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Governo, Prodi ottiene la fiducia alla Camera
Ipotesi di dimissioni prima del Senato
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Bagnasco riaccende la polemica sulla mancata visita di Ratzinger alla Sapienza
La 194 "abominevole, da aggiornare". L’Italia "un Paese a coriandoli"
"Papa sconsigliato da autorità italiane"
Palazzo Chigi: "Mai date indicazioni" *
ROMA - La visita di Ratzinger alla Sapienza sarebbe stata sconsigliata dalle autorità italiane. Lo dice il presidente della Cei, cardinale Angelo Bagnasco, che nella prolusione d’apertura del Consiglio episcopale permanente riaccende la polemica sulla mancata visita di Benedetto XVI all’università di Roma. Parole alle quali replica una nota di Palazzo Chigi: "Il governo italiano non ha mai suggerito alle autorità vaticane di cancellare la visita". Il porporato torna all’attacco della legge sull’interruzione di gravidanza ("abominevole", va "almeno aggiornata in qualche punto"), rinnova il no alle unioni di fatto e conferma le analisi più preoccupate sulla situazione italiana: "paura del futuro" e "senso di fatalistico declino", "un Paese a coriandoli".
"La Sapienza, clima di ostilità". Benedetto XVI ha rinunciato alla visita alla Sapienza su suggerimento "dell’autorità italiana". Bagnasco parla del "grave episodio di intolleranza" e del "clima di ostilità" che ha "suggerito questa amara soluzione". Una rinuncia che, "se si è fatta necessariamente carico dei suggerimenti dell’autorità italiana, nasce essa stessa da un atto di amore del Papa per la sua città".
Palazzo Chigi: "Sicurezza Papa era garantita". Palazzo Chigi affida a una nota la replica alle parole di Bagnasco. Il governo italiano "non ha mai suggerito alle autorità vaticane di cancellare la visita" del 17 gennaio. Sia il presidente del Consiglio che il ministro dell’Interno, dopo la riunione del Comitato provinciale per la sicurezza - alla quale erano presenti anche i responsabili della gendarmeria vaticana - "hanno comunicato alle autorità vaticane che lo Stato italiano garantiva assolutamente la sicurezza e l’ordinato svolgimento della visita del Santo Padre".
"194 da aggiornare". La legge sull’interruzione di gravidanza, "abominevole", "va almeno aggiornata in qualche punto", visto "il portato delle nuove conoscenze e i progressi di scienza e medicina", e visto che "oltre le 22 settimane di gestazione c’è qualche possibilità di sopravvivenza" del feto. Il presidente della Cei ribadisce la posizione già espressa dal cardinale Camillo Ruini e sottolinea: "Il fatto che a trent’anni dall’approvazione della 194 la coscienza pubblica non abbia ’naturalizzato’ ciò che naturale non è, è un risultato importante, grazie a chi, come il Movimento per la vita, mai si è rassegnato". I vescovi chiedono "che si verifichi ciò che la legge ha prodotto, e ciò che non si è attivato, soprattutto in termini di prevenzione e aiuto alle donne, alle famiglie". E suggerisce che i fondi previsti dalla 194, "accresciuti da apporti delle Regioni, siano dati in dotazione trasparente a consultori e centri di aiuto alla vita".
"Italia, Paese a coriandoli". Il Paese è "sfilacciato, frammentato", "ridotto a coriandoli". E’ senza mezzi termini il ritratto dell’Italia fatto dal presidente della Cei. "Bloccato lo slancio e la crescita anche economica", vede "in giro paura del futuro e senso di fatalistico declino", "sfiducia diffusa e pericolosa", manifestata "anche da osservatori stranieri". Di fronte a tale quadro, "non credo di sbagliare se dico che è l’Italia, in particolare, ad avere oggi bisogno della speranza". Quel che interessa ai vescovi, precisa, è "guardare in profondità alla crisi interiore che è in parte causa e radice della crisi pubblica" pur tenendo conto delle "testimonianze di bene che prendono forma sul territorio" e della "riservatezza e capacità di sopportazione che rappresentano un indizio di ripresa e capacità di futuro".
"No a unioni di fatto e divorzio breve". La Chiesa sostiene "la famiglia fondata sul matrimonio tra un uomo e una donna", per questo "si oppone alla regolamentazione per legge delle coppie di fatto, o all’introduzione di registri che surrogano lo stato civile". Da Bagnasco un secco no anche a riforme come quelle del "divorzio breve". "Conferendo diritti e privilegi alle persone conviventi - spiega - all’apparenza non si tolgono diritti e privilegi ai coniugi, ma di fatto si sottrae ai diritti e ai privilegi dei coniugi il motivo che è alla loro radice, ossia l’istituto matrimoniale. Che nessuno, a questo punto, può avere interesse a rendere inutile" o a "offuscare con iniziative, quali il divorzio breve, che avrebbero la forza di incidere sulla mentalità e il costume inducendo atteggiamenti di deresponsabilizzazione".
* la Repubblica, 21 gennaio 2008.
L’ex ministro della Giustizia stacca la spina al governo Prodi
"Ringrazio il premier ma l’esperienza del centrosinistra è finita"
Mastella lascia la maggioranza
"E’ venuto il momento di dire basta"
"Lavoreremo con tutte le forze che vogliono prendere in mano la bandiera della libertà" *
ROMA - "Se ci sarà da votare sulla fiducia voteremo contro. L’esperienza di questo centrosinistra è finita". Lo dice il leader dell’Udeur Clemente Mastella in una conferenza stampa. "Ringrazio Prodi per lo splendido e prestigioso incarico di ministro, anche se è stato drammatico. Il rapporto umano con lui - aggiunge Mastella - rimane e rimarrà sempre, ma l’esperienza politica del centrosinistra è chiusa". L’ex ministro ha detto che ora lavorerà per le elezioni anticipate.
L’Udeur, ha spiegato Mastella, lavorerà "con tutte le forze che saranno disponibili a prendere in mano la bandiera della libertà e della giustizia senza le quali non c’è politica che non sia avvilente pratica politicante". "Non tratto - ha aggiunto - non negozio, non accetto mezze misure: mi batto e mi batterò per un governo e una maggioranza in grado di ridare un senso alla giustizia".
"Viene un momento - ha detto l’ex guardasigilli - in cui dire ’basta’ è una scelta senza alternative". "Da uomo di centro che ha guardato a sinistra - ha proseguito - secondo la lezione degasperiana; da ministro della Giustizia che ha operato laicamente per la riconciliazione e il rispetto della separazione dei poteri costituzionali, dell’autonomia della politica e dell’ordine giudiziario; da quella persona schietta e sincera che spero di essere riuscito ad essere, dico basta".
Un basta che, per Mastella, non riguarda "i dettagli per quanto dolorosi e avvilenti di un’inchiesta giudiziaria faziosa e pregiudiziale, condotta con abuso di regole inquisitoriali, a partire dal ruolo inaudito e patologico delle intercettazioni. Un’inchiesta che si è presto trasformata in gogna mediatica, privazione della libertà personale di una mia familiare incensurata e sempre a disposizione dell’autorità penale".
Ma Mastella punta il dito anche sulla "mancata solidarietà di amici e alleati, timorosi di subire anch’essi la gogna mediatica, l’attacco strumentale e fazioso di ministri che dovrebbero guardare il loro passato e riflettere più che aggredire il presente e il futuro dei loro compagni di banco".
* la Repubblica, 21 gennaio 2008.
Vertice dell’Unione. Il premier decide di sottoporsi ad un voto della Camera
Solo dopo deciderà se andare al Quirinale. FI e Lega chiedono il voto
Prodi vuole la crisi in Parlamento
Berlusconi: "Subito alle elezioni"
Fini e Casini non si sbilanciano, per ora chiedono solo le dimissioni del governo
ROMA - Riunione di capigruppo alle 9 poi Romano Prodi parlerà alla Camera per "rendere comunicazioni sulla situazione politica generale", come dice il comunicato degli uffici di Bertinotti, e poi un voto. Solo allora il presidente del Consiglio deciderà se andare al Quirinale per rassegnare le dimissioni nelle mani del presidente della Repubblica Giorgio Napolitano. "Parlamentarizzare" la crisi è dunque l’indicazione uscita dal vertice di maggioranza convocato in quattro e quattr’otto dopo l’annuncio di Clemente Mastella di abbandonare il centrosinistra. "Si va in Parlamento e lì ognuno si prende le proprie responsabilità", riassume il segretario di Rifondazione Franco Giordano. E solo se il governo non ha la maggioranza la crisi sarà formalizzata.
La reazione dell’Unione. L’annuncio di Mastella cade sull’Unione con l’effetto di una doccia gelata. Da Palazzo Chigi fanno sapere che "da due giorni il premier cercava di mettersi in contatto con l’ex ministro della Giustizia". Temevano qualche manovra ma certo non si aspettavano un precipitare degli eventi così immediato. Poi, sempre dall’entourage del premier, fanno sapere di aver appreso la notizia dalle agenzie, sottolineando così lo sgarbo istituzionale dell’ex ministro. Tutti i leader politici della maggioranza lasciano gli impegni (Veltroni abbandona la presentazione di un libro di monsignor Fisichella) e si precipitano a Palazzo Chigi. Prodi spiega che vuole essere sfiduciato dal Parlamento. Vertice veloce e si decide che prima di andare al Quirinale Mastella dovrà prendersi le proprie responsabilità alle Camere. La linea passa a maggioranza con i diniani perplessi: "Lo abbiamo detto a Prodi, inutile cincischiare", dice Natale D’Amico.
L’opposizione. Silvio Berlusconi non offre alternative, davanti alla crisi della maggioranza aperta dallo strappo di Mastella e chiede il voto a primavera. Mentre Pierferdinando Casini e Gianfranco Fini si limitano a chiedere le dimissioni di Prodi senza avanzare in questa fase richieste di elezioni.
"La crisi era già evidente nei fatti. Ora è indispensabile e urgente ridare la parola ai cittadini", è la secca reazione di Berlusconi. Con l’ex premier si schiera senza incertezze la Lega, che lancia il pressing su Napolitano per il voto subito. "Dimostri che è davvero il presidente di tutti e restituisca il Paese alle urne prima che sia troppo tardi", dice Roberto Calderoli, avvertendo gli alleati di essere uniti e "evitare scherzi". "Niente pasticci, no a governi istituzionali o tecnici", taglia corto anche Roberto Maroni.
Netta anche An. Gianfranco Fini lascia la parola al portavoce Andrea Ronchi, che invita Prodi a dimettersi subito, mentre il capogruppo al Senato Altero Matteoli considera "inimmaginabile" che il Professore "voglia resistere nel fortino di Palazzo Chigi".
La crisi è "inevitabile" anche per Pier Ferdinando Casini. L’Udc per ora non va oltre la richiesta di dimissioni di Prodi, guarda all’evolversi della situazione, alle mosse del Quirinale. Ma certo non sosterrà da sola alcun esecutivo istituzionale. Per le larghe intese, d’altra parte, non resta che Lamberto Dini, che chiede "un governo di transizione" in grado di affrontare "alcune emergenze" e tutelare il referendum o approvare una nuova legge elettorale che garantisca la stabilità. Ma, di fronte al no della rediviva Cdl, nel centrosinistra l’idea non sembra passare.
* la Repubblica, 21 gennaio 2008
Intervento del premier alla Camera dopo l’uscita dell’Udeur dalla maggioranza "Le crisi si discutono in Parlamento, non sulle agenzie di stampa o in tv"
Doppia fiducia, Prodi non si arrende
"Penso di farcela anche stavolta"
Il Professore in aula ha rivendicato i successi del suo esecutivo. E si dice "ottimista"
Il primo voto domani a Montecitorio, giovedì sera quello decisivo al Senato
ROMA - Darà battaglia fino in fondo, giocando ogni carta in suo possesso per salvare le sorti del governo. E se non dovesse essere sufficiente a scongiurare la fine, farà di tutto per mettere ognuno davanti alle proprie responsabilità, in modo che vengano alla luce i veri motivi della crisi. Le contromosse di Romano Prodi all’annuncio dell’uscita dell’Udeur dalla maggioranza hanno messo in chiaro che il premier non ha nessuna intenzione di arrendersi senza dare battaglia e che guadagnando qualche giorno di tempo pensa forse di poter avere ancora qualche asso nella manica da giocare.
Il Professore ottimista. Facendo il suo ingresso a Montecitorio per le comunicazioni al Parlamento sulla nuova situazione politica aperta dal voltafaccia di Mastella, il presidente del Consiglio si è mostrato ancora una volta ottimista: "Va benissimo, penso di farcela anche questa volta", ha commentato. Le ragioni di tanta fiducia Prodi le spiegherà nei circa 20 minuti di discorso pronunciati alla Camera, con il lungo elenco dei meriti che ascrive all’azione del suo esecutivo. Ma la stessa decisione di presentarsi alla Camera è stata una scelta di autodifesa. E di sfida. In serata, dopo una giornata di passione, alla riunione dei parlamentari del Pd ripete: "Sono ottimista". E poi: "Sono d’accordo con Veltroni: il voto sarebbe la scelta peggiore". Un muro, ecco: è sempre stato l’atteggiamento che in questo anno e mezzo più di tutti ha fatto saltare i nervi alla Cdl.
"Le crisi non si discutono in tv". Il motivo lo ha chiarito lui stesso. Ribadita una solidarietà di forma all’ex ministro colpito dall’indagine della magistratura campana, il premier ha iniziato subito a menare fendenti. Se Mastella per spiegare il divorzio dall’Unione è andato da Bruno Vespa, Prodi ricorda che "è salutare assumere comportamenti che implichino l’assunzione di responsabilità limpide da parte delle istituzioni preposte al governo del Paese, a partire dal Parlamento". "In un paese legato allo stato di diritto - ha aggiunto facendo fatica a proseguire per le rumorose interruzioni dell’opposizione - non sono le agenzie di stampa e neppure i dibattiti televisivi che determinano le sorti di un governo".
"E’ bene che tutto venga alla luce". E’ importante che la crisi venga discussa in Parlamento, ha sottolineato il presidente del Consiglio, perché davanti al rischio che possano entrare "in discussione in modo opaco preoccupazioni di riforma elettorale o di altro genere è bene che tutto venga alla luce in questa sede, nelle aule parlamentari. Esse sono la sede fondamentale della democrazia". Altra stoccata al leader dell’Udeur, che molti sospettano abbia deciso di puntare ad elezioni anticipate per scongiurare il referendum e gli effetti nefasti che avrebbe sul suo partito.
L’orgoglio di Prodi. Il premier ha rivendicato quindi quelli che ritiene successi indiscutibili della sua permanenza a Palazzo Chigi, dal risanamento dei conti pubblici alla lotta all’evasione fiscale, dagli accordi sul welfare alle scelte di politica estera, dalle politiche in favore dei ceti più deboli al senso di responsabilità con cui ha affrontato l’emergenza rifiuti in Campania. Davanti a un tale bilancio, è stato il ragionamento sottinteso di Prodi, Mastella e chi intende seguirlo lungo la strada della crisi, si assuma le proprie responsabilità, ma ricordi che "questo è un governo che, nato su un patto di legislatura sottoscritto da tutti i partiti dell’Unione il 20 giugno del 2005, si era ripromesso, cito testualmente, ’un’alleanza destinata a durare per l’intero arco della legislatura’. Questo è un governo - ha proseguito - che, nato sulla base di un programma elettorale firmato e condiviso da tutti i partiti dell’Unione l’11 febbraio del 2006, ha avuto il mandato di guidare il Paese per cinque anni".
Verso la doppia fiducia. Per questo Prodi ha deciso di chiedere espressamente la fiducia, alla Camera come al Senato. Il primo voto è fissato per domani pomeriggio a Montecitorio, dove salvo sorprese, il governo otterrà la maggioranza anche senza il voto favorevole dei deputati dell’Udeur. L’appuntamento con lo scoglio del Senato, dove in teoria con la defezione dei mastelliani la maggioranza non esiste più, sarà invece in agenda molto probabilmente per il pomeriggio di giovedì con la replica dell’intervento del presidente del Consiglio.
Al premier serve tempo? Questa è almeno la proposta avanzata dal ministro dei Rapporti con il Parlamento Vannino Chiti alla presidenza di Palazzo Madama. Una tempistica che potrebbe far slittare il voto di fiducia dei senatori alla prossima settimana, quasi che Prodi voglia prendersi tutto il tempo possibile per cercare di giocarsi le ultime carte. Magari tentare la riapertura di un dialogo con Mastella, come ha suggerito il ministro Rosi Bindi, oppure la conquista di qualche senatore del grande magma centrista.
I timori di Forza Italia. Manovre che potrebbero essere la ragione dell’ottimismo del Professore e che almeno un poco sembrano impensierire anche l’opposizione. "Prodi ha descritto il paese dei Balocchi - ha sentenziato con sarcasmo il portavoce di Berlusconi, Paolo Bonaiuti - un paese completamente difforme dal vero. Però - ha messo in guardia - stiamo attenti, perché questa pervicacia nel difendere la poltrona contro ogni evidenza, è sospetta".
* la Repubblica, 22 gennaio 2008
intervista
Vattimo: «Dalla Chiesa strategia della tensione»
Per il filosofo torinese «ciò che non è negoziabile non può che essere oggetto di scontro». -Dal Vaticano una fede dogmatica. «Scandaloso che il Pd aderisca»
di Eleonora Martini (il manifesto, 20.01.2008)
Professor Gianni Vattimo, oggi l’Angelus del Papa si trasforma in manifestazione politica con l’adesione di parte del Pd. Cosa ne pensa?
Mi sembra scandaloso, in tempi di tensione come questi su molti argomenti etici. Non che mi aspettassi molto dal Pd, ma almeno che quella parte di dirigenza di lontana provenienza comunista non si assoggettasse completamente al vaticanismo applicato alla vita sociale. Andare in piazza San Pietro mi sembra quasi come la grande ovazione del Parlamento a Mastella, che ha suscitato soltanto desideri di emigrazione. Meno grave, ma pur sempre un segno di abbandono di qualsiasi ritegno, una cosa impudica e direi perfino oscena.
Eppure c’è chi, anche a sinistra, è convinto di vedere una deriva laicista.
Non è laicismo, è anticlericalismo. Ma se c’è una rinnovata sensibilità anticlericale in Italia, se vediamo spuntare qua e là un po’ di laicismo, bisogna chiedersi perché, a meno che non si voglia dare la colpa al demonio. Dipende solo dall’invadenza vaticana, non da altro. Negli ultimi venti anni con Wojtyla la sinistra italiana non è mai stata anticlericale, lo è diventata un poco ora solo quando le pretese del Vaticano sono diventate eccessive.
Il Pd di Veltroni considera fondamentale asserire il ruolo della religione nello spazio pubblico... Anche l’ateismo, come orientamento etico culturale, può essere considerato come una religione. Le religioni sono tante e in Italia liberamente praticabili anche in associazioni, o come entità, gruppi, e strutture architettoniche. Non vedo la necessità di chiedere uno spazio pubblico per le religioni. A meno che questo spazio pubblico non voglia dire il sabotaggio dei Dico, l’impossibilità di discutere di un tema di bioetica in maniera civile senza incontrare certi personaggi che affermano che i loro principi sono non negoziabili. Ciò che non è negoziabile, non può che essere oggetto di scontro. È questo che vogliono?
Perché allora il Pd sente questa necessità? È a rischio il «rispetto delle posizioni e del pensiero» dei cattolici, come sottintendono i 44 democratici firmatari dell’appello per l’Angelus?
Mi sembra che a rischio siano le posizioni dei laici. C’è la pretesa, ad esempio, di imporre il pensiero secondo cui il matrimonio omosessuale sarebbe contro natura, quella natura umana di cui è depositaria la Chiesa. È chiaramente un artificio per imporre le norme cattoliche anche a chi non crede: dire che i cattolici non debbono divorziare è cosa diversa che dire che per natura il matrimonio è indissolubile. Io non credo proprio che sia il Papa a difendere la verità umana.
Cosa pensa di quanto accaduto all’Università?
Mettiamo le cose in chiaro: è il Papa che non ha voluto andare, perché davvero si sente il vicario di Dio. Cosa vera dal punto di vista del dogma cattolico ma non per uno stato laico. Del resto non c’è stata un’opposizione alla religione ma alla politica religiosa del Vaticano. La presenza del papa non significa affatto la presenza di Gesù, perché Gesù con questa Chiesa, con questo papa, con la loro politica, non ha nulla a che vedere.
Perché Benedetto XVI ha scelto di essere un papa rissoso, che cerca sempre la prova di forza?
A me sembra che lui debba caratterizzarsi in qualche modo e differenziarsi da Wojtyla, molto diverso dal punto di vista umano. Credo che Ratzinger risenta del clima di una Chiesa entrata in agonia, che si sente più minacciata di quanto non sia. E così invece di esercitare la carità, che susciterebbe un po’ di simpatia, indossa la corazza. E lo fa con abili mosse come in quest’ultimo caso in cui mi sembra che fosse tutto previsto: sono riusciti a creare una tale situazione di tensione che sarà impossibile per un po’ di mesi parlare di Cus, di fecondazione, di embrioni. Saremo accusati di essere illiberali, intolleranti.
Quindi questa protesta è stata controproducente?
No, hanno fatto benissimo. Sarebbe come dire che data l’aggressività dei clericali, è meglio assecondarli per evitare conseguenze peggiori.
Quali valori rimarrebbero alla Chiesa se rinunciasse all’etica intransigente e dogmatica?
Continuare a fondare la religiosità sui dogmi della teologia naturale, che non erano impliciti nei discorsi del Gesù storico ma si sono accumulati nel corso della storia, non ha più senso oggi. Dovrebbe predicare la vita di Gesù perché paradossalmente è più vero Gesù bambino che la teologia dogmatica di Ratzinger: parla a qualcuno, dice qualcosa a chi ha bisogno di inquadrare la propria prospettiva esistenziale in una cornice mitica, non scientifica. D’altra parte, se alla verità assoluta rivelata di Ratzinger si contrappone quella scientifica e indiscutibile di Odifreddi, io mi sottraggo. Anche se in questa situazione politica, tra i due io scelgo di stare con i più deboli, quindi di oppormi al clero.
Papa alla Sapienza, il governo a Bagnasco: rinunciò il Vaticano *
Lidia MenapaceLa Chiesa non accenna a far diminuire le polemiche intorno a quello che viene definito un "caso nazionale", cioè la rinuncia di Ratzinger alla visita all’università La Sapienza di Roma. E stavolta è lo stesso governo a dover intervenire. «Il governo italiano - puntualizza Palazzo Chigi in una nota - non ha mai suggerito alle autorità vaticane di cancellare la visita di papa Benedetto XVI all’università La Sapienza di giovedì 17 gennaio scorso».
«Sia il presidente del Consiglio dei ministri che il ministro dell’Interno- si legge nel comunicato- dopo la riunione del comitato provinciale per la sicurezza e l’ordine pubblico alla quale erano presenti anche i responsabili della gendarmeria vaticana, hanno infatti comunicato alle autorità vaticane che lo stato italiano garantiva assolutamente la sicurezza e l’ordinato svolgimento della visita del santo padre».
L’intervento del governo si è reso necessario dopo l’ennesima esternazione da parte del Vaticano, che stavolta per bocca del presidente della Cei, Angelo Bagnasco, ha di nuovo attaccato la laicità dell’Italia, arrivando a criticare il paese che, secondo il cardinale, «dopo che si sono bloccati lo slancio e la crescita anche economica», ci sono in giro «piuttosto paura del futuro e un senso di fatalistico declino». Il cardinale non si era fermato qui, ma aveva anche attaccato la legge 194. Secondo Bagnasco, sulla questione aborto non andrebbe escluso «almeno l’aggiornamento di qualche punto della legge». E ancora "no" alle unioni di fatto e al divorzio breve.
«Singolare quest’affermazione di Bagnasco che il Papa avrebbe rinunciato ad andare alla Sapienza su suggerimento dell’autorità italiana - commenta la senatrice Prc Lidia Menapace - , perché mi sembra che il ministro Amato abbia dichiarato il contrario...». «I casi sono due - continua la Menapace - o Bagnasco mente e non sta bene da parte di un cardinale, o c’era un accordo tra chiesa e governo e rivelarlo in parte è altrettanto maleducato. Se è vero - conclude la senatrice - che il governo ha suggerito al papa di non andare, secondo me ha fatto benissimo».
* l’Unità, Pubblicato il: 21.01.08, Modificato il: 21.01.08 alle ore 19.02
La Montalcini a Bagnasco: d’accordo con i professori *
Ma quale «sfilacciato», il nostro è un paese «ricco di capitale umano». E se «lo buttiamo via, obblighiamo i giovani ad andare all’estero».Il premio Nobel Rita Levi Montalcini non manda giù le parole pronunciate dal presidente della Cei Angelo Bagnasco che lunedì ha duramente attaccato il governo, accusandolo di essere il responsabile della rinuncia del Papa a partecipare all’inaugurazione dell’anno accademico a La Sapienza. E ha descritto un paese distrutto, «dopo che si sono bloccati lo slancio e la crescita anche economica», dove ci sono in giro «paura del futuro e un senso di fatalistico declino». Non ci sta la Montalcini e aggiunge pure che avrebbe firmato l’appello dei 67 professori al Rettore Guarini, un documento che «approvavo completamente».
Dopo la senatrice Lidia Menapace, è un’altra donna a rispondere agli attacchi del Vaticano. La Menapace aveva giudicato «singolare» l’affermazione di Bagnasco: «I casi sono due - diceva lunedì la senatrice - o Bagnasco mente e non sta bene da parte di un cardinale, o c’era un accordo tra chiesa e governo e rivelarlo in parte è altrettanto maleducato. Se è vero - concludeva la senatrice - che il governo ha suggerito al Papa di non andare, secondo me ha fatto benissimo».
Un’altra donna contrattacca alle “invasioni di campo” vaticane. Sarà perché le ha pungolate quell’attacco alla legge 194 ha pungolato al femminista Menapace, sarà perché quell’intrusione nel mondo accademico ha innervosito la scienziata Montalcini. Fatto sta che entrambe con fermezza hanno ribattuto all’ennesima puntata di quel "caso nazionale", che è diventato la rinuncia di Ratzinger alla visita all’Università.
Questa volta anche il governo è dovuto intervenire con determinazione, a respingere le esplicite insinuazioni del cardinal Bagnasco. «Il governo italiano - ha puntualizzato Palazzo Chigi in una nota - non ha mai suggerito alle autorità vaticane di cancellare la visita di papa Benedetto XVI all’università La Sapienza di giovedì 17 gennaio scorso».
* l’Unità, Pubblicato il: 22.01.08, Modificato il: 22.01.08 alle ore 13.40
Il doppio affondo
di Mariuccia Ciotta (il manifesto, 22.01.2008)
Il papa non si è tirato indietro alla Sapienza ma ha seguito i suggerimenti delle autorità italiane. La sua non è stata una scelta libera ma un gesto «magnanimo» per non alimentare tensioni. Lo ha detto ieri il cardinal Bagnasco, che, forte dei 200.000 di San Pietro, rilancia la polemica e in continuità con Ratzinger sceglie il tono duro contro il «settarismo illiberale» che ha imposto la sua «chiassosa volontà».
L’attacco contro il governo è durissimo e riprende i temi recenti al centro dello scontro tra stato laico e chiesa, non ultimo quello sulla legge 194 che, secondo il presidente della Cei, va rivista. Il tema dell’aborto era probabilmente iscritto nel discorso annunciato del papa sulla moratoria della pena di morte e poi modificato. L’intervento mancato di Ratzinger e pubblicato dalla stampa non era certo quello previsto, anche se nessuno o quasi lo ha ricordato. Se ne è fatto carico Bagnasco, che ieri nella sua prolusione per l’apertura del Consiglio episcopale ha portato a termine la missione del papa, confermando il carattere politico del suo discorso per l’apertura dell’anno accademico.
Non un intervento di conciliazione e dialogo tra fede e ragione, ma ancora una volta la sfiducia nei contenuti etici non solo della scienza, ma della politica fuori dalla Chiesa cattolica. Questo il senso della visita di Ratzinger dalla cattedra della Sapienza, al quale il Vaticano non poteva rinunciare, e che adesso si palesa come una mazzata finale a una maggioranza disintegrata e come un’indicazione di voto per le prossime elezioni.
Questo governo, dice Bagnasco, è responsabile del declino e della paura di un’Italia «a pezzi», e che troverà la sua speranza solo nell’enciclica papale «Spe salvi». La speranza è riposta, sostiene il cardinale, nella libertà di coscienza dei deputati cattolici, che devono opporsi a «leggi inique», il che richiede una scelta trasversale rispetto agli schieramenti. La «politica buona» è dunque affidata al voto «insindacabile» di coscienza. Buon centro. Il cardinale delinea un vero programma di governo e spazia dalle unioni civili, alle quali si oppone in tutte le forme, al divorzio breve, veleno per la famiglia «fondata sul matrimonio tra uomo e donna», per poi passare alla Finanziaria, agli stipendi bassi e alle pensioni. Bagnasco fa riferimento a testimonianze raccolte dalla santa sede, per cui nell’ultimo anno «si sono aggravate le condizioni economiche di molte famiglie» a cui il governo avrebbe dato dato risposte deboli e parziali.
Un intervento a gamba tesa quello del cardinale, poco prima dell’apertura della crisi da parte dell’Udeur di Mastella, che fin dall’inizio ha voluto legare le sue vicende giudiziarie alla devozione per il Vaticano. L’applauso incassato alla camera, commossa dalle sue lacrime, suona adesso come la famosa risata che «vi seppellirà». Si ritorce contro la maggioranza - contro tutta la classe politica - la solidarietà calorosa offerta al ministro della giustizia indagato dalla magistratura e al governatore siciliano, che ha brindato, non da solo, ai suoi cinque anni di condanna per collusione con la mafia.
Ha buon gioco Bagnasco con il suo anatema contro il «vuoto di valori» della politica, della morale laica, di fronte allo spettacolo di un paese che vede la fiducia nelle istituzioni crollare clamorosamente. L’Eurispes in un sondaggio reso noto ieri rivela dati impressionanti, non solo riguardo al governo, sceso al 25% dei consensi, ma a tutte le istituzioni, scuola e magistratura comprese. Tra i dati, ce n’è uno che il cardinal Bagnasco ha trascurato di menzionare nell’apocalittico quadro del declino italiano. La Chiesa, che perde dieci punti rispetto all’anno scorso e scende al 49,7%. Non basterà l’enciclica vaticana a ridarci la speranza.