VIENNA - Le elezioni politiche anticipate di ieri in Polonia si sono chiuse con un plebiscito a favore dell’opposizione liberale, Piattaforma Civica (Po) dello sfidante Donald Tusk, e con una debacle per il partito dei gemelli Kaczynski, Diritto e Giustizia (Pis) guidato dal premier Jaroslaw, che dovrà pertanto ora, dopo due anni al potere, sgombrare il campo. Eccezionale anche l’affluenza elettorale che con il 55,3% ha fatto registrare il livello più alto dalla fine del comunismo in Polonia nel 1989.
Dopo un rinvio dopo l’altro della chiusura dei seggi, i primi exit poll e i primi risultati indicato una vittoria netta del Po con il 43,6% contro il 31,1% del Pis. Finora altri due pariti hanno superato lo scoglio del 5% ed entrano in Parlamento: Sinistra e democratici (Lid) dell’ex presidente Kwasniewski, col 12,6% e il Partito dei contadini (Psp) con l’8,3%. Tutti i sondaggi davano il principale partito di opposizione in forte vantaggio, fino a 17 punti di scarto, sul Pis ma fino all’ultimo, data la mappa geografica e sociologica del paese, non c’era certezza sulla loro reale attendibilità.
Dopo due anni di governo fortemente nazionalista, antieuropeo e vieppiù, secondo molti commentatori, autoritario, i gemelli Kaczynski hanno subito un colpo fatale che potrebbe significare la loro fine politica. In questi due anni la Polonia è spiccata in Europa per essere il peggiore piantagrane dei 27 e perseguire i suoi interessi senza guardare in faccia nessuno. E anche per spiccata fedeltà agli Stati Uniti, dal sostegno alle missioni militari in Afghanistan e in Iraq, all’ assenso al progetto dello scudo spaziale che prevede l’installazione sul territorio polacco di una base di dieci intercettori antimissile. Fra le sue dieci priorità in caso di vittoria Tusk ha annunciato invece un ritiro sollecito dei soldati polacchi dall’Iraq.
Se i dati saranno confermati Tusk non dovrebbe avere problemi a dare vita a un governo stabile e trovare alleati. Resterebbe comunque sempre la minaccia, già ventilata dai gemelli alla vigilia del voto, di una raffica di veti del presidente Lech Kaczynski alle leggi del nuovo governo. In campagna elettorale Tusk faceva capire di preferire un’alleanza col partito moderato dei contadini Psl. La campagna elettorale é stata durissima e senza esclusione di colpi. Il Pis ha picchiato sulla lotta alla corruzione e l’epurazione delle scorie del comunismo ricorrendo anche a metodi dubbi come il ricorso ai servizi segreti per discreditare avversari politici, e alleati divenuti scomodi. Il Po ha puntato invece su un programma di accelerazione delle riforme economiche e promettendo un ’miracolo economico’.
Le elezioni nel principale paese post comunista fra i nuovi membri esteuropei dell’Ue si erano rese necessarie dopo una crisi di governo durata mesi e culminata nella fuoriuscita ad agosto dalla coalizione dei due alleati del Pis - la Lega delle famiglie polacche (Lpr) e Samobroona (Autodifesa) - con conseguente perdita della maggioranza del governo in parlamento. L’affluenza è stata più alta che alle precedenti legislative del 2005, quelle vinte dai gemelli, quando raggiunse il minimo storico del 40,5%. Due anni fa il Pis aveva vinto con il 33,7% dei voti. I seggi si erano aperti ieri mattina alle 06:00 e dovevano chiudersi alle 20:00. Disguidi e pasticci a causa, pare,dell’ imprevista alta affluenza e alto numero di schede, hanno causato massicci ritardi e fatto prolungare il silenzio elettorale imposto dalle autorità fino alle 22:55. I risultati finali definitivi si conosceranno oggi o domani.
LA LUNGA NOTTE DEL TRIONFO DI TUSK
(dell’inviato Franco Quintano)
VARSAVIA - La Polonia ha vissuto un’incredibile notte elettorale, con il trionfo del leader dell’opposizione liberale Donald Tusk annunciato con tre ore di ritardo sul previsto a causa di disguidi e inconvenienti che hanno ritardato la chiusura dei seggi in molte località compresa la capitale Varsavia.
Già nella mattinata di ieri la commissione elettorale aveva annunciato che i primi exit poll sarebbero stati diffusi non alle 20, subito dopo la chiusura dei seggi, ma venti minuti più tardi per via di difficoltà tecniche che avevano ritardato l’apertura di alcuni seggi a Pila (nordovest) e Plock (centro). In serata, il ritardo era stato era stato poi via via prolungato man mano che giungevano notizie di ulteriori difficoltà ai seggi, compresa la scarsità di schede elettorali legata all’affluenza molto più alta del previsto. L’ultimo annuncio aveva indicato le 22:55 per la diffusione dei primi exit poll, e per fortuna non ci sono stati altri rinvii. Al quartier generale di Tusk, leader di Piattaforma Civica (PO) - vincitrice con oltre il 43% dei voti rispetto a circa il 31% andato al PiS ((Diritto e Giustizia) del premier conservatore Jaroslaw Kaczynski - l’atmosfera era già da ore incandescente quando cinque minuti prima delle 23 sugli schermi sono apparsi i dati degli exit poll.
"Donald Tusk, Donald Tusk" hanno scandito a lungo con cori da stadio le centinaia di sostenitori del leader liberale che - in un intervento a caldo - ha ringraziato tutti quelli che gli hanno dato fiducia. "E’ stata la notte più bella della mia vita", ha detto. "Oggi sono l’uomo più felice del mondo". Tusk ha invitato al tempo stesso alla riconciliazione dopo le divisioni provocate fra i polacchi dai due anni di governo dei gemelli Kaczynski, e ha riproposto una frase pronunciata da Lech Walesa dopo gli accordi di Danzica che nel 1980 segnarono la nascita del sindacato libero Solidarnosc: "E’ stata una lotta, l’abbiamo vinta ma a partire da domani bisogna mettersi al lavoro".
Ben diversa l’atmosfera al quartier generale del partito di Kaczynski, con i sostenitori del premier rimasti ammutoliti alla vista degli exit poll. Qualcuno ha applaudito lo stesso, ma la cocente delusione di chi sperava in un nuovo successo sul filo di lana, come avvenuto due anni fa, era evidente. Kaczynski si è congratulato con Tusk, ma ha avvertito che d’ora in poi il suo partito farà un’opposizione molto dura in Parlamento, chiedendo conto a Piattaforma Civica di tutte le promesse fatte, in particolare quella di realizzare un miracolo economico nel Paese. La festa del popolo di Donald Tusk è continuata in locali e club della capitale, non però per le strade cittadine. A differenza dell’Italia e di altri paesi mediterranei infatti, in Polonia i raduni elettorali si tengono per lo più al chiuso, sopratutto se il periodo è quello autunnale o peggio invernale, quando - nonostante il sole splendente di ieri - la temperatura non invita certo a stare all’aperto.
Sul tema, nel sito, si cfr.:
Indietro non si torna.... Un omaggio a Wojtyla, un campione "olimpionico" grandissimo!!!
L’Amore ("Charitas") e la nascita della democrazia dei moderni.
LA POLONIA E L’OMOFOBIA. I GEMELLI KACZYNSKI....
Polonia: Walesa, riparare i danni
I partiti adottino misure perche’ tutto cio’ non si ripeta *
(ANSA)-VARSAVIA, 22 OTT - Per l’ex presidente polacco Walesa, dopo il successo dell’opposizione e’ necessario ’riparare i danni creati dal governo di Kaczynski’. ’Ora ci vuole un accordo sopra le parti. Tutti i partiti, anche i comunisti, dovrebbero sedersi a un tavolo e, sulla base delle deficienze palesate dal governo Kaczynski, valutare la situazione e adottare misure perche’ tutto cio’ non si ripeta’, ha detto Walesa in un’intervista oggi alla radio privata Tok Fm.
* Ansa» 2007-10-22 13:12
Polonia, batosta per i Kaczynski trionfa Tusk
di Gabriel Bertinetto *
Un incredibile prolungamento delle operazioni di voto ha impedito sino a tardissima ora la diffusione dei primi dati sulle elezioni parlamentari svoltesi ieri in Polonia. Stando a indiscrezioni trapelate all’ora in cui avrebbero dovuto chiudere i seggi, le 20, il Pis (Diritto e giustizia) dei gemelli Kaczynski sarebbe stato nettamente sconfitto dalla Piattaforma civica (Po) di Donald Tusk. Il Po sopravanzerebbe il Pis di circa dieci punti percentuali, ma sono notizie ufficiose e prive di conferma. Sempre stando alle stesse fonti, supererebbero la soglia del 5% necessaria ad essere ammessi alla Sejm, la Camera bassa da cui dipende la fiducia al governo, altri due partiti d’opposizione: la Lid (che raggruppa i democratici di Bronislaw Geremek e la sinistra post-comunista di Aleksandr Kwasniewski), e il partito contadino Psl. Resterebbero fuori dal Parlamento invece due ex-alleati del Pis, di orientamento ultranazionalista e cattolico-fondamentalista: la Lega delle famiglie polacche e Samoobrona (Autodifesa).
La Commissione elettorale ha giustificato il ritardo con l’affluenza molto superiore al previsto, con il 55% (la più alta dal 1989) che ha provocato l’esaurimento delle schede in alcuni seggi di Varsavia e Danzica. Il tempo perso per procurare il materiale mancante è stato recuperato allungando l’orario delle votazioni. È stato deciso di consentire la pubblicazione degli exit-poll e dei conteggi parziali che nel frattempo erano iniziati nella maggior parte delle sedi elettorali, solo quando avesse chiuso anche l’ultimo seggio.
Se le notizie ufficiose sull’esito del voto corrispondono al vero, è chiaro che la svolta negli orientamenti dell’opinione pubblica ha coinciso con il confronto televisivo tra i leader dei due maggiori partiti, dieci giorni prima del voto. Quella sera Donald Tusk ha sorprendentemente strapazzato Jaroslaw Kaczynski, sfoggiando un’aggressività polemica prima ignota al pubblico, e smascherando spietatamente l’ignoranza del suo interlocutore sui prezzi dei prodotti di largo consumo e altri aspetti della vita quotidiana di quei polacchi semplici e poveri, lungamente corteggiati dalla propaganda populista del premier uscente e del suo partito. Sino ad allora i sondaggi predicevano equilibrio, se non una prevalenza di Diritto e giustizia. Da quel momento hanno imboccato senza incertezze una direzione favorevole alla Piattaforma civica.
Gran parte degli ambienti imprenditoriali speravano nella vittoria dei liberali, che hanno promesso misure loro gradite, come l’abolizione della tassazione progressiva sui redditi e l’introduzione di un’aliquota unica. Più in generale Tusk ha conquistato il sostegno di una parte dei ceti medi prospettando la scelta di una «via irlandese» allo sviluppo, con sgravi fiscali, incentivi agli investimenti, e un mercato del lavoro molto flessibile. Altro punto chiave del programma economico dell’opposizione al Pis era l’ingresso il più presto possibile in Eurolandia, un obiettivo verso cui i Kaczynski, notoriamente a dir poco euroscettici, si sono sempre dimostrati piuttosto tiepidi.
L’europeismo sarebbe certamente un potente collante della coalizione di governo fra Po, Lid e Psl, che può scaturire dall’esito elettorale. Più complesso sarà trovare un punto di incontro sulla politica economica. I contadini e la componente socialista della Lid cercheranno certamente di arginare il liberismo senza freni cui pare ispirarsi Tusk. Europa a parte, è più in generale la politica estera ad offrire un buon terreno d’intesa alle tre forze del potenziale centrosinistra alla polacca. Tusk ha esplicitamente promesso il ritiro dei 900 soldati del contingente polacco dall’Iraq, pur tranquillizzando Washington sull’intenzione di effettuarlo in maniera graduale. Una presa di posizione che è sembrata andare incontro agli orientamenti di un’opinione pubblica sempre meno convinta dell’opportunità di partecipare all’avventura mesopotamica di George Bush.
Non è bastato a Diritto e giustizia dunque insistere sui soliti cavalli di battaglia, che gli garantirono la vittoria nel 2005 e la conservazione di un forte sostegno popolare sino ad epoca recente. Nell’ultimo appello televisivo Jaroslaw Kaczynski aveva in particolare chiesto un nuovo mandato per combattere la piaga della corruzione e per continuare la de-comunistizzazione della società polacca, che per lui ed il gemello deve essere ancora compiuta. Come se non ci fosse mai stato un 1989 nella storia del Paese.
Non è bastata nemmeno, e magari è stata addirittura controproducente, la minaccia di sabotare l’azione di governo qualora la vittoria fosse andata agli avversari. Forse l’elettorato non ha gradito il tono intimidatorio con cui quattro giorni prima del voto, il capo di Stato, Lech, gemello del premier, ha preannunciato che in caso di sconfitta avrebbe fatto ricorso alle proprie «prerogative costituzionali», cioè la facoltà di porre il veto sulle leggi del Parlamento.
Il rischio che il pesante monito sia seguito dai fatti esiste, e per questo sarà importantissimo vedere la definitiva distribuzione dei seggi alla Sejm, la Camera bassa, quella da cui dipende la fiducia al governo. Se i deputati di Po, Lid e Psl globalmente fossero almeno i tre quinti del totale, potrebbero a norma di legge rovesciare i veti presidenziali.
Evidentemente, sempre se le indiscrezioni sui risultati elettorali saranno confermate, non è stato sufficiente ai Kaczynski nemmeno l’apporto della martellante propaganda pro-Pis di Radio Maryia. L’emittente diretta da padre Tadeus Rydzyk in passato aveva suddiviso le proprie simpatie fra il Pis ed un altro gruppo ultraconservatore, la Lega delle famiglie polacche. In questa campagna ha concentrato il proprio sostegno sulla formazione dei Kaczynski, dopo avere constatato il fallimento della coabitazione con la Lega nell’esecutivo scaturito dalle elezioni del 2005. Se si è arrivati allo scioglimento anticipato delle Camere infatti è stato proprio per la crisi che in agosto è sfociata nell’uscita dal governo dei ministri della Lega e di un altro piccolo partito reazionario, Samoobrona, che contendeva agli alleati la palma dell’integralismo religioso, della xenofobia e dell’antisemitismo.
La scelta di campo di Radio Maryia non è stata efficacemente contrastata dalla gerarchia cattolica, benché alcuni vescovi abbiano manifestato disapprovazione. Ma è stato significativo a due giorni dal voto il gesto di Stanislaw Dziwisz, cardinale di Cracovia, ed ex-segretario di Giovanni Paolo secondo. Quasi a correggere l’immagine diffusa di un episcopato sostanzialmente allineato con il Pis, Dziwisz ha ricevuto Tusk.
* l’Unità, Pubblicato il: 22.10.07, Modificato il: 22.10.07 alle ore 17.21
Polonia, vincono i liberali, sconfitti i Kaczynski
Piattaforma Civica trionfa. Così titolano i principali quotidiani polacchi all’indomani del voto, dopo la lunga notte elettorale che ha consacrato i liberali appunto, primo partito del Paese, staccando di quasi dieci punti la formazione dei "gemelli" Kaczynski, Diritto e Giustizia. Una rivincita, clamorosa e assolutamente inaspettata nelle proprorzioni, che ripaga la doppia sconfitta alle legislative e alle presidenziali del 2005.
A pesare sul «trionfo» dei liberali, l’affluenza record (55,3%), conseguenza di una campagna elettorale focalizzata intorno alla figura del premier Jaroslaw Kaczynski, trasformando il voto in una sorta di referendum su di lui. Un plebiscito che il gemello ha perduto.
La Piattaforma Civica, il partito guidato dal liberale Donald Tusk ha infatti conquistato il 41,6 per cento dei voti e 208 dei 460 seggi del Parlamento polacco. Lo rende noto lunedì mattina la commissione elettorale quando è stato scrutinato il 91 per cento delle schede. Il moderato Partito dei contadini, futuro partner della coalizione di governo, ha conquistato l’8,8 per cento dei voti (pari a 35 seggi).
I risultati ufficiali parziali stanno dunque confermando il trionfo del Partito liberale ed europeista di Donald Tusk e la sconfitta del conservatore Legge e giustizia del premier Jaroslaw Kaczynski, il partito al potere puntello anche del fratello Lech.
Nel Parlamento di Varsavia entreranno anche il partito Sinistra e Democrazia dell’ex presidente polacco Aleksander Kwasniewski; mentre spariscono i partiti più radicali del panorama politico, protagonisti di numerosi scandali nel corso dell’ultima legislatura, l’ultra-cattolica Lega delle famiglie polacche e i populisti di Autodifesa.
* l’Unità, Pubblicato il: 22.10.07, Modificato il: 22.10.07 alle ore 17.18
Terremoto elettorale: il liberale Tusk al 44%. Ritardi enormi ai seggi
ma tutte le previsioni sono concordi: il Paese vuole cambiare
La Polonia cambia faccia
sconfitti i gemelli K
dal nostro inviato ANDREA TARQUINI *
VARSAVIA - È stata la Stalingrado dei Kaczynski. Alle elezioni politiche anticipate svoltesi ieri in Polonia, i liberal europeisti e moderni di Donald Tusk, la Piattaforma dei cittadini, ha trionfato. Con lei vince la Sinistra, l’alleanza degli ex comunisti riformatori e dei padri dell’ala laica di Solidarnosc.
Legge e Giustizia (PiS), il partito nazionalpopulista dei Jaroslaw e Lech Kaczynski, perde il potere dopo due anni di governo devastante per il paese. Per la seconda volta dopo la rivoluzione democratica del 1989, Varsavia torna con una svolta progressista in Europa.
La notizia che l’intera Unione europea attendeva col fiato sospeso è giunta solo nella tarda serata. Dopo ore nervose, per i ritardi nella chiusura dei seggi e nel conto dei voti: molta più gente del previsto è andata a votare, rispondendo agli appelli dei partiti liberali e progressisti, del padre della democrazia Lech Walesa, della maggioranza dei vescovi. Secondo i primi exit polls ufficiali, la Piattaforma diventa di gran lunga il primo partito del paese con il 43,6 per cento. Il PiS crolla al 31,1 per cento.
La LiD, cioè l’alleanza tra ex comunisti e veterani laici di Solidarnosc, con Bronislaw Geremek in testa, conquista un solido 12,6. Il Partito contadino (Psl) va all’8,6. I due ex alleati dei Kaczynski, cioè l’ultradestra (Lpr) e i populisti di Samoobrona, precipitano rispettivamente all’1,6 e all’1,4 per cento. Tradotto in seggi, è un terremoto. Al Sejm, la prima Camera, su 460 seggi il partito di Donald Tusk ne conquista 226; la sinistra 50. Il Partito contadino 27. Il PiS solo 156.
Ciò vuol dire che la Piattaforma è vicina alla maggioranza assoluta. E insieme a sinistra e contadini, potrebbe raggiungere la maggioranza costituzionale. Quindi cambiare la Costituzione, e al limite chiedere di deferire il premier uscente alla Suprema Corte per abuso di potere. Al Senato su 100 seggi Piattaforma ne avrà 66, i gemelli 28, la sinistra 5.
La svolta è venuta con una partecipazione al voto del 55,3 per cento, la più alta da quella delle prime elezioni democratiche del 1989, quando l’accordo storico tra Solidarnosc e la giunta del generale Jaruzelski avviò la caduta del Muro di Berlino e la fine dell’Impero sovietico. Quelle lunghe code in attesa al freddo sono l’immagine della speranza, della voglia di cambiare.
"Faccio i miei auguri a Tusk", ha detto il premier uscente Jaroslaw Kaczynski, scuro in volto. Era giunto al quartier generale del suo partito - l’hotel Hyatt occupato da truppe speciali - scuro in volto, accompagnato dalla madre. Ma è stato minaccioso: "Saremo un’opposizione dura".
Esultanza e gioia, invece, al party elettorale di Tusk. Condivisa a distanza a Bruxelles, Berlino, altre capitali europee: il nuovo leader polacco firmerà la Carta Europea dei diritti. Vuole il disgelo con Ue, Germania e Russia. E in una chiara presa di distanza da Bush, è deciso al ritiro dall’Iraq. Duro colpo per Washington: le forze armate polacche hanno il comando di una delle quattro zone di amministrazione occupante. "Conta l’amore, più del potere", ha detto Tusk quasi citando il "fate l’amore, non la guerra" dei sessantottini e facendo così temere che la sua Polonia potrebbe rivedere il suo impegno in Iraq.
Hanno votato in massa anche i superlaureati emigrati negli anni dei gemelli: tre-quattro ore di attesa in coda nei consolati polacchi nel Regno Unito, grande folla a Berlino, Roma, Barcellona e Milano. Fino all’ultimo, con ritardi e rinvii della pubblicazione degli exit polls, la svolta è apparsa in forse. Poi, alle 22.55, i risultati e la fine della tensione. Regione dopo regione, liberal e progressisti sorpassavano la maggioranza uscente.
Piattaforma e sinistra hanno vinto in tutta la Polonia occidentale, centrale, sulla costa: da Varsavia a Danzica, dalla Cracovia di papa Wojtyla alla Slesia dei minatori. Ai Gemelli K restano solo le regioni di frontiera orientali e Kielce, che nel dopoguerra fu teatro di un pogrom antisemita. Ora si apriranno i negoziati per il governo. Non facili, ma le idee di privatizzazioni e riforme di Tusk, temperate dall’attenzione al sociale e ai poveri della sinistra e del Psl, potrebbero fornire un programma efficiente.
Soprattutto in nome della priorità comune: riconciliarsi con Bruxelles, Berlino, Mosca, e farla finita con accuse, sospetti, diffamazioni e abusi di potere. "Dopo questo voto", ha detto il primate della Chiesa cattolica cardinale Josef Glemp, "spero verrà la pace sociale".
* la Repubblica, 22 ottobre 2007.
Polonia la storia scongelata
di BARBARA SPINELLI (La Stampa, 224.10.2007)
I primi elogi di Donald Tusk, vincitore delle elezioni di domenica in Polonia, sono andati ai due personaggi che i gemelli Kaczynski esecravano in modo speciale: Lech Walesa, fondatore di Solidarnosc negli Anni Ottanta ed ex Presidente della Repubblica, e Wladyslaw Bartoszewski, ministro degli Esteri nel 1995, eroe della seconda guerra mondiale, internato a Auschwitz fra il 1940 e il 1941, combattente nell’insurrezione di Varsavia, militante di Solidarnosc nell’opposizione al comunismo reale. Ambedue incarnano la storia terribile e coraggiosa della Polonia moderna: l’invasione tedesca, i campi di sterminio hitleriani, l’insurrezione antinazista a Varsavia, la lunga resistenza al totalitarismo comunista.
Questo itinerario di dolore e liberazione era stato rinnegato dai fratelli Kaczynski, che in mente avevano un unico sogno ossessivo: riscrivere la storia deturpandola, denunciare la Germania come segreta vincitrice dell’ultimo conflitto, vendicare le sofferenze della nazione restituendole una grandezza smisurata e del tutto irrealistica. La Quarta Repubblica annunciata dai gemelli aveva pretese messianiche, era cattolico-integralista, s’immergeva in cicliche crociate moralizzatrici contro chiunque si presentasse come diverso (diverso in quanto gay, o pensatore indipendente, o estimatore di scrittori anticonformisti come Kafka, Gombrowicz, Dostoevskij).
Questa Polonia somigliava a una camera fatta solo di muri, ignara delle finestre, incapace di nutrir dubbi su se stessa e i propri antichi nemici: come se settant’anni di storia non avessero insegnato nulla, come se non ci fossero stati in Europa, nel frattempo, riconciliazione e apprendimento di un diverso modo di esser patria, Stato. L’invenzione di una nazione assolutamente sovrana, mai artefice e sempre vittima della storia, è scaturita da quest’ubriacatura mentale e politica. Bartoszewski, che ha scritto sulle azioni eroiche dei polacchi in favore degli ebrei durante il genocidio ma anche sulle loro indifferenze, era un avversario pericoloso.
Sia Walesa che Bartoszewski sono stati accusati di collaborazione con il comunismo, dai servitori del potere sconfitto.
Gli elettori polacchi hanno sorpreso il mondo, mandando a casa un regime che ha usato due anni di arbitrio per rovinare non solo il prestigio nazionale ma anche il farsi dell’Europa. Soprattutto le grandi città e i giovani hanno detto basta ai fratelli, dando fiducia a un leader, Tusk della Piattaforma civica, che infine ha osato attaccare frontalmente politiche che per molto tempo aveva assecondato con la propria passività. Sono loro, i figli della Liberazione dell’89, che hanno messo fine a un esperimento che il regista Wajda chiama «stagione nera». In situazione di emergenza i polacchi son capaci di azioni sorprendenti, nei secoli l’hanno ripetutamente dimostrato, e anche questa volta hanno visto il mostro dentro di sé e l’hanno vinto.
L’ostilità spasmodica che i Kaczynski nutrono per l’Europa è il primo mostro che sarà debellato, anche se uno dei due gemelli, Lech, resterà alla Presidenza della Repubblica fino al 2010, con vasti poteri di veto. Ma fin d’ora Tusk promette cambi non irrilevanti in politica estera: un’epoca si chiude, fatta di non splendido isolamento, e Varsavia ricomincerà l’avventura europea iniziata dopo l’89 da Bartoszewski, Geremek, l’ex governatore della Banca centrale Balcerowicz. Non tutto sarà rivisto, perché Tusk e la stessa sinistra hanno partecipato agli illusionismi nazionali.
Comunque potrebbe esserci il ritiro dei soldati dall’Iraq, e un negoziato sullo scudo antimissile americano che non trascurerà esigenze e riserve di altri governi europei. Non stupisce simile ostilità, e nei prossimi mesi e anni si vedrà come i pensatori, gli storici, i giornalisti, i politici polacchi l’analizzeranno. Di quest’Europa, i Kaczynski hanno mostrato di non capire nulla. Hanno fatto finta che fosse una confederazione di Stati rimasti immutati, sovrani come nell’epoca precedente la fine delle due guerre mondiali, e con estrema disinvoltura hanno sistematicamente idolatrato l’indipendenza totale della nazione, presentandola come libertà da influenze esterne. Al pari dell’Inghilterra, ma senza i suoi costumi democratici, si sono aggrappati al diritto di veto, hanno paralizzato i lavori sulla costituzione, hanno scelto di restar fuori dalla Carta dei diritti fondamentali, che tutti gli altri governi dell’Unione son pronti a considerare giuridicamente vincolante.
Nelle loro prime dichiarazioni, i collaboratori di Tusk cambiano rotta: la Polonia del centro destra aderirà alla Carta dei diritti e si sforzerà di entrare nell’euro entro il 2012, proseguendo una battaglia iniziata da Balcerowicz e interrotta dai Kaczynski. Soprattutto, smetterà di contrapporre il proprio legame diretto con Washington alla solidarietà con l’Europa. Quel legame ha inacidito e falsato ogni cosa: non solo i rapporti con Mosca e Germania, ma anche l’idea di autonomia e sovranità. Non di autonomia si trattava infatti, ma di asservimento alle politiche americane. «Noi siamo innanzitutto membri dell’Unione, non degli Stati Uniti», ha detto Jacek Wolski, vicepresidente del Parlamento europeo e collega di Tusk, la sera del voto. Quello che i Kaczynski non avevano compreso, della storia recente d’Europa, è la sua ragion d’essere profonda. Non avevano compreso che l’avventura era nata da una critica radicale degli Stati ottocenteschi, delle insolenze nazionalistiche sfociate in due guerre rovinose per il continente, dei rapporti di forza fondati su Stati che si equilibrano l’un l’altro ostilmente (la cosiddetta balance of power). Era anche nata dalla consapevolezza che non s’imponeva solo una laica separazione tra fede e politica, ma anche una netta separazione fra cultura e politica, magistratura e politica, economia e politica: separazioni che i Kaczynski hanno sprezzato. La Carta europea dei diritti e la protezione delle minoranze non è un ornamento recente dell’Unione: si riconnette al come e al perché della sua fondazione.
In tutte le nazioni d’Europa occidentale l’Unione ha significato analisi di sé, dei propri limiti, delle proprie disfatte: è vero per la Germania, la Francia, l’Italia uscita dal fascismo con un articolo 11 della Costituzione che riconosce, sopra la nazione, l’autorità degli organismi multilaterali di cui siamo parte. La Polonia e l’Est europeo non hanno partecipato a questa storia, ed è stato grave errore dei negoziati d’adesione non ricordarla con esigenza ultimativa. È il motivo per cui gli europei orientali hanno scambiato l’Unione per un insieme di Stati indipendenti, disconoscendo l’intreccio europeo continuo fra sovrannazionalità e sopravvivenza delle patrie. Dice ancora Wajda che la Polonia dei Kaczynski era fondata sulla più disastrosa delle passioni: il risentimento che mescola odio e vittimismo, onnipotenze fittizie e sogni messianici. Anche questo risentimento è eredità dell’Ottocento, inadatta al tempo presente.
La Polonia del ressentiment apparsa negli ultimi anni ha somiglianze impressionanti con l’Italia che Berlusconi ha cambiato, plasmato. Anche da noi ci sono forze di destra che speculano sul ressentiment e costruiscono sul rancore, il vittimismo, l’invenzione della realtà. Anche queste forze hanno potere sui mezzi di comunicazione, usano l’anticomunismo come arma per tacitare ogni critica, sono sospettose verso le separazioni molteplici che la laicità insegna. Anche in Italia l’integralismo cattolico ha accresciuto il proprio peso, profittando della politica divenuta campo di battaglia fra amici e nemici mortali.
Non tutto s’aggiusterà presto a Varsavia. Perché Lech Kaczynski resta capo dello Stato. Perché l’ex Premier gemello ha influenze forti su numerosi centri di potere, anche nei servizi segreti. È probabile che Tusk avrà bisogno dei postcomunisti di Aleksander Kwasniewski, per poter opporre ai veti presidenziali la maggioranza di tre quinti richiesta in Parlamento. Ma il ritorno in Europa può riprendere. Si vedrà da quello che il governo farà nei prossimi tempi: se la politica estera diverrà più responsabile, smettendo una strategia anti-tedesca e anti-russa fatta esclusivamente di livore. Se la Polonia capirà di non abitare più i primi del Novecento, e accetterà di esser figlia della storia europea postbellica e del suo saggio correggersi e ravvedersi.