Il no dei professori alla norma del pacchetto sicurezza: legge disumana e repressiva
Al via una raccolta di firme tra i presidi: l’istruzione è un diritto
Nelle scuole parte la protesta
"Siamo educatori, non poliziotti"
di CATERINA PASOLINI *
ROMA - E una mattina all’improvviso le cattedre diventano barricate in difesa del diritto allo studio. Di tutti, italiani e stranieri, regolari e non. Contro il provvedimento del governo, dopo la protesta dei medici contrari all’obbligo di denuncia dei clandestini e che ieri hanno scritto a Fini perché lo cancelli, si allarga la protesta. Arriva la rivolta dei professori ben decisi a non diventare "presidi spia, perché noi siamo educatori non poliziotti", a caccia di bambini senza documenti regolari.
"Qui non si denuncia, si insegna", ripetono. Non hanno dubbi loro che conoscono la fatica di imparare per chi arriva da lontano, lo spaesamento di chi appare qualche giorno in classe e poi si perde nelle strade della città. Chi non ha genitori accanto che conoscano la lingua e lo aiutino a fare i compiti, chi viene sfruttato, chi ha in classe l’occasione per cambiarsi la vita. "Questo provvedimento, che prevede l’obbligo di denuncia se lo studente non ha il permesso di soggiorno, è inumano, repressivo, foriero di gravi disagi per la convivenza civile. Danneggia il minore, toglie un diritto", sbotta Armando Catalano, che rappresenta più di duemila presidi della Cgil che sul sito www.flcgil.it hanno cominciato a raccogliere firme all’insegna di "io educo non denuncio". Perché, ripete, le leggi sanciscono il diritto all’istruzione, stabiliscono che l’unico obbligo dei docenti è sottoporre i ragazzini ad una visita per le malattie infettive. "Mentre così non solo si danneggia il minorenne che non ha colpe, ma tutta la società: non verranno a scuola, non andranno in ospedale. Col rischio di una moltiplicazione dei contagi".
Minorenni puniti anche se incolpevoli, condannati a perdere l’occasione di costruirsi un futuro migliore, "L’istruzione è un diritto sancito dalla Costituzione, ma a parte questo educando i giovani li si toglie dalla strada, gli si dà una possibilità. Senza contare che gli insegnanti vedono se i bambini sono sfruttati, malmenati", dice Giuseppe Losio preside della scuola media milanese Quintino Di Vona. Lo sa bene Anna Sandi che più di una volta ha scoperto la "doppia vita" di alcuni suoi piccoli alunni alla scuola elementare al Lorenteggio. Dormivano nelle fabbriche dismesse lungo in Naviglio e nei giorni in cui sparivano dalla classe chiedevano l’elemosina alla stazione, lavavano i vetri per strada. "Se questo provvedimento è per proteggerli da chi li sfrutta bene, ma prima voglio leggerlo, e di una cosa sono sicura: io i minori stranieri li accetto, li iscrivo a scuola e non li denuncio solo perché clandestini".
Non vogliono denunciare ma come pubblici ufficiali, se passa il reato di immigrazione clandestina, rischiano di vedersi obbligati a farlo. Altrimenti scatta la denuncia penale. Come per i medici. "È da irresponsabili non cambiare la legge, già ora c’è stato un calo del 15 per cento di immigrati ai pronto soccorso. Qui si scherza col fuoco, con la salute di tutti. Un esempio? Abbiamo 4000 casi di tbc, il 30 % sono immigrati, se clandestini non verranno a curarsi e si espanderà il contagio, con problemi per tutti, italiani compresi", dice Massimo Cozza, segretario medici Cgil pronto a rivolgersi alla Corte costituzionale, a quella europea per tutelare il diritto alla salute.
* la Repubblica, 5 maggio 2009
La ragazza è ucraina ed è priva del codice fiscale necessario per iscriversi
Le nuove norme non lasciano speranze. Petizione dei compagni per aiutarla
Napoli, bravissima ma clandestina
Per Daria niente esame di maturità
NAPOLI - A scuola è bravissima, ma non ha il codice fiscale. E per questo non può fare l’esame di maturità. Daria è ucraina, parla 6 lingue e, nel suo paese, ha già il suo titolo di studio. Che, però, in italia non è valido: per questo ha dovuto rifare il liceo. Ma ora, giunta all’ultimo anno, l’ennesimo ostacolo. Daria è clandestina, non ha documenti e tantomeno il codice fiscale. E senza quel tesserino di plastica non può fare l’esame di Stato. La vicenda, riportata dal quotidiano "Il Mattino", si svolge al liceo Margherita di Savoia di Napoli.
E non è altro che la logica conseguenza delle nuove norme varate dal governo. Il ministero dell’Istruzione, infatti, per compilare l’anagrafe dello studente deve rilevare i dati relativi a ogni singolo candidato. Compreso il codice fiscale, che, successivamente, passerà al vaglio dell’agenzia delle entrate.
Un’operazione che deve essere fatta entro dopo domani. Siccome la circolare del 22 maggio 2009 del ministro Maria Stella Gelmini vuole che senza codice fiscale non si possa sostenere l’esame, per Daria il sogno di diplomarsi rischia di infrangersi per sempre.
Daria a Napoli vive insieme ai genitori: la madre fa le pulizie ad ore, il padre il saldatore. A scuola, intanto, è scattata una vera e propria gara di solidarietà per aiutarla mentre i suoi compagni pensano di inoltrare una petizione.
* la Repubblica, 7 giugno 2009
Perso il titolo, i 10 mila dirigenti scolastici italiani devono anche svolgere nuovi compiti
Costretti a diventare manager, anzi, economi per gestire l’emergenza in tempi di tagli
C’era una volta il preside
La dura vita di chi dirige una scuola
Il ministro consiglia a "chi non è capace" di cambiare mestiere. Ma loro non ci stanno
"Ci mancano i soldi pure per la carta igenica. Ci sentiamo soli assediati e accusati."
di MARIA NOVELLA DE LUCA *
La loro trincea è fatta di aule cadenti, di fotocopiatrici scassate, di bagni senza sapone, di bimbi che nello zainetto oltre al panino si portano la carta igienica, di caldaie a secco, di computer rotti, di laboratori in pezzi, di allievi abbandonati a se stessi perché la cassa è vuota e la supplente non c’è. Sono cronache da una bancarotta quelle che i dirigenti scolastici italiani raccontano, da scuole che sembrano fortini assediati dall’emergenza, mentre il ministero eroga "zero euro" per il funzionamento ordinario degli istituti, e le famiglie si tassano per affrontare, almeno, la quotidianità.
Dopo le 41 mila lettere inviate da 300 presidi del Lazio ai genitori dei loro alunni "per denunciare la grave situazione finanziaria della scuola", e la durissima risposta del ministro dell’Istruzione Gelmini ("chi non sa dirigere cambi mestiere"), i capi d’istituto si organizzano, replicano, provano a difendere l’orgoglio di un ruolo un tempo illustre, rispettato, riconosciuto. È un’Onda, una nuova Onda, seppure più pacata di quella degli studenti, ma arriva da tutta Italia, con l’indignazione di chi teme di non poter più garantire la sicurezza ai ragazzi che gli sono affidati.
Storie di presidi. Vite di funzionari dello Stato. Che dopo la riforma del 2001 si chiamano "dirigenti scolastici" e della scuola sono diventati anche manager. "Ci sentiamo soli, assediati, accusati di non saper fare il nostro lavoro semplicemente perché chiediamo i mezzi per farlo", dice con chiarezza Rita Coscarella, preside della scuola media "Virgilio" di Palermo, 960 allievi. "Da anni siamo costretti a chiedere contributi alle famiglie per la gestione ordinaria, ma la cosa più grave è che non abbiamo più i soldi per chiamare e pagare i supplenti. Così i ragazzi, se un docente manca, devono fare gli "ambulanti" di classe in classe, con grave rischio per la sicurezza. E l’anno prossimo sarà ancora peggio: se non arriveranno i fondi richiesti saremo costretti a far uscire i ragazzi prima dalla scuola. Ma questo vuol dire derubarli del loro diritto allo studio. Vi sembra giusto?".
Parole amare, sofferte. Dopo la "base" è la dirigenza della scuola italiana a sentirsi incompresa, accusata ingiustamente. I dirigenti scolastici in Italia sono circa 10 mila e guadagnano in media 2.700 euro al mese. Si diventa presidi per concorso, di solito dopo lunghi anni di insegnamento. Un ruolo delicato e faticoso. "Noi siamo responsabili di tutto - spiega Armando Catalano, dirigente da 20 anni, e rappresentante di 2.200 presidi della Cgil - dobbiamo rispondere di ogni atto e di ogni decisione. Questo vuol dire entrare a scuola la mattina e uscirne la sera, quando si hanno anche novecento o mille allievi è impossibile fare diversamente. Non c’è tensione, difficoltà, criticità che non approdi nella stanza del preside. È giusto così, il rapporto con gli studenti e le famiglie è la vita della scuola. Ma la nostra autonomia è stata ridotta a fare lo slalom tra casse vuote e problemi immensi, non abbiamo i soldi per le pulizie, per i tecnici della sicurezza, e poi il ministero ci scarica addosso incombenze amministrative, come la ricostruzione delle carriere, impedendoci di lavorare sulla didattica". "Più che presidi - incalza Armando Catalano - ormai siamo dei tecnici dell’emergenza, facciamo economia domestica e la verità è che laddove le famiglie possono tassarsi la scuola sopravvive, ma nei quartieri a rischio, più poveri, è destinata alla bancarotta".
Una forbice che sarà sempre più larga. Di qua i figli delle classi benestanti, di là i bambini del ceto medio impoverito, gli immigrati. L’edilizia scolastica italiana è tra le peggiori d’Europa, e così la preparazione dei ragazzi, scivolati al trentatreesimo posto della Ue, quando fino a pochi anni fa eravamo tra i primi dieci. Livia Cangemi è la preside di un grande istituto comprensivo nel centro di Roma, nel cuore di Trastevere, la "Regina Margherita", 700 allievi tra infanzia, elementari e medie. Un istituto all’avanguardia, ricco di iniziative e di progetti, e dove ci si mette in fila per iscrivere i propri figli. E dove ogni classe, grazie alle famiglie, ha carta igienica, sapone, asciugamani. "Eppure - dice con amarezza Livia Cangemi, una tra le firmatarie della lettera dei presidi del Lazio inviata alle famiglie - potrei dire che non c’è rimasta che la passione a far funzionare le cose. La nostra di insegnanti e quella dei genitori, che qui, alla "Regina Margherita" sono presenti, sia economicamente che come supporto all’attività didattica. E finora ce l’abbiamo fatta. Laboratori, campi scuola, uscite, l’anno prossimo avremo tra i primi le lavagne interattive. Ma è tutto sulla buona volontà. Pur di fare la gita l’insegnante rinuncia a quello che dovrebbe percepire in più, il materiale lo pagano i genitori".
Perché anche qui non ci sono più i soldi per pagare le supplenze, "e se un docente si ammala il bilancio della scuola va in rosso e la classe resta scoperta. "Forse il ministro Gelmini dovrebbe conoscere meglio quanta dedizione c’è nel nostro lavoro. Ognuno di noi sente di far parte dello Stato. Come si può rispondere ad un grido di dolore dicendo che non sappiamo fare il nostro mestiere? Faccio la dirigente scolastica soltanto da due anni, e ci credo davvero, nonostante la burocrazia, i tagli, le difficoltà. Passo la mia giornata qui dentro, ma se ci si impegna i risultati si vedono. Perché vanificare esperienze così ricche?". Storie di funzionari che lavorano. Nel silenzio e senza clamori. In uffici dove sulla porta c’è ancora scritto "Presidenza" visto che nessuno ha cambiato né targa né vernice. Tra i bimbi disabili senza più insegnanti di sostegno, i ragazzi immigrati in cerca di integrazione, e gli insegnanti sottopagati. Una frontiera dove spesso manca la luce, a volte l’acqua, e si fa lezione con il cappotto. "Noi resistiamo però - dicono i presidi-manager - fino ai prossimi tagli...".
* la Repubblica, 29 maggio 2009
Intervista a Guido Calvi
«Medici e presidi obbligo di denuncia»
Il penalista: sono pubblici ufficiali e dunque tenuti a segnalare i clandestini. La norma è palesemente incostituzionale e dovrà essere abolita prima che sia tardi
di Massimo Solani (l’Unità, 15.05.2009)
Le sigle sindacali dei medici, come anche quelle degli insegnanti, non credono alle rassicurazioni e alle alzate di spalle del ministro dell’Interno Maroni. Per loro la situazione è chiara: entrato in vigore il nuovo reato di clandestinità saranno obbligati a denunciare gli extracomunitari irregolari. Una analisi che è condivisa anche da Guido Calvi, penalista ed ex senatore diessino.
Presidi, insegnanti e medici ospedalieri temono di essere costretti a fare la spia. Cosa ne pensa?
«Che sono preoccupazioni fondate, codice penale alla mano. Prendiamo l’articolo 361 che recita: “il pubblico ufficiale, il quale omette o ritarda di denunciare all’autorità giudiziaria, o ad un’altra autorità che a quella abbia obbligo di riferirne, un reato di cui ha avuto notizia nell’esercizio o a causa delle sue funzioni, è punito con la multa da euro 30 a euro 516”. L’articolo 362 prevede la stessa cosa per “l’incaricato di pubblico servizio”».
E presidi e medici sono pubblici ufficiali?
«Certamente. Nell’esercizio delle proprie funzioni sono pubblici ufficiali. Non ci piove. Facciamo l’esempio di un medico ospedaliero: se è in servizio e accerta che il papà di un bambino è un clandestino è obbligato a farne denuncia, altrimenti commette una omissione penalmente rilevante. Anche se, secondo la mia opinione, si tratterebbe dell’omessa denuncia di un reato che non è configurabile».
Che cosa intende?
«Il reato di immigrazione clandestina può essere un reato costituzionalmente corretto? Per quanto mi riguarda, e per l’opinione piuttosto diffusa, non è così. Mi spiego: credo che la clandestinità sia un reato non configurabile in quanto attiene allo status e non ad una condotta. In questo caso non ci sono condotte penalmente rilevanti, perché non c’è qualcuno che compie un’azione vietata. È come se si dicesse se tu sei donna, se tu sei più alto di 2 metri o se sei una persona di colore commetti un reato e quindi sei imputabile ed io, in quanto pubblico ufficiale o incaricato di pubblico servizio, ho l’obbligo di denunciarti. Ma trattandosi di uno status, quello di immigrato, a mio avviso il reato non è configurabile e pertanto è incostituzionale. Quindi se il reato non può sussistere cade anche l’omessa denuncia a carico del pubblico ufficiale o dell’incaricato di pubblico servizio».
Ma ammettiamo che il decreto sicurezza diventi legge e sia pubblicato in Gazzetta Ufficiale. A quel punto se la norma, in questo aspetto, è o meno incostituzionale lo deve stabilire la Consulta una volta investita dell’eccezione da un tribunale o da un magistrato. Quindi passeranno mesi nel corso dei quali l’obbligo di denuncia degli immigrati clandestini esiste ed è in vigore. Sbaglio?
«No, affatto. È un rischio ben presente stando a quello che è previsto dal codice penale».
Fiducia sulla sicurezza, schiaffo al Parlamento
Voto di fiducia per la legge sulla sicurezza, voto di fiducia per la legge sulle intercettazioni. E’ un baratto in piena regola tra Berlusconi e la Lega, ancora una volta sulle spalle del Parlamento. Il Consiglio dei ministri dà il via libera con uno stringato comunicato. Poi il ministro dell’Interno, Roberto Maroni, annuncia soddisfatto che "è finita una telenovela". La Lega può tirare un sospiro di sollievo: con tutti i dissensi e le contrarietà anche nella maggioranza sui temi più caldi del provvedimento - dalle ronde alla detenzione di sei mesi dei clandestini nei Cie - un voto libero del Parlamento rischiava di riservare amare sorprese per il provvedimento tanto inseguito dal partito di Bossi. Il voto di fiducia azzera i pericoli: e poco importa se il Parlamento riceverà l’ennesimo schiaffo e se gli appelli del presidente Napolitano cadranno nel vuoto. Del resto è lo stesso ministro Maroni ad ammettere, in serata, le ragioni della scelta del governo: "il voto segreto prescinde dal merito del provvedimento. i malumori che ci sono in una parte della maggioranza, ed escludo che questa parte sia la lega, si rendono evidenti con il voto segreto".
Un fatto normale lo definisce Umberto Bossi nell’annunciare che la fiducia sarà posta oggi alla Camera e che sarà votata domani. Ancora più esplicito Maroni: "Bisogna votare domani altrimenti 250 immigrati irregolari potranno uscire dai Cie"
Il ricorso alla fiducia avviene "per imbrigliare una maggioranza che ogni volta che può esprimersi con voto segreto contraddice le scelte del governo". E’ il commento di Massimo D’Alema commentando a Montecitorio la decisione del governo di porre la fiducia sul ddl sulla sicurezza. Secondo D’Alema, "tra decreti e fiducia il Parlamento non è messo nelle condizioni di svolgere il suo ruolo. È grave - conclude - il ricorso al voto di fiducia su un provvedimento di questo tipo".
Dello stesso tenore tutte le reazioni dell’opposizione. "Appena c’è un voto segreto vanno sotto. La maggioranza va sotto e usano la fiducia per tenerla unita con la forza», afferma il segretario del Pd, Dario Franceschini. E Anna Finocchiaro, presidente dei senatori del Pd: "La decisione di porre l’ennesima fiducia, tra l’altro su un provvedimento che riguarda la sicurezza dei cittadini, dimostra la fragilità di questa maggioranza e conferma che il Parlamento non può svolgere la sua funzione". Lo afferma Anna Finocchiaro, presidente del gruppo Pd a palazzo Madama. "Purtroppo assistiamo impotenti a questo ulteriore colpo di mano. Noi continuiamo a denunciarlo ma sarebbe ora che lo facessero anche i tanti osservatori e commentatori che lodano quotidianamente il comportamento, la compattezza e la forza di questa maggioranza. La verità -conclude la Finocchiaro- è che senza fiducia non stanno in piedi, altro che coerenza con le priorità dell’ azione di governo!".
Commenta il leader Idv Antonio Di Pietro:"Il piano sulla sicurezza è un piano repressivo, che non prevede un euro in più per la sicurezza. I poliziotti rincorrono delinquenti mettendo di tasca propria la benzina alle auto e mio figlio che fa il poliziotto ed è aumentato di cinque chili non ha nemmeno i pantaloni da mettere. Altro che legge sulla sicurezza".
* l’Unità, 06 maggio 2009
Fini a Maroni: alt ai presidi spia
di Andrea Carugati *
Fini esce allo scoperto e lancia un altolà con una lettera al ministro Maroni sui presidi spia. Il presidente della Camera aveva incontrato il titolare del Viminale lo scorso 30 aprile, come riferito dall’Unità, e gli aveva espresso tutte le sue perplessità sul ddl sicurezza che oggi entra nel vivo a Montecitorio. Ieri ha reso pubblica la lettera a Maroni in cui mette in evidenza la sua contrarietà ai presidi-spia e gli aspetti di «incostituzionalità» della norma che escluderebbe i figli dei clandestini dal diritto all’istruzione.
FINI CONTRO MARONI
«Tale diritto - scrive Fini - è attualmente tutelato, indipendentemente dalla regolarità della posizione in ordine al loro soggiorno, nelle forme e nei modi previsti per i cittadini italiani». Prosegue Fini: «Da un attento esame della principale legislazione europea, non si evince alcuna normativa volta a discriminare l’esercizio del diritto allo studio da parte dei minori stranieri». Maroni incassa e non risponde al presidente della Camera. Che lo fa notare: «Non ho ricevuto risposta», dice Fini in serata, ricordando che per oggi è previsto un vertice di maggioranza. Dalla Lega replica Marco Reguzzoni, uno dei fedelissimi di Bossi: «La lettera? È inopportuno che il presidente della Camera utilizzi questo strumento alla vigilia del voto in aula». Fini però tira dritto: «La società dei prossimi anni sarà multiculturale e multirazziale. Io la chiamo la generazione Balotelli che parla bresciano».
In mattinata è previsto il vertice con i ministri Maroni, Alfano e La Russa e i capigruppo di Pdl e Lega, per decidere se mettere la fiducia. Nel Pdl, infatti, le acque non si sono ancora calmate: oltre ai presidi-spia, su cui la Lega potrebbe fare un passo indietro, ci sono altri punti che stanno molto a cuore a Maroni ma potrebbero correre rischi in aula: le ronde e l’allungamento a sei mesi della detenzione dei clandestini. Maroni vorrebbe la fiducia, ma potrebbe rimandare la decisione alla fine della settimana, una volta modificate le norme sui presidi-spia e sull’antiracket. Una questione, quest’ultima, ormai risolta: dopo il blitz del Pdl in commissione la settimana scorsa, che aveva indebolito le misure antiracket, sarà riproposta la versione originale, che prevede l’esclusione per tre anni dagli appalti pubblici degli imprenditori che si rifiutano di denunciare il pizzo. L’ala del Pdl più critica sul ddl, i 101 deputati della lettera contro i medici-spia, resta contraria alla fiducia e punta, spiega Fabio Granata, a una «mediazione» anche su ronde e Cie.
IL PD: VIA IL REATO DI IMMIGRAZIONE
L’opposizione, intanto, plaude a Fini e lo incalza. «La sua bocciatura conferma i giudizi espressi dal Pd sul ddl sicurezza», dice il capogruppo Pd Soro. «La causa di tutte le altre distorsioni è la norma che considera reato il soggiorno irregolare. Da questa deriva l’obbligo di denuncia da parte di medici, insegnanti e pubblici ufficiali. Sarà bene che il governo elimini il reato di clandestinità». Così anche Livia Turco: «Chiedo a Fini parole definitive, a partire dalla cancellazione del reato di immigrazione».
* l’Unità, 05 maggio 2009
Il vertice di questa mattina abolisce la presentazione del permesso di soggiorno
per iscriversi alla scuola dell’obbligo. Torna invece la misura antiracket
Ddl sicurezza, via la norma "presidi-spia"
E la maggioranza trova l’accordo
Maroni definisce "fondati" i rilievi di Fini: "Prevale il diritto di frenquentare le lezioni"
ROMA - Sparisce dal ddl sicurezza la norma cosiddetta dei presidi-spia. "Per iscriversi alla scuola dell’obbligo non sarà necessario presentare il permesso di soggiorno. Pertanto i presidi non potranno sapere se la famiglia dello studente è clandestina e non potranno fare la spia", annuncia il ministro della Difesa Ignazio La Russa al termine di una riunione fiume di maggioranza dedicata proprio al disegno di legge ora all’esame dell’aula della Camera. "E’ stata accolta la richiesta di Fini", aggiunge il vicepresidente del gruppo del Pdl alla Camera Italo Bocchino.
Dunque una vittoria della linea del presidente di Montecitorio, che in una lettera al ministro dell’Interno Roberto Maroni aveva espresso dubbi sulla costituzionalità della norma sui presidi. E proprio il responsabile del Viminale, rispondendo oggi alle domande dei cronisti, definisce "fondati" i rilievi di Fini e afferma: "Prevale per i minori il diritto a partecipare alle lezioni scolastiche".
Maroni spiega inoltre che per ora non si è parlato di fiducia sul ddl sicurezza: "Sono stato rassicurato dai colleghi della maggioranza e sono pienamente soddisfatto del chiarimento che c’è stato: c’è una piena condivisione del testo e nella maggioranza c’è unità totale".
Due sono stati i temi affrontati nel vertice di questa mattina, e su cui si è trovato l’accordo. Uno riguarda, appunto, i presidi-spia. L’altro le norme antiracket: l’intesa raggiunta prevede che si torni al testo del Senato (tre anni di sospensione dell’attività negli appalti pubblici per gli imprenditori che non denuncino le richieste di "pizzo"). Anche se - precisa Maroni - il testo di Palazzo Madama "viene sì reintrodotto, ma con la precisazione che in ogni caso c’è la possibilità dell’esclusione di punibilità per stato di necessità".
Sempre oggi, l’aula della Camera ha respinto le pregiudiziali di costituzionalità presentate da Pd e Idv sul disegno di legge: 263 i voti contrari, 212 i favorevoli e sei gli astenuti. Le votazioni sul provvedimento, inizialmente previste per oggi pomeriggio, sono slittate a domani.
* la Repubblica, 5 maggio 2009