Vent’anni dopo...

PALERMO, ELEZIONI. Con Leoluca Orlando, che si candida di nuovo a guida della sua città, ho lavorato per anni: è un’occasione di cambiamento reale. Il "ricordo" del prof. Luigi Cancrini - a cura di pfls

giovedì 10 maggio 2007.
 
[...] Siamo abituati a pensare alla mafia come ad una associazione spettacolare di uomini senza scrupoli che si occupano, nel mondo, di traffici di droga, di armi o di esseri umani e, in loco, di grandi appalti miliardari mantenendo rapporti importanti con i potentati della finanza e della politica. A livello nazionale e sopranazionale questa mafia è stata resa a volte perfino interessante da grandi opere di cinema e di letteratura anche nel momento in cui contro di lei lottavano i magistrati e i politici più coraggiosi. Quella che agisce in una città come Palermo, tuttavia, è una mafia diversa, piovra minuta e insieme forte di cui un paio di anni fa ci dava testimonianza il bel film di Salvatores su Don Puglisi, il parroco di Brancaccio. Interpretato in modo magistrale da Zingaretti, quel prete dava fastidio infatti soprattutto ai poteri locali, a quelli che controllavano le licenze comunali e i banchetti dove si vendono le sigarette, i piccoli spacciatori e le graduatorie per le case popolari, l’accessi ai sussidii e le possibilità di lavoro. Una rete fitta di delinquenti abituali e di persone spaventate, di prepotenti e di professionisti collusi con loro in vario modo, capace di usurpare, in buona sostanza, quelli che dovrebbero essere i poteri dell’ente locale: più forte di lui e dei suoi rappresentanti soprattutto perché tollerata e aiutata in silenzio, spesso, dai politici, dai funzionarii e dai preti meno coraggiosi [...]

Ritorno a Palermo, 20 anni dopo

di Luigi Cancrini *

Ho lavorato per anni con Leoluca Orlando a Palermo. L’idea fu allora quella di un progetto comunale, di cui mi volle affidare la direzione, per la prevenzione delle tossicodipendenze. Centrato sull’idea per cui la prevenzione che conta è quella che si fa sui bisogni, sulle sofferenze, sulle privazioni dei minori in genere e dei bambini in particolare, il progetto permise l’apertura di dieci sportelli sociali nei quartieri poveri della città, dallo Zen a Brancaccio, destinati a diventare, in seguito, i servizi di base che Palermo non aveva mai avuto. Di formare operatori validi. Di incontrare gli ultimi, quella fascia di popolazione che, a Palermo come in altre città, a Palermo più che in altre città, costituisce la povertà assoluta, quella quota di cittadini i cui redditi sono paurosamente vicini allo zero, la cui vita è sospesa, dal giorno che nascono a quello in cui muoiono, fra la devianza dell’illegalità e quella della deriva sociale o psichiatrica. La donna che era stata ritrovata svenuta di botte in un cassonetto e il bambino malato di reni che inondava della sua pipì la scuola e le strade di una città che non gli riconosceva il diritto ad essere curato restarono nei nostri cuori come il simbolo di una esperienza straordinaria su cui mi sembra importante riflettere ora, a distanza di venti e più anni, nel momento in cui Leoluca Orlando si candida di nuovo alla guida della sua città. Per dare conto di quello che abbiamo capito allora sulle difficoltà con cui si scontra questa candidatura e sugli obiettivi che si dovrebbero e potrebbero raggiungere se il voto dei palermitani andrà nella direzione giusta.

Siamo abituati a pensare alla mafia come ad una associazione spettacolare di uomini senza scrupoli che si occupano, nel mondo, di traffici di droga, di armi o di esseri umani e, in loco, di grandi appalti miliardari mantenendo rapporti importanti con i potentati della finanza e della politica. A livello nazionale e sopranazionale questa mafia è stata resa a volte perfino interessante da grandi opere di cinema e di letteratura anche nel momento in cui contro di lei lottavano i magistrati e i politici più coraggiosi. Quella che agisce in una città come Palermo, tuttavia, è una mafia diversa, piovra minuta e insieme forte di cui un paio di anni fa ci dava testimonianza il bel film di Salvatores su Don Puglisi, il parroco di Brancaccio. Interpretato in modo magistrale da Zingaretti, quel prete dava fastidio infatti soprattutto ai poteri locali, a quelli che controllavano le licenze comunali e i banchetti dove si vendono le sigarette, i piccoli spacciatori e le graduatorie per le case popolari, l’accessi ai sussidii e le possibilità di lavoro. Una rete fitta di delinquenti abituali e di persone spaventate, di prepotenti e di professionisti collusi con loro in vario modo, capace di usurpare, in buona sostanza, quelli che dovrebbero essere i poteri dell’ente locale: più forte di lui e dei suoi rappresentanti soprattutto perché tollerata e aiutata in silenzio, spesso, dai politici, dai funzionarii e dai preti meno coraggiosi. Capace fra l’altro di assicurare nel momento in cui non incontra opposizioni che rendono necessarie le manieri forti, una qualche apparenza di quiete sociale a chi non si trova in condizioni di bisogno estremo.

Molti sono i voti, ovviamente, direttamente controllati da questo insieme organico di poteri che sono insieme sfuggenti e consolidati.

Ma molti sono anche i cittadini che, nel momento del voto, pensano con paura ad uno Stato che non si è dimostrato ancora abbastanza forte per proporre un’alternativa vincente. Che hanno paura delle inquietudini e degli scontri che si mettono in moto quando le speranze dei più deboli vengono sollecitate da una promessa di riscatto e di cambiamento non sostenuta dall’entrata in campo di un potere reale. Sta qui, credo, la difficoltà maggiore di Leoluca Orlando oggi che ha bisogno del sostegno convinto di tutti quelli che credono nella possibilità di riportare ad una democrazia piena luoghi sociali dominati, ancora oggi dalla prepotenza e dalla paura. Ma che ha ed avrà bisogno, soprattutto, di una alleanza forte con tutti i rappresentanti delle istituzioni e di un’attenzione speciale, anche di ordine economico, da parte del Governo di Roma. Quello che va smascherato fino in fondo, infatti, è il gioco di una mafia costretta, per soggiogarli, a mantenere gli abitanti più deboli di Palermo in una condizione di precarietà e di povertà. Morale ed economica. Privandoli, con la capacità che ha avuto finora di influire sul governo della città, di quel diritto ai servizi su cui si fonda, nello Stato moderno, l’essenza reale della democrazia.

La mafia, voglio dire, deve essere combattuta soprattutto qui. Nel quotidiano delle coscienze e dei bisogni di sopravvivenza che tanta importanza può avere nel determinarsi e nel mantenersi di una cultura gonfia di sospettosità e di paura. È per questo motivo, credo, che la candidatura di un sindaco risolutamente orientato contro tutte le mafie desta tanta resistenza. La stessa che si nascondeva un tempo dietro la Democrazia niente affatto Cristiana di Ciancimino o di Lima e che si nasconde oggi dietro la Forza Italia di Dell’Utri. Quello che si propone da destra è, oggi come allora, il rifiuto tenace di un cambiamento necessario. Quella che Leoluca Orlando può portare diventando sindaco è un’occasione di cambiamento reale.

* l’Unità, Pubblicato il: 10.05.07, Modificato il: 10.05.07 alle ore 11.59


Rispondere all'articolo

Forum