avuto a che fare con la casa, e molto. Il loro sguardo si è però concentrato sul provvedere i mezzi per il sostentamento, sul lavoro esterno, sui beni, sul denaro. E quando l’economia è uscita dalla vita domestica ed è diventata politica, sociale e civile, lo sguardo e il genio femminile è rimasto dentro casa, e quello maschile è rimasta la sola prospettiva della prassi e soprattutto della teoria economica e manageriale.
Le donne guardano alla casa e all’economia vedendo prima di tutto il nesso di rapporti umani che si svolge in esse. I primi beni che vedono sono quelli relazionali e i beni comuni, e dentro a questi vedono anche i beni economici. Non è certo un caso che l’Economia di comunione sia nata da uno sguardo di una donna (Chiara Lubich), né che la prima teorica dei beni comuni è stata Katherine Coman (nel 1911), e che Elinor Ostrom sia stata insignita (unica donna finora) del premio Nobel in economia proprio per il suo lavoro sui beni comuni. E ci sono due donne (Martha Nussbaum e Carol Uhlaner) all’origine della teoria dei beni relazionali. Quando manca lo sguardo femminile sull’economia, le sole relazioni viste sono quelle strumentali, dove non è la relazione ad essere il bene, ma dove i rapporti umani e con la natura sono mezzi usati per procurarsi i beni.
Se lo sguardo e il genio femminile della oikoscasa fossero stati presenti nella fondazione teorica dell’economia moderna, avremmo avuto una economia più attenta alle relazioni, alla redistribuzione del reddito, all’ambiente e forse alla comunione. È, infatti, la comunione una grande parola che dalla famiglia può passare all’economia di oggi. E qui si apre un discorso specifico per i cristiani.
La chiesa oggi è chiamata ad essere sempre più profezia, se vuole salvarsi e salvare. La profezia è anche una parola della famiglia. La maggior parte dei profeti biblici erano sposati, e molte parole e gesti profetici della bibbia sono parole di donne. Isaia chiamò suo figlio Seariasùb, che significa ’un resto tornerà’, che uno dei grandi messaggi della sua profezia.
Non trovò modo migliore per lanciare quel suo messaggio profetico di farlo diventare il nome del figlio. Ogni figlio è un messaggio profetico, perché dice con il solo suo esserci che la terra avrà ancora un futuro, e che potrà essere migliore del presente. La profezia della famiglia oggi, per essere credibile, deve prendere la forma dei figli e la forma dell’economia, e quindi della condivisione, dell’accoglienza e della comunione. Perché sia i figli che l’economia non sono altro che la vita ordinaria di tutti e di ciascuno, che è il solo luogo dove la profezia si nutre e cresce.
SUL TEMA, NEL SITO, SI CFR.:
PER RATZINGER, PER IL PAPA E I CARDINALI, UNA LEZIONE DI GIANNI RODARI. L’Acca in fuga
LA CHIESA DEL SILENZIO E DEL "LATINORUM". Il teologo Ratzinger scrive da papa l’enciclica "Deus caritas est" (2006) e, ancora oggi, nessuno - nemmeno papa Francesco - ne sollecita la correzione del titolo. Che lapsus!!! O, meglio, che progetto!!!
ESTETICA (E NON SOLO) E DEMOCRAZIA. PER LA CRITICA DELLA FACOLTÀ DI GIUDIZIO E DELLA CREATIVITÀ DELL’ "UOMO SUPREMO" (KANT).
CREATIVITÀ: KANT E LA CRITICA DELLA SOCIETÀ DELL’UOMO A "UNA" DIMENSIONE. Una sollecitazione a svegliarsi dal sonno dogmatico.
Federico lA Sala
ARITMETICA E ANTROPOLOGIA. UNA DOMANDA AI MATEMATICI: COME MAI "UN UOMO PIU’ UNA DONNA HA PRODOTTO, PER SECOLI, UN UOMO" (Franca Ongaro Basaglia)?! Non è il caso di ripensare i fondamenti"? ..... *
Antropologia.
Caleb Everett: Siamo tutti figli dei numeri
Sono fondamentali per lo sviluppo della civiltà, delle relazioni umane e della coscienza di sé. Parla l’antropologo che ha studiato le società primitive che non ne fanno uso
di Eugenio Giannetta (Avvenire, mercoledì 15 agosto 2018)
Che ore sono? Quanto è alto? Quanto pesa? Domande semplici, che richiedono una risposta semplice, perlopiù racchiusa in un numero. Eppure ci sono società, popoli diversi dal nostro, che vivono senza i numeri per come li conosciamo e utilizziamo quotidianamente. Tutto ciò è al centro del lavoro di Caleb Everett, docente di Antropologia all’Università di Miami, che ha ripercorso le tappe dell’invenzione dei numeri:
«Un insieme fondamentale di innovazioni di carattere linguistico che hanno contraddistinto la nostra specie in modi che non hanno trovato adeguato riconoscimento».
I numeri in effetti sono un’invenzione umana che di fatto ha trasformato l’evoluzione della nostra esperienza, a partire appunto da domande semplici.
«Nella popolazione Munduruku dell’Amazzonia - spiega Everett -, non esistono parole esatte per i numeri superiori al ’due’. Nel caso di un altro popolo amazzonico, i Piraha, le parole per indicare i numeri non esistono affatto, nemmeno per il numero 1. Gli individui di queste popolazioni come fanno allora a rispondere alla domanda ’quanti anni hai?’, o ad altre domande che si basano sul concetto di numero e che per la maggior parte delle persone della nostra società riguardano aspetti fondamentali della vita?». Everett ricorda come i numeri siano protagonisti nel nostro presente, ma anche nel nostro passato, poiché segnano la cronologia degli eventi e la percezione del trascorrere del tempo. La sua analisi, però, non si limita a questo, tocca infatti altri aspetti, come quello simbolico, le concezioni numeriche di bambini in età pre-linguistica e le capacità numeriche di alcune specie animali.
È un lavoro antropologico tout court, che attraversa la storia dei numeri e del linguaggio, e che ne definisce appunto il tratto numerico e il valore della quantità, a partire da misurazioni primitive, quindi da unità di misura indicate inizialmente con parti del corpo umano, fino a un diverso e più sviluppato livello di astrazione. Il risultato finale di queste ricerche, che hanno portato Everett in Amazzonia e Nicaragua,- è il saggio I numeri e la nascita della civiltà. Un’invenzione che ha cambiato il corso della storia (Franco Angeli, pagine 282, euro 25), di cui abbiamo parlato con l’autore, la cui tesi, riferita già dal prologo del volume, rivela come i numeri abbiano nel tempo consentito una fioritura di tecnologie materiali e comportamentali:
«Nella vita quotidiana ci affidiamo a conoscenze che non sono propriamente nostre, che possiamo ricavare dalle menti altrui, e che in molti casi sono state acquisite casualmente e in modo violento nel corso dei millenni. Pensate ad alcuni esempi della vostra cultura: non avete dovuto inventare l’automobile, gli impianti di riscaldamento o il modo più efficiente per sfilettare il pollo: sono tecnologie e comportamenti che avete ereditato. Le vostre azioni sono state modellate attraverso gli altri e siete stati educati ai vostri comportamenti, sia in modo formale che informale, attraverso il linguaggio».
Riflessioni, quelle dell’autore, che sono il risultato di un approfondimento capillare di ulteriori studi condotti da archeologi, linguisti e psicologi, che negli ultimi anni hanno provato a mostrare come i numeri siano un’invenzione in primo luogo linguistica, spesso creati a partire dalla parola mano, che ha consentito di definire le quantità con minore approssimazione. Un passaggio non distante, ad esempio, da quanto accadde con l’invenzione delle parole per definire i colori.
Proviamo a immaginare: che cosa potrebbe accadere a una popolazione che si ritrovasse improvvisamente senza numeri?
«Ci vorrebbe molto tempo, a meno che non siano stati cancellati anche dalla mente delle persone, oltre che dalla lingua parlata e scritta. Ma presumendo che siano magicamente scomparsi, dovremmo lottare per gestire molte delle tecnologie che ci circondano, che richiedono una certa consapevolezza di quantità precise. Ad esempio, non saremmo in grado di comunicare il tempo in modo preciso, il che avrebbe un impatto su qualsiasi altra cosa. Le popolazioni anumeriche, o quelle con pochi numeri, non tengono traccia di cose come ore, minuti e secondi».
Senza i numeri, come sarebbe la nostra vita?
«Senza numeri le nostre vite sarebbero probabilmente molto più simili a quelle delle persone di cui parlo nel libro. Probabilmente saremmo cacciatori, raccoglitori e non indu-strializzati, dal momento che sia l’agricoltura che l’industrializzazione si basano sugli strumenti concettuali che chiamiamo numeri».
I suoi genitori erano missionari e si sono occupati della traduzione della Bibbia in varie lingue, cosa che le ha dato la possibilità di passare molto tempo tra le tribù dell’Amazzonia. La sua esperienza da bambino in quei luoghi e con quelle culture ha ispirato questo lavoro?
«Certamente, mi ha dato un’esperienza di prima mano con un gruppo di persone che non ha numeri, che alla fine mi ha portato a interessarmi a questo argomento, come ricercatore, anni dopo».
È possibile che cambi la cultura numerica di una popolazione?
«Le culture numeriche cambiano continuamente. Basta considerare quanto sia cambiata la cultura numerica dell’Europa, o più specificamente la regione che ora è l’Italia. Durante l’impero romano fu usato un insieme di numeri completamente diverso, che aveva alcuni svantaggi rispetto al sistema numerico indù-arabo che ora usiamo. Fibonacci lo riconobbe nel XIII secolo e, in parte per via del suo lavoro, i numeri che ora usiamo arrivarono alla diffusione in tutto il mondo. E hanno svolto un ruolo importante nella rivoluzione scientifica».
Nella nostra epoca numeri e dati sono sempre più importanti, basti ragionare sul concetto di big-data. Quanto emerge questo aspetto dal suo lavoro?
«Faccio ricerche anche su altri argomenti, ad esempio sui suoni prodotti dagli esseri umani. E questa ricerca richiede l’utilizzo di big data. In un recente lavoro con migliaia di linguaggi, ad esempio, il mio lavoro suggerisce che il clima potrebbe influire sul modo in cui le lingue evolvono».
È possibile pensare a numeri scollegati dalla loro rappresentazione linguistica?
«Potrebbe essere possibile, ma possiamo dire con certezza che, prima di essere annotati o espressi in altri modi non verbali, in ogni cultura i numeri venivano prima pronunciati».
C’è una differenza tra tradizione orale e scritta riguardo ai numeri?
«La tradizione orale ha il primato, ma tornando a Fibonacci, ad esempio, i numeri che ha introdotto avevano una storia diversa rispetto ai numeri parlati italiani»
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Sul tema, nel sito, si cfr.:
ARITMETICA E ANTROPOLOGIA. UNA DOMANDA AI MATEMATICI: COME MAI "UN UOMO PIU’ UNA DONNA HA PRODOTTO, PER SECOLI, UN UOMO" (Franca Ongaro Basaglia)?! Non è il caso di ripensare i fondamenti?!
CHI SIAMO NOI IN REALTA’? Relazioni chiasmatiche e civiltà: UN NUOVO PARADIGMA.
CREATIVITÀ: KANT E LA CRITICA DELLA SOCIETÀ DELL’UOMO A "UNA" DIMENSIONE. Una sollecitazione a svegliarsi dal sonno dogmatico.
Federico La Sala
Alle origini della politica
Poteri ispirati dal peccato
I teologi del Medioevo si interrogarono a lungo
su Adamo ed Eva, e sulla necessità di leggi e strutture sociali dopo la cacciata dall’Eden
di Massimo Firpo (Il Sole-24 Ore, Domenica, 26.11.2017)
Narrata all’inizio del Genesi, la disobbedienza di Adamo ed Eva nel mangiare il frutto proibito assunse un significato cruciale nel cristianesimo, che individuò in essa il peccato originale, evento fondante del percorso di redenzione del genere umano dalla perfezione edenica alla caduta, dal vecchio al nuovo Testamento. Ma per secoli i teologi ne sottolinearono anche il ruolo decisivo nella storia terrena dell’umanità, perché proprio dalla corruzione provocata dalla caduta avrebbero avuto origine la proprietà, il diritto, l’esigenza di norme, poteri, istituzioni, strutture sociali chiamate a mettere un freno alla violenza, a regolare i conflitti, a reprimere i delitti, a mantenere la pace: ebbe cioè origine la storia, e con essa la politica.
Fu su questo presupposto che sant’Agostino costruì il grandioso disegno del De civitate Dei, fondato sulla dicotomia tra città divina e città terrena, affrontando specificamente la questione del peccato originale nei commenti al Genesi, in cui spiegava come esso avesse reso «inevitabile la jacquerie di tutte le debolezze, le passioni, le violenze e le sopraffazioni che assediano la natura umana e che fanno di ogni individuo al tempo stesso uno schiavo e un tiranno», uno schiavo del suo brutale egoismo e un tiranno nell’imporlo agli altri. Oltre a esporlo alla fame, alla fatica, alla malattia, alla morte, il suo disordine ontologico lo rende incapace «di perseguire il bene, che pure in certa misura vorrebbe». Per questo egli ha bisogno di un potere che freni le forze distruttive del male che è in lui e imponga le norme di una convivenza civile, che nascono quindi da quel male ma al tempo stesso ne costituiscono un rimedio. Ha bisogno per esempio di governare quella concupiscenza che secondo Agostino ha trascinato la riproduzione nel gorgo di una sessualità aggressiva e viziosa, della quale la famiglia rappresenta un pur precario strumento di controllo e regolamentazione.
Molte del resto erano le inquietanti domande che si collegavano a quella primigenia rottura. Perché Adamo ed Eva, pur creati a immagine e somiglianza di Dio, avevano peccato? Perché ai loro figli e discendenti era stata addebitata una colpa di cui non erano responsabili? Tale corruzione ereditaria era totale e assoluta o qualcosa di buono era restato, consentendo quindi agli uomini l’esercizio del libero arbitrio e le scelte morali che ne conseguivano, oppure le loro possibilità di salvarsi dipendevano solo dagli insondabili decreti della predestinazione? E quale sarebbe stata la società umana se i primi progenitori non avessero mangiato il frutto proibito?
«Quando Adamo zappava e Eva filava dov’erano i nobili?», si chiedevano i contadini inglesi in rivolta nel ’300. Quando e perché era nata la servitù? Ed era lecito combatterla e liberarsene? Quale era il fondamento del diritto di coercizione? Quesiti tutt’altro che oziosi, tali da suggerire una ricostruzione alternativa - “controfattuale” - della storia umana, volta a recuperare una razionalità perduta e a indicare una strada da seguire, una meta cui tendere, un obiettivo da raggiungere.
Su tali quesiti, spesso frammisti alle più varie leggende, si interrogarono grandi teologi e canonisti del Medioevo, consapevoli «del nesso produttivo tra immaginazione e ragione» che essi generavano. Di essi, e dell’implicito realismo politico che ne conseguiva, la ricerca di Briguglia ricostruisce con analisi sottili i percorsi tutt’altro che univoci, inoltrandosi con dotta perizia in una selva oscura di Summae e trattati che affrontavano quel garbuglio di problemi.
Dalla lucida «fenomenologia del potere» di Agostino si passa alle distinzioni scolastiche nel definire le origini, gli ambiti di legittimità, le forme di esercizio del potere, e alla raffinata riflessione di san Tommaso, secondo il quale già nell’Eden esistevano differenze tra le creature: tra uomo e donna anzitutto, tra complessioni fisiche diverse, tra gradi disomogenei di bellezza, santità, attitudini, capacità. Differenze che non inficiavano la libertà di ciascuno (anzi, nascevano proprio da essa), ma creavano distinzioni e con ciò davano vita a spazi di azione politica tali da smentire che quest’ultima fosse solo una conseguenza del peccato originale. Anche il mondo edenico, insomma, sarebbe stato un mondo da governare e governato, e pertanto «la politica non è frutto del peccato», ma scaturisce da un ordine divino delle cose.
Il fatto che ogni autorità, ogni istituzione e forma di governo, ogni diritto di punire, ogni dovere di obbedienza derivi dalla corruzione e dal disordine prodotti dal peccato originale, non significa legittimare la tirannia, poiché nella tutela dell’ordine sociale il potere politico deve pur sempre rispettare criteri di razionalità. Anch’esso nasce da Dio, insegna san Paolo (Rom. XIII, 1). Per questo gli uomini devono accettarlo non solo per paura o mancanza di libertà, ma «con un’adesione interiore», cui solo in rari casi di iniqua tirannia è lecito sottrarsi.
Ci si poteva quindi chiedere se fosse possibile restaurare la politica che aveva retto gli uomini prima della caduta, abbandonare il diritto positivo per ristabilire nella sua pienezza il diritto naturale. Secondo i teologi francescani, per esempio, la vocazione alla povertà del loro ordine era un modo per tornare al primitivo stato di innocenza di cui anche Cristo e gli apostoli erano stati un esempio.
«Idee incendiarie», a ben vedere, dal momento che davano vita a una contestazione radicale della Chiesa come corpo giuridico e struttura di potere quale si era venuta costituendo in Occidente. E ancor più incendiarie furono quelle espresse a metà Trecento da John Wyclif, che dalla restaurazione della grazia per tramite della fede giungeva alla definizione della vera Chiesa come comunità dei predestinati, dalla quale anche il papa poteva essere escluso.
Idee poi riprese dalla Riforma protestante, mentre le grandi scoperte geografiche imponevano di interrogarsi sulle misteriose origini dei nuovi popoli al di là degli oceani, che sembravano mandare in pezzi la monogenesi biblica. E infine Robert Filmer che nel suo trattato Patriarca, o del potere naturale dei re, apparso postumo nel 1680, affermava contro Francisco Suarez e la seconda scolastica l’idea di un Adamo che non era stato solo padre ma anche re della sua discendenza, e quindi archetipo dell’intangibile diritto divino dei sovrani.
Fu contro di lui che John Locke scrisse il primo dei Due trattati sul governo, con i quali - sviluppando il contrattualismo hobbesiano - avrebbe costruito le fondamenta di un potere assoluto che scaturiva dal basso e non proveniva più da Dio. L’era di Adamo ed Eva era ormai finita per sempre.
SUL TEMA, NEL SITO, SI CFR.:
ADAMO, EVA ... E L’EDEN? Archeologia, preistoria, e storia
L’ITALIA, LA CHIESA CATTOLICA, I "TESTICOLI" DELLE DONNE E LA "COGLIONERIA" DEGLI UOMINI OVVERO ANCHE LE DONNE HANNO LE "PALLE". L’ammissione di Giovanni Valverde, del 1560!!! E CHE COSA SIGNIFICA ESSERE CITTADINI E CITTADINE D’ITALIA!!!
"GENESI" E GENERE SESSUALE. MUTAMENTI "BIBLICI" IN CORSO.
UNA CATTOLICA, UNIVERSALE, ALLEANZA "EDIPICA"!!! IL MAGGIORASCATO: L’ORDINE SIMBOLICO DELLA MADRE, L’ALLEANZA DELLA MADRE CON IL FIGLIO, REGNA ANCORA COME IN TERRA COSI’ IN CIELO
DONNE, UOMINI E VIOLENZA: "Parliamo di FEMMINICIDIO".
DELLA TERRA, IL BRILLANTE COLORE. Pace, giustizia, e libertà nell’aiuola dei mortali DANTE: IL PARADISO TERRESTRE, UN PROGRAMMA PER I POSTERI.
Federico La Sala
LA CHIESA ANGLICANA SORPASSA LA CHIESA "CATTOLICA". Il cattolicismo "andropologico" romano è finito:
Antonio (non più don) Potenza si è sposato a Westminster
di Alessio Porcu - 8 luglio 2017
Togliamoci subito di mezzo la notizia di gossip. Antonio (non più don) Potenza si è sposato. L’ex segretario del chiacchierato 191mo abate di Montecassino Pietro Vittorelli si è unito in matrimonio con Celeste, la ragazza di Cassino che aveva conosciuto nell’archivio del museo dell’abazia. E per la quale ha lasciato: la tonaca di benedettino, la carica di segretario dell’abate, nonché la carriera spianata verso i vertici dell’Ordine.
Il matrimonio è stato celebrato nel pomeriggio all’interno della cattedrale di Westminster a Londra, direttamente dal dean John Hall che è il decano di Westminster. Il rito è stato quello anglicano. Officiato in un giorno particolare: quello del compleanno della sposa. Tra le foto è possibile riconoscere con sicurezza l’assessore comunale e già cerimoniere abbaziale Benedetto Leone nonché l’avvocato Gianrico Ranaldi. Sono seduti l’uno accanto all’altro nell’immagine che li vede nel chiostro di Westminster Abbey durante il concerto per violino che si è tenuto al termine della cerimonia religiosa.
Puntare sul pettegolezzo, di fronte ad una notizia così sarebbe un grave limite.
Perché Antonio (non più don) Potenza poteva convolare a nozze ovunque gli fosse garbato. Ma farlo a Westminster ha un significato molto profondo e particolare. Il suo matrimonio rappresenta un segnale forte alla Chiesa di Roma ed a Papa Francesco. E’ un messaggio con il quale sollecitare a rimettere nell’agenda il tema del celibato dei preti.
Non è un caso che il rito sia stato celebrato dal dean John Hall: non è solo il decano di Westminster. In quanto tale, è anche il capo del capitolo dell’abbazia. Che è prelatura personale della Corona. Quindi il dean risponde direttamente alla Regina (che è il capo della Chiesa anglicana) non al Vescovo di Londra come ordinario, né all’arcivescovo di Canterbury come metropolita. L’abate Pietro Vittorelli ed il suo segretario Antonio Potenza avevano lavorato molto sui rapporti tra Chiesa di Roma e Anglicani. Avevano cercato di favorire il dialogo ecumenico. Più volte erano stati a Londra ed avevano ospitato a Montecassino i vertici della chiesa di Sua Maestà.
Antonio Potenza in questo momento è formalmente un exclaustrato. E’ cioè un monaco che non conduce più vita monastica ed ha lasciato l’ordine. L’iter lo aveva avviato a gennaio 2016, presentando la domanda e trasferendosi quasi subito a Londra. Ma avendo preso i voti monastici resta sempre un consacrato: il sacramento è per sempre e in nessun modo può essere tolto.
Il suo matrimonio celebrato a Westminster può essere un modo per tentare di accelerare i meccanismi di dialogo che in qualche modo erano stati attivati proprio dai due vertici dell’abazia di Montecassino negli anni scorsi.
«E’ la visione di una Chiesa pre Tridentina - analizza il filosofo Biagio Cacciola - in quanto a quel tempo era prevista la possibilità dell’unione matrimoniale pur conservando il sacerdozio. Soltanto dopo il secolo XI con papa Gregorio VII, Ildebrando di Soana, ci fu il radicamento del celibato. Che era però legato soprattutto ad una questione di convenienza. Infatti, il papato era egemone sotto il profilo territoriale ed avere figli, essendo sacerdoti, avrebbe tolto alla Chiesa strutture e terreni»
Il tema è aperto. In Puglia esiste una diocesi di rito Bizantino Orientale che è incardinata nella Chiesa di Roma. Non è di rito Ortodosso. E prevede l’istituto dell’uxoriato cioè i sacerdoti sono sposati.
Quel matrimonio, celebrato a Westminster, paradossalmente è anche una risposta ai preti sposati anglicani passati al Cattolicesimo, motivo di attrito tra Chiesa Anglicana e Cattolica, cinque anni fa.
In questo periodo Antonio (non più don) Potenza lavora per anglicani in una delle loro strutture di Londra. Alcuni sostengono trattarsi di un hotel nel cuore della City. Formalmente, potrebbe rivendicare il titolo di don. Ma per ora, tolti i formalismi farisaici, per i fedeli di Roma non lo è. Le prossime settimane, con i successivi passi, diranno come stanno le cose.
Il sorpasso in magistratura, ci sono più donne che uomini
Il procuratore generale della Cassazione: hanno raggiunto il 50,7 per cento. Il cambiamento più significativo nelle nomine agli incarichi direttivi
di FRANCESCO GRIGNETTI (La Stampa, 29/01/2016)
ROMA Alla notizia non è stata data l’enfasi che meritava, eppure è possibile leggerla nella relazione del procuratore generale della Cassazione, sua eccellenza Pasquale Ciccolo: «Rispetto agli anni precedenti - scrive - nella popolazione dei magistrati in servizio si ribalta il rapporto tra uomo e donna, pur rimanendo attorno alla parità: 50,7% di donne, e 49,3% di uomini».
È una piccola grande rivoluzione. Alle donne, come ricordava qualche tempo fa a un convegno la presidente dell’Associazione donne magistrato italiane, Carla Marina Lendaro, è stato aperto l’accesso in magistratura appena 50 anni fa. Perciò fecero una festa in Cassazione «per ricordare quelle prime otto temerarie - diceva Lendaro - che affrontarono, vincendolo, il duro primo concorso del 1965».
Molta acqua nel frattempo è passata sotto i ponti. Da qualche anno, al concorso per magistratura le donne stracciano regolarmente gli uomini. È una donna il capo dell’ufficio degli ispettori ministeriali, Elisabetta Cesqui. Ci sono due donne nel consiglio direttivo della Scuola superiore della magistratura. Sono molte le donne ai vertici delle correnti della magistratura associata. Ed è lontano il tempo in cui le (poche) donne che entravano in magistratura finivano confinate nella riserva indiana della giustizia minorile.
LA SVOLTA
Delle 252 nomine fatte dal Consiglio superiore della magistratura negli ultimi 15 mesi sotto l’impulso del vicepresidente Giovanni Legnini, se si guarda agli incarichi direttivi si vede che 101 sono uomini e 25 sono donne; se si esaminano i vicedirettivi, 83 sono uomini e 43 sono donne. Il cambiamento dei vertici della magistratura è in effetti una mezza rivoluzione. «Un passaggio storico e un’autentica palingenesi», lo definisce Legnini.
Il cambio di rotta - più donne, più giovani, più attenzione al merito - ha del clamoroso per un mondo tradizionalista come quello delle toghe. Diceva ieri il ministro Andrea Orlando intervenendo all’inaugurazione dell’Anno giudiziario: «Si sta rompendo il tetto di cristallo che impediva alle donne l’accesso alla guida degli uffici giudiziari. Dobbiamo andare avanti su questa strada partendo dal dato che vede ormai un sostanziale equilibrio di genere nella composizione della magistratura».
Evidentemente stanno meritando i loro successi, le donne in toga. C’è un’altra statistica fondamentale nella relazione del procuratore generale, in una materia che gli compete strettamente: se uomini e donne in magistratura sono in numero pressoché uguale, salta però agli occhi che i magistrati oggetto di procedimenti disciplinare sono al 69,2% uomini e 30,8% donne. A controprova di come sia aumentato il peso specifico femminile in magistratura, però, c’è anche un caso negativo. È una donna, infatti, anche la protagonista della vicenda più dolorosa che la magistratura sta vivendo: l’ex presidente delle Misure di prevenzione del Tribunale di Palermo, Silvana Saguto, indagata dai colleghi di Caltanissetta per un uso spregiudicato dei beni confiscati alla mafia, sospesa dal Csm. Guarda caso, ha trascinato nello scandalo anche due prefette, amiche sue. Uno scandalo, quello di Palermo, tutto in rosa.
Per la prima volta gli scout britannici hanno un capo donna
di Silvia Guzzetti (Avvenire, 13 ottobre 2015)
Per la prima volta nei loro 108 anni di storia gli scout britannici avranno una donna come leader. Ann Limb, 62 anni, ex funzionaria statale e insegnante, ha dichiarato che sarà sua missione emancipare il movimento britannico incoraggiando più ragazze a indossare l’uniforme verde e il fazzolettone.
Rimangono, invece, rigorosamente soltanto femminili le “Girl Guides” ovvero le guide. In Gran Bretagna l’associazione che Baden Powell avviò, proprio qui, nel 1908, è ancora divisa lungo linee di genere come all’inizio del secolo con le "Brownies", le bambine tra i 7 e i 10 anni, che frequentano centri diversi dai "Cubs", i lupetti. Le femmine sono state sì ammesse, nelle sezioni maschili, a partire dagli anni settanta, ma sono rarissime.
Diversi gli scout italiani che sono misti da tempo
In Italia, invece, come in altri paesi europei, nel 1974 l’Agesci ha cominciato a educare insieme maschi e femmine, con un sistema misto, affiancando ai lupetti le coccinelle già a otto anni.
Insomma la patria del femminismo ha mantenuto separato lungo linee di genere lo scautismo, come aveva voluto il suo fondatore, decidendo, soltanto negli ultimi anni, di aprire alle femmine la propria sezione maschile.
E’ solo dal 1991, infatti, che le undicenni britanniche possono diventare scout, e del mezzo milione di bambini che fanno parte di questo movimento, in Gran Bretagna, soltanto un quinto sono femmine.
Basta con gli scout figli bene delle classi medie
Figlia di un macellaio e cresciuta in una delle zone più malfamate di Manchester, Moss Side, la nuova capa scout pensa che aumentare il numero di ragazze sia la via del futuro. Né ama l’idea degli scout come hobby delle classi medie.
“L’immagine degli scout come giovani bianchi, provenienti dalle classi medie, non incoraggia le femmine a far parte del movimento”, ha dichiarato Ann Limb, “Vogliamo aumentare il numero di ragazze e giovani donne perché lo scoutismo deve riflettere la società nella quale viviamo. Sarebbe bellissimo se raggiungessimo il milione di membri”.
“Diventare una “Brownie” ha voluto dire moltissimo per me”, ha detto ancora la nuova capa scout, “Ha aumentato la mia autostima e la fiducia in me stessa. Non era come andare a scuola. Non importava se fallivi perché avevi un’altra possibilità”.
Mancano i volontari, scoppiano le liste di attesa
Il problema più grosso dello scoutismo britannico, in questo momento, è la mancanza di volontari mentre scoppiano le liste di attesa di bambini e ragazzi desiderosi di fare la promessa.
Secondo Ann Limb i genitori più giovani, con meno di 55 anni, sono troppo occupati per dare una mano nei gruppi frequentati dai figli mentre toccherebbe a chi ha più di 55 anni, i “baby boomers”, rimboccarsi le maniche e darsi da fare. “Anche le aziende dovrebbero cambiare”, ha detto Limb, “Per dare più spazio al volontariato”.
Regno Unito, Libby Lane nominata primo vescovo donna anglicano
LONDRA - La Chiesa anglicana ha nominato il suo primo vescovo donna, scegliendo per la sede di Stockport, nell’Inghilterra settentrionale, la reverenda Libby Lane. Lo storico annuncio è stato dato un mese dopo che il Sinodo generale ha formalmente riconosciuto una legislazione che permette alle donne di diventare vescovo. La nomina ha ribaltato così una tradizione secolare e mettendo fine a una ’querelle’ su cui si era profondamente divisa.
Come accennato, dopo un dibattito prolungato e spesso dai toni accesi, il Sinodo generale della Chiesa Anglicana aveva votato a luglio di consentire alle donne di diventare vescovo; e il 17 novembre ha formalmente adottato la decisione con la modifica della legge canonica, ultimo passaggio nel processo legislativo per mettere fine a secoli di monopolio maschile. Le donne possono essere sacerdoti della Chiesa d’Inghilterra dal 1994.
"E’ un giorno straordinario per me e -io ritengo- un giornata storica per la Chiesa", ha detto il vescovo Lane, subito dopo l’investitura. Lane, che ha 48 anni, è pastore dal 2007 nelle chiese di St. Peter, a Hale, e St. Elizabeth, ad Ashley, nella diocesi di Chester.
* la Repubblica, 17 dicembre 2014 (ripresa parziale).
La fecondazione fa scintille
I ’fuochi d’artificio’ si sprigionano dalla superficie dell’ovulo *
Incontrandosi, ovuli e spermatozoi ’fanno scintille’. Non è un modo di dire, ma è quello che letteralmente accade nel momento della fecondazione. Per la prima volta alcuni ricercatori sono riusciti a ’fotografare’ i fuochi d’artificio, che consistono in miliardi di particelle di zinco scagliate via, a ondate continue, dalla superficie dell’ovocita. Una scoperta che potrebbe migliorare l’efficienza delle tecniche di fecondazione assistita, come spiega lo studio coordinato da Teresa Woodruff, dell’americana università Northwestern pubblicato sulla rivista Nature Chemistry.
Svolta per la fecondazione in vitro
A scatenare l’esplosione sono le minuscole sacche, piene di zinco, che si trovano proprio sotto la superficie dell’ovulo. ’’La quantità di zinco rilasciata da un’ovulo - spiega Teresa Woodruff, uno dei due autori dello studio - può essere un ottimo indicatore per identificare gli ovuli fertilizzati di miglior qualità, qualcosa che non possiamo fare ora. Una volta in grado di identificare i migliori ovociti, si potranno trasferire meno embrioni durante i trattamenti di fecondazione’’.
Uno ’spettacolo coordinato’
I ricercatori sono riusciti a scoprire dove si trova lo zinco nelle singole cellule di un mammifero, al momento della fecondazione e due ore dopo. Ogni ovulo contiene quasi 8.000 sacche, ognuna con circa un milione di atomi di zinco. Questi pacchetti rilasciano il loro carico di zinco simultaneamente in modo coordinato. E come in ogni spettacolo di fuochi d’artificio che si rispetti, anche in questo caso ci sono almeno 4-5 esplosioni, perfettamente sincronizzate sotto la mano di un sapiente direttore d’orchestra.
* ANSA, 16.12.2014 (ripresa parziale, senza immagini).
SVOLTA
Chiesa inglese, via libera alle donne vescovo
Il sinodo ha approvato formalmente la normativa. Le prime ordinazioni dal 2015. *
Via libera dalla Chiesa d’Inghilterra alle donne vescovo. Il sinodo generale, riunito alla Church House di Westminster, il 17 novembre ha dato infatti la sua approvazione formale alla normativa già approvata dal parlamento in ottobre che consente le prime ordinazioni di donne vescovo già dal 2015. L’emendamento è stato approvato con alzata di mano al sinodo generale.
L’Arcivescovo di Canterbury Justin Welby ha commentato il risultato come l’inizio di «un nuovo modo di essere per la Chiesa», ha riferito l’edizione online della Bbc. Ma nonostante il via libera, le divisioni tra anglicani restano: tra coloro che sentono tale svolta come un cambiamento coerente con la loro fede e i tradizionalisti che restano in disaccordo.
UN CAMMINO LUNGO ANNI. Il voto del 17 novembre segna la conclusione di un lungo e sofferto cammino che andava avanti da anni il cui risultato era sfumato ancora una volta nel novembre 2012, per soli sei voti. L’Inghilterra arriva con ampio ritardo sugli altri Paesi: ci sono già donne vescovo anglicane negli Stati Uniti, in Australia, Canada, e in Irlanda. La chiesa inglese ha invece ordinato le prime donne prete nel 1994, che ora rappresentano un terzo del clero.
Parla Padre d’Ors scrittore e consigliere di Papa Francesco
“Il Pontificio Consiglio ha chiesto una relazione sul ruolo femminile. Ormai i tempi sono maturi”
“Rousseau e Einstein erano capaci di esperienze spirituali profonde anche senza Dio”
di Simonetta Fiori (la Repubblica, 5.11.2014)
MADRID «PERCHÉ mi ha scelto papa Francesco? Un mistero. Forse avrà chiesto: qual è il prete più marginale di Madrid?». Pablo d’Ors scoppia in una risata mentre s’inerpica nella sua casa del quartiere Tetuán, una specie di torre su quattro piani che sarebbe piaciuta a Montaigne. È qui, tra il piano della biblioteca dove d’Ors compone i suoi romanzi e la cappella su in alto dove recita messa, che sta maturando un’altra rivoluzione del pontificato di Bergoglio. Finora se n’è parlato poco, anzi per niente. E per scoprirla bisogna venire a trovare questo outsider delle lettere e del sacerdozio che emana una vitalità allegra.
Davvero inclassificabile, padre d’Ors. «Scrittore mistico, erotico e comico», così lui si presenta rivelando la sua vocazione al paradosso. I suoi primi bellissimi racconti del Debutto si prendevano beffa delle letteratura mondiale, narrando le gesta di una signora slovacca che fa l’amore con i più grandi scrittori del Novecento. Pagine sorprendenti in cui si possono leggere riflessioni del genere: «Pessoa è lo scrittore che ha dormito di meno in tutta la letteratura mondiale».
Cresciuto in una famiglia colta - il nonno era Eugenio d’Ors, un monumento della cultura spagnola - Pablo s’è sempre nutrito di parole, per poi approdare alla Biografia del silenzio , un manifesto della meditazione che è diventato un caso editoriale in Spagna (tradotto da Vita e Pensiero). Non più giovanissimo, a 27 anni, dopo una vita ricca di amori, letture, viaggi anche spericolati, ha scelto il sacerdozio: ora nell’ospedale Ramón y Cajal accompagna i malati a morire.
Quest’anno è stato chiamato dal Pontificio Consiglio della Cultura presieduto dal cardinal Ravasi, dove a febbraio porterà il suo mattone per la costruzione di un nuovo immenso edificio. Che incarico le è stato affidato?
«Sono uno dei trenta consiglieri nominati in tutto il mondo. Ci hanno chiesto di presentare una relazione sul ruolo della donna nella Chiesa. Ormai sono maturi i tempi per percorrere nuove strade».
Si parlerà dell’apertura del sacerdozio alle donne?
«Non posso dire apoditticamente di sì, ma penso che dietro la prossima riunione plenaria ci sia questa impostazione».
Lei è favorevole?
«Assolutamente sì, e non sono da solo. Che la donna non possa essere prete per il fatto che Gesù era un uomo e che avesse scelto solo uomini è un argomento molto debole. È una ragione culturale, non metafisica».
Cosa porterebbero le donne?
«La vita. E tanta ricchezza. Il cambiamento è necessario, anche perché si tratta di una discriminazione inaccettabile. Per preparare il mio lavoro ho parlato con moltissime donne di diversa estrazione sociale e culturale, cristiane e non cristiane: con una sola eccezione, tutte si sono mostrate favorevoli».
C’è ancora molta resistenza?
«Sì, non solo nella curia ma anche nella base. La novità fa sempre paura. Invece un criterio importante per misurare la vitalità spirituale di una persona è la sua disponibilità al cambiamento. Resistere alla vita è un peccato perché la vita è svolgimento continuo».
Questo vale anche per la Chiesa?
«Soprattutto per la Chiesa».
Lei che tipo di sacerdote è?
«Sono un prete felice. Ho sentito una voce interiore. E quando vivi la vita come risposta a una vocazione provi la felicità. Questo non significa che non ci siano stati momenti difficili ». Il fatto di aver molto vissuto prima di prendere i voti... «... anche ora vivo intensamente».
Sì, ma il fatto di aver avuto molte storie d’amore la rende un sacerdote migliore?
«Conoscere l’amore umano aiuta a conoscere meglio l’amore divino. Oggi posso dire che mi ha aiutato, mentre nel momento in cui lo vivevo avevo l’impressione che mi facesse male. Bisogna avere il tempo per elaborare l’esperienza».
I suoi rapporti con le gerarchie vaticane non sono stati sempre sereni.
«Si riferisce ad Antonio Maria Rouco Varela, ex vescovo di Madrid? Avevamo due modi molto diversi di intendere la presenza cristiana nel mondo. Potrei sintetizzarlo in due parole: alternativa oppure dialogo. L’alternativa ti porta a una visione chiusa del cristianesimo, separato da un mondo visto come sentinella di tutti i vizi. Il dialogo significa riconoscere nel mondo anche la bellezza e il bene. Dunque non ti impongo la mia verità assoluta, ma ti invito a metterti in dialogo con me per trovare insieme la verità. Francesco è un vero pontefice perché crea ponti intorno a sé».
Oggi lei lavora nell’ospedale di Ramón y Cajal. Come si accompagna una persona a morire?
«Ascoltando veramente ciò che dice, senza giudicare intellettualmente o caricare emotivamente. Ascoltare e basta, dimenticando se stessi, che è la cosa più difficile ».
Lei ha detto che morire da cristiani non comporta meno angosce che morire da laici.
«Un momento. Se sei davvero un credente ti aiuta. Non ti aiuta quando sei cristiano di nome ma non di cuore».
Ma si può vivere una buona vita senza Dio?
«Certo che si può vivere senza un Dio. Non si vive bene senza contatto con la fonte della pienezza, si chiami Dio, essere o vita. Persone come Einstein o Rousseau non erano credenti, ma capaci di esperienze spirituali profondissime».
Lei perché scrive romanzi? Pensava a sé quando fa dire a Pessoa: “Non scrivo ciò che penso, ma scrivo per pensare”?
«Uno ritiene ingenuamente che la scrittura serva per comunicare, ma questo vorrebbe dire che io so già cosa devo dire. In realtà la scrittura è rivelazione, nel senso che rivela a te stesso quello che devi scrivere. Non è un fatto solo intellettuale, ma più profondo, direi viscerale».
Ma perché poi lei è approdato all’elogio del silenzio? Non c’è un aspetto paradossale, ossimorico, nel biografare il silenzio?
«Solo in apparenza. Parola e silenzio sono le due facce di una stessa medaglia. Le parole vere, quelle che hanno la possibilità di toccare l’altro, nascono dal silenzio, ossia dall’intimità con se stessi. E approdano al silenzio perché la cosa più bella, quando leggi un libro, è il bisogno di ricreare tu stesso quello che hai letto. In fondo la letteratura è un invito a tacere».
Il silenzio come l’unica etica possibile. Lei lo fa dire a Thomas Bernhard.
«Sì, per me è stato fondamentale. È Bernhard a teorizzare che tutto è citazione. La letteratura nasce dalla letteratura. Anche i miei romanzi nascono ai margini dei libri altrui».
Lei si definisce scrittore erotico, mistico e comico. Ma cosa tiene unite cose così diverse?
«L’ironia è lo stile, misticismo ed erotismo sono i contenuti. Sia la mistica che l’eros cercano l’unità: ricompongono la separazione nell’unione dello spirito e dei corpi. Quanto alla leggerezza, è quella che genera l’allegria del lettore».
A proposito di leggerezza, ne Il debutto fa a pezzi Kundera e molti altri. Grandi scrittori, ma piccoli uomini.
«L’ironia ha anche una funzione liberatoria. Quasi una dichiarazione di principio: ecco i miei maestri, ma non voglio restare schiacciato sotto queste bestie della letteratura ».
Ma perché introdurre il tema corporale: l’organizzatrice slovacca che si lascia possedere da tutti i grandi intellettuali?
«Ho voluto mostrare un inganno. Noi ci illudiamo di possedere libri e persone. Ma, dal momento che non è possibile padroneggiare tutta la letteratura, la cosa più facile è accedere al corpo degli scrittori».
La sua critica ricorrente verso gli scrittori è di preferire la scrittura alla vita.
«Per molti la letteratura è un modo vicario di vivere la realtà. Credo invece che ciascuno dovrebbe fare un’opera d’arte non solo della scrittura, ma anche dalla propria vita. Thomas Mann l’ha capito benissimo. Proust e Kafka, al contrario, hanno sacrificato le loro esistenze alla letteratura».
Primum vivere. Ma i sacerdoti vivrebbero meglio con una donna al loro fianco?
«I tempi sono maturi anche per questa svolta, ma è solo una mia opinione personale. E nel Pontificio Consiglio, no, di questo non si parlerà».
La svolta anglicana. Sì alle donne vescovo
di Roberto Arduini (l’Unità 15.07.2014)
Mettendo fine a mezzo secolo di discussioni e profonde divisioni sul ruolo della donna, la Chiesa anglicana ha approvato l’ordinazione delle donne vescovo. Si sono udite grida di giubilo, dopo che il sinodo generale, organo esecutivo della Chiesa Anglicana, riunito a York, nel nord dell’Inghilterra, ha approvato la svolta. Il «sì» è arrivato dopo una tripla votazione nelle tre differenti camere della Chiesa: la House of Bishops ha registrato 37 voti a favore, 2 contrari e un astenuto; la House of Clergy ha espresso 162 voti favorevoli, 25 contrari e 4 astensioni; per la HouseofLaity152 sì, 45 no e 5 astenuti. Già entro la fine del 2014 la Chiesa anglicana potrebbe ordinare le prime donne vescovo.
È la seconda volta che la Chiesa anglicana prova a introdurre questo cambiamento. Nel 2012 il voto fu bloccato per soli sei «no». In quell’occasione, la riforma passata alle due «camere » dei vescovi e del clero, ma fu poi bloccata in quella dei laici. Rowan Williams, allora arcivescovo di Canterbury (la seconda carica dopo la regina ma, nei fatti, la prima), disse che la Chiesa anglicana aveva perso un’occasione di «credibilità». Stavolta l’occasione non è stata mancata. «È un grande giorno per la Chiesa e per l’eguaglianza », ha fatto sapere il primo ministro David Cameron, favorevole alla riforma, sottolineando su Twitter la «grande leadership» dell’arcivescovo di Canterbury, Justin Welby.
LE PRIME A FINE ANNO
Proprio Welby è il grande artefice della svolta. Grazie a lui, la Chiesa d’Inghilterra, casa madre della comunità anglicana di 80 milioni di fedeli in 165 Paesi, avrà entro la fine dell’anno il primo vescovo donna. Vescovi donne anglicane esistono già in altri Paesi (Stati Uniti, Canada, Irlanda e Australia), mala Chiesa d’Inghilterra era ancora ostile nonostante ci fossero già pastori donna: il primo «vicario» donna venne ordinato nel 1994. Ora rappresentano un terzo del clero. Molti preti e vescovi anglicani erano quindi ben consapevoli che il rifiuto di aprire alle donne vescovo in una chiesa che ha già nelle sue pastore un punto di forza, era diventato una posizione scomoda.
Così dopo la sconfitta del 2012, Welby e i suoi collaboratori hanno fatto di tutto per accelerare l’iter all’interno di un sistema che richiedeva tempi troppo lunghi. Lo scorso febbraio lo stesso Sinodo aveva approvato una procedura che riduceva da sei a tre mesi il periodo delle consultazioni sull’argomento nelle 44 diocesi inglesi. E il risultato è stato un successo: ben 43 diocesi hanno dato il loro via libera alle donne vescovo e soltanto una non è riuscita a esprimersi in tempo. Anche in questi giorni l’arcivescovo si era fatto sentire: dicendosi più volte «speranzoso» di vedere passare la riforma. Welby era intervenuto anche in tv per sostenere la riforma, alla trasmissione Andrew Marrshow per dire: «Spero che annunceremo la prima donna vescovo entro la fine del 2015». «È incomprensibile non averla approvata prima», ha detto dopo il voto. La sua scelta contava anche sull’appoggio del suo vice di fatto, cioè l’arcivescovo di York, John Sentamu.
Ora la riforma sarà dibattuto in Parlamento e avrà bisogno dell’approvazione di Elisabetta II, capo formale della Chiesa d’Inghilterra. Poi la riforma passerà il prossimo 17 novembre di nuovo all’esame del sinodo generale della Chiesa anglicana, che avrà il compito di vararla ufficialmente.
La riforma ha anche i suoi oppositori: soprattutto nell’ala più conservatrice della Chiesa anglicana ci sono molte resistenze alle nomine di donne vescovo. E la norma appena approvata ne ha tenuto conto, permettendo anche una scelta particolare per le parrocchie più tradizionaliste: quella di nominare, in caso di un vescovo donna, una figura maschile come alternativa. Il rischio è di creare due diversi livelli di episcopato, ma questo sarà oggetto delle prossime battaglie di Welby.
Nonostante tutto, già dal 2015 si potrebbe avere una vera è propria «ondata » di donne vescovo, perché diverse diocesi come quelle di Nottingham, Newcastle e Oxford dovranno rinnovare i loro vertici.
Le donne vescovo nella chiesa d’Inghilterra
di Redazione (www.ilpost.it, 21 novembre 2013)
Mercoledì 20 novembre il sinodo generale della chiesa d’Inghilterra, tenuto a Londra, ha approvato con 378 voti a favore, 8 contrari e 25 astenuti la proposta per l’ordinazione delle donne vescovo. Per un eventuale “sì” definitivo si dovrà aspettare fino alle riunioni del prossimo sinodo, che si terranno da luglio a novembre 2014, ha detto l’arcivescovo di York e numero due della chiesa d’Inghilterra, John Sentamu. Il risultato della votazione di mercoledì fa comunque ben sperare l’ala meno tradizionalista della chiesa anglicana, soprattutto perché fino a novembre scorso, nella precedente discussione sull’ordinazione delle donne vescovo, erano prevalse le posizioni più conservatrici.
Il vescovo che ha presentato la proposta, James Langstaff di Rochester, ha detto che il grande merito del risultato della votazione di mercoledì va al nuovo arcivescovo di Canterbury, Justin Welby, che si è mostrato un convinto sostenitore della riforma, molto di più del predecessore Rowan Williams. Inoltre, ha detto Langstaff, ha avuto un ruolo fondamentale un gruppo di mediatori cristiani che ha facilitato il dialogo tra ala modernizzatrice e ala tradizionalista della chiesa d’Inghilterra: il gruppo, la cui esistenza era stata confermata per la prima volta dalla chiesa anglicana all’inizio del 2013, è stato guidato dal pastore di Belfast David Porter, che tra le altre cose contribuì a sviluppare il processo di pace tra governo nordirlandese e gruppi paramilitari cattolici e protestanti durante gli anni dei “Troubles” in Irlanda del Nord.
Anche il primo ministro britannico, David Cameron, ha appoggiato la riforma, dicendosi favorevole alle donne vescovo. Secondo Cameron l’introduzione della riforma potrebbe riaffermare «la posizione della chiesa d’Inghilterra come una chiesa moderna». L’argomento di una chiesa più moderna è stato ripreso parecchio da tutti i sostenitori della riforma nel corso degli ultimi anni: John Sentamu, arcivescovo di York, ha detto che «discutere di qualsiasi cosa che non sia attrarre nuovi fedeli è come cambiare i mobili mentre la casa sta andando a fuoco».
La possibilità di avere donne vescovo in realtà è già prassi in alcune delle comunità anglicane sparse per il mondo: sulla proposta di ordinare donne vescovo si sono espresse favorevolmente 42 diocesi della Chiesa anglicana su 44. Lo scorso anno la Chiesa anglicana del Sudafrica ha eletto la sua prima donna vescovo e lo stesso hanno deciso i vescovi dell’Australia e degli Stati Uniti, che sono guidati da una donna, Kathrine Jefferts Schori. Prima di poter diventare effettiva, comunque, la riforma dovrà superare ancora diversi passaggi: oltre a essere approvata al prossimo sinodo, dovrà essere ratificata anche dal Parlamento inglese e poi approvata dalla regina Elisabetta, capo della chiesa anglicana.
La Chiesa d’Inghilterra dice sì alle donne vescovo
di Enrico Franceschini (la Repubblica, 21 novembre 2013)
La Chiesa d’Inghilterra dice di sì all’episcopato femminile. Anche le donne potranno diventare vescovi nella religione anglicana, dopo lo storico voto del Sinodo Generale che ha approvato ieri il provvedimento a larghissima maggioranza, 378 a 8, con 25 astensioni. Esattamente un anno fa, il medesimo organismo, composto dal vertice del clero e da laici, aveva respinto la proposta, facendo vincere i “no”, sebbene di appena 6 voti. Fu un rifiuto sorprendente, inatteso, perché tutta la società britannica spinge da tempo per una simile svolta. L’arcivescovo di Canterbury promise di accelerare le pratiche per arrivare a un nuovo voto, nella speranza che sarebbe stato positivo. E così è stato.
Il primo ministro David Cameron, che in queste cose non si dimostra affatto un conservatore, da tempo schierato a favore della riforma, ha reagito impegnandosi a nominare al più presto le prime donne vescovo alla camera dei Lord, dove siedono tradizionalmente i leader della chiesa d’Inghilterra. «Sono uno strenuo sostenitore di questa iniziativa», ha detto il premier parlando ieri alla camera dei Comuni. Il reverendo Christopher Chessun, vescovo di Southwark, descrive la votazione come «quasi un miracolo», per l’ampio appoggio che è riuscita a raccogliere rispetto a dodici mesi or sono, quando il Sinodo appariva ancora sostanzialmente diviso a metà.
Se il provvedimento è passato quasi all’unanimità, il merito è di una formula che, pur introducendo l’episcopato per le donne, la accompagna con una dichiarazione dei vescovi che guiderà le diocesi contrarie al rivoluzionario provvedimento. Viene istituita la figura di un “ombudsman”, una sorta di giudice al di sopra delle parti, che valuterà caso per caso ogni possibile disputa. Il clero più tradizionalista che si opponesse alla riforma e rifiutasse di cooperare con le indagini dell’ombudsman potrebbe essere punito con misure disciplinari.
«Ma è presto per stappare lo champagne o qualsiasi cosa un sacerdote voglia bere per festeggiare in circostanze del genere », commenta l’arcivescovo di York, John Sentamu, «perché dobbiamo cercare di lavorare insieme e restare uniti in questa vicenda». In effetti ci saranno altri voti su aspetti secondari del provvedimento, prima che la riforma entri ufficialmente in vigore e in ogni caso le prime donne sacerdoti non potranno essere ordinate vescovo prima del luglio prossimo. Lo spettro di una scissione del movimento anglicano, già sollevato dalla questione dei vescovi omosessuali, non è scomparso. «Questo voto è comunque un passo incoraggiante - dice la teologa Vicky Beeching - è importante vedere riconosciuto dal 92 per cento dei membri del Sinodo quello che nei sondaggi è accettato dalla popolazione generale, e cioè che le donne possono fare tutto quello che fanno gli uomini, compreso il vescovo».
IL CARDINALE CARLO M. MARTINI, in Conversazioni notturne a Gerusalemme, ricorda:
"Negli anni ’90 sono andato a trovare a Canterbury l’allora primate della Chiesa d’Inghilterra, l’arcivescovo dottor Gorge Leonard Carey. L’ordinazione di donne aveva provocato tensioni nella sua Chiesa. Ho tentato di infondergli coraggio in questa impresa: potrebbe aiutare anche noi a rendere più giustizia alle donne e a comprendere come andare avanti. Non dobbiamo essere scontenti perché la Chiesa evangelica e quella anglicana ordinano donne, introducendo così un elemento fondamentale nel contesto del grande ecumenismo. E tuttavia questo non è un motivo per uniformare le diverse tradizioni".
Se Eva non vuole le donne vescovo
di Giovanni Panettiere (Quotidiano.net, 29 novembre 2012)
CHI HA UCCISO le donne vescovo? Chi ha affossato la riforma della Chiesa d’Inghilterra? I successori degli apostoli? I parroci? No Signore, i laici. Metà dei quali di sesso femminile. A decretarlo l’analisi del voto al Sinodo generale che una decina di giorni fa ha bocciato l’ordinazione episcopale in rosa. Servivano i due terzi dei suffragi in ciascuna delle tre camere dell’assemblea (vescovi, preti e laici). I bookmakers scommettevano su una vittoria al filo di lana dei progressisti. Si sbagliavano: 44 voti a favore e tre contrari fra i vescovi, 148 sì e 45 no nel clero, ’solo’ 132 favorevoli e 74 contrari tra i laici.
ORA si è venuto a sapere che nella terza camera metà dei no all’ordinazione episcopale femminile
sono arrivati dalle rappresentanti del gentil sesso. Susie Leafe ha votato contro la riforma:
DI TUTT’ALTRO avviso il segretario generale del Sinodo, William Fittall, che è già al lavoro per
ribaltare il responso del 20 novembre. Nel documento intitolato Women in the Episcopate-Where
Next? sottolinea:
I LIBERAL sognano di poter tornare a discutere la questione, magari partendo dalla bozza Fittall, già nel Sinodo generale di luglio, anche se, di regola, servirebbero tre-cinque anni per poter ripresentare una proposta cassata dall’assemblea generale. Dalla loro hanno il fatto che la riforma non è passata per un soffio. Vedremo se basterà. La volontà finale del fronte riformatore è quella di sottoporre al Parlamento di Sua Maestà la delibera favorevole all’ordinazione episcopale femminile entro e non oltre il 2015. Non si deve dimenticare che il diritto costituzionale britannico e gli stretti rapporti tra Stato e Canterbury conferiscono al Sinodo la possibilità di avanzare e approvare proposte di legge inerenti la Chiesa di Inghilterra, ma la parola finale resta al Parlamento.
INSOMMA, la corsa contro il tempo è appena iniziata. C’è da chiedersi se la fretta sia la migliore consigliera dei progressisti. Verissimo che la riforma, cifre alla mano, è a un tiro di schioppo, ma è altrettanto vero che, se Eva si oppone alle donne vescovo, la strada del cambiamento si fa lunga e dall’ incerto destino. Con il rischio che i riformatori perdano non più la battaglia, ma la guerra
Donne vescovo, fumata nera la Chiesa anglicana dice no
di Enrico Franceschini (la Repubblica, 21 novembre 2012)
Il paese in cui i preti possono sposarsi e avere figli indietreggia sulla soglia di un’altra rivoluzione: darci anche la prima donna vescovo, e perché no arcivescovo, che da queste parti equivale al papa. Dopo un dibattito acceso, a porte aperte e sotto l’occhio delle telecamere, dunque ben diverso dai segreti conclavi del cattolicesimo, il Sinodo Generale della chiesa anglicana ha respinto ieri sera l’episcopato femminile.
Ma il modo in cui ha detto di no alla riforma rivela che si tratta solo del rinvio di un evento inevitabile. Perché il provvedimento fosse approvato, occorreva una maggioranza di due terzi in ciascuno dei settori in cui è diviso il “governo” della Chiesa d’Inghilterra, ossia un mandato molto ampio. È stato raggiunto tra i vescovi: 44 a favore, soltanto 3 contrari. È stato raggiunto tra i sacerdoti membri del Sinodo: 148 a favore, 45 contrari. Ma l’obiettivo è mancato tra i membri laici dell’alto consesso, tra i quali i sì hanno prevalso, 132 a 74, ma senza la necessaria maggioranza di due terzi.
Il risultato dimostra insomma che la maggior parte dei “professionisti” della fede, vescovi e preti, sono già convinti della necessità di approvare l’ordinazione di vescovi di sesso femminile. Non potrebbe essere altrimenti, visto che nei vent’anni dall’ordinazione femminile al sacerdozio, in questo paese, le donne prete sono diventate 4mila, un terzo del totale, e l’anno scorso erano metà dei nuovi sacerdozi. Con quale giustificazione proibire loro di “fare carriera”?
Ma i parrocchiani, in questo caso, sono più tradizionalisti del parroco: non tutti, visto che un’ampia maggioranza dei laici del Sinodo ha comunque votato per la riforma, ma una minoranza abbastanza larga da sbarrarle la strada, rappresentativa dell’ala più conservatrice, evangelica, dottrinale.
Le ragioni espresse per dire no alle donne vescovo sono essenzialmente due: Gesù aveva solo apostoli uomini, segno che la leadership della chiesa dovrebbe essere maschile; e il timore di un dialogo più difficile con la chiesa di Roma, verso la quale corrono molte pecorelle smarrite del movimento anglicano (fra cui Tony Blair, convertitosi dopo le dimissioni da primo ministro). Gli stessi che non vogliono i matrimoni gay (con rito religioso, poiché il premier Cameron ha promesso di legalizzare in ogni caso quelli con rito civile). Ci sono anche preti anglicani all’antica, a cui non piaceva l’idea di «prendere ordini da una donna vescovo», come si è lasciato scappar detto qualcuno nei corridoi del Sinodo: ma sono pochi.
L’arcivescovo di Canterbury uscente, Rowan Williams, aveva invitato a votare sì, osservando che un no «non porterebbe nulla di positivo alla nostra comunità». Il suo successore Justin Welby ha ugualmente esortato a «finire il lavoro che abbiamo cominciato» con l’ordinazione delle donne al sacerdozio. Una delle quali, Rosie Harper, ha ammonito: «Una Chiesa con standard morali diversi dal resto della società darà l’immagine di una Chiesa morente, incapace di guardare al futuro». Ci riproveranno, gli anglicani, a guardare al futuro, ma dovranno passare altri quattro o cinque anni prima che una dei loro sacerdoti possa aspirare a diventare vescovo, o magari arcivescovo, “papessa”.
Un ex petroliere a capo di una Chiesa anglicana sull’orlo dello scisma
di Eric Albert
“Le Monde” dell’11 novembre 2012
(traduzione: www.finesettimana.org)
Una ventata d’aria fresca ha soffiato sul palazzo di Lambeth venerdì 9 novembre. Nella bella residenza londinese del XIII secolo del capo spirituale della Chiesa anglicana, sulle rive del Tamigi, il nuovo arcivescovo di Canterbury si è presentato alla stampa, subito dopo la sua nomina ufficiale da parte della regina d’Inghilterra. Senza tonaca e rimboccandosi le maniche della camicia, Justin Welby, 56 anni, ha risposto in modo chiaro e franco alle domande.
“Sì”, è a favore delle donne vescovo e voterà a favore di questa proposta nel prossimo sinodo che inizierà il 19 novembre. In compenso, pur non avendo alcuna opposizione di principio a che il matrimonio omosessuale civile sia introdotto dal governo britannico, pensa che non debba essere imposto alla Chiesa. In poche frasi, il nuovo primate anglicano ha espresso la sua posizione, incidendo due dei bubboni che tormentano gli anglicani.
Il linguaggio diretto e conciso, costellato di umorismo, contrasta con le frasi complicate del suo predecessore Rowan Williams, che ricopriva la carica da nove anni e che aveva annunciato, in aprile, l’intenzione di dare le dimissioni, una decisione per nulla eccezionale per gli anglicani. Williams è un teologo affermato, ma non ama prendere posizioni nette. Bisogna dire che la Comunione anglicana, che riunisce 80 milioni di fedeli in 38 “province” in tutto il mondo, rischia lo scisma.
Da un lato, l’ala conservatrice, principalmente in Africa, si oppone al riconoscimento dei vescovi omosessuali ed è molto reticente alla nomina delle donne vescovo. Dall’altro i progressisti, negli Stati Uniti e in Gran Bretagna (anche se divisioni esistono pure qui), ritengono che la Chiesa debba vivere con il suo tempo ed accettare questi cambiamenti. I disaccordi sono così vivi che quasi un quarto dei vescovi anglicani hanno boicottato la conferenza di Lambeth nel 2008, la loro grande riunione decennale. Per sostituire Rowan Williams, la Chiesa anglicana aveva quindi bisogno di qualcuno capace di andare al di là delle divisioni. Ma la scelta di Justin Welby ha sorpreso. Quasi sconosciuto al grande pubblico, è vescovo solo da un anno. E il suo percorso è atipico.
L’uomo ha avuto una prima carriera di undici anni nell’industria petrolifera, e solo dopo ha avuto una vocazione tardiva. Avendo studiato a Eton (la scuola privata altolocata da cui è uscito tra l’altro il primo ministro, David Cameron, poi a Cambridge), il dr. Welby era destinato alle più alte responsabilità. Assunto a Parigi da Elf Aquitaine nel 1978 - di questa esperienza ha conservato un eccellente francese ed una casa in Normandia - ha rapidamente raggiunto posizioni al vertice nell’azienda, occupandosi essenzialmente di finanza, in particolare in Nigeria. Dopo cinque anni in Francia, è rientrato in Inghilterra, divenendo tesoriere di Enterprise Oil, un’importante società britannica quotata in borsa, che gli versava uno stipendio molto alto.
Nel 1983 vive una tragedia familiare: la figlia di sette mesi muore in un incidente d’auto. Questa esperienza, accompagnata dalla convinzione di una chiamata di Dio, lo spinge a lasciare tutto, sei anni dopo, all’età di 31 anni. Ordinato nel 1992, padre di cinque figli, non ha mostrato interesse per una scalata nella gerarchia religiosa, preferendo il lavoro sul campo. Dopo essere stato a lungo prete a Coventry, poi a Liverpool, è stato nominato vescovo di Durham nel 2011. Oggi, dice di essersi sorpreso lui per primo di essere stato improvvisamente catapultato a capo degli anglicani. “L’esperienza di queste ultime settimane è stata per lo meno strana. (...). Ma quando la Chiesa ti sceglie, bisogna dire di sì al Signore”.
Al di là del tono diretto, il Dr Welby è considerato un conservatore. Appartiene al ramo evangelical degli anglicani. Grazie alla sua esperienza fuori della Chiesa, sa che la religione non ha alcuna importanza per gran parte dei britannici. Il suo obiettivo è di reintrodurla nella vita quotidiana delle persone.
Il Dr. Welby ha anche lavorato molto alla risoluzione dei conflitti, in particolare tra cristiani e musulmani nel nord della Nigeria.
La lezione che ne trae? Che bisogna accettare di non essere d’accordo, ma che semplicemente bisogna lasciare uno spazio all’altro. “Voglio che la Chiesa sia un luogo in cui si possa essere in disaccordo nell’amore.” Un metodo di cui avrà proprio bisogno per evitare uno scisma, quando assumerà ufficialmente le sue funzioni nel marzo 2013
NUOVO PRIMATE DELLA CHIESA ANGLICANA: LA DIFFICILE SINTESI TRA CONSERVAZIONE E INNOVAZIONE
da Adista Notizie n. 41 del 17/11/2012 *
36928. CANTERBURY-ADISTA. 56 anni, amico dei Kennedy, fino ad oggi vescovo di Durham e rappresentante della Camera alta a Westminster, un perfetto curriculum di studi in storia a Eton e a Cambridge, Justin Welby ha fatto notizia la scorsa estate per aver fustigato il colosso bancario Barclays, accusandolo di speculazione e avidità, e per aver sostenuto il movimento «Occupy London» («Hanno ragione, in questa finanza c’è davvero molto che non va bene», ebbe a dire a loro riguardo). La nomina del nuovo primate della Chiesa anglicana, chiamato a succedere a Rowan Williams, dimissionario a dicembre, alla guida di 77 milioni di fedeli, ha sorpreso molti, benché il suo nome fosse tra quelli dei candidati papabili, anche per la brevità della sua esperienza di vescovo a Durham, quinta sede della Chiesa d’Inghilterra in ordine di importanza, che data da novembre 2011 (in precedenza, però, è stato decano a Liverpool e parroco in diverse realtà locali). La Crown Nominations Commission, invece, dopo settimane di consultazioni avvenute in un’atmosfera di grande segretezza e in un totale silenzio stampa, ha scelto proprio lui, figlio di un mercante-contrabbandiere di whisky e della segretaria personale di Churchill, sposato e padre di cinque figli, nonno da qualche mese, esperto di economia e finanza grazie al suo passato di manager presso grandi compagnie petrolifere. Un uomo, insomma, che ha vissuto molto nel “mondo”, con una non lunghissima esperienza pastorale ma con un forte contatto con la realtà secolare. La sua è una vocazione tardiva: nel 1987, la tragedia della perdita di una figlia in un incidente d’auto, risalente a qualche tempo prima, impresse alla sua vita una svolta: l’ordinazione nella Chiesa d’Inghilterra, avvenuta cinque anni dopo.
Da un punto di vista teologico, Welby è schierato con la parte più tradizionalista e conservatrice della Chiesa anglicana, ma gode di consensi anche tra i progressisti; si è espresso contro il progetto governativo del riconoscimento giuridico del matrimonio omosessuale, nonché contro la consacrazione episcopale dei gay, ma sono in molti a considerarlo una persona pragmatica e flessibile: e in un momento di estrema divisione all’interno della comunione anglicana su temi come l’omosessualità o il ruolo delle donne nella Chiesa, le sue capacità diplomatiche saranno certamente messe alla prova. Uno dei contendenti all’incarico di primate, l’arcivescovo di York John Sentamu, per lungo tempo considerato il candidato favorito, sarebbe stato meno disposto a dialogare al riguardo.
Mentre, nel momento in cui scriviamo, si attende ancora la formalizzazione dell’incarico da parte di Downing Street, cominciano già a profilarsi le sfide più immediate che Welby si troverà ad affrontare: a fine novembre, infatti si attende la decisione definitiva riguardante la consacrazione episcopale delle donne. Una questione che ha gravemente spaccato l’unità della Chiesa anglicana, che Williams, nel tempo, ha portato avanti con convinzione e determinazione, e da cui Welby sembra non essere affatto lontano. (ludovica eugenio)
* Il Dialogo, 17.11.2012
Benedetti matrimoni gay
di Giuseppe Acconcia (il manifesto, 10 novembre 2012)
E’ Justin Welby, 56 anni, il 105esimo arcivescovo di Canterbury. Nominato vescovo di Durham da un anno appena, laureatosi nella prestigiosa Università di Eton, Welby è un uomo dalle tante vite. Suo padre è stato commerciante di whisky negli anni del proibizionismo negli Stati uniti, prima di diventare dirigente di una delle aziende produttrici di alcool sopravvissute alle chiusure. Figlio della segretaria privata di Winston Churchill, come il padre, anche Welby ha completamente capovolto la sua vita. Ha iniziato a lavorare per la Elf in Francia ed è stato poi tesoriere per undici anni dell’Enterprise oil, compagnia petrolifera impegnata soprattutto in Nigeria.
Ma nel 1987 è arrivata la vocazione. Welby prima è diventato prete anglicano e poi si è laureato in teologia all’Università di Durham. Mentre molti suoi vecchi colleghi venivano arrestati per corruzione, Welby discuteva la sua tesi dal titolo: «Le aziende possono peccare?». Con la moglie Caroline è padre di sei figli, una delle quali, Johanna, è morta in un’incidente stradale nel 1983: l’episodio che ha segnato più duramente la sua vita. Una volta diventato vescovo, Welby è stato per due anni direttore di un ospedale del Servizio sanitario nazionale (Nhs). Non solo, l’arcivescovo di Canterbury è uno degli esponenti della commissione parlamentare sui tassi interbancari, nominata dopo lo scandalo dell’estate scorsa sulla falsificazione del Libor, che ha portato alle dimissioni dei vertici della Barclays e coinvolto i maggiori istituti di credito britannici.
Il pragmatico vescovo di Canterbury salirà sul trono come guida della chiesa anglicana il 21 marzo prossimo, succedendo a Rowan Williams. «Essere nominato arcivescovo mi rende esterrefatto ed emozionato» - è stato il suo primo commento all’annuncio. «Sento il grande privilegio di essere responsabile della guida della chiesa in un momento cruciale e sono completamente ottimista sul suo futuro» - ha proseguito Welby. L’arcivescovo ha poi incontrato la stampa nella residenza del palazzo Lambeth, periferia di Londra, circondato dagli affreschi dei suoi predecessori. Rivolto ai presenti, si è detto desideroso di usare per la prima volta Twitter per veicolare i messaggi dal trono che fu di Sant’Agostino (ndr.: di Canterbury).
Welby ha anche raccontato di aver aperto la lettera con l’annuncio del primo ministro, David Cameron, mentre si affrettava ad andare ad un appuntamento per strada e di aver esclamato «oh, no!». «Credo che avere come guida anglicana qualcuno che ha avuto una vita fuori dalla chiesa porterà un gran respiro di aria fresca» - è stato il primo commento di Cameron all’annuncio della nomina. Una delle prime richieste del nuovo arcivescovo di Canterbury è che il Sinodo generale che si riunirà in questo mese approvi la legislazione che permetterà l’accesso all’episcopato per le donne.
Se Welby, da una parte, ha sottolineato come ogni discriminazione in base al sesso non verrà permessa, dall’altra, ha confermato la sua opposizione contro i matrimoni tra omosessuali. Ma i toni sono apparsi conciliatori. «È assolutamente giusto che lo stato definisca i diritti e lo status di persone che convivono in forme diverse di relazione, incluse le unioni civili. Non dobbiamo permettere che in nessuna parte della chiesa ci sia spazio per l’omofobia» - ha detto Welby. Ma è andato anche oltre: «So di dover ascoltare attentamente le comunità Lgbt e esaminare le mie convinzioni personali».
Welby si è poi espresso a favore dell’ordinazione di preti omosessuali se accettano il celibato. In merito ai tagli allo stato sociale, imposti dalle misure di austerità volute dal governo conservatore, il nuovo arcivescovo di Canterbury non si è mai sbilanciato. «Credo che iniziative come Occupy Saint Paul riflettano il senso che qualcosa è sbagliato, ma dobbiamo chiederci cosa»- ha concluso Welby nel perfetto stile diplomatico della chiesa anglicana. Nella gestione pastorale, per Welby sarà complesso mettere in atto il promesso episcopato femminile, che ancora trova una dura critica nelle gerarchie ecclesiastiche. Infine, dovrà riformare la carente gestione della chiesa di Canterbury nel mondo e mettere in discussione l’intero sistema di finanziamento della chiesa anglicana, su base di congregazioni.
Da ex manager del petrolio ad arcivescovo di Canterbury
di Enrico Franceschini (la Repubblica, 9 novembre 2012)
Immaginate se la prossima fumata bianca in Vaticano annunciasse la nomina di un papa che prima di prendere i voti faceva il petroliere e in più ha moglie, cinque figli, una laurea in Economia, siede in Parlamento ed è vescovo soltanto da un anno. Ebbene, questo è l’uomo che sarà presentato oggi dalla regina Elisabetta e da Downing street come il nuovo “papa” di 80 milioni di cristiani anglicani: decisione insolita, anche per una chiesa moderna come quella d’Inghilterra, ma che tuttavia a Londra non scatenerà il finimondo.
Justin Welby, 56 anni, vescovo di Durham, è stato scelto - secondo le indiscrezioni di giornali e Bbc - come nuovo arcivescovo di Canterbury, ovvero come leader spirituale della Chiesa Anglicana, che ha invece nel sovrano il suo capo secolare, dal tempo dello scisma voluto da Enrico VIII per potersi risposare (com’è noto, poi ci prese gusto).
Non c’erano dubbi che Welby fosse destinato a fare carriera: un suo bisnonno è stato governatore dell’India sotto l’Impero britannico, un prozio è stato ministro del Tesoro, sua madre era la segretaria di Winston Churchill e si è risposata in seconde nozze con un barone ex-campione di cricket.
Con una famiglia così, non sorprende che il nuovo arcivescovo abbia studiato a Eton, la scuola dei (futuri) re e primi ministri, e poi all’università di Cambridge. Solo che la carriera, inizialmente, sembrava propenso a farla nel business: per la precisione nel petrolio, come dirigente della Elf Aquitane e dell’Enterprise Oil.
Solo una tragedia personale gli ha fatto cambiare strada: a 31 anni ha perso una figlia, morta in un incidente d’auto, e qualche mese dopo ha smesso di fare il manager dell’oro nero per prendere i voti e dedicarsi al sacerdozio. Ma fino a dieci anni or sono era un semplice vicario, un parroco, poi è diventato diacono di Liverpool e meno di un anno fa vescovo di Durham (carica che comporta la nomina alla camera dei Lord, dove con il suo background è entrato subito nella commissione banche e finanza).
Più o meno nello stesso momento l’arcivescovo di Canterbury in carica, Rowan Williams, preannunciò le dimissioni con cinque o sei anni di anticipo rispetto alla norma (sì: i “papi anglicani” vanno in pensione, solitamente a 65 anni). Motivo: l’incapacità di tenere insieme progressisti e conservatori all’interno della sua Chiesa, tra modernizzatori che vogliono vescovi e matrimoni gay, tradizionalisti che li aborriscono e la concorrenza della Chiesa cattolica che accoglie questi ultimi come pecorelle smarrite.
Dopo mesi di consultazioni, i sedici membri della Crown Nomination Commission, equivalente del conclave vaticano, nei giorni scorsi hanno consegnato a Cameron due nomi come successori: la prassi vuole che il premier scelga il primo e lo sottoponga alla regina per l’approvazione finale. Perché Welby? Perché il “papa petroliere” ha dimostrato capacità di brillante mediatore nella sua vita precedente come uomo d’affari, è personalmente contrario ai vescovi omosessuali ma favorevole alle donne vescovo, meno di sinistra del predecessore ma altrettanto schierato in difesa dei poveri e contro gli eccessi della City. Insomma si spera che sia l’uomo giusto per trovare un compromesso e mantenere unita una chiesa che rischia di spaccarsi.
È soprannominato “Mr. Bean” per l’aria svagata, ma in realtà è un duro che in questi anni ha rischiato anche la vita per mediare la pace fra cristiani e musulmani in Nigeria. Prima di cedergli il posto, l’arcivescovo di Canterbury uscente gli ha dato un solo consiglio: «Tenere la Bibbia in una mano e un giornale nell’altra», ossia predicare senza perdere di vista i problemi concreti del mondo. Non dovrebbe essere difficile, per un ex- petroliere.
Welby, arcivescovo «no global» a capo della Chiesa d’Inghilterra
di Fabio Cavalera (Corriere della Sera, 9 novembre 2012)
Di quale pasta sia fatto il nuovo capo spirituale degli anglicani lo si era capito un giorno della scorsa estate quando il presidente della Barclays, sir David Walker, presentandosi con un certa baldanza davanti ai Lord si trovò investito da una domanda che era una sciabolata al cuore: «Ma voi banchieri perché siete così tanto avidi? Perché vi arricchite speculando coi soldi degli altri?». Justin Welby, all’epoca era il vescovo della diocesi di Durham ed era pure uno dei rappresentanti nella Camera alta a Westminster della Chiesa d’Inghilterra. Tutti sapevano che il cinquantaseienne figlio di un commerciante di whisky nonché amico della famiglia Kennedy e di Jane Portal, una delle segretarie di Winston Churchill, aveva (e ha) il dente avvelenato con i padroni e con padrini della City.
Ma che un tipo così, nonostante gli studi a Eton e Cambridge (storia), nonostante l’educazione doc, nonostante il suo passato di perfetto «business man», lanciasse pubblicamente la sua sfida al numero uno di un colosso del credito come Barclays, pochi pensavano che potesse accadere. E ancora meno erano quelli che, essendo vacante la cattedra di arcivescovo di Canterbury dopo l’uscita di Rowan Williams, puntavano sull’ascesa di questo signore al soglio massimo anglicano. E, invece, la Crown Nominations Commission, dopo tanto dibattere nella cristianità inglese, alla fine ha chiamato proprio lui: sarà dunque «il fustigatore» della City a comandare (dopo sua maestà, che ne è il vertice simbolico) il gregge dei fedeli.
Chi l’avrebbe mai azzardata, quel giorno dell’estate olimpica, una previsione simile? Scherzi del destino. Nella capitale mondiale della finanza la Chiesa d’Inghilterra sceglie di essere governata da un uomo (sposato e padre di cinque figli) e da un vescovo-lord che della riforma bancaria e della necessità di controlli rigidi su ciò che i «maghi» dei tassi e dei mercati combinano nel segreto delle loro «stanze di guerra», fa il suo moderno vangelo. E non per improvvisa ispirazione divina ma perché Justin Welby la conosce bene la City e conosce bene i «peccati (sue parole) che le grandi company commettono». Ha lavorato nel Miglio Quadrato e ha servito il capitalismo internazionale.
Già, storia interessante quella del neo arcivescovo di Canterbury. «La chiamata di Dio» (sempre sue parole) l’ha avvertita tardi. Dopo la laurea e i dottorati di ricerca, Justin Welby, non ancora presule, aveva trovato impiego nelle aziende petrolifere (alla Elf francese ella Enterprise Oil Plc). Ne era diventato un manager, viaggiava fra Londra, Parigi e l’Africa, nelle aree di estrazione nel Niger («ho visto molti colleghi arrestati per corruzione»), era diventato un apprezzato «trader» dei famigerati titoli derivati. Poi nel 1987 la tragedia che gli cambiò la vita: muore la sua bambina. Il dolore, la riflessione, l’ordinazione nella Chiesa d’Inghilterra.
Justin Welby ha cominciato subito a predicare contro le brame della finanza allegra e ladrona, osservata tanto da vicino: in un saggio del 1997, dal titolo «L’etica dei derivati» già spiegava la struttura e l’inganno dei futures, degli swaps, dei contratti «pronti contro termine», e concludeva: «Sono strumenti potenti, necessitano di monitoraggi severi». Una voce mai arrivata ai piani alti della City: ben 10 anni prima che la finanza venisse travolta dalle sue stesse diaboliche creature.
Il nuovo arcivescovo di Canterbury adesso risfodera i suoi insegnamenti. Può farlo: top manager e top bankers spregiudicati sono nel mirino. Inneggia al movimento «Occupy London», gli antagonisti che si accamparono davanti a St Paul: «Hanno ragione, in questa finanza c’è davvero molto che non va bene». Il censore più pericoloso la City lo trova in casa. E non può prenderlo sotto gamba.
Le donne preti trovano il loro spazio nella Chiesa anglicana
di Tristan de Bourbon
in “La Croix” dell’8 marzo 2012 (traduzione: www.finesettimana.org)
“Come essere credibili discutendo con persone di un paese in cui le donne sono oppresse, se si fa la stessa cosa tra noi? Chi vorrebbe discutere con una Chiesa che discrimina?”. Rosie Harper è lanciata e si dimostra inesauribile sull’argomento. A 56 anni, prete dal 2000, conosce quanto sia difficile essere una donna nella Chiesa anglicana ed essere riconosciuta dai suoi pari, nel momento in cui la questione della nomina delle donne alla funzione di vescovo scuote le fila di questa Chiesa. “Il problema si pone solo con un numero ristretto di membri del clero, assicura. Dalla maggior parte dei preti, il cambiamento è stato accettato, ma gli altri si impuntano e mi dicono: ’Niente di personale, ma lei non può essere prete.’ Uno di loro un giorno mi ha detto: ’Io sono favorevole al fatto che lei sia prete, ma Dio non lo è’.”
Questa opposizione si concretizza talvolta in maniera alquanto estrema. “Certi ospedali, ad esempio, dispongono di due luoghi diversi per conservare gli oli per il sacramento degli infermi, perché certi preti uomini rifiutano di toccare quelli che sono stati utilizzati da una donna prete. Ma c’è una cosa ben più evidente: il vescovo di Londra non ha mai ordinato donne preti, perché questo significherebbe allontanare molti futuri preti che rifiuterebbero di essere ordinati da un vescovo che abbia in precedenza ordinato una donna.”
Sally Hitchiner, 32 anni, è stata quindi ordinata prete da un vescovo ausiliare di Londra, in una semplice chiesa, dopo essere stata ordinata diacono un anno prima nella cattedrale Saint-Paul, di Londra. “Ho sentito la stessa differenza tra queste due tappe, come tra Natale e Pasqua, precisa. La prima era grandiosa e festosa, con duemila persone nella cattedrale per 35 futuri diaconi, la seconda più interiore, sacra e religiosa. Ma ci hanno fatto chiaramente capire, e ce lo teniamo a mente, che il nostro vescovo non ci ha ordinate.”
Aveva solo 14 anni quando nel 1994 le prime donne sono state ordinate preti. Per questo, essendo il cambiamento ancora abbastanza recente, ammette di comprendere le reticenze di una parte del clero. “Invece, gli uomini ordinati preti dopo il 1994 sapevano molto bene entrando nella Chiesa in che cosa si avventuravano...” Certe regioni del Regno Unito le sembrano molto più chiuse di altre nei confronti delle donne. “Londra è senza dubbio la più tradizionale”, segnala Sally Hitchiner. “Nella diocesi di Edmonton, solo due donne celebrano, su un centinaio di parrocchie. E durante le riunioni, i preti uomini a volte rifiutano di parlare con noi. Io sono fortunata, il mio vescovo, al contrario, è un sostenitore della causa delle donne e mi ha sempre sostenuta. Ad esempio, il mio posto alla chiesa Saint John d’Ealing era già occupato da una donna prima del mio arrivo.” La situazione sembra meglio accettata nelle regioni del nord del paese, più povere “perché tutti si concentrano su dei bisogni ben più essenziali”, è la sua opinione.
Katie Tupling, 37 anni, è appunto vicaria in tre parrocchie vicine alla città di Derby (nord dell’Inghilterra). “Con i fedeli, tutto è sempre andato bene. Erano abituati ad avere un uomo al mio posto, all’inizio hanno dovuto adattarsi. Non c’è mai stato un dibattito teologico sulla questione, questo non li interessa. Tanto più che faccio parte della seconda ondata di donne preti e che la cosa non ha quindi nulla di rivoluzionario.” La sua testimonianza è confermata dalle sue due “consorelle”. Anche loro non hanno mai sentito la minima aggressività, “a volte un po’ di sessismo quando un uomo anziano viene a ringraziarmi e a dirmi che ’le cose erano state fatte bene’, sottinteso: per una donna”, dice sorridendo Rosie Harper.
Il loro presbiterato, invece, può diventare problematico nella loro vita personale. Finanziariamente, il loro reddito è identico, sulla base di una griglia salariale, ma la loro scelta può provocare sgomento tra le persone intorno a loro. “Mio padre, che è prete, all’inizio era molto scioccato, ricorda Rosie Harper. Dopo molteplici discussioni, ha capito che doveva rassegnarsi e l’ha accettato molto bene.” Lo stesso vale per Sally Hitchiner, che usa anch’essa il verbo “scioccare” per descrivere la reazione del padre. “Molto tradizionale, voleva che io seguissi un percorso normale per avere una “vita normale”. È stato difficile all’inizio. Per mostrarmi, poi, che mi sosteneva e che era molto orgoglioso di me, ha pagato il vestito della mia ordinazione, ossia più di 1000 €, dicendomi: ’Ogni volta che lo porterai, voglio che tu sappia che sono con te’...”
Ma il presbiterato pone più problemi alla sua vita privata. “Per il momento sono nubile. Penso che gli uomini facciano fatica ad accettare di vivere con una donna che dirige la loro parrocchia, ammette la giovane donna. “E meno male che faccio parte della seconda generazione di donne ordinate, per cui posso vivere come voglio,mettere la gonna, curare il mio aspetto, mentre la maggior parte delle donne diventate preti durante gli anni ’90 portavano i capelli corti...”
Rosie Harper e Kate Tupling non hanno avuto questa preoccupazione. Rosie era già sposata, cantante lirica e madre di tre figli quando ha deciso di fare il grande salto, il giorno stesso del cambiamento della legge nel Sinodo del 1994. “Mio marito era prete, lo aveva chiaramente intuito e mi ha sempre sostenuta. Avevo un po’ paura per i miei figli [ndr.: e le loro relazioni con i coetanei], ma i loro amici hanno trovato fantastico il fatto che avessero un padre e una madre preti!” Kate ha incontrato suo marito alla facoltà di teologia all’università. “Quindi sapeva che ci pensavo e mi è sempre stato di grande aiuto. In questo periodo, ha lasciato il lavoro per occuparsi di nostro figlio di 19 mesi, di modo che io possa occuparmi totalmente delle mie parrocchie.”
http://www.repubblica.it/esteri/2011/01/15/news/preti_cattolici_moglie-11269464/
IL CASO
Ieri anglicani, oggi preti cattolici all’ordinazione con mogli e figli
Insolito rito ieri a Westminster: tre ex vescovi della Chiesa d’Inghilterra si sono convertiti grazie all’invito del papa seguito al dissenso sulle donne vescovo e anche per la norma cattolica che consente l’ordinazione di religiosi inglesi che fossero precedentemente sposati. Ma non potranno andare oltre il grado di sacerdote
dal nostro corrispondente ENRICO FRANCESCHINI *
LONDRA - Sono preti cattolici. Sono sposati. E hanno dei figli. Come è possibile? E’ possibile perché si tratta di tre ex-vescovi anglicani, che si sono convertiti ieri al cattolicesimo, usufruendo sia dell’invito di Benedetto XVI a lasciare la Chiesa d’Inghilterra per entrare in quella di Roma a causa di un dissenso sulle donne vescovo, sia della norma ecclesiale cattolica che consente l’ordinazione di sacerdoti anglicani che fossero precedentemente sposati. E’ un caso piuttosto raro, ma che potrebbe diventare più comune ora che i contrasti sulle donne vescovo e sulle proposte di estendere l’episcopato anche ai sacerdoti omosessuali, come avviene per esempio negli Stati Uniti, stanno spaccando in due la chiesa anglicana.
Ecco così che sotto le arcate della cattedrale cattolica di Westminster, poco distante da quella anglicana e dal parlamento che portano lo stesso nome, ieri si è officiato un rito come non se ne vedono spesso: tre ex-vescovi anglicani, accompagnati dalle rispettive mogli, con i rispettivi figli seduti in prima fila, hanno ricevuto da monsignor Vincent Nichols, arcivescovo di Westminster e massima autorità cattolica in Inghilterra, l’ordinamento a sacerdoti cattolici. Si tratta del reverendo Andrew Burnham, del reverendo John Broadhurst e del reverendo Keith Newton. Sarà quest’ultimo a guidare uno specifico ordinariato cattolico per gli anglicani convertiti, chiamato Nostra Signora di Walsingham, che è il primo ordinariato eretti dalla congregazione per la dottrina della fede, concepito espressamente per consentire agli anglicani che lo desiderano, evidentemente anche i fedeli, non soltanto i sacerdoti, di passare alla religione cattolica.
Il reverendo Newton ha 58 anni, è sposato con Gill Donnison dal 1973 e la coppia ha tre figli. Dopo l’ordinamento a diacono è stato nominato parroco di Wimbledon nella diocesi anglicana di Southwark, in seguito ha servito in Africa, quindi è rientrato in Inghilterra, e nel 2002 è stato nominato vescovo. Convertendosi ieri al cattolicesimo, sia lui che i suoi due colleghi anglicani hanno perso il precedente status di vescovi che avevano nella chiesa anglicana. "Per ragioni dottrinali", osserva un comunicato del Vaticano, "la Chiesa cattolica non ammette in alcun caso l’ordinazione episcopale di uomini sposati. Nondimeno, la Costituzione Apostolica prevede, a certe condizioni, l’ordinazione come sacerdoti cattolici di ministri sposati già anglicani". Il motivo è evidente: la Chiesa non vuole chiedere a un vescovo o sacerdote anglicano che intendesse convertirsi al cattolicesimo di separarsi dalla moglie e dai figli a cui aveva diritto nella Chiesa d’Inghilterra. Ma al tempo stesso pone il divieto che un uomo sposato, con figli o meno, vada oltre il grado di sacerdote: non potranno dunque in alcun caso diventare vescovi.
La presenza di preti sposati e con figli all’interno della Chiesa cattolica, sia pure in Inghilterra, rappresenta dunque un’eccezione. Si vedrà se è destinata a rappresentare prima o poi un passo verso una svolta dottrinale più ampia, che permetta anche a tutti gli altri sacerdoti cattolici di avere mogli e figli. Per adesso, di sicuro finché Benedetto XVI resterà papa, non sembra un’ipotesi destinata a realizzarsi. Ma la possibilità di "traslocare" con mogli e figli nella Chiesa di Roma è una tentazione allettante per la crescente minoranza di sacerdoti e vescovi anglicani scontenti per le riforme che hanno permesso il sacerdozio e l’episcopato alle donne. Un motivo di tensione tra la Santa Sede e l’arcivescovo di Canterbury, nonostante i buoni propositi di collaborazione e i buoni rapporti creati nel settembre scorso in occasione della visita del papa in Gran Bretagna.
* la Repubblica, 15 gennaio 2011
La Chiesa d’Inghilterra socchiude la porta alle donne vescovo
di Sébastien Martin
"La Croix” del 13 luglio 2010 (traduzione: www.finesettimana.org)
Il sinodo ha respinto un emendamento dell’ala conservatrice, e la legislazione che permetterà di aprire alle donne l’episcopato dovrebbe diventare definitiva entro il 2012. Il lungo e complicato processo democratico della Chiesa d’Inghilterra per autorizzare le donne ad essere vescovo ha appena avuto una svolta. Il sinodo, riunito da venerdì fino ad oggi, ha messo mano ancora ieri alla redazione degli ultimi emendamenti per autorizzare questo cambiamento, ma ormai non c’è più dubbio che nei prossimi anni delle donne diventeranno vescovo. Secondo il calendario di previsione attuale, la legislazione definitiva dovrebbe essere votata nel 2012.
È opportuno innanzitutto ricordare che la Chiesa d’Inghilterra è solo una “provincia” della Chiesa anglicana. L’episcopato è già aperto alle donne in quindici province, e in maniera effettiva in quattro: Stati Uniti, Canada, Nuova Zelanda e Australia. Negli Stati Uniti, fin dal 1989. La Chiesa d’Inghilterra ha autorizzato l’ordinazione delle donne nel 1992. La discussione riguardante le donne vescovo si pone come conseguenza logica di quel voto, e le discussioni teologiche e legislative sono iniziate formalmente un decennio fa.
Tuttavia, il sinodo attuale ha appena segnato una tappa importate, per due ragioni. Da un lato, si tratta di mettere a punto un testo legislativo quasi finale, che sarà o approvato o respinto, ma quest’ultima opzione sembra molto improbabile. D’altra parte, questo sinodo segna una netta vittoria della tendenza detta “liberale” su quella più “conservatrice”. Concretamente, il sinodo esaminando il testo che apre l’episcopato alle donne, ha appena respinto con pochi voti di differenza un emendamento di conciliazione, che mirava a rassicurare gli oppositori, creando una sorta di struttura specifica per loro.
La proposta era sostenuta dalle due figure di punta della Chiesa d’Inghilterra, il Dr. Rowan Williams arcivescovo di Canterbury, e il Dr. John Sentamu, arcivescovo di York. Preoccupati per l’unità della Chiesa, questi ultimi proponevano che i “conservatori”, nel caso si trovassero in una diocesi sotto l’autorità di una donna vescovo, potessero avere un vescovo uomo a cui rispondere. Ma questo vescovo “parallelo” avrebbe avuto la sua autorità specifica, senza essere sotto la direzione della donna vescovo.
Sabato sera, quando questo emendamento numero 514 è stato sottoposto al voto, la camera dei vescovi e la camera dei laici hanno votato a favore. Ma la camera del clero, il terzo organo legislativo, l’ha respinto di poco, con 90 voti contrari, 85 a favore, e 5 astenuti. Per essere accettato, l’emendamento avrebbe dovuto essere votato dalle tre camere con una maggioranza dei due terzi. In parte, questo voto riflette l’emergere delle donne nel clero della Chiesa d’Inghilterra.
Attualmente, sono 3803 le donne ordinate su un totale di 13580 preti, ossia il 28%. Ed è la “camera del clero” che ha bloccato l’emendamento. In altri termini, le donne stesse hanno rifiutato il compromesso proposto per conciliarsi i “conservatori”. “La Chiesa ha avuto ragione di fare tutto quello che poteva per coloro che trovavano questa decisione difficile, ma noi siamo felicissimi che il sinodo abbia alla fine preso la giusta decisione”, dichiara Rachel Weir, presidentessa del gruppo liberale Women and the Church.
In un processo così complicato come quello della legislazione della Chiesa d’Inghilterra il dibattito non è certo completamente finito. Ieri, il sinodo continuava a dibattere riga per riga la proposta legislativa. Ma praticamente non restano più margini di manovra.
Comunque, il sinodo non ha optato per una posizione radicale. Per far spazio ai conservatori, propone che questi ultimi possano rispondere ad un vescovo uomo. Tuttavia, punto cruciale, la sua autorità sarebbe delegata dalla donna vescovo, e non si tratterebbe di un sistema parallelo. Per i conservatori, è inaccettabile. “Non abbiamo ancora trovato una soluzione”, dichiarano con amarezza il Dr Philip Giddings e il Dr Chris Sugden, due vescovi del gruppo conservatore Anglican Mainstream, che riunisce diverse correnti contrarie alle donne vescovo.
Questo voto pone ormai il rischio di vedere un buon numero di conservatori lasciare la Chiesa d’Inghilterra. Il Dr John Sentamu non nasconde la sua preoccupazione. “Così come il giorno segue la notte, sicuramente avremo delle donne vescovo, afferma in una intervista al Times. Ma questo avverrà in maniera tale che la Chiesa d’Inghilterra resti la Chiesa d’Inghilterra?”
Tuttavia, un portavoce della Chiesa d’Inghilterra sottolinea che è improbabile che coloro che se ne andranno siano numerosi come nel 1992, quando c’è stato il via libera per l’ordinazione delle donne prete. Sono rari infatti coloro che hanno accettato l’ordinazione delle donne, ma rifiutano che esse siano anche vescovo.
Infine il testo, una volta adottato al sinodo, dovrà essere votato da ciascuna delle 43 diocesi (sotto forma di sinodi locali). Basta una maggioranza semplice di 22 diocesi per approvare il testo. La proposta tornerà allora davanti al sinodo della Chiesa d’Inghilterra probabilmente nel 2012, per l’approvazione finale, che deve avvenire con una maggioranza dei due terzi. Solo allora, le prime donne vescovo potranno essere nominate negli anni seguenti.
SCANDALO IN NUOVA ZELANDA PER L’IMMAGINE AFFISSA FUORI DA UNA CHIESA ANGLICANA
E se accade con l’Islam?
Cartellone blasfemo scatena la polemica. E se fosse accaduto con l’Islam?
di GIACOMO GALEAZZI (La Stampa,19/12/2009)
Polemica in Nuova Zelanda per un cartellone pubblicitario raffigurante San Giuseppe e la Vergine Maria a letto, appeso fuori da una chiesa anglicana a St. Matthew’s-in-the-city. L’immagine, fatta affiggere dal vicario della chiesa, è accompagnata dalla scritta: «Povero Giuseppe, Dio è difficile da seguire». «Per la nostra tradizione natalizia bimillenaria, Maria è rimasta vergine e Gesù è il figlio di Dio, non di Giuseppe - ha affermato, indignato, Lyndsday Freer, portavoce della comunità cristiana neozelandese - Questo poster è inappropriato e irrispettoso». Secondo un giornale locale, l’immagine sembra suggerire che i due «abbiano appena avuto un rapporto sessuale». Poche ore dopo essere stato affisso, il cartellone è stato deturpato. Qualcuno ha coperto entrambi i volti dei santi e la scritta con della vernice marrone.L’arcidiacono Glynn Cardy, vicario della chiesa di St Matthwès, ha spiegato che il cartellone è stato affisso per «provocare riflessione e dibattito sulle vere origini del Natale». «Il cristianesimo progressista si distingue non soltanto per una visione univoca - ha continuato Cardy - ma anche per instaurare un dialogo con chi la pensa diversamente». E se fosse accaduto con l’Islam?
La Chiesa russa rompe con la “Papessa” tedesca
di Giacomo Galeazzi (La Stampa, 13 dicembre 2009)
L’annuncio-choc è racchiuso in due parole: «Nessun rapporto». Il Patriarcato di Mosca rompe con i protestanti perché «una donna non può guidare la Chiesa». Dalla Riforma di Martin Lutero Margot Kässmann, 51 anni, divorziata dal 2007 e madre di quattro figlie, è la prima «papessa» tedesca, ma la Chiesa ortodossa russa le rifiuta ogni rapporto istituzionale perché non la riconosce come presidente del consiglio delle Chiese evangeliche. Dotata di charme e carattere fermo, schierata contro l’estremismo di destra e a favore dell’integrazione degli immigrati, Frau Margot per un decennio ha guidato la maggiore comunità protestante in Germania, quella di Hannover. Cinque anni fa ha sconfitto il cancro, adesso è a capo dei 25,4 milioni di protestanti (circa un terzo della popolazione).
Ora che, per la prima volta nella storia, le sorti della chiesa tedesca sono affidate a una donna, tutte le principali cariche sono «rosa». Il secondo scranno, quello di presidente del comitato direttivo del
Il Patriarcato critica duramente le posizioni etico-morali delle Chiese evangeliche tedesche: «Giustificano dal punto di vista teologico l’omosessualità, benediscono i matrimoni gay, ritengono che l’aborto non sia un peccato». Insomma, «le Chiese protestanti tedesche non sono Chiese autentiche, ma solo comunità di cristiani». Mosca apprezza, invece, l’impegno di Benedetto XVI sui «valori tradizionali cristiani» e intende arrivare presto al disgelo con il Vaticano: «Siamo alleati nella stessa sfida contro un’aggressiva secolarizzazione, quindi un incontro tra il Patriarca e il Pontefice è possibile e auspicabile, a condizione che cattolici e ortodossi non cerchino di sottrarsi i credenti».
Sulla «papessa» Margot, nota in Germania per abilità oratoria e talento mediatico, Roma e Mosca sono divise. La sua elezione è stata accolta con soddisfazione dalla Chiesa cattolica e anche dalle organizzazioni riformiste. Sono suoi estimatori sia il leader dei vescovi tedeschi, Robert Zollitsch, sia Christian Weisner, capo del movimento ecclesiale «Wir Sind Kirche», secondo il quale «l’elezione fa sperare che presto alle donne saranno aperti tutti gli incarichi e le responsabilità anche nella Chiesa cattolica».
Si apre il dibattito in Italia tra gli studiosi dopo il mea culpa della Chiesa anglicana
Scuse a Darwin, cattolici divisi
Mancuso: riabilitiamo anche Teilhard.
De Mattei: l’evoluzione non è scienza
di Antonio Carioti (Corriere della Sera, 16.09.2008)
Le scuse della Chiesa anglicana a Charles Darwin sono «un atto di onestà intellettuale, anche se bisogna evitare di santificare il naturalista inglese e quindi tenere aperto il dibattito sul fenomeno della vita, di cui la sua teoria evoluzionista dà una spiegazione solo parziale». Il teologo Vito Mancuso, autore del bestseller L’anima e il suo destino (Raffaello Cortina), commenta con favore le novità provenienti dalla Gran Bretagna, riferite ieri dal Corriere, e chiede che anche la Chiesa di Roma compia un passo concreto nella stessa direzione. «Scriverò una lettera aperta - annuncia Mancuso - a monsignor Gianfranco Ravasi, che da presidente del Pontificio consiglio della cultura sta preparando un convegno sull’evoluzione, per chiedergli un gesto nei riguardi di Pierre Teilhard de Chardin, scienziato e gesuita francese che cercò di conciliare la teoria dell’evoluzione con il cristianesimo e nel 1962 venne colpito da un monitum, un richiamo del Sant’Uffizio che rilevava nelle sue opere gravi errori. Ritirare il monitum spetta ovviamente alla Congregazione per la dottrina della fede, l’ex Sant’Uffizio, ma Ravasi potrebbe dare un segnale importante affidando una delle relazioni previste nel convegno al teologo Carlo Molari, un sacerdote romagnolo, ormai anziano, che è stato escluso dall’insegnamento proprio in quanto seguace del pensiero di Teilhard de Chardin».
Pur senza pronunciarsi sul monitum del Sant’Uffizio, anche monsignor Fiorenzo Facchini, paleontologo autore di vari saggi editi da Jaca Book, promuove Teilhard de Chardin: «Al di là di alcune espressioni ambigue, che si potrebbero interpretare in senso panteista (cioè come se identificassero Dio e il mondo), nel complesso la sua opera non è in contrasto con il magistero, tant’è vero che nel 1981 ci fu un riconoscimento nei suoi riguardi da parte del cardinale Agostino Casaroli».
Facchini aggiunge che anche tra Darwin e la Chiesa cattolica non ci sono conti in sospeso: «Sul piano scientifico evoluzione e dottrina cristiana sono compatibili. Però, come ha osservato di recente Benedetto XVI, Darwin vede solo una parte della verità, quella riguardante i meccanismi biologici. Ci sono invece fondamentali domande di significato, circa la natura dell’uomo, cui si può rispondere solo ponendosi su un piano differente, di carattere filosofico e religioso».
Tuttavia altri esponenti del mondo cattolico negano al darwinismo la dignità di teoria scientifica. Per esempio lo storico Roberto de Mattei, presidente della Fondazione Lepanto: «L’evoluzione è solo un’ipotesi filosofica, che non ha ancora trovato un serio supporto da parte della ricerca empirica e ha avuto traduzioni catastrofiche sul piano politico con i regimi totalitari. Infatti il comunismo nasce dalla sintesi tra Hegel e Darwin compiuta da Karl Marx, mentre il razzismo hitleriano trae le sue origini da una mescolanza tra lo stesso Darwin e Friedrich Nietzsche».
Non a caso, de Mattei rifiuta l’idea di riabilitare Teilhard de Chardin: «Il suo pensiero è una tipica espressione del modernismo novecentesco, che fu condannato da san Pio X nell’enciclica Pascendi del 1907 ed è in contraddizione anche con la Fides et ratio di Giovanni Paolo II, nella quale viene respinta ogni forma di evoluzionismo teologico. A mio avviso Teilhard de Chardin merita di restare ai margini della Chiesa, perché la sua filosofia si risolve in un panteismo cosmico, incompatibile con la visione di un Dio trascendente».
La pensa in modo diverso un’altra storica di area cattolica, Lucetta Scaraffia: «Considero molto interessante, anche se forse un po’ troppo ottimista, il tentativo compiuto da Teilhard de Chardin per conciliare la teoria scientifica evoluzionista con una visione dell’universo religiosamente ispirata. Come tutti gli studiosi fortemente innovativi, suscitò diffidenze ed ebbe dei problemi con il Sant’Uffizio, ma oggi mi pare ampiamente recuperato. Quanto a Darwin, bisogna distinguere le sue teorie scientifiche dall’uso antireligioso che ne è stato fatto dalla propaganda atea per attaccare il cristianesimo, riproposto ancora oggi dagli scientisti come Piergiorgio Odifreddi. Ma in realtà l’evoluzionismo suscita ostilità soprattutto nei protestanti, molto legati alla lettera del testo biblico, mentre risulta più facilmente accettabile da parte dei cattolici, che hanno sempre ammesso un’interpretazione allegorica delle Scritture».
Invece il tradizionalista Maurizio Blondet, pur ostile ai fondamentalisti protestanti sul piano religioso e politico, è d’accordo con loro nella lotta al darwinismo, contro il quale ha scritto il libro L’uccellosauro e altri animali (Effedieffe). «La teoria dell’evoluzione - dichiara - viene tenuta in piedi dalla corporazione dei biologi, ma è smentita di continuo dalle scoperte della paleontologia e della genetica. Il grande merito degli evangelici americani è stato quello di dare coraggio ai numerosi scienziati che non esprimevano i loro dubbi sulla visione dominante per timore di rovinarsi la carriera. Che poi oggi gli anglicani chiedano scusa a Darwin, si deve a quella smania deleteria del politicamente corretto che sta provocando un enorme smarrimento anche all’interno della Chiesa cattolica».
Cristianesimo ed omosessualità
Silenzi di tomba.
di Agenzia Adista
Per farlo santo, il vaticano tenta di occultare l’omosessualità del card. Newman *
34557. LONDRA-ADISTA.
Era stata la sua "ultima e imperativa volontà": essere sepolto nella stessa tomba dove riposava il suo amico e compagno di una vita, p. Ambrose St. John. E così era avvenuto: nel 1890 il card. John Henry Newman, figura monumentale della teologia cattolica nell’Inghilterra vittoriana, convertitosi dall’anglicanesimo a 44 anni, fu tumulato nel piccolo cimitero degli Oratoriani, congregazione a cui apparteneva, nella città di Rednal. Ora però la sua pace viene turbata dal Vaticano che, in vista della prossima beatificazione - il cui annuncio è previsto per la fine di quest’anno - intende traslarne le spoglie a Birmingham, in una tomba, si dice, che sia più adeguata alla dignità di un beato.
Immediata è stata la protesta dei movimenti per i diritti gay. Lo spostamento della tomba sarebbe "un atto di profanazione religiosa e di vandalismo morale" per l’attivista Peter Tatchell, che all’Ecumenical News International ha ribadito che "Newman ha ripetutamente detto che voleva essere sepolto accanto al suo partner di una vita, Ambrose St. John. Nessuno ha dato il permesso di opporsi ai desideri di Newman". Lo scopo reale dell’operazione, afferma, è di "coprire l’omosessualità di Newman e ripudiare il suo amore per un uomo. È un atto di vergognosa disonestà e un tradimento personale da parte della Chiesa cattolica omofoba".
E mentre certa parte della stampa cattolica si affretta a dar voce a chi assicura che il rapporto tra i due era di semplice amicizia (come ha fatto Avvenire nell’edizione del 26/8), restano inconfutabili le parole che lo stesso Newman scrisse alla morte di St. John, nel 1875: "Ho sempre pensato che non vi fosse lutto paragonabile a quello di un marito o di una moglie, ma mi risulta difficile credere che ve ne sia uno maggiore del mio". Avvenire riferisce invece quanto dichiarato alla Bbc da Austin Ivereigh, ex consigliere del card. Cormac Murphy O’Connor, primate della Chiesa cattolica d’Inghilterra e Galles: le proteste dei gay sono "sciocchezze" e l’esumazione del corpo di Newman "è parte del processo che porta alla canonizzazione". Per p. Edoardo Aldo Cerrato, procuratore generale della Confederazione degli Oratori di San Filippo Neri, che Newman sia sepolto accanto a St. John è dovuto al fatto che il cimitero "è un fazzoletto di terra". Il governo britannico, nel frattempo ha dato la sua autorizzazione a traslare la salma del cardinale, mentre a Birmingham è già stato allestito un sarcofago di marmo nell’Oratorio di San Filippo Neri, dove Newman visse fino alla fine.
Nato nel 1801, Newman fu alla guida del "Movimento di Oxford" che cercava le radici cattoliche della fede in Inghilterra, poi si convertì e fu ammesso alla Chiesa cattolica nel 1845 e ordinato due anni dopo. Divenuto cardinale nel 1879 su istanza di mons. William Ullathorne da papa Leone XIII, Newman - secondo le parole pronunciate dall’allora card. Joseph Ratzinger nel 1990, in occasione del centenario della morte - fu "l’uomo della coscienza". "Il segno caratteristico del grande dottore nella Chiesa - affermò allora Ratzinger - mi sembra essere quello che egli non insegna solo con il suo pensiero e i suoi discorsi, ma anche con la sua vita, poiché in lui pensiero e vita si compenetrano e si determinano reciprocamente. Se ciò è vero, allora davvero Newman appartiene ai grandi dottori della Chiesa, perché egli nello stesso tempo tocca il nostro cuore e illumina il nostro pensiero".
Prima di lui, già Paolo VI, durante il Concilio Vaticano II, ebbe modo di ricordare la figura del teologo come moderno dottore della Chiesa: era una guida sicura - disse - per tutti coloro che "sono alla ricerca di un preciso orientamento e di una direzione attraverso le incertezze del mondo moderno", anticipando riflessioni ed orientamenti di cui il Concilio si fece interprete. Nel 1979, poi, nel centenario dell’elevazione cardinalizia di Newman, papa Wojtyla - che nel 1991 lo avrebbe dichiarato Venerabile e nel 2001 avrebbe ricordato il bicentenario della nascita - ricordava i tratti distintivi di Newman attribuendogli "profonda onestà intellettuale, fedeltà alla coscienza ed alla grazia, pietà e zelo sacerdotale, devozione alla Chiesa di Cristo ed amore per la sua dottrina, incondizionata fiducia nella Provvidenza ed assoluta obbedienza al volere di Dio". (ludovica eugenio)
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I gay anglicani si mobilitano per la Conferenza anglicana mondiale di Lamberth
Esserci per testimoniare
di Gionata News *
Sono arrivati in Inghilterra i 650 vescovi anglicani che dal 16 al 31 luglio 208 parteciperanno alla "Lambeth Conference", la riunione di tutti i primati anglicani del mondo che si svolge ogni 10 anni a Canterbury, sede storica dell’arcivescovo anglicano.
La Conferenza si svolgerà quest’anno in un clima estremamente delicato, poichè circa 300 vescovi anglicani hanno contestato apertamente la volontà della chiesa d’Inghilterra di ammettere all’episcopato le donne e la decisione delle chiese episcopaliane di Canada e Stati Uniti di ordinare vescovi dichiaratamente gay ed anche di benedire le unioni omosessuali.
Anche le maggiori associazioni di gay anglicani saranno presenti alla Conferenza di Lambeth con eventi paralleli al programma ufficiale perche "i vescovi possano ... onorare l’impegno preso di ascoltare le nostre esperienze".
Segnaliamo alcune delle iniziative e delle tematiche della conferenza di Lamberth 2008:
Alla Conferenza di Lambeth gli anglicani discutono di donne vescovo e omosessualità
I gruppi gay anglicani si mobilitano per la Conferenza di Lambeth
Il vescovo gay Robinson: "diamo un’altra possibilità alla Chiesa" anglicana
I gay anglicani a Lambeth per testimoniare "l’amore inclusivo di Dio"
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Le donne vescovo nella Chiesa d’Inghilterra
di Peter Ciaccio
Proponiamo in anteprima l’editoriale che verrà pubblicato sul prossimo numero del settimanale delle chiese battiste, metodiste e valdesi “Riforma”. L’autore è pastore della chiesa metodista. *
Il 7 luglio il Sinodo generale della Chiesa d’Inghilterra ha deliberato l’ordinazione delle donne al ministero episcopale. Un dibattito serrato di sei ore ha concluso il percorso iniziato nel 2000 con una mozione che chiedeva di discutere la questione delle donne vescovo. Il primo passo di questo cammino fu l’affermazione del Sinodo del 1975 “non vi sono obiezioni fondamentali all’ordinazione delle donne al sacerdozio”, seguita dall’ordinazione della prima diacona nel 1984 e della prima pastora nel 1994. Si prevede che la prima donna vescovo sarà consacrata nel 2015.
Anche se la Chiesa d’Inghilterra non è la prima chiesa della Comunione anglicana né la prima chiesa episcopale a deliberare in tal senso, si tratta di una decisione storica in primo luogo per il carattere simbolico di una chiesa nata da uno scisma che il Vaticano ha sempre ritenuto ricucibile. Nella storia dell’Anglicanesimo ci sono state varie oscillazioni filo-cattoliche fino al recente esodo di un cospicuo gruppo di ministri verso la Chiesa cattolica in reazione all’ordinazione delle donne. L’insuccesso del corteggiamento cattolico nei confronti degli anglicani deriva sicuramente dalla richiesta, sempre sottintesa, di uniformarsi totalmente a Roma.
La Chiesa anglicana presenta caratteristiche ibride cattoliche e protestanti ed è la chiesa di Stato in Inghilterra e in Galles, dove rispecchia la suddivisione in classi della società (da cui la tradizionale distinzione tra “chiesa alta” e “chiesa bassa”). I ministri di culto anglicani possono considerarsi sia preti sia pastori, a seconda della propria vicinanza al cattolicesimo o al protestantesimo. Tuttavia queste sono tutte questioni secondarie, frutto del carattere primario dell’Anglicanesimo: una chiesa con una forte vocazione ecumenica e inclusiva, a partire dal proprio interno, fondata sull’idea di una chiesa di cui tutti possano sentirsi parte. Questo è il vero motivo della storicità del Sinodo di York: la discussione sull’accesso delle donne a tutti i livelli del ministero può concludersi solo con una parte che accetta la posizione dell’altra. Eppure dal 1994 era in atto un tentativo di mediazione, con l’istituzione delle cosiddette “diocesi volanti” extraterritoriali di Ebbsfleet, Richborough e Beverley, cui potevano far riferimento i dissidenti sull’ordinazione delle donne. Queste erano state il tentativo di accogliere i preti che avevano inizialmente lasciato la Chiesa anglicana, ma che poi, fatta esperienza diretta del Cattolicesimo, erano ritornati sui loro passi (ovviamente la stampa italiana ha glissato sul ritorno in massa dei transfughi). Tuttavia, le diocesi volanti hanno finito per accentuare il dissenso, creando uno scisma di fatto, e il Sinodo di York ha concluso tale esperimento: gli anglicani devono accettare l’episcopato, sia maschile sia femminile, nella sua natura territoriale e non “volante” e virtuale.
La decisione di York, inoltre, è un passo in avanti nel percorso, già iniziato, di una piena unità visibile con la Chiesa metodista in Inghilterra. I forti legami a livello locale avevano già portato in anni recenti al progressivo avvicinamento tra le due chiese, fino alla firma nel 2003 del Patto Anglicano-Metodista che afferma tra l’altro il reciproco riconoscimento dei ministeri. Dunque, l’atto del Sinodo di York non è riducibile ad uno scontro tra conservatori e liberali, ma è una tappa importante del cammino ecumenico. Infatti, le differenze principali tra i ministeri delle due chiese erano da una parte l’episcopato anglicano e dall’altra la parità di accesso per le donne ai ministeri della chiesa metodista. Questa decisione del Sinodo anglicano getta le basi per un alto compromesso tra le due chiese, in cui l’una ammette le donne vescove e l’altra potrebbe accettare l’episcopato.
La decisione del Sinodo riguarda solo le province di Canterbury e York della Comunione anglicana. L’altra questione controversa, riguardante i ministri omosessuali, che verrà discussa alla prossima Conferenza di Lambeth, riguarda invece la Comunione anglicana nella sua globalità. Su questo tema le posizioni sembrano ormai radicalizzate e lo scisma pare inevitabile: una nuova sfida per il progetto anglicano di una chiesa ecumenica, unitaria e inclusiva.
Articolo tratto da
NEV - Notizie Evangeliche
Servizio stampa della Federazione delle chiese evangeliche in Italia
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l’intervista
La decisione del Sinodo anglicano di «aprire» alle «donne vescovo» sta lacerando la Chiesa d’Inghilterra. Ed è l’occasione per rileggere le ragioni del magistero cattolico. Monsignor Miralles: «La dignità delle donne nella comunità ecclesiale non dipende dall’accesso al sacerdozio, come mostrano Maria e le sante della nostra storia»
«Come scrisse Paolo VI all’arcivescovo di Canterbury, fu Cristo a designare fra gli uomini i suoi apostoli. E non fu una concessione alla mentalità del tempo, che mai condizionò il nostro Salvatore». Parla il consultore della Congregazione per della Congregazione della fede
Il «no» alle donne prete: «La libera scelta di Gesù è il criterio dei cattolici»
DA ROMA, GIANNI CARDINALE (Avvenire, 11.07.2008)
La decisione del Sinodo anglicano d’Inghilterra di dare il via libera alla nomina di « vescovi » donne ha avuto ampio risalto sui media. Sul perché la Chiesa cattolica ammette al sacerdozio solo uomini Avvenire ha posto alcune domande a monsignor Antonio Miralles, del clero dell’Opus Dei, professore ordinario di teologia sacramentaria alla Pontificia Università della Santa Croce. Spagnolo di Salamanca, ma da 47 anni a Roma, Miralles è consultore della Congregazione per il clero e, dal 1990, della Congregazione per la dottrina della fede.
Monsignor Miralles, perché la Chiesa cattolica non ammette le donne al sacerdozio?
Quando nel 1975 l’arcivescovo di Canterbury, Donald Coggan, informò Paolo VI che gli anglicani erano sul punto di ammettere le donne al sacerdozio, cosa che poi fecero, papa Montini gli scrisse una lettera per spiegare che la Chiesa cattolica non si sentiva autorizzata a farlo perché era obbligata dalla scelta fatta da Gesù Cristo, il Signore, di scegliere i suoi apostoli solo tra gli uomini, e contestualmente chiese alla Congregazione per la dottrina della fede di elaborare un documento che desse ragione di questa posizione. Così nacque la dichiarazione Inter insigniores, pubblicata nel 1976. In essa si spiega più ampiamente la ragione data da Paolo VI. Nel maggio 1994 questa posizione è stata ribadita in modo definitivo con la Lettera apostolica di Giovanni Paolo II Ordinatio sacerdotalis.
Ma la scelta di Gesù, si obietta, non potrebbe essere determinata dal contesto storico, dalla mentalità dell’epoca?
È una obiezione che non ha fondamento. Gesù ha dato dimostrazione di sentirsi libero dai condizionamenti della società in cui è nato. E lo ha dimostrato, ad esempio ma non solo, quando si oppose al costume della società ebraica del suo tempo, ma anche di quella greco- romana, che ammetteva il ripudio della moglie, il divorzio insomma. Gesù, che pure aveva tra i suoi seguaci più fedeli proprio delle donne, a cominciare dalla madre, la Beata Vergine Maria - ai piedi della Croce c’erano varie donne e un solo discepolo! - scelse deliberatamente e liberamente come apostoli solo degli uomini. E questa scelta non può che essere vincolante per quella che vuole essere la sua Chiesa.
Ma perché Gesù fece questa scelta?
A questa domanda cercano di rispondere i teologi: è il loro mestiere. Ma tutte le spiegazioni che si possono dare a questa domanda sono sempre secondarie e accessorie, rispetto alla scelta compiuta da Gesù che la Chiesa deve seguire e non può cambiare a suo piacimento o in base alle voglie di settori più o meno ampi dell’opinione pubblica.
Ma l’escludere le donne dal sacerdozio non lede la loro dignità?
La dignità delle donne nella Chiesa non dipende certo dall’accesso al sacerdozio. La storia della Chiesa, dalla Beata Vergine Maria alla moltitudine di beate e di sante, sta lì a dimostrarlo. Perché il Magistero ha atteso il 1975 per proclamare solennemente la non ammissibilità delle donne al sacerdozio? Semplicemente perché fino a quel momento il fatto che il sacerdozio fosse riservato agli uomini era stata una prassi ininterrotta e mai messa in discussione per circa duemila anni, né quando la Chiesa si diffuse in contesti culturali e religiosi dove pure esistevano forme di « sacerdozio » femminile, penso al mondo greco- romano, né tantomeno in presenza di scarsità vocazionale o di carenza di clero. Il Magistero di norma non interviene in modo risolutivo se una verità è pacificamente considerata e non è messa in discussione.
È possibile che in futuro il Magistero cattolico, approfondendo la questione, possa arrivare a conclusioni diverse e aprire quindi al sacerdozio femminile?
Questa possibilità è esclusa. Perché il sacerdozio maschile è una verità considerata appartenente al deposito inviolabile della fede, alla Tradizione con la « t » maiuscola. Lo ha ricordato in modo formale la Congregazione per la dottrina della fede con la « Risposta al dubbio circa la dottrina della Lettera apostolica Ordinatio sacerdotalis » pubblicata nell’ottobre 1995 con l’approvazione e per disposizione di Giovanni Paolo II. Degli autori cattolici infatti avevano insinuato che il ’ no’ al sacerdozio femminile era da considerarsi provvisorio e che non si potevano escludere ripensamenti futuri. Non è così.
Monsignor Miralles, la decisione del Sinodo anglicano d’Inghilterra di ammettere le donne anche all’episcopato aumenta le distanze con la Chiesa cattolica?
Relativamente. La rottura drammatica si è verificata con la decisione anglicana di ammettere le donne al sacerdozio. Quella di ammetterle all’episcopato di per sé è una conseguenza secondaria, che non può peggiorare una situazione già assai deteriore. Un ultima domanda « accessoria » . Qual è invece lo « status quaestionis » riguardo all’accesso delle donne al diaconato? A questo riguardo, non c’è stato ancora un pronunciamento del Magistero come c’è stato per l’accesso al sacerdozio. Ma le norme vigenti e la prassi ecclesiastica riservano agli uomini anche il diaconato. È vero che nei primi secoli della cristianità si hanno notizie di « diaconesse » , ma è da ritenersi che non si trattasse di un corrispondente femminile dei « diaconi ». Per questo ad oggi anche il diaconato permanente è riservato agli uomini. Ma la questione è ancora oggetto di studio.
In Inghilterra ci saranno anche le VescovE *
Oltremanica non scherzano in termini di progresso. E in una società al passo con i tempi anche la Chiesa si deve adeguare. E’ stata presa pochi giorni fa dal Sinodo generale della Chiesa anglicana d’Inghilterra la decisione di nominare dei Vescovi donna, o Vescove direi io.
Dal Vaticano subito i primi segnali di chiusura netta: "Una decisione del genere è una frattura con la tradizione apostolica mantenuta in tutte le chiese nel primo millennio, ed è anche un futuro ostacolo alla riconciliazione tra la Chiesa Cattolica e la Chiesa Anglicana".
Le donne, nella religione cattolica possono occupare solo la posizione di Suore. Quelle che pregano, quelle che stanno in clausura, le ’inginocchiate’ di fronte a Dio, loro ’sposo’.
Sapete perchè le donne non possono nemmeno diventare preti? C’è scritto nel Vangelo: Gesù per sè scelse solo 12 uomini. Ulteriori chiarificazioni ci vengono dalla Dichiarazione di Paolo IV "Inter Insigniores".
Sul ruolo della donna nella religione cattolica è utile approfondire la lettura dell’Enciclica De Mulieris Dignitatem. Per chi non conosce la MULIERIS DIGNITATEM di Giovanni Paolo II, è il più alto documento della Chiesa Cattolica riguardo al ruolo della donna
Se è stata scritta in seguito ai grandi sommovimenti femministi degli anni ’70 e del cambio di rotta a livello internazionale, per spiegare che la Bibbia e i Vangeli non sono sessisti (le ’rivisitazioni’ di alcuni passaggi biblici sono addirittura ’comiche’ per l’impegno profuso nell’affermare il contrario di quello che è scritto) alcuni passi restano degni di nota, appunto per l’attualità del messaggio...
Intanto consiglio di dare uno sguardo al sito www.womenpriests.org per avere utili chiarimenti riguardo al perchè le donne dovrebbero avere il diritto di diventare preti.
Dalla De Mulieris Dignitatem:
SULLA DONNA EMANCIPATA CHE PERDE COSI’ LA SUA RICCHEZZA
"Ai nostri tempi la questione dei «diritti della donna» ha acquistato un nuovo significato nel vasto contesto dei diritti della persona umana. Illuminando questo programma, costantemente dichiarato e in vari modi ricordato, il messaggio biblico ed evangelico custodisce la verità sull’«unità» dei «due», cioè su quella dignità e quella vocazione che risultano dalla specifica diversità e originalità personale dell’uomo e della donna. Perciò, anche la giusta opposizione della donna di fronte a ciò che esprimono le parole bibliche: «Egli ti dominerà» (Gen 3, 16) non può a nessuna condizione condurre alla «mascolinizzazione» delle donne. La donna - nel nome della liberazione dal «dominio» dell’uomo - non può tendere ad appropriarsi le caratteristiche maschili, contro la sua propria «originalità» femminile. Esiste il fondato timore che su questa via la donna non si «realizzerà», ma potrebbe invece deformare e perdere ciò che costituisce la sua essenziale ricchezza."
SULLA DONNA PERFETTA: MARIA CHE SI ASSERVISCE
"In Maria, Eva riscopre quale è la vera dignità della donna, dell’umanità femminile. Questa scoperta deve continuamente giungere al cuore di ciascuna donna e dare forma alla sua vocazione e alla sua vita."
SULLA DONNA CHE ABORTISCE: MA SOLO PERCHE’ VIENE COSTRETTA, UNA DONNA CHE NON RIESCE A DECIDERE PER SE STESSA:
"E accanto alle numerose «madri nubili» delle nostre società, bisogna prendere in considerazione anche tutte quelle che molto spesso, subendo varie pressioni, pure da parte dell’uomo colpevole, «si liberano» del bambino prima della nascita. «Si liberano»: ma a quale prezzo? L’odierna opinione pubblica tenta in diversi modi di «annullare» il male di questo peccato; normalmente, però, la coscienza della donna non riesce a dimenticare di aver tolto la vita al proprio figlio, perché essa non riesce a cancellare la disponibilità ad accogliere la vita, inscritta nel suo ethos dal «principio»."
SULLA DONNA CHE TROVA LE DUE GRANDI DIMENSIONI DELLA SUA DIGNITA’ IN VERGINITA’ E MATERNITA’
SUGLI UOMINI CHE DEVONO IMPARARE DALLE DONNE COME SI FA AD ESSERE GENITORI...E SU QUALE DEBBA ESSERE IL SESSO DEI GENITORI
"L’uomo - sia pure con tutta la sua partecipazione all’essere genitore - si trova sempre «all’esterno» del processo della gravidanza e della nascita del bambino, e deve per tanti aspetti imparare dalla madre la sua propria «paternità». Questo - si può dire - fa parte del normale dinamismo umano dell’essere genitori, anche quando si tratta delle tappe successive alla nascita del bambino, specialmente nel primo periodo. L’educazione del figlio, globalmente intesa, dovrebbe contenere in sé il duplice contributo dei genitori: il contributo materno e paterno. Tuttavia, quello materno è decisivo per le basi di una nuova personalità umana."
SULLA DONNA CHE SOFFRE NEL PARTO PER ESPIARE IL PECCATO ORIGINALE...
"«La donna quando partorisce, è afflitta, perché è giunta la sua ora; ma quando ha dato alla luce il bambino, non si ricorda più dell’afflizione, per la gioia che è venuto al mondo un uomo» (Gv 16, 21). Le parole di Cristo si riferiscono, nella loro prima parte, a quei «dolori del parto» che appartengono al retaggio del peccato originale"
SULLA DONNA CHE NON PUO’ ESSERE SACERDOTE...
"Prima di tutto nell’Eucaristia si esprime in modo sacramentale l’atto redentore di Cristo Sposo nei riguardi della Chiesa Sposa. Ciò diventa trasparente ed univoco, quando il servizio sacramentale dell’Eucaristia, in cui il sacerdote agisce «in persona Christi», viene compiuto dall’uomo. E’ una spiegazione che conferma l’insegnamento della Dichiarazione Inter insigniores, pubblicata per incarico di Paolo VI per rispondere all’interrogativo circa la questione dell’ammissione delle donne al sacerdozio ministeriale"
SULLE DONNE PERFETTE DELLA STORIA, CHE LA CHIESA HA ’ONORATO’....NESSUNA MENZIONE A QUELLE CHE HA ’BRUCIATO’
"La Chiesa, infatti, difendendo la dignità della donna e la sua vocazione, ha espresso onore e gratitudine per coloro che - fedeli al Vangelo - in ogni tempo hanno partecipato alla missione apostolica di tutto il Popolo di Dio. Si tratta di sante martiri, di vergini, di madri di famiglia, che coraggiosamente hanno testimoniato la loro fede ed educando i propri figli nello spirito del Vangelo hanno trasmesso la fede e la tradizione della Chiesa."
* MONDO DONNA - Pubblicato da Laura Cogo alle 14:22 in rappresentanza, religioni
Ansa» 2008-07-11 12:55
A NGLICANI, VESCOVO GUIDA PASSAGGIO A ROMA
ROMA - Numerosi anglicani starebbero avvicinandosi alla Chiesa cattolica, dopo lo "strappo" del via libera all’ordinazione delle donne vescovo, guidati nel loro travaglio spirituale dal vescovo tradizionalista Andrew Burnham. E’ quanto scrive il settimanale cattolico britannico "The Catholic Herald" nel suo sito internet. "Un vescovo tradizionalista anglicano - si legge nell’articolo di apertura - ha chiesto al Papa e ai vescovi di Inghilterra e Galles ad aiutare gli anglo-cattolici (così si autodefiniscono gli anglicani più vicini al cattolicesimo) a convertirsi alla Chiesa di Roma, dopo il voto del Sinodo sulle donne vescovo".
Si parla - esplicita poi la rivista - del vescovo di Ebbsfleet, il reverendo Andrew Burnham, il quale avrebbe sollecitato "un gesto magnanimo" da parte dei "nostri amici cattolici", e "specialmente dal Santo Padre", che ben comprende il nostro sforzo verso l’unità", e dalla gerarchia cattolica di Inghilterra e Galles". "Soprattutto chiediamo - ha scritto lo stesso Burnham sul "Catholic Herald" - di indicarci una strada che ci consenta di portare con noi la nostra gente".
Il vescovo Burnham è uno dei cosiddetti "flying bishops" che hanno dichiarato di non poter accettare "in coscienza" il sacerdozio femminile. A suo giudizio le nuove norme sarebbero fatte "di sabbia", mentre "la vita sacramentale della Chiesa deve essere costruita sulla roccia". Il Sinodo generale della Chiesa d’Inghilterra ha dato il via libera, lunedì scorso, ad una procedura che porterà, nel giro di qualche anno, alla nomina di donne vescovo, respingendo ogni emendamento proposto dai tradizionalisti in quella sede. All’indomani, la Santa Sede aveva parlato di uno "strappo" e un "nuovo ostacolo" per l’unità dei cristiani. Burnham e un altro ’dissidente’ avrebbero parlato nei giorni scorsi del possibile passaggio degli anglo-cattolici alla Chiesa di Roma - sempre secondo il "Catholic Herald" - con il cardinale William Levada, a capo della Congregazione per la dottrina della fede, e con il cardinale Walter Kasper, presidente del Pontificio consiglio per l’unità dei Cristiani. L’idea allo studio sarebbe quella di far rimanere gli ex anglicani nelle rispettive parrocchie, ma sotto la guida di vescovi cattolici.
Il Pontificio consiglio interviene sulla decisione del sinodo della Chiesa anglicana
E l’Osservatore romano: "Possibile che alcuni vescovi aderiscano alla Chiesa cattolica"
Vescovi donna, il Vaticano attacca
"Strappo al messaggio apostolico"
Per la Santa Sede l’ordinazione di episcopi di sesso femminile
può essere un "ostacolo al dialogo" tra Roma e Canterbury
CITTA’ DEL VATICANO - All’indomani del voto con cui il sinodo della Chiesa anglicana ha detto "sì" all’ordinazione delle donne-vescovo, il Vaticano attacca e prende posizione sulla questione. "Uno strappo alla tradizione apostolica" e "un ulteriore ostacolo al dialogo" tra la Chiesa cattolica e quella anglicana, lo definisce il Pontificio consiglio per la promozione dell’unità dei cristiani. E l’Osservatore romano, in un servizio dedicato alla frattura interna alla Chiesa d’Inghilterra, scrive che è possibile che alcuni vescovi anglicani "possano aderire alla Chiesa cattolica".
In una nota il dicastero Pontificio, presieduto dal cardinale Walter Kasper, critica il voto che apre la strada alla legislazione per l’ordinazione delle donne all’episcopato e afferma che ’’per il futuro questa decisione avrà delle conseguenze per il dialogo, che finora aveva portato buoni frutti". E poi precisa che "la posizione cattolica in merito è stata espressa chiaramente da Paolo VI e da Giovanni Paolo".
Nell’edizione di oggi il giornale della Santa Sede conferma, pur indirettamente, le voci sui contatti intercorsi in questi giorni fra alcuni vescovi anglicani e il Vaticano, quando fa il punto sul disagio interno alla Chiesa d’Inghilterra e sottolinea che una consistente minoranza, in disaccordo con la decisione presa dalla maggioranza, potrebbe scegliere di aderire ad altre chiese cristiane, a cominciare da quella cattolica.
L’Osservatore romano, come il Pontificio consiglio, paventa "crescenti difficoltà di dialogo" tra Roma e Canterbury, citando il giudizio di alcuni esperti di anglicanesimo. "A giudizio di questi osservatori - scrive poi il giornale della Santa Sede - la decisione presa al sinodo di York non è assolutamente inaspettata". Il Sinodo, infatti, tre anni fa aveva già approvato, in linea di massima, la consacrazione vescovile delle donne. Ed è dal 1994, da quando è stato dato il via libera all’ordinazione sacerdotale delle donne, che va avanti l’emorraggia dalle file dell’Anglicanesimo, soprattutto verso il campo "papista".
Tuttavia, quello che sorprende del dibattito di ieri, secondo l’Osservatore, è "l’indisponibilità della maggioranza favorevole a queste ordinazione a trovare una soluzione per quanti nella Chiesa d’Inghilterra non intendono riconoscere l’autorità delle donne-vescovo".
Oggi l’edizione del giornale manda anche un altro segnale, pubblicando un articolo elogiativo dello scrittore Clive Staples Lewis, autore delle Cronache di Narnia e noto "criptocattolico", anglicano di formazione ma di fatto convertito al cattolicesimo.
* la Repubblica, 8 luglio 2008
1Timoteo 2:11-12 11 La donna impari in silenzio, con tutta sottomissione. 12 Non concedo a nessuna donna di insegnare, né di dettare legge all’uomo; piuttosto se ne stia in atteggiamento tranquillo.
"codice di condotta" che prevede un vescovo uomo per religiosi e fedeli tradizionalisti che obiettassero sul vescovo donna.
‘La donna stia in silenzio’
L’affermazione secondo cui le donne dovevano ‘stare in silenzio’ era forse motivata da pregiudizio contro le donne? No! Il “silenzio” qui menzionato aveva a che fare con l’insegnare e l’esercitare autorità spirituale nella congregazione, e andava osservato per rispetto verso la relazione fra uomo e donna comandata da Dio, di cui Paolo aveva parlato in precedenza.
Questo non significa che le donne non possano insegnare la verità divina. Paolo incoraggiò le donne più anziane ad essere “maestre di ciò che è bene” nei confronti di quelle più giovani. Seguendo l’esempio di Eunice e Loide, che istruirono Timoteo, le madri cristiane devono addestrare i figli nella via di Dio.
Uomo e donna: a ciascuno un ruolo dignitoso
DIO creò prima Adamo e poi Eva. Adamo aveva già una certa esperienza di vita quando Eva fu creata. Geova gli aveva dato delle istruzioni. Adamo doveva comunicarle a sua moglie, agendo quale portavoce di Dio. Logicamente quindi sarebbe stato lui a prendere l’iniziativa in tutte le questioni relative all’adorazione.
(Proverbi 31:10-31) Una moglie capace chi la può trovare? Il suo valore è molto maggiore di quello dei coralli. 11 In lei ha confidato il cuore del suo proprietario, e non manca alcun guadagno. 12 Essa lo ha compensato col bene, e non col male, tutti i giorni della propria vita. 13 Essa ha cercato la lana e il lino, e lavora a tutto ciò che è il diletto delle sue mani. 14 Ha mostrato d’essere come le navi di un commerciante. Da lontano porta il suo cibo. 15 Si leva inoltre mentre è ancora notte, e dà cibo alla sua casa e la prescritta porzione alle sue giovani. 16 Ha considerato un campo e lo ha ottenuto; dal frutto delle sue mani ha piantato una vigna. 17 Ha cinto i suoi fianchi di forza, e rinvigorisce le sue braccia. 18 Ha intuito che il suo commercio è buono; la sua lampada non si smorza di notte. 19 Ha steso le sue mani alla conocchia, e le sue proprie mani afferrano il fuso. 20 Ha allargato la palma della mano all’afflitto, e ha teso le mani al povero. 21 Non teme per la sua casa a causa della neve, poiché tutta la sua casa indossa doppie vesti. 22 Ha fatto per sé dei copriletto. La sua veste è di lino e di lana tinta di porpora rossiccia. 23 Il suo proprietario è uno noto alle porte, quando siede con gli anziani del paese. 24 Ha fatto pure sottovesti e si è messa a vender[le], e ha dato cinture ai trafficanti. 25 Forza e splendore sono la sua veste, e ride del giorno futuro. 26 Ha aperto la bocca nella sapienza, e la legge di amorevole benignità è sulla sua lingua. 27 Vigila su ciò che avviene nella sua casa, e non mangia il pane di pigrizia. 28 I suoi figli si sono levati e l’hanno dichiarata felice; il suo proprietario [si leva], e la loda. 29 Ci sono molte figlie che hanno mostrato capacità, ma tu, tu sei ascesa al di sopra di esse tutte. 30 L’attrattiva può essere falsa, e la bellezza può essere vana; [ma] la donna che teme Geova è quella che si procura lode. 31 Datele del frutto delle sue mani, e le sue opere la lodino anche alle porte.
Le chiese: Dove sono dirette?
COSA sta succedendo alle chiese “cristiane”? Dalle vostre parti sono in declino o stanno prosperando? Forse avete sentito parlare di un risveglio spirituale, e di tanto in tanto da Africa, Europa orientale e Stati Uniti giungono notizie di congregazioni religiose che si espandono. Ma in altre parti del mondo, soprattutto nell’Europa occidentale, le notizie parlano di chiese che chiudono i battenti, di fedeli in diminuzione e di diffusa apatia nei confronti della religione.
Di fronte al calo delle presenze, molte chiese hanno cambiato stile. Alcune dicono di non voler giudicare o criticare il comportamento della gente, lasciando così intendere che Dio accetti qualunque tipo di condotta. Sempre più spesso anziché impartire istruzione basata sulla Parola di Dio le chiese offrono intrattenimento e attività ricreative, nonché attrazioni che nulla hanno di religioso. Anche se alcuni praticanti considerano questi cambiamenti un necessario adattamento alla realtà del mondo attuale, molte persone sincere si chiedono se le chiese non stiano deviando dalla missione affidata loro da Gesù. Esaminiamo le tendenze che hanno caratterizzato le chiese negli ultimi decenni.
dal Messico fino al Cile, sotto molti aspetti hanno culture simili. Quelli di età avanzata ricordano il tempo in cui c’era fondamentalmente una sola religione, il cattolicesimo. Nel XVI secolo i conquistadores spagnoli imposero questa religione con la forza delle armi. In Brasile il potere coloniale era nelle mani del Portogallo, anch’esso cattolico. Per 400 anni la Chiesa Cattolica appoggiò i governi al potere e ottenne in cambio sostegno economico e il riconoscimento quale religione ufficiale.
Negli anni ’60 del XX secolo, però, alcuni sacerdoti cattolici si resero conto che, sostenendo l’élite al potere, la Chiesa stava perdendo il consenso popolare. Intrapresero perciò una campagna in favore dei poveri, soprattutto promuovendo la cosiddetta “teologia della liberazione”. Il movimento iniziò in America Latina sotto forma di protesta contro le condizioni di miseria in cui versavano così tanti cattolici.
Eppure, nonostante il forte coinvolgimento del clero nella politica, milioni di persone hanno lasciato la fede cattolica per unirsi ad altre chiese. Sono cresciute e si sono moltiplicate le religioni in cui durante le funzioni si battono le mani e si innalzano canti appassionati, oppure si respira l’atmosfera di un concerto rock. “In America Latina”, dice Duncan Green, “il movimento evangelico si divide in un numero incalcolabile di sette, che spesso sono la manifestazione personale di un solo pastore. Quando un gruppo cresce, spesso si suddivide in nuove sette”.
L’Europa volta le spalle alle chiese
Per oltre 1.600 anni gran parte dell’Europa è stata sotto il dominio di governi che si professavano cristiani. Che dire di oggi? Mentre ci addentriamo nel XXI secolo, la religione in Europa sta forse prosperando? Nel 2002, in un suo libro sulla secolarizzazione dell’Occidente, il sociologo Steve Bruce ha scritto riguardo alla Gran Bretagna: “Nel XIX secolo quasi tutti i matrimoni venivano celebrati con rito religioso”. (God is Dead-Secularization in the West) Tuttavia, nel 1971 solo il 60 per cento dei matrimoni inglesi era religioso. Nel 2000 lo era appena il 31 per cento.
Nel commentare questa tendenza, un giornalista del Daily Telegraph che scrive in materia di religione ha detto: “Tutte le principali denominazioni, che si tratti di Chiesa d’Inghilterra o Chiesa Cattolica, oppure di Chiesa Metodista o Chiesa Riformata Unita, stanno subendo un graduale declino”. Riguardo a uno studio ha detto: “Entro il 2040 le Chiese britanniche saranno in via di estinzione con appena il due per cento della popolazione che frequenterà le funzioni domenicali”. Sono stati fatti commenti simili sulla condizione della religione nei Paesi Bassi.
“Negli ultimi decenni sembra che il nostro paese sia diventato decisamente più secolarizzato”, ha osservato l’Ufficio di Pianificazione Socio-Culturale olandese. “Si prevede che entro il 2020 il 72% della popolazione non apparterrà ad alcuna confessione religiosa”. Un quotidiano on-line tedesco dice: “Sempre più tedeschi si rivolgono alla stregoneria e all’occulto per ricevere il conforto che una volta trovavano nella chiesa, nel lavoro e nella famiglia. . . . In tutto il paese le chiese sono costrette a chiudere i battenti per la mancanza di fedeli”.
Le persone che in Europa vanno ancora in chiesa di solito non ci vanno per scoprire cosa Dio richiede da loro. Un articolo dall’Italia dice: “Gli italiani si costruiscono una religione su misura che sia adatta al loro stile di vita”. E un sociologo italiano afferma: “Dal papa prendiamo qualunque cosa ci sia congeniale”. Lo stesso si può dire dei cattolici in Spagna, dove la religiosità ha lasciato il posto al consumismo e alla ricerca di un paradiso da ottenere subito, quello economico!
Queste tendenze sono in netto contrasto con il cristianesimo insegnato e praticato da Cristo e dai suoi seguaci. Gesù non offrì una religione “self-service” o “a buffet”, in cui ognuno prende ciò che più gli aggrada e scarta quello che non è di suo gradimento. Egli disse: “Se qualcuno vuol venire dietro a me, rinneghi se stesso, prenda di giorno in giorno il suo palo di tortura e mi segua di continuo”. Gesù insegnò che il modo di vivere cristiano richiedeva sacrificio e sforzo a livello personale.
Solo gli amanti sopravvivono
Titolo originale Only Lovers Left Alive
Anno 2013
Solo gli amanti sopravvivono (Only Lovers Left Alive) è un film del 2013 scritto e diretto da Jim Jarmusch.
La pellicola, con protagonisti Tom Hiddleston, Tilda Swinton e Mia Wasikowska, è stata presentata in concorso alla 66ª edizione del Festival di Cannes. [...]
Trama
Adam ed Eve sono amanti e vampiri. Adam vive a Detroit in un quartiere degradato e abbandonato in una vecchia casa dal giardino trascurato. Eve vive a Tangeri, dove c’è anche un altro vampiro suo amico, Christopher Marlowe, con il quale si incontra periodicamente. I due vampiri hanno vissuto secoli di storia, conoscendo vari personaggi illustri in ogni campo dello scibile umano.
Adam dedica ogni sua notte al componimento di pezzi musicali per funerali nel suo appartamento, tentando di rimanere lontano da occhi indiscreti e al riparo dai suoi fan curiosi, Eve invece dedica il suo tempo alla lettura di una vasta quantità di libri scritti nelle lingue più disparate. Adam si procura il nutrimento corrompendo dottori e ricercatori, facendosi consegnare sacche di sangue pulito dietro il pagamento di somme di denaro. Eve invece riceve il sangue da Marlowe. Questa scelta è dovuta al fatto che hanno un rispetto profondo per la vita umana.
Eve decide di ricongiungersi con Adam a Detroit, prendendo svariati voli notturni che prenota con un nome falso. Adam manifesta un carattere inquieto, arrivando al punto di commissionare a Ian, un umano che gli procura vecchi strumenti rari, la fabbricazione di un proiettile di legno che giustifica come parte di un progetto musicale. In realtà ha deciso di suicidarsi sparandosi al cuore per farla finita con la vita terrena, ma viene dissuaso da Eve dopo che lei trova il revolver caricato con il proiettile.
Adam ed Eve, tornati all’appartamento dopo un giro in auto, trovano ad aspettarli Ava, sorella minore di Eve. Adam non apprezza particolarmente Ava, colpevole di avergli causato un non specificato dispiacere 87 anni prima a Parigi. Accetterà di ospitare Ava solamente perché Eve lo tranquillizza, sebbene lei stessa non sembri particolarmente contenta di avere sua sorella vicino. Ava mostra un carattere viziato e infantile, e a differenza dei due ospiti sembra essere interessata solo a divertirsi e seminare caos. Si ingozza avidamente di sangue consumando velocemente le scorte di Adam e continua ad ascoltare la sua musica senza chiedere il permesso.
Una notte Ava, con l’aiuto di Eve, convince il riluttante Adam ad andare in un night club dove incontreranno Ian. Dagli altoparlanti del night club comincia a suonare un pezzo che Adam aveva composto pochi giorni prima, probabilmente trafugato e consegnato al club da Ava, la quale comincia a ballare in maniera provocante con Ian. Per Adam è la goccia che fa traboccare il vaso ed esige di tornare subito all’appartamento. Una volta arrivati, Eve tenta di far andare via Ian, il ragazzo però si è infatuato di Ava che continua a provocarlo. Durante la notte Eve si sveglia e va a controllare Ava, ma trova tutti i dischi di Adam fatti a pezzi e le sue chitarre distrutte. Inoltre, Ian si trova sul divano privo di vita con due grossi fori sul collo, accanto ad Ava addormentata. Cacciata via Ava, i due amanti si disfano del cadavere di Ian sciogliendolo nell’acido in un cantiere abbandonato e decidono di trasferirsi a Tangeri.
Al loro arrivo l’amico Marlowe, colui che procura sangue pulito a Eve, è introvabile. Cominciano a deperire velocemente per via della mancanza di sangue, tanto da essere costretti a cercarlo nel luogo dove normalmente si incontravano. Lo trovano ammalato, in fin di vita. La loro sopravvivenza è a rischio. Pochi istanti dopo Marlowe muore e i due si ritrovano nuovamente in strada. Dopo aver vagato per ore, sempre più deboli, scorgono una giovane coppia di innamorati che si bacia e decidono di nutrirsi direttamente dai loro corpi, come usavano fare nei secoli passati. Eve però chiede ad Adam di non ucciderli, bensì di trasformarli in vampiri come loro. [...]
* Fonte: Wikipedia (ripresa parziale).