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L’ITALIA E LA NUVOLA NERA. IL PARLAMENTO, LA LEGGE, E LA RICHIESTA DEL GIP CLEMENTINA FORLEO. Un pasticcio politico: il commento di Giuseppe D’Avanzo - a cura di pfls

martedì 24 luglio 2007.
 
[...] Ora la parola tocca al Parlamento. Che si spera renderà al più presto utilizzabili quelle intercettazioni anche nella consapevolezza che la scelta può significare - per tre uomini del centrosinistra e tre uomini del centrodestra - affrontare i pubblici ministeri, un’istruttoria, un giudice. Una decisione contraria - il rifiuto - creerebbe una nuova nuvola nera sui destini della politica italiana; impedirebbe ai protagonisti di liberare la propria reputazione da ogni sospetto; accentuerebbe la separatezza della politica dal Paese. A chi conviene? [...]

Se il Parlamento collabora

di Giuseppe D’Avanzo *

Il giudice per le indagini preliminari di Milano, Clementina Forleo, chiede al Parlamento di rendere «utilizzabili» nel processo le intercettazioni telefoniche in cui sono incappati i Ds Massimo D’Alema, Nicola Latorre, Piero Fassino; il senatore e i deputati di Forza Italia, Grillo, Comincioli e Cicu. Il ceto politico - in coro e con allarme, a destra come a sinistra - discute i toni e le parole che il gip, Clementina Forleo, ha ritenuto di adoperare nella sua ordinanza. Il ministro di giustizia si spinge addirittura a ipotizzare contro il giudice «una potenziale lesione dei diritti e dell’immagine di soggetti estranei al processo». I «soggetti estranei» sarebbero i politici di cui si parla. Al contrario, il giudice li definisce «complici consapevoli» dei reati ipotizzati nel tripartito progetto di scalata Antonveneta/Bnl/Rcs-Corriere della Sera. Chi è chiamato a giudicare? Il ministro o il giudice? Forse il giudice anche quando si tratta di politici, e allora la confusione di linguaggi, interessi e opposte (e forzate) interpretazioni può far perdere il filo.

Che cosa accade? Accade che, dopo la pubblicazione a goccia e a boccone, delle intercettazioni di due anni fa finalmente abbiamo - con la richiesta di utilizzabilità - un giudice che configura penalmente "il fatto" e non è tenero con i politici coinvolti nell’affare. Al giudice, i politici appaiono non «passivi ricettori di informazioni pur penalmente rilevanti né personaggi animati da una sana tifoseria per opposte forze in campo, ma consapevoli complici di un disegno criminoso di ampia portata che si stava consumando ai danni dei piccoli e medi risparmiatori, in una logica di manipolazione e lottizzazione del sistema bancario e finanziario nazionale».

I politici, dunque, non stavano soltanto alla finestra per guardare e applaudire o fischiare, ma erano sul terreno di gioco a giocare una partita che era anche loro. Ma i dialoghi telefonici giustificano questa approssimata - preliminare, appunto - convinzione? Va detto che nessuno può dirla spensieratamente ballerina. Anche senza trarre affrettate conclusioni di colpevolezza o di innocenza, è indubbio che quelle conversazioni hanno bisogno di spiegazioni, approfondimenti, indagini.

Il reato degli "scalatori" è documentato. Ammettono di aver messo insieme il 51 per cento prima di lanciare un’offerta pubblica di acquisto (opa) obbligatoria già quando si detiene il 30 per cento. Confessano candidamente come hanno occultato gli accordi sotto banco. Peccano di «insider trading» e "passano" quelle informazioni privilegiate a soggetti non legittimati a riceverle. Bene, fin qui tutto chiaro.

Ma i politici? Non si limitano a raccogliere notizie, a tenersi informati sugli eventi. Per il giudice, intervengono, si danno fare per rimuovere o aggirare gli ostacoli. Hanno un ruolo attivo. Sono partecipi (se complici appare troppo). Per usare le parole di Clementina Forleo, sono «pronti e disponibili a fornire loro supporti istituzionali». Giovanni Consorte (Unipol) giunge a chiedere a D’Alema e Latorre un aiuto: «Stiamo messi così, adesso dovete darci una mano a trovare i soldi, no?». E Latorre: «Vabbé, a disposizione». E, più tardi D’Alema, a un Consorte che gli racconta delle sue riunioni con il mondo cooperativo, chiede: «Di quanto hai bisogno ancora?». «Non tantissimo, di qualche centinaio di milioni di euro», risponde l’altro. Appare chiaro dalla lettura dell’ordinanza che, per il giudice, questi colloqui sono frammenti d’indagine che avrebbero giustificato un’iscrizione al registro degli indagati e un’investigazione severa. Iniziative che non sono mai decollate per la inutilizzabilità delle intercettazioni "politiche". Una volta utilizzabili - sembra di capire - il giudice si attende dal pubblico ministero un’imputazione e, in sua assenza, appare pronto a chiederla coattivamente. Quindi, se il Parlamento dovesse liberare quelle carte è molto probabile che soprattutto D’Alema e Latorre saranno indagati.

Ora ci si deve interrogare sulla correttezza delle mosse del giudice. In altri termini, la legge consente al giudice per le indagini preliminari di "leggere" con tanta severità le carte, giungendo anche a una prima conclusione su soggetti che non sono stati mai ufficialmente indagati? Non c’è dubbio che la Forleo si muove nell’ambito delle regole. Potrebbe addirittura indicare al pubblico ministero quali aspetti dell’affare approfondire. Deve spiegare però al Parlamento la necessità di mettere a disposizione della giustizia quelle intercettazioni.

Per farlo, è quasi obbligata a squadernare la rilevanza di quei comportamenti, la loro opacità, l’opportunità di verificarne la consistenza penale. Non c’è dubbio che nel farlo, scivoli in qualche eccesso moralistico e sovrattono. Non sembra che un giudice possa essere, per dirne una, il tutore dell’«immagine del Paese». Ma può una "papera" oscurare i fatti? O gettare in un canto l’esigenza di accertare chi ha fatto che cosa, e perché, in una stagione in cui, come dicono con candore gli intercettati, si voleva «cambiare il volto del potere» italiano?

Ora la parola tocca al Parlamento. Che si spera renderà al più presto utilizzabili quelle intercettazioni anche nella consapevolezza che la scelta può significare - per tre uomini del centrosinistra e tre uomini del centrodestra - affrontare i pubblici ministeri, un’istruttoria, un giudice. Una decisione contraria - il rifiuto - creerebbe una nuova nuvola nera sui destini della politica italiana; impedirebbe ai protagonisti di liberare la propria reputazione da ogni sospetto; accentuerebbe la separatezza della politica dal Paese. A chi conviene?

*la Repubblica, 21 luglio 2007

ORDINANZA 1

ORDINANZA 2


IL COMMENTO

Un pasticcio politico

di GIUSEPPE D’AVANZO *

Giorgio Napolitano prende posizione. E nelle sue funzioni di presidente del Consiglio superiore della magistratura. Quindi, nella sede più opportuna e nella forma più adeguata. E’ un intervento formale che, nei fatti, sostiene i dubbi e l’iniziativa ispettiva già annunciata da Clemente Mastella. Le parole del capo dello Stato sono più di un monito e poco meno che un’esplicita richiesta di un procedimento disciplinare contro il giudice per le indagini preliminari Clementina Forleo. Il tono scelto dal capo dello Stato è didattico e censorio. "Desidero rinnovare il richiamo a non inserire in atti processuali valutazioni e riferimenti non pertinenti e chiaramente eccedenti rispetto alle finalità dei provvedimenti".

Dunque, nella richiesta al Parlamento di rendere utilizzabili le intercettazioni telefoniche tra Gianni Consorte (Unipol) e i ds D’Alema Fassino Latorre, il giudice di Milano utilizza in eccesso il potere che gli è assegnato dai codici, con uno "sviamento", uno "straripamento" delle prerogative che gli attribuisce la legge. Deve soltanto illustrare al Parlamento le ragioni che, a suo giudizio, rendono necessario utilizzare nel processo delle "scalate" Antonveneta/Bnl/Rizzoli-Corriere della Sera le registrazioni di quei colloqui. Con "valutazioni eccedenti" e "riferimenti non pertinenti", il giudice indica esplicitamente e in sovrappiù - per Napolitano, abusivamente - una corresponsabilità nel delitto (aggiotaggio) dei parlamentari non ancora indagati.

Scrive la Forleo: "A parere di questa autorità giudiziaria, sarà proprio il placet del Parlamento a rendere possibile la procedibilità penale nei confronti dei suoi membri i quali, all’evidenza, appaiono non passivi percettori di informazioni pur penalmente rilevanti, ma consapevoli complici di un disegno criminoso".

Se le parole hanno un senso - e non possono non averlo se dette dal presidente della Repubblica in un’occasione così rituale - l’ordinanza del giudice è, come dicono i tecnici, "abnorme" e costituisce il solo caso in cui un ministro di giustizia è legittimato a intervenire sul provvedimento di un giudice. Se i comportamenti saranno coerenti con le parole, si deve credere che siamo alla vigilia di un nuovo, robusto conflitto tra la politica e la magistratura. Il procuratore generale della Cassazione Mario Delli Priscoli chiede di acquisire le ordinanze. Mastella invierà a Milano gli ispettori mentre la Giunta per le autorizzazioni (decide dell’utilizzabilità dei colloqui) avrà molte difficoltà - dinanzi all’ipotizzato vulnus inflitto al potere legislativo con un’iniziativa anomala - ad accogliere la richiesta dei giudici di Milano (ammesso che avesse voglia di accoglierla).

Il putiferio è assicurato anche perché il giudizio di Napolitano non è condiviso da tutti gli addetti. Tra i quali, c’è chi autorevolmente difende le decisioni e le ordinanze di Clementina Forleo giudicandole, forse "border line", ma non illegittime o abusive. Doveva motivare, come le impone la legge, l’essenzialità per il processo di quelle registrazioni. Lo ha fatto forse con qualche parola storta, ma all’interno delle costrizioni procedurali, e schiacciata per di più dalla decisione del pubblico ministero di non iscrivere al registro degli indagati i parlamentari, nonostante quei colloqui li vedessero partecipi e collaboratori di un progetto che occultava e manipolava le notizie da offrire per legge ai mercati e ai risparmiatori. Ora si vedrà quale direzione prenderanno gli organi di disciplina della magistratura, quale giudizio dei passi della Forleo prevarrà tra i giuristi. Esiste una macchina procedurale che vaglierà il rispetto o il dispetto delle regole.

Quale che sia l’esito, appare burlesco soffocare l’intera storia che provoca l’inchiesta penale (le "scalate" del 2005) in una esclusiva questione tecnico-giuridica anche se rilevante perché interpella il sistema delle garanzie. In queste ore, si odono formule troppo confuse. La macchina giudiziaria farà la sua strada, ma l’affare - conviene ricordarlo agli smemorati - è anche politico. La manovra del ceto politico di fare spallucce dinanzi a legami imbarazzanti e obliqui - si vedrà con o senza rilievo penale - è debole. Ancora più fragile è la litania che con Prodi, D’Alema, Fassino, Violante, Finocchiaro ripete: è roba vecchia, già letta e digerita. Letta sì, ma digerita da chi?

E’ utile ricordare che cosa è accaduto per scongiurare il rischio che si finisca di parlare soltanto di codici. La scena ricostruita dalla magistratura e dalle testimonianze dei protagonisti (da Ricucci come da Fazio) - e rinforzata, al di là di ogni dubbio, dalle intercettazioni telefoniche - conferma che la politica non ha espresso soltanto "opinioni" nell’anno delle scalate ad Antonveneta, a Bnl, al Corriere della Sera, al gruppo Riffeser. E’ stata protagonista. Con l’ambizione esplicita e dichiarata (parole del senatore Nicola Latorre) di "cambiare il volto del potere italiano". I leader politici non si sono limitati ad attendere l’esito di una contesa di mercato. Sono intervenuti, con il peso del loro ruolo e responsabilità pubbliche, a vantaggio dei protégés. Berlusconi indica a Stefano Ricucci il partner industriale per l’assalto a via Solferino e scrutina i possibili mediatori. D’Alema consiglia a Consorte (Unipol) l’acquisto di pacchetti azionari mentre Fassino e Bersani (come ha riferito ai pubblici ministeri Antonio Fazio) incontrano il governatore della Banca d’Italia per "spingere" una fusione Unipol-Monte dei Paschi-Bnl. Quel che se ne ricava è la ragionevole certezza che la politica abbia giocato in proprio la partita, per di più cercando di influenzare uno degli arbitri (il governatore).

Chiunque comprende che non può essere questo il primato della politica. La politica legifera. Seleziona opzioni. Sceglie regole che possano modernizzare il Paese e renderlo capace di affrontare le sfide del futuro. A destra come sinistra sembrano, al contrario, non voler prendere atto che una politica che, nello stesso tempo, gioca, fa l’arbitro e legifera è una cattiva politica. Che scredita se stessa.

Già in occasione della pubblicazione delle testimonianze di Stefano Ricucci, si è avuta la sensazione che, quasi "a freddo", il ceto politico volesse resuscitare il conflitto tra il potere politico e l’ordine giudiziario, la contrapposizione tra ceto politico e informazione per aumentare il "rumore", sollevare polvere, star lontano dal nocciolo più autentico della questione. Da questo punto di vista, se non fosse esistita, Clementina Forleo l’avrebbe dovuta creare la politica. Ma con o senza la Forleo, non è agevole eliminare dal tavolo la questione politica. Quell’intrigo, che vede protagonisti intorno allo stesso tavolo Berlusconi e Prodi, D’Alema e Gianni Letta con un poco nobile codazzo di banchieri, arbitri faziosi, avventurieri della finanza, astuti nouveaux entrepreneurs, racconta ancora oggi la distanza tra i propositi dichiarati e i comportamenti effettivi; la divaricazione tra gli accordi in corridoio e i contrasti in pubblico. Da due anni si attende una parola trasparente e critica su quel pasticcio, un’assunzione di responsabilità, un impegno pubblico. Chi può, in buona fede, giudicarla roba vecchia? E’ una questione attualissima, qualsiasi cosa decida di fare la magistratura.

* la Repubblica, 24 luglio 2007


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