[...] In un altro Paese è un film sconvolgente perché in novanta minuti non ce n’è uno di fiction, sono i fatti a parlare: un collage di delitti, testimonianze, vittorie, sconfitte, lacrime, rabbia. Vent’anni di lavoro per arrivare al maxiprocesso, il più grande processo mai celebrato contro la mafia. L’aula bunker di Palermo è a prova di missile, lo Stato dà scacco matto a Cosa nostra, ma la partita è appena cominciata.
I cadaveri eccellenti sono tanti, ma è a Giovanni Falcone e a Paolo Borsellino che il film è dedicato, al loro sacrificio che aiuta a far nascere una nuova società civile [...]
"In un altro Paese", omaggio agli eroi
che guardarono in faccia Cosa nostra
Commoventi le testimonianze dei colleghi Guarnotta, Di Lello, Ayala
De Francisci: "Mi chiedo spesso che sono morti a fare, e non trovo una risposta"
di SILVIA FUMAROLA *
INIZIA dove la storia sembrava concludersi, su quella frase di Antonino Caponnetto, padre del pool antimafia di Palermo, che sussurra: "E’ tutto finito", dopo la strage di Via D’Amelio. Il film documentario In un altro Paese di Marco Turco dal libro di Alexander Stille Excellent cadavers. The Mafia and the Death of the First Italian Republic (Cadaveri eccellenti. La mafia e la morte della prima Repubblica italiana) dopo aver fatto il giro dei festival e delle università (l’anno scorso è stato proiettato anche alla Columbia University), approda in tv lunedì alle 21 su RaiTre. Il viaggio a ritroso comincia da quel 19 luglio del ’92, quando Palermo è scossa da un altro attentato mafioso: Paolo Borsellino viene ucciso con i suoi agenti, sotto casa della madre. Sono passati 57 giorni dalla strage di Capaci in cui trovano la morte Giovanni Falcone con la moglie Francesca Morvillo e gli uomini della scorta. La Sicilia brucia, Roma resta a guardare.
In un altro Paese è un film sconvolgente perché in novanta minuti non ce n’è uno di fiction, sono i fatti a parlare: un collage di delitti, testimonianze, vittorie, sconfitte, lacrime, rabbia. Vent’anni di lavoro per arrivare al maxiprocesso, il più grande processo mai celebrato contro la mafia. L’aula bunker di Palermo è a prova di missile, lo Stato dà scacco matto a Cosa nostra, ma la partita è appena cominciata.
I cadaveri eccellenti sono tanti, ma è a Giovanni Falcone e a Paolo Borsellino che il film è dedicato, al loro sacrificio che aiuta a far nascere una nuova società civile. E’ la grande fotografa Letizia Battaglia ad accompagnare Stille (a cui presta la voce l’attore Fabrizio Gifuni) nel suo viaggio, una donna appassionata che con i suoi scatti ha saputo raccontare Palermo come nessuno.
Una lunga scia di sangue unisce il destino del capo della Mobile Boris Giuliano, del capitano dei carabinieri Basile, del procuratore Costa, di tanti servitori dello Stato: Montana, Cassarà, Chinnici, Dalla Chiesa ucciso nell’auto che guidava, accanto alla giovane moglie Emanuela Setti Carraro. La tragedia siciliana si consuma, "in un altro Paese, tutto questo non sarebbe successo" dice Stille. Ma succede a Palermo che Falcone e Borsellino seguono il percorso degli assegni, una montagna di soldi che fanno giri strani da una famiglia all’altra, studiano gli appalti, parlano coi pentiti che svelano inquietanti giochi di potere.
Ormai è chiaro, la politica è la nuova alleata della mafia. I magistrati sono costretti a partire per l’Asinara con le famiglie per scrivere l’ordinanza del maxiprocesso. Lo Stato per cui lavorano farà pure il conto delle bibite consumate in quella stanza-cella dove trascorrono le giornate come reclusi. "In un altro Paese - osserva Stille - gli artefici di una tale vittoria sarebbero stati considerati un patrimonio nazionale. Dopo aver vinto la prima battaglia a Palermo, ci si sarebbe aspettato che Falcone e i suoi colleghi fossero messi nella condizione di vincere la guerra. Invece in Italia avvenne proprio il contrario".
Sono commoventi le testimonianze dei colleghi: Guarnotta, Di Lello, Ayala, De Francisci, Ingroia. Ayala spiega a Stille che "la mafia non è né di destra né di sinistra, sta col potere". Il dolore di De Francisci è intatto, ha le lacrime agli occhi quando parla del sacrificio di Falcone e Borsellino: "E’ stato un prezzo altissimo che hanno pagato, loro con la loro vita, e le persone morte con loro. Un prezzo che hanno pagato per il nostro Stato, per la Sicilia, per creare un futuro migliore per tutti noi. Però io me lo sono chiesto negli ultimi anni: ne è valsa la pena? Che siete morti a fare? Me lo sono chiesto più volte al punto in cui siamo. E non riesco a trovare una risposta".
* la Repubblica, 22 luglio 2007
Sul tema, nel sito, si cfr.:
GIOVANNI FALCONE, PAOLO BORSELLINO, ANTONINO CAPONNETTO. UN URLO PER L’ITALIA E PER LA COSTITUZIONE
CHIESA, POLITICA, E ... "MAMMASANTISSIMA". INTERVISTA AL CARDINALE PAPPALARDO
Durissima lettera del fratello di Paolo Borsellino
«Basta lacrime, vendichiamo Paolo»
«Finiamola con le commemorazioni fatte da chi ha contribuito a far morire mio fratello».
E ai politici: «il Sud abbandonato alla mafia» *
MILANO - «È ora di smettere di piangere per Paolo, è ora di finirla con le commemorazioni, fatte spesso da chi ha contribuito a farlo morire». È una lettera durissima quella scritta da Salvatore Borsellino, fratello di Paolo, il giudice morto 15 anni fa nella strage di via D’Amelio a Palermo. L’ingegnere Borsellino, che vive a Milano, ha voluto replicare al documentario sulla mafia a Palermo andato in onda lunedì sera su rai3 e condotto da Alexander Stille. Si tratta della seconda lettera che il fratello del magistrato ammazzato dalla mafia con quattro agenti della scorta, scrive. La prima lettera era stata scritta pochi giorni fa alla vigilia delle commemorazioni per il 15esimo anniversario delle stragi di Capaci e via D’Amelio.
VENDICARE - «È l’ora invece di dimenticare le lacrime, è l’ora di lottare per Paolo, lottare fino alla fine delle nostre forze, fino a che Paolo e i suoi ragazzi non saranno vendicati e gridare, gridare, gridare finchè avremo voce per pretendere la verità, costringere a ricordare chi non ricorda», prosegue Salvatore Borsellino.
POLITICI - Borsellino si chiede «dove sono le migliaia di persone che Una foto di archivio di via D’Amelio dove il giudice Paolo Borsellino fu ucciso dalla mafia (Ansa) cacciarono e presero a schiaffi i politici che, scacciati dai funerali di Paolo, avevano osato andare nella Cattedrale di Palermo, davanti alle bare dei ragazzi morti insieme a lui, a fingere cordoglio e disputarsi i posti più in vista nei banchi della chiesa?». E ancora: «Dove sono le migliaia di giovani, di gente di tutte le età, che ai funerali di Paolo continuavano a gridare il suo nome, Paolo, Paolo, Paolo?». «Ricordi il presidente del Consiglio e ricordino tutti i politici - prosegue Salvatore Borsellino - che guidare l’Italia non è gestire un tesoretto, disquisire su scalini e scaloni, o azzuffarsi sugli interventi nelle missioni all’estero, e dimenticare che i veri problemi sono nel nostro stesso paese, in un Sud abbandonato alla mafia, alla camorra, alla ndrangheta».
GIOVANI - Quindi l’appello ai giovani: «Ricordate che non ci può essere una repubblica, non ci può essere una democrazia fondata sul sangue, fondata sui ricatti incrociati legati alla sparizione di un’agenda rossa e delle memorie di un computer e a quello che può esserci scritto o registrato. Ricordate che non basta cambiare nome ad un partito e poi, nel discorso programmatico del suo capo in pectore non sentire neanche pronunciare la parola mafia. Ricordate che il futuro è vostro e che ve lo stanno rubando».
L’AGENDA ROSSA - Torna in primo piano intanto la vicenda della scomparsa dell’agenda rossa del giudice ucciso in via D’Amelio. In merito, il gip di Caltanissetta Ottavio Sferlazza ha infatti indicato alla procura nuovi spunti di indagine. Nelle scorse settimane i pm avevano chiesto l’archiviazione del fascicolo iscritto a carico di ignoti per il reato di furto. Il giudice, però, si era opposto riservandosi ulteriori decisioni. Ora, con una ordinanza, il gip ha chiesto alla Procura di ricostruire cronologicamente le fasi successive all’esplosione dell’autobomba e di interrogare i due carabinieri ritratti in alcune foto in via D’Amelio il 19 luglio del 1992 accanto all’allora capitano, Giovanni Arcangioli che teneva in mano la borsa che avrebbe dovuto contenere l’agenda scomparsa e sulla quale, come abitudine, Borsellino segnava ogni cosa riguardasse appuntamenti, indagini e sue riflessioni. Arcagioli, che nel frattempo è diventato colonnello, è iscritto nel registro degli indagati a Caltanissetta per false dichiarazioni al Pm. Il Gip Sferlazza chiede anche ai Pm di Caltanissetta, inoltre, di accertare perché la relazione sulla scomparsa dell’agenda venne redatta solo a dicembre del 1992.
* Corriere della Sera, 24 luglio 2007