«SI RIEMPIA LA POLITICA DI CONTENUTI E DI CAPACITÀ»
di Emiliano Morrone *
Anna Falcone ha detto che la «Calabria ha compreso» in profondità «che o si cambia o si muore». Intervistata dal collega Antonio Cantisani, del Corriere della Calabria, la costituzionalista ha inoltre osservato che «la pandemia ha reso drammaticamente evidenti gli effetti di anni di tagli alla sanità, agli investimenti, ai diritti sociali e di cittadinanza», operati dalle destre e dalle controparti in modo trasversale. Perciò, ha aggiunto, «la reazione politica deve essere urgente e improcrastinabile, e deve riguardare sia il livello locale, che quello nazionale», in quanto «se non ripartono il Sud e la Calabria, non riparte il Paese».
In pratica, secondo Falcone a sinistra «serve una svolta politica radicale di metodi e persone», un’alleanza politica che coinvolga i movimenti civici e più in generale i protagonisti dell’impegno per i diritti e lo sviluppo del territorio calabrese. Bisogna intanto dotarsi, ha precisato, di «una classe dirigente qualificata e libera da condizionamenti, con una chiara idea di sviluppo e delle risorse necessarie a costruirlo», posto che «il piano “Next generation Ue” e il “Piano per il Sud” sono - ha prospettato la giurista - un’occasione unica e irripetibile per risollevare la Calabria e il Mezzogiorno». Ci vuole quindi, ha scandito Falcone, «una rappresentanza politica di livello nazionale, capace di sedere con competenza, autorevolezza e autonomia ai tavoli in cui si deciderà il futuro del Paese».
Le Politiche del marzo 2018 ci avevano dimostrato il peso elettorale dell’indignazione collettiva, la potenza della rete, dei social e del linguaggio spicciolo e debordante dell’era dello smartphone. Quelle elezioni ci avevano insegnato che il dissenso, specie se orientato in maniera scientifica, può spazzare parte della vecchia classe politica e introdurne una nuova, nello specifico rivelatasi in larga misura impreparata a gestire il potere e a comprenderne le dinamiche. La tesi sottostante era che i rappresentanti del popolo si dovessero sostituire a prescindere da visione, qualità e competenze individuali, sulla base di un egualitarismo suggestivo quanto efficace, della promessa - mantenuta - di portare in parlamento (e nel governo) gli esclusi dal “gioco” della politica, le persone lontane dalle rigidità dei partiti e dalle loro logiche private.
Con Tangentopoli prese campo, in Italia, l’idea che la politica fosse marcia nel suo insieme, amplificata da una saggistica pervasiva e dal taglio di cronaca, dal sensazionalismo di molti programmi della tv. Il racconto martellante della «casta» mangiona e collusa è valso a delegittimare la politica come luogo di sintesi delle posizioni e di definizione dei conflitti sociali. E ha spalancato le porte al mito della tecnocrazia. Oggi ci troviamo nel bel mezzo di una crisi sanitaria ed economica, nel pieno di uno spaesamento collettivo. Le identità politiche sono diventate perlopiù una veste di comodo. Inoltre, per via della rapidità e dell’esorbitanza dell’informazione si è perduta la memoria.
Ancora, a causa dell’inversione tra reale e virtuale, e per effetto del desiderio contagioso di ribalta e fama mediatica, in politica latitano - salvo eccezioni - la prospettiva, il progetto, l’esempio. Soprattutto, il ruolo del parlamento è divenuto, come confermato nella pandemia in atto, di pura ratifica delle scelte dell’esecutivo, comunque vincolate dalle regole (complicatissime) dell’Unione europea e dalle sue istituzioni alquanto sconosciute, indipendenti dalla volontà degli elettori.
Questo è il quadro, in Calabria aggravato da precarietà e debolezza istituzionale in aumento; da commissariamenti perpetui; da una depressione economica cronica; da un Servizio sanitario carente di personale, risorse, organizzazione e trasparenza; dalle partenze di giovani e famiglie; da un perenne sfruttamento politico del bisogno e dall’assenza di tutele effettive per i lavoratori, molti dei quali costretti al “nero”; dal dominio di una classe dirigente e amministrativa spesso legate agli schemi operativi del passato, precedenti alle leggi di Bassanini, alla normativa anticorruzione e alla digitalizzazione, finora incompleta, delle procedure degli uffici. Non dimentichiamo il risaputo controllo criminale - non soltanto mafioso - del territorio, degli appalti e dei meccanismi pubblici.
Nel contesto la tentazione più forte è di mollare, di andarsene, di astenersi dal partecipare a questo copione fisso, ripetuto, immutabile. Non è edificante, per le intelligenze e le coscienze mature, assistere ogni volta allo spettacolo illusionistico della politica, fatto di mascheramenti e artifici, favorito dalla distanza delle masse dall’attività amministrativa, dai messaggi spesso semplificati e devianti dei vari leader, che scoraggiano il discorso analitico e programmatico, che abituano i singoli alla rabbia incontrollata e all’odio sociale.
Immagino, dunque, che i ragionamenti di Anna Falcone, articolati e precisi, abbiano prodotto un certo fastidio generale. Perché guardano al Sud, alla questione calabrese, alla rigenerazione della classe politica ben oltre il retorico «largo ai giovani» o lo sperimentato «spazio ai nuovi». Tuttavia, il problema non è soltanto quello di cambiare i volti della politica, di riempirla di contenuti e di capacità, che pure sono indispensabili per affrontare le sfide del futuro; a partire dalla riduzione del divario della Calabria dal resto dell’Italia e dell’Europa. Lo sforzo di tutti gli attori politici deve essere in primo luogo culturale. Bisogna cioè sconfiggere la mentalità dell’assistenzialismo e della dipendenza dal palazzo del potere. Si devono premiare il merito, le idee e l’intraprendenza, tanto nel settore pubblico quanto nel privato. E nei programmi elettorali è necessario prevedere strumenti di valutazione obiettiva della dirigenza regionale, che rispetto alla condizione della Calabria ha avuto spesso maggiori responsabilità della componente politica. In breve, bisogna formare il soggetto che recepisca la diversità e la bontà della proposta politica alternativa. E vale assicurarsi che ad attuare gli indirizzi del prossimo governo regionale siano dirigenti all’altezza del loro compito.
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Emiliano Morrone giornalista