’NRANGHETA: sul caso De Magistris

DEMOCRAZIA, POLITICA E MAFIA: QUALI DIRITTI IN BALLO?

Sull’estensione della mafia; un articolo di Matteo Trebeschi
martedì 21 ottobre 2008.
 
Il gruppo LEGALITà E GIUSTIZIA è nato dalle riflessioni critiche di due studenti che hanno cercato di interrogarsi sui retroscena di una vicenda oscura come il caso De Magistris, che, invece, i media, e il potere politico economico a cui sono asserviti, hanno fatto passare come l’ennesimo ingiusto caso di attacco giudiziario alla politica.

Il gruppo “Legalità e Giustizia” è nato dalle riflessioni critiche di due studenti dell’Università di Verona, che hanno cercato di interrogarsi sui retroscena di una vicenda oscura come il caso De Magistris, che, invece, i media, e il potere politico economico a cui sono asserviti, hanno fatto passare come l’ennesimo ingiusto caso di attacco giudiziario alla politica. Confrontandoci con i compagni dell’università, ci siamo accorti che la consapevolezza di quanto grave fosse il problema era poca; quindi il primo diritto chiamato in ballo è sicuramente il diritto ad un’informazione libera, libera dai partiti politici e dai consigli d’amministrazione. L’informazione “istituzionale”, quella della TV e delle fiction, è la stessa che ha ricostruito la storia di Paolo Borsellino come il giudice ucciso dalla furia selvaggia dei corleonesi; questo è senz’altro vero, ma è una parziale verità. Il messaggio che voleva contribuire a diffondere era quello che la mafia si identifica con l’ala militare di Riina, che adesso è in carcere. Ergo la lotta alla mafia ha conseguito importanti risultati. Mentre nessuno ci spiega che cosa ci facessero i servizi segreti presso il castello, sul monte Pellegrino, che sovrasta Palermo e da cui si può vedere bene via D’Amelio. E nel caso - mi immagino - la gente cominciasse a parlare di queste cose, si potrebbe sempre dire che erano deviati, insomma le solite mele marce. E così si cercherebbe di chiudere il discorso parlando di storia oscura, complessa dell’Italia repubblicana, quando invece varie spiegazioni storiche si potrebbero tentare. A partire da un interesse diretto della politica nella strage di Portella della Ginestra, all’indomani delle elezioni del 1948, per frenare “strategicamente” l’avanzata del fronte popolare in Sicilia. La politica, infatti, si è sempre servita della mafia per spostare milioni di voti; la mafia in cambio ha avuto la possibilità di fare liberamente i suoi affari teoricamente illegali. La verità è che per quasi 40 anni, nella nostra repubblica, la classe dirigente ha fatto finto che la mafia non esistesse. Il nostro codice penale, infatti, fino al 1982 non contempla l’associazione a delinquere di stampo mafioso. Quando venne ucciso il generale C.A. Dalla Chiesa, allora la mafia era diventata un’emergenza e solo allora lo Stato decise, pressato direttamente o indirettamente dall’opinione pubblica, di far diventar legge la proposta del deputato Pio La Torre, anch’egli ucciso dalla mafia qualche mese prima. La legge, al riguardo, nell’identificare la mafia, non parla di tritolo, di lupare, diversamente dalla vulgata mediatica. Vi leggo: “L’associazione è di tipo mafioso quando coloro che ne fanno parte si avvalgono della forza di intimidazione del vincolo associativo e della condizione di assoggettamento e di omertà che ne deriva per acquisire in modo diretto e indiretto la gestione o comunque il controllo di attive economiche, di concessioni, di autorizzazioni, appalti, servizi pubblici per realizzare profitti o vantaggi ingiusti per sé o per impedire o ostacolare il libero esercizio del voto...” E non a caso era l’intreccio economia-politica-mafia quello sul quale stava indagando il prefetto Dalla Chiesa e non a caso erano le operazioni bancarie internazionali e le rotte del riciclaggio di denaro sporco quelle su cui stava indagando Giovanni Falcone. Ci si domanda allora a che punto è la lotta alla mafia? La politica (trasversalmente parlando) ha davvero la volontà di andare fino in fondo? Se noi guardiamo all’infamante legge sulle intercettazioni, o meglio sulla quasi impossibilità di intercettare, vediamo che non esclude i reati di mafia. Mentre vieta di intercettare qualsiasi reato finanziario punito con meno di 10 anni, ovvero quasi tutti. E non è forse il riciclaggio di denaro sporco proveniente dalla droga l’attività principale delle mafie? Il fatturato stimato dell’ndrangheta proveniente dalla droga, anno 2003, è di 22.300milioni di € (fonte: N. Gratteri, A. Nicaso, Fratelli di sangue), pari circa a 44.600miliardi delle vecchie lire, che rende più realistico e pericoloso il peso economico delle mafie. Quanta economia legale si può inquinare con una massa di denaro liquido così ingente? Il riciclaggio sfocia inevitabilmente in investimenti economici e finanziari, che compromettono la libera concorrenza e la libera impresa. Inoltre i reati delle ecomafie, avendo una punibilità di solito inferiore ai 10 anni, saranno difficilmente perseguibili. E il Veneto, terra da cui scrivo e in cui studio, quest’anno è salito al 2^ posto nella classifica dei reati contro l’ambiente (fonte: Legambiente). Ciò significa che le regioni italiane assomigliano sempre più a quelle “gestite” direttamente dalla mafia. Le regioni del Nord, tuttavia, sono ancora dominate da luoghi comuni che considerano l’ecomafia un problema tipicamente napoletano. Inoltre stiamo perdendo il diritto ad avere una legge che ci protegga, stiamo perdendo il diritto ad una legge che garantisca la punibilità. E così questa classe dirigente sta innescando un’ondata xenofoba, che i media contribuiscono ad ampliare, senza però spiegarne le cause remote. Come ha detto Travaglio, che i fatti li spiega, il problema in Italia non sono gli immigrati o i clandestini, che sono anche in proporzione alla popolazione inferiori rispetto a Francia o Germania, ma il problema è la mancanza della certezza della pena e della condanna. Chi delinque - italiano, europeo o extracomunitario - spesso non viene condannato per la lentezza della giustizia. E questo sistema - come spiega Bruno Tinti in “Toghe rotte” - è stato fatto per non funzionare, per evitare la possibilità di una seconda Tangentopoli. Inoltre credo stiamo perdendo il diritto ad avere un’opposizione, dato che il Partito Democratico preferisce dialogare con il governo anziché criticarlo, ed è capace di dissociarsi da piazza Navona, ovvero da una rappresentazione democratica di opposizione, da un luogo autenticamente politico perché di confronto, tra persone che non volevano chinare il capo, ma ribadire, insieme ai valori della costituzione, il loro diritto a essere liberi. E per l’ennesima volta “signora televisione” ha incentrato il dibattito sui modi non formali in cui la Guzzanti ha tenuto il suo discorso anziché dar rilievo ai contenuti di quella discussione. “La scomparsa dei fatti”, teorizzata da Travaglio, ha trovato realizzazione nella delegittimazione mediatica, che considera sovversiva qualsiasi riunione autenticamente politica.


Domande aperte: *Beppe Lumia ha detto che “l’assenza di un respiro progettuale fiacca la lotta alla mafia” ed è una sconfitta della politica. Che cosa significa oggi politica, se questa sta escludendo sempre più la dimensione pubblica (vedi legge elettorale) e non ha un progetto realistico per risolvere i problemi di questo paese, mafia in primis?

*La lotta alla mafia è prima di tutto una movimento culturale e morale, parafrasando Borsellino. Che cosa significa per un cristiano battaglia culturale contro la mafia? La lotta alla mafia non dovrebbe essere in primis emancipazione, attraverso una cultura critica, dal principio d’autorità, che ancora pervade la nostra società?

Matteo Trebeschi


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