Nel suo ultimo libro “Pietre di pane”, edito da Quodlibet, Vito Teti, etnologo e docente presso la Facoltà di Lettere e Filosofia dell’Università della Calabria, affronta con taglio nuovo e diverso il tema dell’emigrazione, della partenza, del viaggio. Teti capovolge il discorso e si occupa non di quelli che partono ma di quelli che restano, restano per cambiare, per non morire, per trasformare la realtà. Scrive di quelli che non vogliono abbandonare i paesi sotto i mille ricatti che la società meridionale propone e si mettono in discussione per capire cosa, e come, si può fare per vivere in maniera più onesta, civile, dignitosa. Per descrivere questa categoria cocciuta di persone Teti conia il termine “restanza”. Ma la gente del Sud non è fatta solo di chi parte e di chi resta, c’è anche chi ritorna. Si tratta di quelli chi vedono il proprio percorso “fore” in qualche modo concluso ed è venuto il tempo di far ritorno nei luoghi della propria memoria, della propria storia, per ridare, alla memoria e alla storia, nuove possibilità di generarsi. Insomma, c’è chi non cede e crede caparbiamente che alla Calabria si può, si deve, concedere un’opportunità, prima di concederla a se stessi. C’è però il rischio, in questi casi, di avvolgersi nel gorgo della retorica dei pericolosi orgogli,delle presunte appartenenze, delle scolorite identità. Insomma c’è il rischio che agisca tutto quel substrato culturale teso ad alimentare l’insopportabile e lagnosa ideologia del(giusto per fare un piccolo elenco): 1) siamo trattati male e del resto sempre lo hanno fatto,2) la storia è falsa, noi siamo le vittime,3) siamo i portatori sani di una genia diversa e superiore,4)c’abbiamo avuto la Magna Grecia e Pitagora e voi niente, ecc. ecc. ecc. Un piccolo campionario di retorica che storce l’autentico pensiero meridiano e meridionalista per scadere in un leghismo neoborbonico che non serve a nulla. Servono invece gli esempi concreti: bisognerebbe trarre insegnamento e capire le piccole vicende di chi resta e di chi ritorna. Ho la fortuna di conoscerne una, quella che vede protagonista una mia cara amica che è ritornata dopo tanti anni a San Giovanni in Fiore dopo aver studiato prima in un’università del nord Italia e aver lavorato poi all’estero. Ha deciso di ritornare, ha rinunciato a diverse opportunità che le erano state offerte. E’ convinta che qualcosa possa accadere, che possa trovare un lavoro, che questo ritorno segni una nuova partenza. All’inizio pensavo che si cullasse in qualche sogno bizzarro, ma adesso sono consapevole che non si tratta di questo perchè come scriveva Silone nel lontano ’56 ”nel nostro Sud nessun progresso può attecchire e durare manovrato dall’alto, all’insaputa e in assenza degli interessati..nessun progresso vi è concepibile che non sia progresso dall’interno,autoriscatto. Andiamo incontro al tempo,allorchè esso richiede di noi”.
domenico barberio.
articolo pubblicato su "il Quindicinale"
Tutte le volte, e non furono tante, che io son tornato nella casa dove nacqui (è in un paese montano, sul margine di faggete eterne che mai nessuno ha traversato, nel cuore più nascosto della Basilicata; e sì che vi si è a distanza pari, lassù, tra l’Adriatico, lo Ionlo, ll Tirreno, e io fanciullo coi pastori spiavo se, di tra una radura e l’altra della sommità più alta, si vedessero in lontananza scintillare insieme le tre marine); tutte le volte che sono tornato a casa, dicevo, giungendovi da Salerno per il Vallo di Diano, non appena oltrepassato il crinale che il Vallo separa dalla vallata del Pergola, d’ún subito scoprivo, là sulla costa di fronte, il mio paese nel sole, e poco più giù sulla destra il camposanto, dove dorme colei che, dando in cambio la vita sua per la mia, mi fece uomo; e accanto ad essa, dorme il prete che fece me prete.
Voi direte: il Pergola, peuh! gran fiume che è! e poi anche la valle di cotanto fiume, e poi... Adagio, lettore. Da quei monti dietro il mio paese, da quelle faggète, scende il Melandro; il Melandro per ùna matassa lenta di andirivieni va a riversarsi nel Pergola, il Pergola nel Tanagro; e così, dolce dolce, una valle appresso all’altra ora costeggiando l’uno ora.l’altro paese, antiquos subterlabentia muros, quei magri fiumi si gettano alla fine nel Sele [nei pressi della stazione ferroviaria del Comune di CONTURSI, fls], e il Sele entra nel mare a Pesto, dove I’acqua del mare serba ancora una sua certa luce: poco più su insomma dell’antica Elea, dove nacque un giorno la metafisica, come sullo Ionio a Metaponto, ora coltivata ma sempre solitaria, nacque un giorno la filosofia religiosa.
Lettor mio, vuoi proprio levarti la voglia e il gusto di darci di “area depressa”? Padrone. Io pure, rintronato sin da fanciullo tra nomi come Melandro, Tanagro, Sele, Palinuro, Elea, Metaponto, anche io mi sento quando perplesso e quando depresso. Non forse in quel senso che dici tu, ma è un fatto, sento che mi opprime, quasi un peso troppo grande, il peso di tre millenni continuati nella luce della civiltà; e se non ti dispiace, mi sento turbare tutte le volte da quelle terre, quei cieli,.quei boschi, quelle acque, quei luoghi senza gloria, così poveri e antichi. Tutte le volte. Te ne accorgerai tu pure, un giorno non lontano. **
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Questo è il paesaggio in cui si trova Contursi Terme, e questo è il sorprendente avvio dell’articolo, intitolato Ballata alla Madonna di Czestochova (“Osservatore Romano”, 25.2.1962), scritto da don Giuseppe De Luca (su invito di Giovanni XXIII, in occasione della visita a Roma del primate polacco, il cardinale Wyschinski), a meno di un mese dalla sua repentina morte avvenuta il 19.3.1962 (cfr. “Bailamme”, nn. 5-6, 1999, pp. 11 e sgg.). Egli era nato a Sasso di Castalda, in provincia di Potenza, il 15.09.1898, da una famiglia contadina.
Della sua instancabile e preziosa attività culturale, degna di nota (per i problemi qui trattati) è la cura e la risrampa, accresciuúa con ricchi dati bibliografici, della dissertazione del 1907 di Angelo Roncalli su Il Cardinale Cesare Baronio. Per il terzo centenario della morte, cfr. Angelo Roncalli, Il Cardinale Cesare Baronio, Roma, Edizioni di Storia e Letteratura, 1961.