di Giuseppe D’Avanzo *
Il giudice per le indagini preliminari di Milano, Clementina Forleo, chiede al Parlamento di rendere «utilizzabili» nel processo le intercettazioni telefoniche in cui sono incappati i Ds Massimo D’Alema, Nicola Latorre, Piero Fassino; il senatore e i deputati di Forza Italia, Grillo, Comincioli e Cicu. Il ceto politico - in coro e con allarme, a destra come a sinistra - discute i toni e le parole che il gip, Clementina Forleo, ha ritenuto di adoperare nella sua ordinanza. Il ministro di giustizia si spinge addirittura a ipotizzare contro il giudice «una potenziale lesione dei diritti e dell’immagine di soggetti estranei al processo». I «soggetti estranei» sarebbero i politici di cui si parla. Al contrario, il giudice li definisce «complici consapevoli» dei reati ipotizzati nel tripartito progetto di scalata Antonveneta/Bnl/Rcs-Corriere della Sera. Chi è chiamato a giudicare? Il ministro o il giudice? Forse il giudice anche quando si tratta di politici, e allora la confusione di linguaggi, interessi e opposte (e forzate) interpretazioni può far perdere il filo.
Che cosa accade? Accade che, dopo la pubblicazione a goccia e a boccone, delle intercettazioni di due anni fa finalmente abbiamo - con la richiesta di utilizzabilità - un giudice che configura penalmente "il fatto" e non è tenero con i politici coinvolti nell’affare. Al giudice, i politici appaiono non «passivi ricettori di informazioni pur penalmente rilevanti né personaggi animati da una sana tifoseria per opposte forze in campo, ma consapevoli complici di un disegno criminoso di ampia portata che si stava consumando ai danni dei piccoli e medi risparmiatori, in una logica di manipolazione e lottizzazione del sistema bancario e finanziario nazionale».
I politici, dunque, non stavano soltanto alla finestra per guardare e applaudire o fischiare, ma erano sul terreno di gioco a giocare una partita che era anche loro. Ma i dialoghi telefonici giustificano questa approssimata - preliminare, appunto - convinzione? Va detto che nessuno può dirla spensieratamente ballerina. Anche senza trarre affrettate conclusioni di colpevolezza o di innocenza, è indubbio che quelle conversazioni hanno bisogno di spiegazioni, approfondimenti, indagini.
Il reato degli "scalatori" è documentato. Ammettono di aver messo insieme il 51 per cento prima di lanciare un’offerta pubblica di acquisto (opa) obbligatoria già quando si detiene il 30 per cento. Confessano candidamente come hanno occultato gli accordi sotto banco. Peccano di «insider trading» e "passano" quelle informazioni privilegiate a soggetti non legittimati a riceverle. Bene, fin qui tutto chiaro.
Ma i politici? Non si limitano a raccogliere notizie, a tenersi informati sugli eventi. Per il giudice, intervengono, si danno fare per rimuovere o aggirare gli ostacoli. Hanno un ruolo attivo. Sono partecipi (se complici appare troppo). Per usare le parole di Clementina Forleo, sono «pronti e disponibili a fornire loro supporti istituzionali». Giovanni Consorte (Unipol) giunge a chiedere a D’Alema e Latorre un aiuto: «Stiamo messi così, adesso dovete darci una mano a trovare i soldi, no?». E Latorre: «Vabbé, a disposizione». E, più tardi D’Alema, a un Consorte che gli racconta delle sue riunioni con il mondo cooperativo, chiede: «Di quanto hai bisogno ancora?». «Non tantissimo, di qualche centinaio di milioni di euro», risponde l’altro. Appare chiaro dalla lettura dell’ordinanza che, per il giudice, questi colloqui sono frammenti d’indagine che avrebbero giustificato un’iscrizione al registro degli indagati e un’investigazione severa. Iniziative che non sono mai decollate per la inutilizzabilità delle intercettazioni "politiche". Una volta utilizzabili - sembra di capire - il giudice si attende dal pubblico ministero un’imputazione e, in sua assenza, appare pronto a chiederla coattivamente. Quindi, se il Parlamento dovesse liberare quelle carte è molto probabile che soprattutto D’Alema e Latorre saranno indagati.
Ora ci si deve interrogare sulla correttezza delle mosse del giudice. In altri termini, la legge consente al giudice per le indagini preliminari di "leggere" con tanta severità le carte, giungendo anche a una prima conclusione su soggetti che non sono stati mai ufficialmente indagati? Non c’è dubbio che la Forleo si muove nell’ambito delle regole. Potrebbe addirittura indicare al pubblico ministero quali aspetti dell’affare approfondire. Deve spiegare però al Parlamento la necessità di mettere a disposizione della giustizia quelle intercettazioni.
Per farlo, è quasi obbligata a squadernare la rilevanza di quei comportamenti, la loro opacità, l’opportunità di verificarne la consistenza penale. Non c’è dubbio che nel farlo, scivoli in qualche eccesso moralistico e sovrattono. Non sembra che un giudice possa essere, per dirne una, il tutore dell’«immagine del Paese». Ma può una "papera" oscurare i fatti? O gettare in un canto l’esigenza di accertare chi ha fatto che cosa, e perché, in una stagione in cui, come dicono con candore gli intercettati, si voleva «cambiare il volto del potere» italiano?
Ora la parola tocca al Parlamento. Che si spera renderà al più presto utilizzabili quelle intercettazioni anche nella consapevolezza che la scelta può significare - per tre uomini del centrosinistra e tre uomini del centrodestra - affrontare i pubblici ministeri, un’istruttoria, un giudice. Una decisione contraria - il rifiuto - creerebbe una nuova nuvola nera sui destini della politica italiana; impedirebbe ai protagonisti di liberare la propria reputazione da ogni sospetto; accentuerebbe la separatezza della politica dal Paese. A chi conviene?
*la Repubblica, 21 luglio 2007
IL COMMENTO
Un pasticcio politico
di GIUSEPPE D’AVANZO *
Giorgio Napolitano prende posizione. E nelle sue funzioni di presidente del Consiglio superiore della magistratura. Quindi, nella sede più opportuna e nella forma più adeguata. E’ un intervento formale che, nei fatti, sostiene i dubbi e l’iniziativa ispettiva già annunciata da Clemente Mastella. Le parole del capo dello Stato sono più di un monito e poco meno che un’esplicita richiesta di un procedimento disciplinare contro il giudice per le indagini preliminari Clementina Forleo. Il tono scelto dal capo dello Stato è didattico e censorio. "Desidero rinnovare il richiamo a non inserire in atti processuali valutazioni e riferimenti non pertinenti e chiaramente eccedenti rispetto alle finalità dei provvedimenti".
Dunque, nella richiesta al Parlamento di rendere utilizzabili le intercettazioni telefoniche tra Gianni Consorte (Unipol) e i ds D’Alema Fassino Latorre, il giudice di Milano utilizza in eccesso il potere che gli è assegnato dai codici, con uno "sviamento", uno "straripamento" delle prerogative che gli attribuisce la legge. Deve soltanto illustrare al Parlamento le ragioni che, a suo giudizio, rendono necessario utilizzare nel processo delle "scalate" Antonveneta/Bnl/Rizzoli-Corriere della Sera le registrazioni di quei colloqui. Con "valutazioni eccedenti" e "riferimenti non pertinenti", il giudice indica esplicitamente e in sovrappiù - per Napolitano, abusivamente - una corresponsabilità nel delitto (aggiotaggio) dei parlamentari non ancora indagati.
Scrive la Forleo: "A parere di questa autorità giudiziaria, sarà proprio il placet del Parlamento a rendere possibile la procedibilità penale nei confronti dei suoi membri i quali, all’evidenza, appaiono non passivi percettori di informazioni pur penalmente rilevanti, ma consapevoli complici di un disegno criminoso".
Se le parole hanno un senso - e non possono non averlo se dette dal presidente della Repubblica in un’occasione così rituale - l’ordinanza del giudice è, come dicono i tecnici, "abnorme" e costituisce il solo caso in cui un ministro di giustizia è legittimato a intervenire sul provvedimento di un giudice. Se i comportamenti saranno coerenti con le parole, si deve credere che siamo alla vigilia di un nuovo, robusto conflitto tra la politica e la magistratura. Il procuratore generale della Cassazione Mario Delli Priscoli chiede di acquisire le ordinanze. Mastella invierà a Milano gli ispettori mentre la Giunta per le autorizzazioni (decide dell’utilizzabilità dei colloqui) avrà molte difficoltà - dinanzi all’ipotizzato vulnus inflitto al potere legislativo con un’iniziativa anomala - ad accogliere la richiesta dei giudici di Milano (ammesso che avesse voglia di accoglierla).
Il putiferio è assicurato anche perché il giudizio di Napolitano non è condiviso da tutti gli addetti. Tra i quali, c’è chi autorevolmente difende le decisioni e le ordinanze di Clementina Forleo giudicandole, forse "border line", ma non illegittime o abusive. Doveva motivare, come le impone la legge, l’essenzialità per il processo di quelle registrazioni. Lo ha fatto forse con qualche parola storta, ma all’interno delle costrizioni procedurali, e schiacciata per di più dalla decisione del pubblico ministero di non iscrivere al registro degli indagati i parlamentari, nonostante quei colloqui li vedessero partecipi e collaboratori di un progetto che occultava e manipolava le notizie da offrire per legge ai mercati e ai risparmiatori. Ora si vedrà quale direzione prenderanno gli organi di disciplina della magistratura, quale giudizio dei passi della Forleo prevarrà tra i giuristi. Esiste una macchina procedurale che vaglierà il rispetto o il dispetto delle regole.
Quale che sia l’esito, appare burlesco soffocare l’intera storia che provoca l’inchiesta penale (le "scalate" del 2005) in una esclusiva questione tecnico-giuridica anche se rilevante perché interpella il sistema delle garanzie. In queste ore, si odono formule troppo confuse. La macchina giudiziaria farà la sua strada, ma l’affare - conviene ricordarlo agli smemorati - è anche politico. La manovra del ceto politico di fare spallucce dinanzi a legami imbarazzanti e obliqui - si vedrà con o senza rilievo penale - è debole. Ancora più fragile è la litania che con Prodi, D’Alema, Fassino, Violante, Finocchiaro ripete: è roba vecchia, già letta e digerita. Letta sì, ma digerita da chi?
E’ utile ricordare che cosa è accaduto per scongiurare il rischio che si finisca di parlare soltanto di codici. La scena ricostruita dalla magistratura e dalle testimonianze dei protagonisti (da Ricucci come da Fazio) - e rinforzata, al di là di ogni dubbio, dalle intercettazioni telefoniche - conferma che la politica non ha espresso soltanto "opinioni" nell’anno delle scalate ad Antonveneta, a Bnl, al Corriere della Sera, al gruppo Riffeser. E’ stata protagonista. Con l’ambizione esplicita e dichiarata (parole del senatore Nicola Latorre) di "cambiare il volto del potere italiano". I leader politici non si sono limitati ad attendere l’esito di una contesa di mercato. Sono intervenuti, con il peso del loro ruolo e responsabilità pubbliche, a vantaggio dei protégés. Berlusconi indica a Stefano Ricucci il partner industriale per l’assalto a via Solferino e scrutina i possibili mediatori. D’Alema consiglia a Consorte (Unipol) l’acquisto di pacchetti azionari mentre Fassino e Bersani (come ha riferito ai pubblici ministeri Antonio Fazio) incontrano il governatore della Banca d’Italia per "spingere" una fusione Unipol-Monte dei Paschi-Bnl. Quel che se ne ricava è la ragionevole certezza che la politica abbia giocato in proprio la partita, per di più cercando di influenzare uno degli arbitri (il governatore).
Chiunque comprende che non può essere questo il primato della politica. La politica legifera. Seleziona opzioni. Sceglie regole che possano modernizzare il Paese e renderlo capace di affrontare le sfide del futuro. A destra come sinistra sembrano, al contrario, non voler prendere atto che una politica che, nello stesso tempo, gioca, fa l’arbitro e legifera è una cattiva politica. Che scredita se stessa.
Già in occasione della pubblicazione delle testimonianze di Stefano Ricucci, si è avuta la sensazione che, quasi "a freddo", il ceto politico volesse resuscitare il conflitto tra il potere politico e l’ordine giudiziario, la contrapposizione tra ceto politico e informazione per aumentare il "rumore", sollevare polvere, star lontano dal nocciolo più autentico della questione. Da questo punto di vista, se non fosse esistita, Clementina Forleo l’avrebbe dovuta creare la politica. Ma con o senza la Forleo, non è agevole eliminare dal tavolo la questione politica. Quell’intrigo, che vede protagonisti intorno allo stesso tavolo Berlusconi e Prodi, D’Alema e Gianni Letta con un poco nobile codazzo di banchieri, arbitri faziosi, avventurieri della finanza, astuti nouveaux entrepreneurs, racconta ancora oggi la distanza tra i propositi dichiarati e i comportamenti effettivi; la divaricazione tra gli accordi in corridoio e i contrasti in pubblico. Da due anni si attende una parola trasparente e critica su quel pasticcio, un’assunzione di responsabilità, un impegno pubblico. Chi può, in buona fede, giudicarla roba vecchia? E’ una questione attualissima, qualsiasi cosa decida di fare la magistratura.
* la Repubblica, 24 luglio 2007
Nel mirino l’ordinanza per utilizzare le telefonate tra parlamentari e indagati
Al gip contestati giudizi ritenuti diffamatori sui politici che pure non erano indagati
Unipol, si muove la Cassazione
Azione disciplinare per la Forleo
La replica del magistrato: "E’ la cronaca di un evento annunciato"
ROMA - Il procuratore generale della Cassazione Mario Delli Priscoli ha promosso l’azione disciplinare nei confronti del gip di Milano Clementina Forleo per i contenuti dell’ordinanza con la quale il magistrato chiese alla Camera di utilizzare le telefonate tra sei parlamentari e alcuni indagati nell’inchiesta sulle scalate bancarie. Al gip verrebbero contestate abnormità , come i giudizi, ritenuti diffamatori sui politici che pure non erano indagati.
In quell’ordinanza l’allora presidente di Unipol Giovanni Consorte Forleo aveva tra l’altro definito "consapevoli complici di un disegno criminoso" l’attuale ministro degli Esteri Massimo D’Alema e il senatore Nicola La Torre, ipotizzando per loro il possibile concorso nel reato di aggiotaggio. E li aveva descritti, insieme al leader dei Ds Fassino, come "pronti e disponibili a fornire i loro apporti istituzionali, in totale spregio dello Stato di diritto". Parole che avevano provocato una durissima reazione , soprattutto da parte di D’Alema che aveva parlato di "asserzioni assolutamente stupefacenti e illegittime" e aveva denunciato "l’anomalia" dell’ordinanza.
E la replica del magistrato non si fa attendere: "E la cronaca di un evento annunciato", dice. "Lo scorso 8 settembre il dott. Imposimato mi aveva convocato in un ristorante di Roma e mi aveva preannunciato pressioni su Delli Priscoli. O Imposimato aveva ragione o è un mago".
E Clementina Forleo oggi ha anche inviato una nota al Consiglio Superiore della Magistratura che da lunedì prossimo è chiamato a decidere sul suo eventuiale trasferimento d’ufficio.
* la Repubblica, 27 novembre 2007
Antonveneta, le accuse della Forleo:
"Scalata con complicità istituzionali"
La motivazioni del patteggiamento di Bpi e di Bpl Swisse: «Operazione illegale in totale spregio delle regole» *
MILANO. Banca Popolare Italiana stava conducendo la scalata ad «altri istituti bancari in totale spregio delle regole poste a presidio del mercato - e, con esso, dei medi e soprattutto piccoli risparmiatori e investitori - con la complicità di esponenti del mondo istituzionale, alcuni dei quali pervicacemente riluttanti ad ammettere le proprie debolezze e ad accettare dignitosamente che in uno stato di diritto debba valere il principio dell’articolo 3 della Costituzione. Lo ha scritto il gip Clementina Forleo nelle motivazioni del patteggiamento di Bpi e di Bpl Swisse avvenuto lo scorso 28 giugno.
Il giudice ha sottolineato l’importanza del «cospicuo versamento fatto da Bpi, oltre 94 milioni di euro confiscati, versamento che si è tradotto »in una evidente ammissione da parte dell’istituto in questione dell’illiceità dell’operazione che si stava conducendo«. Bpi inoltre ha versato poco più di un milione di euro come sanzione pecuniaria mentre Bpl Swisse 330 mila euro, sempre come sanzione pecuniaria. Gli oltre 90 milioni di euro riguardano il profitto degli illeciti calcolati in base alle trasparenze realizzate attraverso la cessione delle azioni Antonveneta. Tale somma confiscata è stata versata su un conto vincolato intestato alla Procura di Milano.
* La Stampa, 13/9/2007 (12:50)
Il Presidente della Camera si dichiara favore alla richiesta del Gip di Milano
D’accordo i Ds che però chiedono prima una verifica degli incartamenti
Unipol: Bertinotti sulle autorizzazioni
"Niente privilegi per i parlamentari"
"In questo momento dobbiamo evitare qualsiasi conflitto istituzionale" *
ROMA - Fasto Bertinotti interviene con chiarezza sul caso intercettazioni. Secondo il Presidente della Camera, il parlamento deve autorizzare il gip di Milano Clementina Forleo all’uso delle intercettazioni che coinvolgono i parlamentari. La presa di posizione della terza carica dello stato trova d’accordo i Ds, che dichiarano di non aver nulla da temere per il coinvolgimento di Piero Fassino, Massimo D’Alema e Nicola La Torre sul caso Unipol, anche se prima vanno lette le carte del procedimento. Intanto la procura di Milano potrebbe inviare già domani alle Camere le due ordinanze con cui chiede di poter usare nell’inchiesta le 68 telefonate incriminate.
Nessun privilegio. "In questa fase i parlamentari devono dimostrare non solo di essere al di sopra di ogni sospetto, ma anche di non avere neppure un’apparenza di privilegio", ha dichiarato Fausto Bertinotti. Il Presidente della Camera ha sottolineato che eventuali privilegi dei parlamentari vanno messi da parte per consentire "una discussione politica senza nessun elemento di turbamento". Bertinotti è dunque favorevole a un eventuale sì della camera all’uso delle intercettazioni sul caso Unipol. Il motivo è evitare un conflitto istituzionale. "Siamo in un momento di crisi politica - ha spiegato -, ma un conflitto tra le istituzioni è un serio rumore di fondo a questa crisi".
Nulla da nascondere. Anche i Ds sembrano optare per il sì alle autorizzazioni, anche se prima è necessario verificare i documenti alla base della richiesta. La posizione dei Ds è stata ricapitolata in mattinata da Marina Sereni "Noi - ha spiegato la vicepresidente del gruppo dell’Ulivo alla Camera - non siamo mai stati né pregiudizialmente a favore né pregiudizialmente contro le autorizzazioni. Si tratta di guardare le carte. Siamo direttamente coinvolti con personalità di primo piano del nostro partito, ma noi non abbiamo nulla da nascondere". Sulla stessa linea si dichiara anche Piero Fassino. Il segretario dei Ds sottolinea l’estraneità sua, di La Torre e di D’Alema da presunti "disegni criminosi" e chiede che non si proceda a giudizi sommari. "Riconosco al Gip Forleo - ha detto Fassino - il diritto di chiedere al Parlamento l’utilizzo delle intercettazioni, non le riconosco il diritto di precostituire giudizi infondati. Lo stato di diritto in Italia prevede ancora la presunzione di innocenza, non di colpevolezza".
Veltroni e Angius. Walter Veltroni concorda con le parole di Fassino. Il sindaco di Roma e candidato alla leadership del Partito Democratico auspica che "tutti gli accertamenti vadano fatti con le procedure che il diritto prevede". Tuttavia sottolinea che "fino ad allora ognuno ha il diritto di non vedersi messo sulla torre come se una sentenza sia già stata emessa. La stima nei dirigenti dei Ds, in particolare D’Alema e Fassino, l’ho espressa a più riprese e la confermo". Il vicepresidente del Senato, e leader di SD, Gavino Angius ha invece avanzato una doppia richiesta. La prima è rivolta a Clemente Mastella, a cui chiede di riferire in Parlamento. La seconda è invece diretta ai parlamentari protagonisti delle intercettazioni: "Questi colleghi si rendano disponibili a fornire ai giudici la più ampia disponibilità per affermare la trasparenza del loro operato parlamentare".
* la Repubblica, 24 luglio 2007
Il presidente della Repubblica: "No a valutazioni non pertinenti".
Di Pietro: "Ha ragione la gip". E Mastella gli risponde: "Allora via dal governo"
Unipol, richiamo di Napolitano
Forleo: "Soggetta solo alla legge"
D’Alema: "Se il magistrato vuole ulteriori chiarimenti sono disponibile"
Fassino: "Lo Stato di diritto è fondato sulla presunzione di innocenza, non di colpevolezza"
ROMA - Giornata di polemica rovente sul giudice Clementina Forleo e sulla sua ordinanza al Parlamento. Anche il presidente della Repubblica Giorgio Napolitano si pronuncia indirettamente sulla vicenda, in un appello lanciato dall’aula del Csm. Il presidente ha chiesto ai giudici "la massima riservatezza", e di "non inserire negli atti processuali valutazioni non pertinenti" che "vengono poi esasperate dai media". "Rimarrò soggetta, come sempre, solo alla legge", così ha risposto la gip di Milano Clementina Forleo.
E le due ordinanze con le quali il gip di Milano Clementina Forleo chiede l’autorizzazione al Parlamento di utilizzare le intercettazioni di sei parlamentari riguardanti le ’scalate’ tra le quali quella Unipol-Bnl, passeranno al vaglio del Pg della Cassazione Mario Delli Priscoli. L’alto magistrato ha infatti inviato formale richiesta di aquisizione degli atti. Una volta ricevuti gli atti da Milano, gli uffici del ministero della Giustizia li valuteranno per verificare se siano state compiute "abormità" tali da far rischiare al gip Forleo un’azione disciplinare.
L’intervento di Napolitano, però, ha sollevato i dubbi del ministro delle Infrastrutture Antonio Di Pietro. "Per definizione ogni indicazione del Capo dello Stato va rispettata - ha detto - e quella di non inserire negli atti processuali valutazioni non pertinenti è anche astrattamente condivisibile. Ma - prosegue Di Pietro - nel caso specifico le valutazioni sono del tutto pertinenti in quanto il Gip aveva il dovere di motivare la sua richiesta, come ha fatto." E aggiunge: "Sono profondamente deluso. Siamo tornati all’attacco nei confronti dei magistrati, come Berlusconi".
E si riapre lo scontro con il Guardasigilli Mastella, che ha annunciato che domani invierà una lettera al premier perché intervenga sulle interferenze del suo collega. "Farò presente a Prodi che se il ministro delle Infrastrutture Antonio di Pietro ritiene che i nostri colleghi di governo abbiano avuto atteggiamenti criminosi, non può restare al governo".
"Non cadrò nel trabocchetto di una sterile polemica Mastella-Di Pietro - è la replica del ministro delle Infrastrutture - serve solo a buttare nel personale una questione di politica nazionale"
Anche il segretario dei Ds Piero Fassino, nel suo intervento del segretario dei Ds nella relazione di chiusura al comitato politico, ha contestato oggi l’operato del gip: "Alla dottoressa Forleo - ha detto - riconosco il diritto di chiedere al Parlamento l’utilizzo delle intercettazioni. Ma non le riconosco il diritto di precostituire giudizi infondati senza accertamenti". "In Italia - ha aggiunto - lo Stato di diritto è ancora fondato sulla presunzione di innocenza e non su quella di colpevolezza".
Fassino ha ribadito che nessuno, all’interno della Quercia "è parte di disegni criminosi. Solo pensarlo da parte di chi ci conosce è offensivo". Il giudice Forleo, inviando il dossier sul caso Unipol-Bnl alle Camere, aveva scritto che: "I dirigenti Ds non erano solo tifosi dell’operazioni ma vi hanno partecipato".
Il segretario dei Ds ha anche fortemente criticato il ruolo avuto dai giornali nella vicenda, sostenendo che "c’è un’intreccio perverso tra politica e informazione". "Abbiamo visto la stessa telefonata pubblicata quattro volte e ora mi aspetto la quinta".
E intanto il ministro degli Esteri Massimo D’Alema fa sapere di essere a dispozione della magistratura. "Se il magistrato vuole ulteriori chiarimenti sono disponibile - ha fatto sapere - in assoluta serenita. Quello che e’ stato scritto è pubblico - ha proseguito D’Alema -: il Parlamento valuterà la congruità delle richieste, quando queste arriveranno. E’ in corso un’indagine, ma né io né Fassino abbiamo partecipato ad alcun illecito o disegno criminoso. Ho il massimo rispetto della giustizia e della Magistratura."
* la Repubblica, 23 luglio 2007
Notizie vere, notizie false
di Furio Colombo *
La notizia di una ipotesi di reato a carico dei due esponenti di vertice dei Ds D’Alema e Fassino, e del senatore Latorre giunge ai giornali e al pubblico con una originale deformazione che non dovrebbe passare sotto silenzio. Si fa credere che solo la scalata bancaria Bnl-Unipol sia al vaglio del giudice di Milano per le indagini preliminari Forleo. E che solo questa scalata sia oggetto di indagine e di annunci di ulteriori atti o inchieste della magistratura.
Molti ricorderanno benissimo - a differenza di alcuni grandi giornali - che, dopo le tentate scalate bancarie ed editoriali della scorsa estate a cui si riferisce la giudice Forleo, sono rimaste sul tavolo di quel giudice, tre diversi eventi, di cui uno riguardante la Rcs e la possibilità di catturare il Corriere della Sera, appare di particolare delicatezza politica. Tanto più che l’ombra di Berlusconi si vede distintamente alle spalle di alcune di quelle scalate, anche se, adesso, stranamente, non se ne parla. Evidentemente occorre essere certi che tutta la spinta negativa dell’opinione pubblica abbia tempo e spazio per investire D’Alema, Fassino e Latorre e che si crei uno spazio mediatico non stop esclusivamente per loro. Tanto più quando le notizie che li riguardano giungono misteriosamente prima ai giornali che alla presidenza delle Camere.
Credo sia molto importante notare che tutto ciò accade mentre sulla copertina di Panorama - proprietà Berlusconi - appare il volto debitamente turbato di Romano Prodi.
Il quale - a quanto pare (ma manca qualunque riscontro) - è stato iscritto sul registro degli indagati di una Procura, atto dovuto di un magistrato a causa dell’uso, per un evento sotto indagine, di un telefono cellulare di Prodi. Questo atto non significa incriminazione, non comporta l’avviso di garanzia (che è pubblico e che non c’è stato) ed è rigorosamente segreto. Il segreto non è mai stato un ostacolo per gli affiliati al clan Berlusconi. Ed ecco, in tutto il suo clamoroso e suggestivo atto di disinformazione, la copertina del maggiore settimanale politico italiano (e di Berlusconi) che in modo pesante comunica: Prodi indagato.
Particolare curioso. Proprio in questo numero di Panorama, proprio sotto questa copertina falsa, il senatore della Margherita Antonio Polito, mi rimprovera di credere ancora nella militanza antiberlusconiana. L’argomento di Polito, tra i più curiosi nella storia della democrazia, è: «Non vedete quanti ancora (e, anzi, di più) sono con Berlusconi?». Ho già risposto, e ripeto, che una simile vacua obiezione (più leggera di una piuma di colombo che Polito mi attribuisce come peso politico) in America non ha fermato i pochi democratici come Barak Obama, che si sono opposti alla guerra in Iraq contro due terzi dell’opinione Usa. Invece di usare lo stravagante argomento: «Non vedete che sono tutti dalla parte di Bush?», hanno insistito nella loro critica appassionata. E adesso sono la stragrande maggioranza.
Insisto sull’ombra letale di Berlusconi perché ha molta importanza in quello che sto per dire. Riguarda il nostro futuro, non solo i leader Ds, non solo la sinistra o l’Unione o la maggioranza. Riguarda l’integrità dell’Italia. Cercherò di spiegarmi, sapendo che non rappresento i Ds, non sono la voce di questo giornale, ma solo un punto di vista.
1 - Chiedo con passione e convinzione di stare in guardia dal rischio di qualunque alleanza anti-giudici cosiddetta “trasversale”. Il partito degli indagati, la casa madre di Dell’Utri e di Previti, ha molto da guadagnare in una simile alleanza. I Ds, la sinistra, l’Ulivo, l’Unione, la maggioranza no. Meno che mai il nascente Partito democratico.
2 - Chiedo, con lo stesso spirito e la stessa convinzione di stare alla larga dall’idea che il segreto sia meglio della diffusione di notizie anche sgradevoli. Il segreto, come dimostra la copertina del numero di Panorama in edicola, è un vantaggio prezioso per casa Berlusconi. Diffondono quando vogliono quello che vogliono e sottraggono quando vogliono ciò che preferiscono oscurare. Il ricatto diventerebbe il loro strumento abituale. Adesso lo usano prevalentemente tra le loro mura. Il segreto su notizie giudiziarie e intercettazioni diventerebbe la loro arma di intimidazione di massa.
Controprova: il conoscere già da tempo i passaggi ritenuti cruciali delle intercettazioni su D’Alema, Fassino, Latorre consente adesso, anche ai non esperti, di distinguere le ipotesi della giudice Forleo dalla natura e portata delle frasi in questione. Proprio a causa della mancanza di segreto manca, nonostante la forzatura di alcuni titoli di giornale, la deflagrazione desiderata. Quello che è accaduto ieri non è una bomba ma solo una notizia.
3 - Il rispetto per il terzo potere su cui si fonda la democrazia, il potere giudiziario (che non è come voleva l’ingegner Castelli una turbolenta corporazione di impiegati statali presuntuosi), è essenziale per l’Italia estranea al malaffare, come l’attacco continuo ai giudici è stata il carattere distintivo più tipico dell’Italia di Berlusconi. Quell’Italia è viva e attivissima, con buona pace di Polito. Affrontare un momento difficile che espone a ogni tipo di denigrazione mantenendo fermamente i riferimenti di accettazione, fiducia e rispetto in base ai quali la maggioranza dei cittadini ha votato il centrosinistra, vuol dire dimostrare che anche in un momento sfavorevole, i valori non cambiano. Vuol dire che ci si guarda bene dal fare causa comune con chi ha ben altri motivi per la lotta ai giudici, ben altre ragioni di circondarsi di segreto e molto di più da guadagnare nel diffondere l’idea che i giudici sono mentecatti.
4 - È proprio perché i fatti sono in chiaro e non sono mai stati oscurati che i cittadini conoscono l’ambito e i limiti della vicenda D’Alema, Fassino, Latorre. Sanno di potersi aspettare, altrettanto in chiaro, risposte civili di persone che non smuovono poteri e non giocano funzioni di governo per loro interessi di qualsiasi genere. Dunque la storia si evolverà come in ogni Paese democratico, rispettando tutte le regole per far valere le legittime ragioni. Non è poco nel Paese in cui Berlusconi ha tentato di sottrarsi a tutti i giudizi. Ma di meno, a chi ci ha votato, non si può dare.
Vorrei ricordare l’esempio di Bill Clinton che durante gli otto anni della sua presidenza (definita “comunista” dal suo avversario conservatore Jesse Helms per avere tentato di cambiare l’assicurazione sanitaria a favore dei poveri) ha dovuto affrontare diverse investigazioni e processi, tutti (meno uno) opera bene organizzata ma falsa della sua opposizione. Li ha attraversati senza alcuna distrazione dagli impegni di governo, senza alcun ritardo o posticipo o esenzione giudiziaria. Non ha mai neppure chiesto un rinvio. Ed è uscito integro da ciascuna prova.
I cittadini americani né allora né adesso si sono mai scostati da lui. Il suo rispetto, da capo dell’esecutivo, per le altre due parti del governo (il legislativo e il giudiziario) ha fermato per lui, e in quel Paese, l’onda pericolosa dell’antipolitica.
furiocolombo@unita.it
* l’Unità, Pubblicato il: 22.07.07, Modificato il: 22.07.07 alle ore 17.36
Unipol, il gip Forleo sotto tiro
Sale la tensione con il Parlamento
Bertinotti e Marini irritati, Violante attacca: «E’ l’ora di capire cosa accade a Milano»
di ANTONELLA RAMPINO (La Stampa, 22.07.2007(7:15) )
ROMA. Non si entra nel merito della perentorietà con la quale il gip Valentina Forleo ha chiamato in causa in un «disegno criminoso» gli alti vertici dei diesse nella tentata scalata di Unipol a Bnl, ma di certo i presidenti di Camera e Senato non hanno gradito di ritrovarsi sui giornali atti che chiamano in causa il Parlamento.
Franco Marini e Fausto Bertinotti si sono sentiti più volte ieri al telefono, e poi hanno deciso di lasciar trapelare il loro disappunto. Da Palazzo Madama si fa notare che a quarantott’ore dalle notizie riportate da tutti i media ancora non è giunto dal Tribunale di Milano un atto ufficiale che consenta l’avvio della procedura prevista. Bertinotti ha fatto dettare una nota piuttosto dura, «costituisce un problema la diffusione di notizie riguardanti il rapporto tra magistratura e Parlamento». «Non esprimo valutazioni finché non avrò visto gli atti», dice irritato Carlo Giovanardi, il presidente della Giunta per le autorizzazioni di Montecitorio.
In casa diessina c’è un’ovvia tensione. Che potrebbe salire, e di quanto dipenderà dall’atteggiamento degli alleati. Arturo Parisi, che per primo attaccò la commistione tra politica e affari, ieri valutava che, per carità, «guardare dal buco della serratura delle intercettazioni è scorretto e inutile», anche perché «quel che c’è da vedere era già sotto gli occhi di tutti». E però «la malattia che dobbiamo combattere non è esclusiva dell’Italia e neppure della politica, ma nella politica italiana: si chiama berlusconismo. Una malattia che in emulazione con l’azione di Berlusconi, con l’alibi di difendersi da lui, e talvolta addirittura in cooperazione con lui, ha aggredito la nostra democrazia».
Non dice di più il ministro della Difesa, ma a chi si riferisce è chiaro: a D’Alema e ai «dalemoni». Quando invece i diesse si sono al momento chiusi nel recinto della difesa «tecnica», Anna Finocchiaro nota che «c’è un esercizio abusivo del potere perché Clementina Forleo è un gip e non un pm, dunque non può esercitare l’azione penale», non può sostenere che c’è «un disegno criminoso». E tuttavia, c’è da notare, Clementina Forleo ha motivato la richiesta di poter mantenere agli atti, e non distruggere come prevede la legge Boato del 2003, il testo di intercettazioni che ritiene penalmente rilevanti. E questo, secondo Ignazio La Russa di An, che da presidente della Giunta per le autorizzazioni si è occupato in precedenti legislature dei casi Previti e Dell’Utri, «non è di per sé uno scandalo». Il fatto, dice, è che «ci si chiede una cosa ridicola: il danno alla reputazione dei politici è già fatto, e il gip vuole dal Parlamento il permesso di non distruggere intercettazioni ormai pubbliche e che resteranno negli archivi dei media». Quanto al ritardo con cui gli atti arriveranno in Parlamento, «è una cosa normale, accaduta tante volte».
Anche per Luciano Violante, ex presidente della Camera, «il ritardo ha una sua fisiologia». Ma «siamo di fronte a una fuga di notizie per finalità politiche, un fatto inaccettabile: non è la prima volta che succede, e non è la prima volta a Milano, dove pure ci sono magistrati di altissima professionalità, forse sarebbe il momento che qualcuno si occupasse di vedere cosa accade in quel tribunale». Una presa di posizione che non mancherà di suscitare polemiche e che suona, dopo l’irritazione manifestata da Mastella contro la Forleo, come un invito al ministro di Giustizia ad avviare un’ispezione. Proprio questo è il punto anche se si ascolta l’altro campo dello schieramento politico. «Se le cose stanno per come le abbiamo lette sui giornali, non ci sono estremi di reato» dice il coordinatore di Forza Italia Fabrizio Cicchitto. Per il quale il punto però è lo stesso sollevato da Marini e Bertinotti: «Forleo ha creato il caso prima ancora di inviare le carte al Parlamento. Un attacco pregiudiziale, molto pericoloso».
Quei 425 milioni della Fininvest che macchiano anche Berlusconi
di Giuseppe D’Avanzo ( la Repubblica, 14 luglio 2007)
La sentenza che permise a Silvio Berlusconi di sottrarre la Mondadori al Gruppo Espresso-la Repubblica fu comprata con 425 milioni di lire forniti dal conto All Iberian di Fininvest a Cesare Previti e poi, dall’avvocato di fiducia di Silvio Berlusconi, consegnati al giudice Vittorio Metta. La Cassazione condanna definitivamente Cesare Previti, il giudice corrotto e, quel che soprattutto conta, rimuove una patacca che è in pubblica circolazione da due decenni.
L’uomo del fare, Silvio Berlusconi, è l’uomo del sopraffare, del gioco sottobanco, della baratteria illegale. La sentenza dimostra la forma fraudolenta e storta della sua fortuna imprenditoriale. Mortifica la koiné originaria con cui Berlusconi si è presentato al Paese ricavandone fiducia e consenso, entusiasmandolo con la sua energica immagine di imprenditore purissimo capace di rimettere in sesto il Paese - e rimodellarne il futuro - con la stessa sapienza e determinazione con cui egli aveva costruito il suo successo, conquistato aziende e quote di mercato, sbaragliato i competitori.
Berlusconi, se non sapeva delle manovre di Previti (e non si può dire il contrario), è stato un gonzo e, nella sua formidabile ingenuità, ha trascinato il Paese e le sue regole verso la crisi per difendere un mascalzone che soltanto agli occhi del Candido di Arcore appariva un maestro del diritto e un martire della giustizia.
La sentenza della Cassazione scolpisce dunque un’altra biografia di Berlusconi. Ci dice che non è oro quel che riluce nella sua storia imprenditoriale. Sapesse o non sapesse quali erano i metodi criminali del suo avvocato, il profilo di imprenditore dell’uomo di Arcore ne esce irrimediabilmente ammaccato, deformato. La sua Fininvest ha barato. Il suo avvocato giocava con carte truccate.
I fatti sono noti.
Il lodo arbitrale Mondadori risale al 21 giugno 1990. Riguarda il contratto Cir-Formenton. La decisione è assunta dai tre arbitri, Carlo Maria Pratis, Natalino Irti e Pietro Rescigno, incaricati di dirimere la controversia tra Carlo De Benedetti e la famiglia Formenton per la vendita alla Cir da parte dei Formenton di 13 milioni 700 mila azioni Amef (il 25,7% della finanziaria che controlla la Mondadori) contro 6 milioni 350 mila azioni ordinarie Mondadori. Il lodo è favorevole alla Cir e dà a De Benedetti il controllo del 50,3% del capitale ordinario Mondadori e del 79% delle privilegiate. Berlusconi perde la presidenza che va pro tempore al commercialista Giacinto Spizzico, uno dei quattro consiglieri espressi dal Tribunale, gestore delle azioni contestate.
Il 24 gennaio 1991, la Corte d’Appello di Roma presieduta da Arnaldo Valente e composta dai magistrati Vittorio Metta e Giovanni Paolini dichiara che una parte dei patti dell’accordo del 1988 tra i Formenton e la Cir è in contrasto con la disciplina delle società per azioni. Quindi, è da considerarsi nullo l’intero accordo e anche il lodo arbitrale. Berlusconi riconquista la Mondadori.
Vittorio Metta è il giudice corrotto da Cesare Previti, dice ora la Cassazione. Delle due, l’una. Se sapeva, Silvio Berlusconi è un complice che si è salvato soltanto perché, per le sue pubbliche responsabilità politiche, è parso meritevole delle "attenuanti generiche" così accorciando i tempi di prescrizione e uscendo dal processo qualche anno fa. Se non sapeva, l’esito non è che sia più gratificante. Perché bisogna concludere che l’ex-presidente del Consiglio non è poi l’aquila reale che ama dipingersi. Ha accanto un lestofante. Non se ne accorge. Ne è beffato, ingrullito per anni, per decenni, nella sua totale insipienza. Gli affida «un mandato professionale molto ampio per rappresentare la persona fisica come il gruppo Berlusconi». Lo ha raccontato lo stesso Previti: «Io rappresentavo il dominus per le questioni legali, sceglievo gli avvocati, esaminavo nei dettagli tutti gli argomenti che avremmo usato e anche le persone e le operazioni da organizzare nelle varie situazioni».
E’ un ruolo occulto, segretissimo e non se ne comprende la ragione (l’evasione fiscale non può spiegare tutto). Non c’è (né Previti lo ha mostrato in anni di processi) un solo documento processuale che porta la sua firma: un atto di citazione, una comparsa di risposta, una memoria conclusiva, un parere giuridico, un atto di transazione; come non esiste neppure (né è stata mostrata) una fattura, una ricevuta informale, un estratto dei libri contabili di Fininvest, un qualsivoglia documento che attesti la causale dei pagamenti effettuati da Finnvest a favore di Cesare Previti.
Berlusconi poteva non sapere di essersi tenuto in casa per decenni quel mascalzone. Meglio, gettiamo una buona volta ogni sospetto o incredulità e diciamolo chiaro. Silvio Berlusconi non sapeva, non ha mai saputo né immaginato per un attimo che ceffo fosse Previti e quali i suoi metodi di lavoro. L’uomo di Arcore era così accecato dal suo candore, dall’amicizia per il suo fedele sodale, che quando ne ha la possibilità, 1994, propone addirittura quel corruttore di giudici come ministro di Giustizia. Il Paese si salva per l’ostinazione di Oscar Luigi Scalfaro che dirotta il malfattore alla Difesa. E, nonostante il segnale e la documentazione offerta dalla magistratura, nemmeno allora Silvio Berlusconi nella sua assoluta dabbenaggine si scuote. Si può dire che una volta ritornato al governo - per salvare se stesso, è vero, ma anche e soprattutto il suo complice, che è più esposto per le indagini e per le prove raccolte - assegna a se stesso la missione di gettare per aria codici, procedure, tribunali, ordinamenti, accordi internazionali al fine di evitare guai all’avvocato che credeva immacolato. Il Parlamento che Berlusconi governa con una prepotente maggioranza non lascia intoccato nulla. Cambia le prove, se minacciose. Il reato, se provato. Prova a cacciare i giudici, a eliminare lo stesso processo. Non ci riesce per l’opposizione di un’opinione pubblica vigile, per l’intervento della Corte Costituzionale che protegge le regole elementari dello Stato di diritto e il sacrosanto principio della legge uguale per tutti. Meno male, ma il respiro di sollievo non può riguardare Silvio Berlusconi. Per anni ha spaccato il Paese usando come cuneo il processo all’avvocato-barattiere che egli riteneva un "figlio di Maria". Ora qualcosa l’uomo di Arcore dovrà pur dire perché purtroppo qualcosa, questa sentenza, dice di lui. Nella sua credulità, Silvio Berlusconi ha procurato un danno a se stesso, e tant’è, ma nella cieca fiducia che ha avuto per un avvocato fraudolento egli ha arrecato danno alla politica, alle istituzioni. Forse è una buona idea che dica in pubblico che è stato preso in giro e se ne dispiace.
L’ordinanza del gip milanese Forleo non è ancora giunta alla Camera
Quando arriverà sarà inviata alla giunta competente e seguirà l’iter
Bertinotti bacchetta il Gip Forleo
"La fuga di notizie è un problema"
ROMA - "La diffusione di notizie riguardanti il rapporto tra magistratura e Parlamento costituisce un problema". Sono queste le parole rese note dallo staff del presidente della Camera Fausto Bertinotti in merito alla fuga di notizie sulle ordinanze con cui il giudice Forleo trasmetterà al Parlamento le trascrizioni di 68 delle intercettazioni sulle scalate di Antonveneta, Bnl e Rcs e chiederà l’autorizzazione ad utilizzarle nel procedimento penale.
L’ordinanza, rende noto lo staff di Bertinotti, non è a ancora giunta alla Camera. Dallo staff del presidente si fa sapere che non appena arriverà la richiesta del giudice questa "sarà inviata alla giunta competente e seguirà l’iter" che porterà il Parlamento alla decisione di merito.
Nell’ordinanza sono citati i parlamentari D’Alema, Fassino, Latorre (Ds), Comincioli, Cicu e Grillo (Fi). Il Gip Forleo nell’ordinanza attacca i parlamentari: "Altro che tifosi i politici erano complici".
Il giudice era stato criticato anche dal ministro della Giustizia Clemente Mastella che ha dichiarato: "Il comportamento della Forleo è singolare. Il magistrato ha potenzialmente leso i diritti e l’immagine di soggetti estranei al processo. Ho dato mandato ai miei uffici di acquisire la richiesta fatta al Parlamento dal giudice".
Secondo quanto si apprende le ordinanze saranno trasmesse alle Camere nei primi giorni della settimana prossima.
* la Repubblica, 21 luglio 2007