Cultura e politica

Immigrati, amici miei - di Giovanni Iaquinta

Il prezioso contributo di Giovanni Iaquinta, uomo politico impegnato, fine intellettuale e coscienza sensibile alle grandi questioni portate dalla globalizzazione
giovedì 7 luglio 2005.
 

Che la costruzione dell’Europa Unita, dopo il recente pronunciamento referendario di due importanti Stati membri (Francia e Olanda), contrari al nuovo Statuto continentale, viva un momento di empasse è un dato inconfutabile. Altra cosa è ogni lettura in termini di arresto allo stadio embrionale del processo, evidentemente sbilanciato nella giusta proporzione tra Europa dei cittadini e quella della burocrazia. Sono passaggi arditi provenienti in prevalenza da Palazzo Chigi e dintorni, per pontificare ad uso strumentale su un esito negativo di ascendenza molteplice, di lettura complessa, nient’affatto unidirezionale nell’interpretazione. Un dato serve a comprendere la miriade di pretesti e contraddizioni che soggiacciono alla vexata quaestio: le cifre in tema di immigrazione. Quale risposta a un fenomeno nebuloso di impatto epocale? Nel nostro Paese, i pronunciamenti dell’esecutivo di governo sul rafforzamento del diritto di cittadinanza, sull’incentivazione di politiche di cooperazione, sviluppo e relazione tra i popoli, sull’attribuzione della centralità alla persona in richiamo delle radici giudaico-cristiane dell’Europa («perché non anche islamiche? Perché è assente anche un solo riferimento al valore della pace, intorno al quale è nata l’Europa di De Gasperi e Adenauer»? - si domanda Curzio Maltese, fuori da cori e applausometri) sono il rovescio verbale e verboso, per mare pauperiem fugiens, di una medaglia più sinistra nella sostanza. Per capire meglio, mutuando un termine infausto dal lessico economico, la politica nazionale adottata per affrontare i grandi insediamenti di uomini in Paesi diversi da quelli in cui sono nati è in piena bancarotta. Perché? Il 20 giugno è la giornata mondiale del rifugiato voluta dall’Unhcr, l’Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i Rifugiati. Quest’anno, proprio a ridosso di questa data, Amnesty International ha presentato un quadro sconcertante: «Il modo in cui il governo affronta gli arrivi via mare sta seriamente compromettendo il diritto fondamentale di chiedere asilo e il principio di non respingimento, che proibisce il rinvio forzato di chiunque verso un territorio in cui possa esservi un rischio di violazione grave dei diritti umani». Dietro il resoconto documentato con acribìa e dovizia di particolari, emerge una situazione allarmante nella gestione dei Cpt (Centri di prima accoglienza), in alcuni casi lager a cielo aperto, per la violenza fisica perpetrata ai danni degli ospiti temporanei, sottoposti, oltre che a torture fisiche, anche a piogge farmacologiche. I fondi stanziati dall’Italia per Unhcr, in rapporto alle richieste di asilo (62.000), assegnano al nostro Paese il trofeo della collocazione ai margini - la reiterazione di altri primati sotto altra specie - dei grandi donatori, ma anche di Norvegia, Svizzera, Danimarca e Spagna, che hanno una media quinquennale di richiesta d’asilo molto inferiore (35.000). Sono voci di un disastro di una logica mai rinnegata che trova il riverbero aderente nella legge Bossi-Fini, scoppiata sul campo, nonostante le manovre edulcoranti del Viminale. La testimonianza è la reazione ai casi di stupro di Milano, Roma e Bologna, gravi atti di violenza a cui bisogna rispondere con la severità dei crimini più pesanti, senza comunque scadere nel livore xenofobo, che è nel DNA di chi sta proponendo soluzioni di castrazione per gli extracomunitari. Ma siamo proprio sicuri che siano proprio loro? Soltanto chi si ritrova in questo status viene assalito dalla flagrantia oculorum che manda in stand by la ragione, degenerando la sinapsi che si perde nei sensi? È un fatto di civiltà umana prima che giuridica, che in nessuna parte del mondo accoglie senza conseguenze gli insulti più offensivi, come l’esortazione di Bossi a sparare sui naufraghi, a «vestire gli extracomunitari da leprotti per far esercitare i cannoni», o la raccomandazione di Angela Maraventano, della Lega Nord di Lampedusa: «Umberto Bossi ha ragione. Perché non li ammazzano tutti questi clandestini che arrivano ogni giorno sulla mia isola»? Si tratta di una concezione estremistica che comporta il consolidamento dello stereotipo dell’immigrato esclusivista del crimine, che poi diventa eco incontrollata nel circolo mediatico, fino alla promozione dei luoghi comuni più elementari in provincia. E se la tendenza porta a filtrare tutto nella mondializzazione dell’economia, nella globalizzazione della tecnologia e del costume, del linguaggio del vizio e degli usi viziati, l’informazione non permette di mantenere la verginità intellettuale a nessun posto, neanche se a fare da usbergo è l’alone di santità di Gioacchino da Fiore. Infatti, non è più un’esercitazione mentale per pochi neppure a San Giovanni in Fiore, di fronte a certe ‘distorsioni’ consuete in realtà metropolitane - prima appena sulla soglia, ora ramificate in pieno in città - additare sull’onda del pregiudizio la responsabilità. E così, secondo questa perversione mentale assolutamente gratuita, i furti compiuti in città sono solo opera di extracomunitari, il fumo e le pasticche distribuiti dai loro figli (che non vanno a scuola, non vestono bene e sono asini, disturbando, per sviare le tracce, gli incroci e i semafori diventati intanto reperti archeologici), le puttane solo dell’est europeo, mentre chi le paga per raffreddare il bollore ‘protetto’ in pochi secondi viene da Marte. E l’onda lunga di una prevenzione planetaria verso il fenomeno più complicato del terzo millennio, che si può risolvere soltanto se la percezione verso di esso nasce dalla consapevolezza dell’arricchimento e dell’integrazione verso una nuova frontiera sociale, piuttosto che dalla sensazione dell’insidia e del pericolo per la convivenza civile e per la legalità. La tendenza a delinquere è scritta nel dna e nell’occasione, il crimine non lo ha mai deciso la cittadinanza sovrimpressa su un passaporto. Immigrati è bello, extracomunitari ancora meglio: è una grande scommessa. Con buona pace di chi, questa volta, non può indicare la strada dell’astensione anche su una materia così controversa.

Giovanni Iaquinta


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