FILOLOGIA E ANTROPOLOGIA. Ma quale differenza?! E dov’è l’identità?!

UOMO-DONNA: "I SOGGETTI SONO DUE, E TUTTO E’ DA RIPENSARE" (Laura Lilli, 1993)!!! A Mantova, Luce IRIGARAY rilancia la questione, ma - incompresa - viene "snobbata"!!!

“In tutto il mondo siamo sempre in due”. "La questione è: dobbiamo sfruttare il respiro degli altri o condividere il respiro con gli altri?"
venerdì 8 settembre 2006.
 


-  A colloquio con la teorica femminista ospite del Festivaletteratura di Mantova che si è aperto ieri. -Celebre il suo saggio “Speculum” dal quale prese le mosse il pensiero della differenza di genere.
-  Al pubblico ha presentato l’ultimo libro
“In tutto il mondo siamo sempre in due”

-  Luce Irigaray, filosofa convertita allo spiritualismo

-  di Maria Vittoria Vittori (Liberazione, 07.09.2006)

Mantova. Con la maglietta del Festivaletteratura e lo sguardo vispo, Luce Irigaray gioca a fare la ragazza. E non solo per l’aspetto: «Sono fuori dall’istituzione» ama ripetere. Ma poi racconta delle ragazze - quelle vere - che «scelgono di fare il dottorato sulle mie opere, e spesso sono molto sole. Per loro conduco da alcuni anni, in Inghilterra, un seminario internazionale. E penso di trasformare questa esperienza in un libro: Luce Irigaray teacher.

Il dettaglio intenerisce, ma non evita una domanda. Questa: dov’è finita la ragazza di un tempo? Dove la filosofia che con Speculum. L’altra donna ha segnato un passaggio significativo nel pensiero e nell’approccio relazionale e politico? L’intenzione di confrontarsi con il percorso critico di un’intellettuale multiforme - filosofa, linguista, psicoanalista - che è stata capace, all’inizio degli anni Settanta, di elaborare una nuova cultura, deve fare i conti con una conversazione continuamente interrotta. E’ sulla difensiva, Luce Irigaray, venuta qui a Mantova per parlare del suo nuovo libro, In tutto il mondo siamo sempre in due (Baldini Castoldi Dalai, pp. 414, euro 17,50); ha timore di non essere compresa a sufficienza, di essere fraintesa.

Nemmeno la sua presentazione nelle note biografiche le garba molto. «Sono stupefatta nel vedere che sono presentata come un’allieva di Lacan, che si parla di me soltanto come l’autrice di Speculum. Mi stupisce sentir dire che ho ricevuto molto dal movimento delle donne: scrivere Speculum è stato come attraversare il deserto. E ancora, che non sono mai stata veramente coinvolta nel movimento delle donne. Per questo libro, non dimentichiamolo, sono stata buttata fuori dall’Università».

Glissa sulle domande relative al pensiero della differenza, e alla sua evoluzione, anche qui giocando di rimessa, attenta a ribadire i confini del “suo” pensiero. «Si è fatto di questo pensiero della differenza un pensiero solo delle donne e fra le donne. Non l’ho mai detto. Questa era una tappa necessaria per strutturare il soggetto femminile, ma la finalità resta una cultura a due soggetti. E’ una cultura a due soggetti che ci permette di entrare nel multiculturalismo, essendo la differenza uomo-donna la prima differenza».

Proviamo a trasferire la conversazione sul piano politico. «Il problema non è far entrare le donne, è portare alla politica i valori specifici delle donne. Quelli legati ad un’identità relazionale più precoce, più sviluppata, più creativa. Mi sembra che il primo valore da promuovere nelle città sia proprio il valore della relazione. Ancora, le donne hanno a cuore la salvaguardia della natura, e la natura, dal canto suo, ha più che mai bisogno di loro; sono interessate all’abitare, alla salute, sono più predisposte ad accogliere l’altro».

Nel trasloco di argomenti che si sta effettuando, dai fermenti utilmente contraddittori del pensiero e del movimento delle donne al rapporto con la natura, la Irigaray appare più rilassata. Il motivo lo spiega lei stessa quando si tocca il tema che le sta veramente a cuore: la spiritualità. E già, perché dalla felicità come finalità ultima della politica, che affiorava nelle opere più recenti, la filosofia si è trasferita ai piani alti della dimensione spirituale. E’ di questo che desidera parlare: della cultura del respiro che, in alcuni saggi contenuti nel suo ultimo libro, assume a volte quelle indistinte tonalità che virano al mistico e profumano di New Age.

E’ qui che la Irigaray, abbandonando ogni reticenza, dà il meglio della sua nuova identità di guru. Maturata attraverso l’assidua pratica dello yoga. «A poco a poco la pratica dello yoga ha cambiato il mio modo di pensare e di vivere. La cultura dello yoga è la cultura del respiro, che è fonte di vita, e ha bisogno di riferimenti spirituali per alimentarsi. Nella cultura occidentale abbiamo criticato i valori spirituali ma siamo ricaduti nell’ideologia e nel conformismo. Invece credo che sia necessario scoprire un cammino di spiritualità che ti renda autonomo. Non è criticare l’altro che ti rende autonomo, ma coltivare il tuo proprio respiro. Questo ti dà libertà, autonomia, responsabilità, la possibilità di passare da una cultura all’altra. La questione è: dobbiamo sfruttare il respiro degli altri o condividere il respiro con gli altri?» Annuncia, la nuova e più che mai feconda Luce, nuove iniziative e nuovi progetti: e se alcuni rientrano nel suo precedente percorso - un libro che raccoglie le conferenze tenute in Italia, che uscirà tra breve da Liguori, un altro intitolato

Condividere il mondo, di prossima uscita in Inghilterra, che si muove «tra la differenza sessuata e il multiculturalismo» -, altri si preannunciano sorprendenti. Come la raccolta di interviste La vita dell’amore, e un libro di poesie che si intitola Preghiere quotidiane.

Lui, lei e la natura. Caldamente consigliato dalla vostra Luce. Spirituale.



FILOLOGIA, ANTROPOLOGIA, DIRITTO, E CIVILTA’. Alcune cit. per riflettere:


Perché il pianeta donna non è stato ancora esplorato a fondo

La parità con gli uomini non è un traguardo. Anche la definizione della de Beauvoir ,il secondo sesso, implica comunque una posizione subalterna. L’umanità non è neutra e la differenza sessuale ha un senso: proprio per questo serve la massima autonomia

di LUCE IRIGARAY (la Repubblica, 7 marzo 2004, p. 33)

Non sono sicura che l’importanza della cosiddetta liberazione delle donne sia stata bene percepita. Eppure l’espansione così rapida delle lotte femminili in tutto il mondo ne è una testimonianza.

Ma siccome si tratta di un passaggio epocale della storia dell’umanità, la cosa è difficile da immaginare. Ognuna, ognuno ne coglie un aspetto solo, inoltre a partire da sé e da oggi. Bisognerebbe anzi saltare in un altro tempo, o anticipare il futuro. E non solo come nella fantascienza ma come un altro mondo possibile, non nell’aldilà ma quaggiù.

Diventare degli uomini. L’interpretazione più immediata della liberazione femminile corrisponde alla sua identificazione con l’uguaglianza all’uomo. Questo non ha bisogno di nessun cambiamento nel modo di pensare, di nessuna (r)evoluzione culturale. Basta far entrare la donna in una categoria esistente - gli operai, gli schiavi, gli oppressi. Rimaniamo così nella stessa logica padrone-schiavo, con il volere dello schiavo di diventare il padrone e, al massimo, con una certa accondiscendenza del padrone rispetto allo schiavo, a meno che accada un capovolgimento del rapporto. Ma siamo sempre nella stessa economia, un’economia a cui le donne accettano di partecipare, sacrificando la loro libertà per perpetuarla, e ricevere per questo qualche compenso dal padrone.

Notate, in questa occasione, che, per argomentare a proposito dell’esistenza dell’uguaglianza, il padre ha bisogno di ricorrere a Dio - quello con cui la parità rimane sempre impossibile. In ogni caso, prendere l’uomo come modello della propria liberazione non è una scelta che testimonia una grande autonomia né immaginazione. Il successo dell’uguaglianza è basato sul fatto che il metodo già esiste, che fa parte di una cultura al maschile e che è mantenuto dal risentimento fuori da un reale cambiamento, cosa indispensabile per compiere la liberazione delle donne.

Diventare delle donne. La cosa è già più complessa perché difettiamo di mezzi culturali per compiere questa evoluzione. Inoltre essa richiede che le donne preferiscano essere donne e non uomini. E’ il primo, e più decisivo, passo per incamminarsi verso la propria liberazione. Ma poche donne l’hanno già superato, nemmeno sospettato. Per esempio, le famose parole di Simone de Beauvoir: non si nasce donna ma si diventa donna, non manifestano una grande stima per l’identità femminile, che sarebbe soltanto il risultato di stereotipi sociali imposti alle donne. Lo stesso vale nell’affermare che l’altro è necessariamente il secondo rispetto all’uno, come attesta il titolo Il secondo sesso. Non voglio con questo disprezzare il lavoro che Simone de Beauvoir ha compiuto ma dire che esso non basta per assicurare la liberazione della donna in quanto tale.

E’ necessario capire che: se sono nata donna, devo anche diventare la donna che sono, e che questa donna è differente, ma non seconda, rispetto all’identità maschile. Certo, diventare donna, sviluppare un’altra identità umana non può ridursi a trasferire nei luoghi pubblici tutti gli affetti e passioni che avevano luogo in casa, in parte perché la donna non godeva di altri mezzi di espressione.

Si tratta di elaborare un’identità culturale nuova, che permetta alla donna di fare sbocciare tutte le sue capacità, sia nell’intimità che nella vita pubblica. La prima mediazione indispensabile è il diritto a un’identità civile appropriata. E’ il mezzo che può assicurare la svolta dallo statuto naturale, in cui la donna è stata confinata, a uno statuto civile che consenta alla donna di essere riconosciuta come libera e autonoma nella vita pubblica - cioè che conferisce alla donna un diritto paritetico, pur essendo differente, alla cittadinanza. Una piattaforma civile appropriata alle donne è anche ciò che permette di costruire una democrazia mondiale al femminile.

Diventare degli umani. Questo passaggio dalla naturalità alla civiltà è pure necessario per superare la parte di animalità che troppo spesso regola le relazioni uomo(ini) donna(e). Se queste si fondano solo sull’istinto - sia a livello dell’attrazione sessuale che su quello della procreazione - non possono essere realmente umane. E’ vero nei rapporti amorosi e parentali ma anche nel resto della vita. E’ dunque decisivo che le donne sfuggano a uno stato di semplice naturalità non solo per loro ma per l’insieme dell’umanità. D’altronde chiedere cambiamenti a livello economico e sociale senza modificare i rapporti sessuali non conduce a un granché. Si constata, per esempio, che in certi paesi dove la parità sociale è migliore che altrove, le donne sono più violentate. Manca il riconoscimento della donna come persona, per di più portatrice di valori diversi.

Ma quali sono questi valori, domandano quelli e quelle che pensano che l’essere umano è unico e che la sua cultura è necessariamente al neutro (per non dire al maschile)? Per rispondere a questa interrogazione, ho raccolto tante parole e disegni di ragazze e ragazzi, di donne e uomini. L’analisi di questo materiale non permette nessun dubbio sul fatto che fra i sessi esiste una differenza. Questa differenza non è solo biologica o sociale, come si è immaginato. Si tratta piuttosto di un modo diverso di essere in relazione con sé, con l’altro, con il mondo.

Questa identità relazionale propria di ciascun sesso corrisponde a una maniera specifica di costruire passaggi fra natura e cultura. Non è il sintomo di un’alienazione, come ho sentito dire a proposito del discorso delle ragazze. Questo discorso si dimostra, d’altronde, molto più precoce e creativo che quello dei ragazzi, una ricchezza che si può spiegare per il fatto che la vita relazionale della ragazza è più vivace di quella del ragazzo. La differenza fra identità relazionali interviene nell’attrazione fra i sessi in un modo più umano che la semplice attrazione fisica. Essa rappresenta una fonte di energia, di creatività, di cultura che merita di essere considerata e coltivata per lo sviluppo e la felicità dell’umanità.


FLS


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