Politica

San Giovanni in Fiore, votato lo spostamento del debito pubblico comunale al 2034

martedì 28 giugno 2005.
 

Un debito pubblico di circa trenta miliardi di lire, allontanato - secondo Antonio Barile, consigliere comunale di Forza Italia - nel consiglio comunale del 21 giugno, «organizzato per benino allo scopo di compiere una manovra scacciaguai». Votato lo spostamento del debito comunale al 2034, con la grave astensione dell’Udc. «Piuttosto che rimediare soldi - ha proseguito Barile - tagliando dove è necessario, la nuova giunta ha adottato il sistema dell’ulteriore indebitamento, allungando i tempi di recupero. Per forza, non si può rinunciare agli sprechi: affitti inopportuni e servizi esosi, assegnati, peraltro, a imprese esterne». Al momento, il bilancio comunale è catastrofico: parlano i numeri, nei quali fa freddo, come scrive Giampaolo Spinato. Non ci sono più risorse, mancano addirittura gli spiccioli per comprare i microfoni in consiglio comunale e qualche posacenere per i fumatori recidivi. Anni e anni di amministrazione scriteriata, con incarichi in qua e in là, un po’ di complicità sindacale, danaro pubblico sperperato in trasporti, consulenze del cavolo, opere pubbliche di salvataggio e il disastro s’è finalmente compiuto, «aggiungendo l’affare spazzatura assegnato a Valle Crati, con ricca maggiorazione dei costi in nome delle amicizie partitiche a sinistra» - secondo Antonio Barile. Negli ultimi quindici anni è accaduto di tutto, a San Giovanni in Fiore, e di più: le assunzioni da parte dei commissari Calvosa e Gonzales col solo criterio della presenza in una lista minatoria, gli scaricabarile fra Regione e Comune sulle giornate degli operai del Fondo sollievo, spesso direzionati da sindacati e non gestiti a dovere dal municipio, che doveva assicurare risultati e pagamenti, sulla base di progetti finanziati attraverso un fondo regionale specifico e già molto consistente, di svariati miliardi di lire. «In seguito a una gestione politicamente opportunistica degli operai del Fondo, con tentativi di sistemazione e accordi con la Regione e, soprattutto, senza un’effettiva e tangibile utilità dei lavori commissionati, San Giovanni in Fiore ha acceso un mutuo di circa sei miliardi di vecchie lire, due dei quali servivano a pagare gli operai e altri a coprire le spese di gestione» - l’attacco di Barile. Una quarantina di operai del Fondo sollievo, intanto, hanno recentemente avviato «un procedimento legale per il riconoscimento di crediti accumulati dal 2001 al 2004, dovuti alla mancata applicazione, da parte del Comune, di due contratti collettivi degli idraulico-forestali», ha spiegato Enzo Minnelli, dottore in legge che segue la faccenda per conto della Uil di San Giovanni in Fiore. Arrivate al Comune le prime ingiunzioni di pagamento, Giuseppe Casamassima, segretario locale del sindacato, ha riferito che «il conto finale potrebbe toccare i sei miliardi di lire, se gli interessati facessero valere le loro ragioni». Il Comune, per tre anni, avrebbe dato ai lavoratori del Fondo una paga giornaliera inferiore alla norma, pur disponendo di uno speciale finanziamento regionale. Il che lascia ancora perplessi riguardo alla responsabilità pubblica degli amministratori e degli amministrativi e non sottrae gli stessi sindacati da legittimi sospetti sulla loro azione. Il sindaco Nicoletti ha detto, rassicurando, che «c’erano degli accordi sindacali a monte per favorire l’aumento delle giornate nel Fondo, in cambio di una lieve diminuzione delle spettanze». Minnelli ha invece ribadito: «È assolutamente illegale, nessun patto può evitare la regolarizzazione del rapporto lavorativo secondo il contratto di categoria». Il diessino Antonio Barberio disse d’una posizione debitoria della Regione, che non aveva girato i fondi necessari al Comune e che, quindi, aveva determinato una situazione al limite della sopravvivenza. Dionisio Gallo, dell’Udc, ex assessore regionale alla Forestazione, dichiarò in un’intervista che i soldi la Regione li aveva mollati e che in Comune erano spariti per ragioni ignote. Al solito, come accade nella migliore Calabria, nessuna verifica degli organi preposti e nessuna soluzione politica. La Casa delle libertà e il Movimento dei disoccupati sono usciti con manifesti e volantini contro la manovra della maggioranza sul debito pubblico, a sostegno della quale la controparte politica ha richiamato molti documenti catalogati dall’ex sindaco Succurro sui patti, per i pagamenti degli operai del Fondo sollievo, fra Comune e Regione e, a seguire, la necessità pratica d’una situazione contabile più tranquilla. Certo, Succurro tenne una linea molto dura a difesa delle istituzioni, si beccò ingiustamente rogne e insulti. Ma è anche vero che ebbe un’importante responsabilità amministrativa, da sindaco, attuando una politica di sinistra per la mensa scolastica ma facendosi condizionare da quei consolidati rapporti di potere fra partiti, privati e funzionari pubblici che, diversamente, ne avrebbero prodotto le dimissioni. Adesso, il Comune rischia seriamente di fallire e, nella migliore delle ipotesi, di restare nel tempo agli sgoccioli. Se non si fanno eventi culturali e non si progetta per il turismo e se manca l’essenziale, in città, si deve alle complicità formalmente regolari fra politica e professionisti, imprese, amministrativi. Lo si deve a precise scelte: a una mancata razionalizzazione, all’incapacità di avviare un serio recupero di risorse economiche, a quell’orientamento, tutto meridionale, per cui il pubblico non appartiene a nessuno.

Emiliano Morrone


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