Il Psi, il governo, Tangentopoli
ecco le carte dell’archivio Craxi
di SEBASTIANO MESSINA *
TRA I 400 mila fogli, lettere, discorsi, biglietti, appunti e telegrammi che ora riempiono la stanza accanto, Stefania Craxi ne ha scelto uno, che ora è appeso alle sue spalle. E’ probabilmente l’ultimo scritto di suo padre Bettino - che lei non chiama mai "papà", ma sempre "Craxi" - e fu trovato sulla scrivania di Hammamet il 19 gennaio 2000, il giorno della sua morte. E’ un semplice foglio di bloc notes, con le righe celesti solcate dalla grafia ancora forte e decisa di un uomo forse già morente: "In questo processo, in questa trama di odio e di menzogne, devo sacrificare la mia vita per le mie idee. La sacrifico volentieri. Dopo quello che avete fatto alle mie idee la mia vita non ha più valore. Sono certo che la storia condannerà i miei assassini. Solo una cosa mi ripugnerebbe: essere riabilitato da coloro che mi uccideranno".
Ma neanche Stefania, che ha scelto in un minuto il documento da incorniciare, sa esattamente tutto quello che c’è in quei 285 faldoni nei quali è sigillata la storia di suo padre, o meglio le tracce cartacee e visuali che ne sono rimaste. Forse, per dire, non sa neanche che nello scatolone della corrispondenza personale, tra le lettere di Yasser Arafat e i biglietti di Mitterrand, c’è una lettera firmata Silvio Berlusconi.
Una lettera breve, di una paginetta, ma scritta di suo pugno alla fine di ottobre del 1984. Una testimonianza importante, perché è il tassello mancante di una vicenda decisiva, nella storia della televisione italiana: il decreto Berlusconi. Era successo che il 16 ottobre tre pretori - a Roma, Torino e Pescara - avevano ordinato l’oscuramento di Canale 5, Retequattro, Italia Uno e altri due network perché trasmettevano in diretta su tutto il territorio nazionale, nonostante il divieto allora imposto dalla legge. Berlusconi guidò ovviamente la protesta, parlò di "sconcerto, amarezza e ribellione", ma dovette tenere spente per quattro giorni le sue tv.
Finché, la mattina del 20 ottobre, il Consiglio dei ministri - convocato d’urgenza da Craxi - varò un decreto-legge che sanava immediatamente la situazione e concedeva un anno di tempo alle tv. Tutti pensarono, molti dissero e qualcuno scrisse che il capo del governo aveva voluto dare una mano al suo amico Silvio. Nessuno però poté dimostrarlo. Ebbene, la lettera di Berlusconi è la conferma che mancava.
"Caro Bettino - scrive il Cavaliere - grazie di cuore per quello che hai fatto. So che non è stato facile e che hai dovuto mettere sul tavolo la tua credibilità e la tua autorità. Spero di avere il modo di contraccambiarti. Ho creduto giusto non inserire un riferimento esplicito al tuo nome nei titoli-tv prima della ripresa per non esporti oltre misura. Troveremo insieme al più presto il modo di fare qualcosa di meglio. Ancora grazie, dal profondo del cuore. Con amicizia, tuo Silvio".
Le lettere di Craxi sono una netta minoranza, nel mare magnum della corrispondenza catalogata, perché il leader socialista scriveva spesso a mano e non conservava una copia delle missive che spediva. Tra le poche di cui è rimasta traccia, ce n’è una scritta a un compagno socialista con il quale lui ebbe rapporti altalenanti: Sandro Pertini.
Maggio 1984: Pertini è al Quirinale, Craxi a Palazzo Chigi. Ma è una lettera privata, da compagno a compagno, quella che Bettino scrive. "Caro Sandro, anche il presidente della Repubblica consentirà al segretario dei socialisti italiani di essere franco. Dopo la campagna di aggressione polemica ripresa dai comunisti contro i socialisti da quando ho l’onore di guidare il governo della Repubblica, penso che se tu ti fossi trovato tra i delegati socialisti del congresso di Verona, ti saresti unito alla loro legittima protesta con lo stesso orgoglio e la stessa energia con la quale sempre i socialisti riformisti hanno dovuto difendere il socialismo ogni qualvolta esplodeva il settarismo dei comunisti. Un abbraccio fraterno, tuo Bettino".
Cos’era successo? Al congresso socialista di Verona la platea aveva rumorosamente fischiato Enrico Berlinguer, capo della delegazione del Pci. "Io non posso unirmi a questi fischi solo perché non so fischiare" aveva commentato Craxi dal palco. Una frase che non era piaciuta affatto a Pertini (come lo stesso presidente si era premurato di far sapere al leader socialista, con una secca telefonata) e della quale lo stesso Craxi si sarebbe poi amaramente pentito, un mese dopo, al momento della morte di Berlinguer.
Uno sprazzo di luce su una vicenda ancora oggi più ricca di ombre che di luci arriva invece da una lettera che Giuliano Amato scrive a Craxi il 9 febbraio 1993. La data è importante. Lo scandalo di Tangentopoli è al culmine della sua deflagrazione: da 24 ore Silvano Larini viene interrogato dal pool di Mani Pulite, e sta raccontando di un conto "Protezione" su cui Licio Gelli ha versato sette milioni di dollari al Psi. Craxi è già stato raggiunto da un avviso di garanzia e tre giorni dopo si dimetterà da segretario. Martelli darà le dimissioni entro poche ore.
In questo clima infuocato Amato, presidente del Consiglio, scrive a Craxi una lettera di suo pugno - su carta intestata di Palazzo Chigi, ma non protocollata e dunque non classificata - che sembra avere un solo obiettivo: rassicurarlo sui suoi guai giudiziari. "Caro Segretario, prendo a calci i primi mattoni di un muro di silenzio che non vorrei calasse fra noi. E vorrei chiederti invece di avere fiducia in quel che io sto cercando di fare. Occorre certo che passi qualche giorno, che la situazione delle imprese, e non solo della politica, appaia (come del resto già è) insostenibile. E’ inoltre realisticamente utile che la macchia d’olio si allarghi. Neppure a quel punto credo che sarà possibile estinguere reati di codice. Ma credo che l’estensione per essi dei patteggiamenti e delle sospensioni condizionali sia una strada percorribile. Sto conquistando su questo preziosi consensi. E ritengo che si ottengano così procedure non massacranti, che evitano la pubblicità devastante dei dibattimenti e forniscono possibilità di uscita (...). Claudio mi pare ormai in pericolo. Apprendo che, se ci fosse un riscontro a ciò che ha detto Larini, già sarebbe partito un avviso per concorso in bancarotta fraudolenta. Io sono qua. E continuo ad esserti grato ed amico. Giuliano".
Il giorno dopo, al Senato, Amato dirà che "la questione morale è diventata, di prepotenza, prioritaria". E tre settimane più tardi, il 5 marzo, il suo governo varerà quello che passerà alla storia come il "decreto salva-ladri": depenalizzazione per il finanziamento illecito dei partiti ed estensione del patteggiamento ai reati di concussione e corruzione. Decreto che sarà precipitosamente ritirato dopo la clamorosa protesta in tv del pool milanese.
Alcuni dossier sono riservati a politici e giornalisti. Uno è dedicato a Cesare Merzagora. Un altro è intitolato "Eugenio Scalfari" e contiene cento documenti catalogati, tra i quali gli articoli dattiloscritti (consegnati dunque a Craxi prima della pubblicazione) di un’inchiesta dell’"Europeo", cinque puntate al vetriolo sul fondatore di "Repubblica".
Nomi invece ce ne sono tanti. Cossiga scrive più di tutti: lettere, biglietti, telegrammi. Una lettera dal Quirinale sembra scritta alla vigilia delle dimissioni: "Caro Bettino, non ho potuto seguire, in coscienza, il tuo consiglio di "restare". Ma ho gettato piuttosto un ponte con quel galantuomo che è Oscar Luigi Scalfaro...". Roberto Benigni nel 1991 gli manda da Porto Cesareo (Lecce) una cartolina con uno scoglio scritta nel suo stile: "Bettino, e a stare zitti ho già detto tutto. Ti saluto".
Nel 1986 Leonardo Sciascia gli scrive: "Ho votato per il Psi e per il giovane Musotto. Già da anni io voto come se ci fosse il sistema uninominale (che bisognerebbe ripristinare). Ma non è questo il punto: è che la campagna elettorale del Psi in Sicilia mi pare sia partita sul piede sbagliato: quando si vuole rinnovare, e si vuole rinnovamento, bisogna che siano nuovi gli uomini che si propongono. Questa è la terra in cui l’esperienza della storia si è coagulata nella sentenza che "’ncapu a lu re c’è lu vicirè", al di sopra del re c’è il vicerè...".
Una delle ultime lettere, dell’estate 1999, è per Giovanni Paolo II: "Santo Padre, don Verzè mi porta il Suo messaggio augurale. Grazie. L’unica grande fiducia è in Lei. Offro le mie sofferenze per il mio paese e per le intenzioni di Vostra Santità. B. Craxi".
* la Repubblica, 6 dicembre 2007.
Sul tema, nel sito, si cfr.:
LA REPUBBLICA DELLA "PENISOLA DEI FAMOSI" E UN PARLAMENTO CHE CANTA: "Forza Italia"!!!
Ansa» 2007-12-06 19:39
SENATO: L’ARCHIVIO DI CRAXI E’ CONSULTABILE ON LINE
ROMA - Le carte di Bettino Craxi sono consultabili on line collegandosi al sito internet del Senato (www.senato.it). L’Archivio del leader del Psi - informa un comunicato dell’ ufficio stampa di Palazzo Madama - è l’ultimo, in ordine di tempo, a entrare a fare parte del progetto ’Archivi on line’, promosso dal Senato della Repubblica. L’avvio della consultazione delle carte dell’ ex presidente del Consiglio coincide con il convegno "Craxi e gli Euromissili" che si è tenuto, nella Sala Zuccari di Palazzo Giustiniani, a cui ha portato il suo saluto il presidente del Senato Franco Marini. Nel 2003 il Senato - ricorda il comunicato - ha promosso il progetto Archivi on line che ha l’obiettivo di creare un archivio unico virtuale del patrimonio documentale di personalità politiche, partiti e gruppi parlamentari, conservato presso l’Archivio storico del Senato e presso Istituti e Fondazioni.
Caratteristica innovativa che contribuisce a rendere unico il progetto - sottolinea la nota - è la disponibilità in linea non solo degli inventari ma anche dei documenti, riprodotti in formato digitale. Sono attualmente disponibili circa 500.000 documenti che saranno un milione entro la primavera del 2009. Si tratta prevalentemente di corrispondenza, interviste, discorsi, materiale fotografico e audiovisivo. Nella prima fase del progetto (2003-2006) hanno aderito, insieme con l’Archivio centrale dello Stato, 11 Istituti e Fondazioni espressione di partiti e movimenti politici di diversa ispirazione ideale: l’Archivio centrale dello Stato (Acs), la Fondazione La Malfa, la Fondazione Spirito, la Fondazione Istituto Gramsci, la Fondazione di Studi storici Filippo Turati, la Fondazione Einaudi, l’Istituto Sturzo, l’Istituto per la Storia della Democrazia Repubblicana (Isder), Fondazione "Biblioteca Benedetto Croce", l’Associazione Nazionale per gli Interessi del Mezzogiorno d’Italia (Animi), la Fondazione Craxi, la Fondazione Mancini. Nel luglio 2007, ha avuto inizio la seconda fase del progetto con ulteriori 14 adesioni per un totale di 25. Tutti gli aderenti alla prima fase hanno confermato l’interesse a partecipare alla nuova fase, che coinvolgerà anche: Archivio di Stato di Ancona, Fondazione Basso, Fondazione Gentile, Fondazione Goria, Fondazione Spadolini, Comitato Francesco De Martino, Società Geografica, Istituto per la storia dell’età contemporanea (Isec), Opera nazionale per il Mezzogiorno d’Italia (Onpmi), Centro studi Gobetti, Istituto della enciclopedia italiana, Archivio storico Uil, Università degli studi di Udine, Università degli studi di Padova.
Craxi-Berlinguer il dialogo impossibile
Il socialista voleva portare nel 1984 l’«avversario» a Milano per fargli capire la nuova Italia
Il comunista arrivò a definire il primo governo a guida Psi come un pericolo per la democrazia
In un saggio di Acquaviva la stagione del «duello a sinistra» uno scontro di linee politiche ma anche di caratteri
di Marcello Sorgi (La Stampa, 03.01.2012)
La storia degli anni più difficili del «duello a sinistra» - gli anni di Craxi e Berlinguer, il «decennio lungo», come fu definito da Gaetano Quagliariello, cominciato con la morte di Moro e la fine del «compromesso storico» e finito con la caduta della Prima Repubblica - rivive in un interessante volume a cura di Gennaro Acquaviva (che in quel periodo fu a fianco del leader socialista al partito e al governo) e Marco Gervasoni, Socialisti e comunisti negli anni di Craxi, edito da Marsilio.
È un serio tentativo di rileggere in modo non convenzionale l’epoca dei fischi con cui i due leader venivano accolti dalle opposte tifoserie, della rottura più profonda tra i due maggiori partiti della sinistra, della durissima opposizione portata dal Pci berlingueriano al primo governo a guida socialista, fino al tramonto dell’ultima prospettiva unitaria in Europa, travolta, anche questa, dalla tempesta di Tangentopoli che investe in pieno Craxi e il Psi. Un modo di superare, come spiega Acquaviva, «la banalità delle vulgate, come ad esempio quella che tuttora racconta di un dissidio caratteriale esasperato tra Craxi e Berlinguer; o l’altra che imputa l’incomunicabilità tra socialisti e comunisti alle debordanti ambizioni, più da parvenu che da protagonisti, che caratterizzarono allora gli atteggiamenti e i comportamenti del gruppo dirigente del Psi, con ciò muovendo e motivando la dura opposizione condotta, anche dopo il crollo del muro, dai giovani turchi allevati da Berlinguer».
Un lungo solco divideva i due partiti già molto prima dell’inizio del «duello» che ebbe il suo clou nel mezzo degli Anni Ottanta, con lo scontro durissimo sul taglio della scala mobile deciso dal governo Craxi il 14 febbraio 1984, la morte di Berlinguer nel maggio successivo, dopo l’annuncio del referendum che si sarebbe tenuto l’anno dopo e in cui il Pci orfano e ormai post-berlingueriano avrebbe trovato una sconfitta storica.
Ma anche se certo le radici della divisione datavano dal 1956, l’anno dell’invasione dell’Ungheria da parte dell’Urss, e opponevano già Togliatti e Nenni, qualcosa di personale, se non proprio di caratteriale, tra Craxi e Berlinguer c’era di sicuro. Lo dimostrano i molti e gustosi aneddoti, sparsi qui e là tra le pagine degli interventi di Luciano Cafagna, Piero Craveri, Luigi Covatta, Luciano Pellicani, Marc Lazar, per citare i principali, e nelle testimonianze di Emanuele Macaluso, Rino Formica, Claudio Signorile, Gianni Cervetti, Carlo Tognoli, Claudio Petruccioli.
Tra tanti, uno che riguarda il famoso incontro alle Frattocchie, l’antica scuola-quadri del Pci situata in una villa vicino Roma, tra le delegazioni dei due partiti poche settimane prima dell’arrivo di Craxi a Palazzo Chigi. Con ogni evidenza si trattava di cercare di salvare il salvabile, le amministrazioni di sinistra, la collaborazione internazionale, la convivenza nel maggior sindacato, la Cgil, dall’ondata di polemiche che, si capiva, avrebbe accompagnato la formazione del governo a guida socialista, che Berlinguer sarebbe arrivato a definire «pericoloso per la democrazia».
Come ricordano ancora oggi tutti i presenti all’incontro, tutto si svolse in un’atmosfera gelida. Il leader comunista, intervistato qualche giorno dopo, si rifiutò perfino di commentare il clima, definendolo burocraticamente «né particolarmente accentuato in un senso, né in un altro». Il segretario socialista, per dare un’idea della distanza con il suo interlocutore, riferì di aver trovato Berlinguer «fermo alla televisione in bianco e nero». A un certo punto Craxi, disperato per l’incomunicabilità invalicabile del confronto, si era alzato, aveva preso sottobraccio Alfredo Reichlin, uno dei più importanti componenti della delegazione comunista, e gli aveva chiesto: «Senti, secondo te, ci verrebbe a Milano? Perché gli devo fare vedere e capire certe cose di come sta cambiando l’Italia».
Naturalmente Reichlin non aveva l’autorità per convincere il suo segretario a farsi un giro milanese con il leader del Psi. Ma in conclusione, secondo Cafagna, autore con Giuliano Amato del primo saggio intitolato Duello a sinistra, «l’episodio è interessante per comprendere che tipo di rapporto culturale c’era tra Craxi e Berlinguer».
Cambio la giacchetta
di Rosario Amico Roxas
La convinzione che basta cambiare la giacchetta per rendersi irriconoscibile, gioca brutti scherzi al cavaliere; oggi pretende poter esibire l’improvvisata effige del politico illuminato, aperto al dialogo, finalizzato al bene comune, o meglio, al bene del popolo che chiama a raccolta sotto il suo manto protettore.
Ma veramente ipotizza un popolo italiano con l’anello al naso?
Un popolo italiano che improvvisamente si riconosce nella medesima persona che ha legiferato nell’esclusivo interesse personale, per favorire le sue aziende e i suoi personali rapporti internazionali, anche a costo di mandare dei giovani a morire, assassinati dal suo egoismo.
La lettura più chiara è stata capita ormai da tutti, anche da quelli che lo applaudono a comando:
la paura della legge sul conflitto di interessi e sulla riforma del sistema televisivo tocca sul vivo gli interessi del cavaliere, così, all’improvviso, si è cambiato la giacchetta, sostenendo di essere diventato un altro uomo, un altro politico, un altro imprenditore; adesso tutto rivolto al popolo, per il popolo, con il popolo, purchè quel popolo gli dia i voti, poi....saranno c...i amari per tutti, ma intanto avrebbe il potere per cinque anni, con parlamentari fedelissimi, scelti senza dare possibilità di indicazione al popolo, utilizzando quella dittatura della maggioranza già sperimentata per cinque interminabili anni.
Veltroni cadrà nel giochetto?
Bertinotti c’è già caduto; Mastella è in bilico; Di Pietro vacilla; Dini saltella un po’ quà e un po’ là; Casini...casina; Fini tenta il recupero, pazientemente messo in fila per la leadership; Storace si è accomodato a tavola; Rotondi non si vede in giro, confuso tra la folla del suo partito; la Lega cerca la percentuale elettorale su scala regionale, altrimenti andrebbe a ramengo; la Brambilla ha modificato il suo look, adeguandolo alla seriosità del ruolo che le si prospetta, niente coscia in esibizione permanente effettiva, niente crocifisso con brillanti al collo che sballottola tra i seni generosamente esposti.
Tutto è cambiato, tutto è diverso; niente più muro contro muro, visto che ci si è scornato contro; adesso dialogo, visione dilatata al popolo, prospettive indirizzate all’equa divisione delle risorsre nazionali. Ci voleva così poco.... È bastato cambiare la giacchetta !”
Rosario Amico Roxas