FILOSOFIA E ANTROPOLOGIA. La morale, la globalizzazione, e il "secolo di Grete Samsa" (III parte). Un breve saggio - di Franco Toscani

martedì 13 gennaio 2015.

I - II - III - IV parte

3. L’umanità e la scorza dell’umano.

Come ha già notato Martin Heidegger nei Bremer Vorträge (1949), "das Entsetzliche schon geschehen ist" ("il terrificante è già accaduto").[1] Il terrificante consiste nel venir meno e nell’oblio sempre più marcato del senso dell’umanità dell’uomo, del coseggiare della cosa e del mondeggiare del mondo.[2]

Il terrificante è già accaduto e sta ancora accadendo sotto i nostri occhi senza che si profili davvero all’orizzonte un’inversione di rotta e un’alternativa praticabile allo stato attuale delle cose.

Nel trionfo odierno dell’ "individualismo senza individuo" (come lo ha ben definito Tito Perlini)[3] e del Dio-mercato, l’essenza dell’uomo - ridotto a mero consumatore e produttore, a mero supporto del capitale e delle merci, della tecnica e del denaro - è svilita, degradata. Dopo il crollo dei regimi comunisti staliniani e neo-staliniani e dopo il fallimento dell’ideologia marxista-leninista, si affaccia sulla scena del mondo una nuova ideologia (intesa come manipolazione e falsa coscienza, nel senso critico-negativo privilegiato da Marx) che pretende - falsamente e surrettiziamente - di non aver nulla a che fare con qualsivoglia ideologia.

Ridotto alla mera logica dell’avere, della produzione e del consumo illimitati, l’uomo diventa essenzialmente un consumatore e produttore che non conosce più sé stesso, il senso della propria vita, la misura, il proprio destino, la verità.

La "dittatura del tempo sprecato" (secondo un’azzeccata espressione di Claudio Magris)[4], il primato assoluto del profitto economico, il dominio del chiacchiericcio massmediatico e non, della società sirenico-spettacolare, delle incombenze tecnico-burocratiche, delle pratiche esteriori, di ciò che i grandi esponenti della Scuola di Francoforte come Adorno, Horkheimer e Marcuse chiamarono nella seconda metà del XX secolo l’ "amministrazione totale del mondo" conducono all’inaridimento e all’impoverimento dell’umano, all’eclissi della politica e della qualità della convivenza.

In queste condizioni si pretende di vivere al massimo, ma in realtà "la vita non vive" (secondo il motto di Ferdinand Kürnberger ripreso da Theodor Wiesengrund Adorno in Minima moralia)[5] o vive prevalentemente sul piano dell’apparenza, della menzogna, dell’effimero, dell’illusione.

Come ha rilevato un grande filosofo contemporaneo misconosciuto come Karel Kosík nel saggio La morale al tempo della globalizzazione (1999), gli uomini credono di essere i signori e padroni del mondo, ma dimenticano facilmente quella che è sovente la loro posizione servile.[6]

Così l’uomo del nostro tempo si arrende all’inessenziale e rinuncia al sostanziale, cede alla presunta fatalità di un mondo in cui non sono più in primo piano la bontà, la giustizia, la virtù, l’etica, ma vincono la perdita di senso, il vuoto della morale. Non si sa più in che cosa consista l’autentica ricchezza umana.

Il XX secolo è stato per Kosík il "secolo di Grete Samsa", la sorella di Gregor Samsa, il personaggio che, nel racconto di Franz Kafka Die Verwandlung (La metamorfosi, 1911), nel giro di una notte si ritrova trasformato in un insetto. Grete non riconosce più suo fratello, lascia che la domestica rimuova i resti di Gregor come se fosse un animale schifoso ed è il simbolo della disumanizzazione, del trionfo di un’umanità mediocre e meschina, irretita nei meccanismi del mondo alienato della pseudoconcretezza e nella banalità della vita quotidiana.

Ricerchiamo spiragli di luce per quell’ "animale non stabilizzato" ("der Mensch das noch nicht festgestellte Tier ist", scrive Nietzsche in Jenseits von Gut und Böse, 1886)[7], imprevedibile e aperto al senso della possibilità che è l’uomo. Non è facile intravederli.


NOTE:

[1] Cfr. M. Heidegger, Einblick in das was ist. Bremer Vorträge 1949, in M. Heidegger, Bremer und Freiburger Vorträge (vol. LXXIX della Gesamtausgabe), a cura di P. Jaeger, Vittorio Klostermann, Frankfurt am Main 1994, pp. 1-77; trad. it. di G. Gurisatti, Sguardo in ciò che è. Conferenze di Brema del 1949, in Conferenze di Brema e Friburgo, a cura di F. Volpi, Adelphi, Milano 2002, pp. 17-108. Per la citazione riportata si veda qui soprattutto Der Hinweis (L’indicazione), p.4 del testo originale tedesco e p. 20 della traduzione italiana.

[2] Circa il senso del coseggiare della cosa e del mondeggiare del mondo, si rinvia soprattutto, oltre che ai già citati Bremer Vorträge 1949, a M. Heidegger, Das Ding (1950), in Vorträge und Aufsätze (1954, vol. VII della Gesamtausgabe), Klett-Cotta, Stuttgart 2004, pp. 157-179; trad. it., La cosa, in Saggi e discorsi, a cura di G. Vattimo, Mursia, Milano 1976-1980, pp. 109-124.

[3] Si veda a questo proposito lo splendido saggio di T. Perlini, ancor oggi molto stimolante, Falsa autonomia ed eclissi della società, in "Psicoterapia e scienze umane" n. 3, 1986, pp. 160-187, in particolare le pp. 172-179.

[4] Una parte della ricca produzione saggistica di questo autore è raccolta in C. Magris, Utopia e disincanto. Saggi 1974-1998, Garzanti, Milano 1999.

[5] Cfr. T. W. Adorno, Minima moralia. Reflexionen aus dem beschädigten Leben (1951); trad. it. di R. Solmi, Minima moralia. Meditazioni della vita offesa, "Introduzione" di L. Ceppa, Einaudi, Torino 1979, p. 9.

[6] Cfr. K. Kosík, La morale al tempo della globalizzazione (1999), in Id., Un filosofo in tempi di farsa e di tragedia. Saggi di pensiero critico 1964-2000, a cura di G. Fusi e F. Tava, Mimesis, Milano 2013, pp. 258-259. Su questo importante pensatore contemporaneo si veda fra l’altro il volume di L. Cesana e C. Preve, Filosofia della verità e della giustizia. Il pensiero di Karel Kosík, Petite Plaisance, Pistoia 2012.

[7] F. Nietzsche, Jenseits von Gut und Böse. Vorspiel einer Philosophie der Zukunft (1886); trad. it. di F. Masini, Al di là del bene e del male. Preludio di una filosofia dell’avvenire, in Opere, a cura di G. Colli e M. Montinari, Adelphi, Milano 1986, vol. VI, 2, p. 68. Su questa espressione di Nietzsche si vedano le riflessioni di U. Galimberti in Psiche e techne. L’uomo nell’età della tecnica, Feltrinelli, Milano 1999, pp. 714-715.


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