Il mese scorso, Arrigo Colombo è ritornato a San Giovanni in Fiore: questa volta per parlare del diavolo, e credo che più di una persona che ha partecipato all’incontro non abbia compreso che per il filosofo lo studio sulla figura del diavolo ha una finalità esclusivamente strumentale. Colombo è essenzialmente lo studioso di uno dei temi più affascinanti che ha rappresentato il progetto per eccellenza che l’intera umanità insegue da sempre. Il progetto di una società diversa. Si tratta dell’idea e della speranza mai spenta e sempre insistentemente riaccesa di riuscire a costruire una società dove regni la giustizia e la fraternità. In definitiva, dunque, qualcuno direbbe subito: ecco l’UTOPIA! Ostacoli affinché si possa realizzare tale società ce ne sono stati e ve ne sono purtroppo ancora, ma chi sostiene profondamente quel progetto utopico dimostra che dal punto di vista teorico e pratico tutti gli ostacoli siano superabili. Ostacoli assoluti non ve ne sono. Ad esempio, lo studio profondo sulla figura del diavolo condotto dal filosofo Arrigo Colombo ha lo scopo di confutare la supposta credenza che vi sia un ostacolo insuperabile perché soprannaturale e surrettiziamente ontologico. Ritornando al tema principale, Colombo si occupa di utopia e ne traccia la storia rilevandone i caratteri essenziali: intanto riesce a comprendere che l’utopia, da sempre perseguita, spesso, nel corso della storia umana si è trasformata in distopia, ovvero in una distorsione aberrante, quindi in una società prevalentemente ingiusta. Il caso più eclatante è quello relativo al comunismo sovietico sul quale ritorneremo. Lo studio è molto articolato e pieno di molteplici corollari e sottocorollari che è impossibile racchiuderli in un articolo giornalistico. Tutto al più possiamo, per sommi capi, riassumerne i temi centrali. L’utopia si presenta come un’esigenza da sempre presente. L’origine potrebbe essere semplicemente quella per cui l’uomo, vivendo in una realtà sociale ingiusta e piena di sofferenza, deve costruirsi almeno mentalmente la possibilità di una società diversa. A volte supponendo che davvero in qualche tempo e in qualche luogo possa essere esistita (presunte società utopiche mitologiche). I soggetti sofferenti appartengono alle classi più povere. Il progetto utopico è dunque essenzialmente un progetto popolare. Il progetto utopico non è un progetto assurdo e fantasioso, tanto è vero che storicamente in alcuni aspetti ed in alcune comunità viene a realizzarsi (ad esempio nelle prime comunità cristiane). La realizzazione non è mai definitiva: la storia dimostra l’esistenza di un processo di acquisizione-alienazione-riacquisizione. Cioè sembra che al momento dell’acquisizione subentrino elementi contrastanti che ne alienano la realizzazione, anche se allo stesso tempo ciò serve a maturare storicamente una coscienza più forte per l’ulteriore processo di riacquisizione. Insomma utopia non è quello che solitamente l’opinione comune pensa che sia. Utopici ed utopisti non sono soltanto coloro che semplicemente immaginano il mondo alla rovescia, il paese della cuccagna, che rimangono pur sempre temi favolosi della letteratura utopica popolare, dove compaiono estremizzate sarcasticamente, alcune condizioni di vita come l’ozio, l’abbondanza ed il potere capovolto. Condizioni appunto favoleggiate dal popolo in contrasto con quelle presenti nella società ingiusta e piena di sorprusi, dove esercitano il potere e mangiano a sbafo solo i potenti di turno. L’utopia molto più concretamente appartiene a coloro che combattono, insorgono contro tutti gli ostacoli che si frappongono al passaggio da una società ingiusta incentrata sul potere dei pochi (di solito i ricchi) ad una società fraterna dove ad esempio il benessere sia equamente distribuito. L’utopia è il progetto perenne e la storia umana continua a prospettarne la possibile realizzazione. La riflessione filosofica di Colombo, impostata su uno studio attento della storia è capace di rilevarne abbastanza bene gli ostacoli che continuano a frapporsi alla costruzione della società di giustizia. L’ostacolo peggiore e più forte rimane oggi il capitalismo, che purtroppo ha resistito all’ascesa del movimento operaio, vero e proprio movimento di popolo. Anzi si è rafforzato perché l’eversione popolare viene snaturata quando subentrano forze egemoniche di natura diversa. E’ stato il caso della grande rivoluzione di popolo avvenuta in Russia nel primo ventennio del ‘900, che si prospettava come grande progetto utopico, ma che divenne subito grande visione distopica e aberrante nelle mani della nomenklatura di partito. Il popolo dovette assistere amaramente alla crudele beffa, al grande scacco secolare dell’utopia. La promessa di partecipazione popolare al potere divenne dittatura di partito, accentramento di tutti i beni di produzione nelle mani dello stato con l’economia centralizzata e pianificata attraverso ordinamenti coercitivi. L’utopia comunista neanche ebbe il tempo di muovere i primi passi che si trasformò nel suo esatto opposto, in distopia ovvero distorsione dell’utopia. Arrigo Colombo chiarisce dunque che la distopia al contrario dell’utopia rappresenta il modello di società perversa, ingiusta, da combattere sempre anche attraverso rinnovate rivoluzioni ed insurrezioni. Purtroppo tutti i grandi modelli politici succedutesi nella storia hanno prodotto distopie, società ingiuste: tutti gli imperi, le monarchie, i principati, le aristocrazie, le oligarchie, le tirannie, le dittature fino ad arrivare alla democrazia borghese nella quale viviamo. Perché il modello di democrazia parlamentare e rappresentativa non è autentico potere di popolo, ma potere detenuto da altri su mandato popolare. Cioè quel poco di pseudopotere detenuto dal popolo consiste nell’espressione pseudolibera di un voto ogni quattro o cinque anni. Il che serve agli eletti per diventare irresponsabili e insindacabili, non più censurabili e ad avere mano libera per assicurarsi, attraverso false promesse, reti clientelari, manipolazione mass-mediale, particolarismi, ricatti, di essere rieletti a scadenza di mandato. Tutto questo lo conosciamo, lo sperimentiamo nella routine delle campagne elettorali, nelle lottizzazioni, appalti, disservizi e insabbiamenti di fatti più o meno gravi, come succede nelle elezioni del parlamento dello stato, così succede anche nei vari consigli comunali. Forse qualcuno potrà risentirsi e pensare che anche questo articolo abbia alla fine esclusivamente lo scopo di denigrare il potere locale senza indicare nessuna via d’uscita. L’UTOPIA è per eccellenza la via d’uscita dalla società ingiusta e non solo favoleggiamento. Affinché il progetto utopico possa ritenersi veramente tale deve garantire la possibilità che la società sia giusta e fraterna, si viva nella comunione dei beni, lavoro, vita, affetti; si garantisca la prosperità, il benessere per tutti, la pace e la felicità. Forse qualcun altro direbbe che queste sono solo belle idee. Ebbene, gli utopici lotteranno sempre affinché queste belle idee si possano realizzare ed il Prof. Colombo aggiunge che la storia, pur attraverso intoppi di ogni genere, si dirige in questa direzione e che l’attuazione del progetto possa ritenersi sicura. Perché nei protagonisti principali, oltre alle avanguardie dei pensatori utopici, c’è il popolo che si trasforma in movimento popolare, perché si vuole liberare dalla condizione di nullatenenza, di duro lavoro, scarsità, ignoranza, sfruttamento ed oppressione, servitù, schiavitù in cui lo costringe la classe dominante. La presenza popolare è alla base di ogni legittima rivolta, rivoluzione, insurrezione, inoltre dell’aspetto insurrezionalista non si deve vedere solo il momento distruttivo in alcuni casi, purtroppo, ad esso connaturato. Alla base dell’eversione c’è un progetto verso la società di giustizia, che è un progetto fondamentalmente popolare e chi detiene il potere tenta in tutti i modi di stigmatizzare l’evento rivoluzionario vedendo in questo una minaccia per il proprio interesse. L’utopia è sempre progetto sociale, è cioè sempre pensato per tutta l’umanità, sicuramente in primo luogo per quella più sofferente, cioè per la quasi totalità delle persone. Non è visione individualistica, ha come fine l’uomo, i suoi bisogni, le esigenze, la sua libertà, la sua dignità di uomo. Il progetto utopico si giustifica da sé perché mira a costruire una società di giustizia, una società fraterna. Una società dove ognuno possa vivere dignitosamente da uomo. La dignità, la libertà, l’eguaglianza, la solidarietà sono tutti principi che si implicano a vicenda e che hanno il proprio fondamento nel soggetto umano stesso, nella sua natura potenziale originaria di essere e coessere, ossia nelle dimensioni dell’esistenza dell’essere uomo. E’ fondamentale il riconoscimento della dimensione sociale come costitutiva dell’essere specie in quanto da ciò scaturisce il vincolo sociale, il rispetto da parte di ognuno della libertà e della dignità di tutti. La Coessenza è un aspetto fondamentale: tutti siamo vincolati a noi stessi e a tutti gli altri, perché il principio di specie lo esige, esso è un vincolo etico e di natura pari a quello della propria libertà e dignità personale. La costruzione di una società di giustizia si fonda su l’essere di specie e sulla libertà e dignità della persona. Difatti, struttura portante delle società utopiche è proprio il modello comunitario. Le comunità utopiche sono un’anticipazione della società di giustizia. Il principio dell’amore fraterno vi è insito così come la comunione dei beni è presente nella prima comunità cristiana e quella dei beni e del lavoro è proposta non solo teorica ma pragmatica e politica nel socialismo cosiddetto anarchico e libertario, dove l’assenza del potere impositivo dello stato è superato da principi più alti come la virtù e l’amore. Ecco perché l’utopia ha riferimenti precisi ed in particolare quello del senso pieno della libertà e del benessere dell’uomo in generale, pensato in una o più comunità autogestite ed autogovernate, dove gli unici vincoli siano quelli etici, subordinando a questi ogni ulteriore riflessione su come debba intendersi e funzionare la sfera politica e quella economica e quindi tutta una serie di sferzate all’orrore che produce la gestione capitalistica dell’economia. In questo orrore va annoverato lo sfruttamento e l’annientamento dell’uomo attraverso condizioni inumane del lavoro, la manipolazione e la rapina nel momento del consumo; lo sfruttamento-annientamento della natura che diventa una discarica di rifiuti, l’annientamento delle norme etiche sotto l’imperativo del profitto, la distruzione delle grandi foreste, delle specie animali, lo sfruttamento insano delle risorse naturali etc. Il capitalismo che va sempre a consolidarsi è l’ostacolo più forte da superare, è la minaccia più pericolosa a cui resistere, il nemico più grande da abbattere. Capitalismo sostanzialmente corrispondente a potere della classe borghese, perché il capitale è lo strumento per eccellenza che nel processo di investimento, reinvestimento, sfruttamento e accumulazione ha favorito tale classe. Anche la tecnologia e la scienza, che potrebbero essere i mezzi di liberazione dal duro lavoro per la società intera, nelle mani dello sfruttamento capitalistico diventano il mostro da cui difendersi. Invece la tecnologia, per la sua forte capacità di rappresentare il mezzo più appropriato alla liberazione dal e del lavoro, se fatta entrare nel percorso utopico, espanderebbe di molto il tempo libero per poterlo dedicare alle relazioni sociali, alla convivialità, all’amicizia, agli affetti, all’amore, alla famiglia, alla cultura, all’arte, al sapere, alla religione, alle associazioni, alla solidarietà allo sport, al gioco. Nelle mani del capitale, invece, da strumento utopico diviene strumento di annientamento e schiavizzazione così come succede nel lavoro ripetitivo nelle catene di montaggio industriale. L’altro strumento che serve per l’autolegittimazione lo diventa lo stesso sistema democratico, il quale originariamente nasce come esigenza utopica perché legata al concetto di sovranità popolare, ma che in seguito diventa democrazia rappresentativa dove in realtà il potere non è del popolo ma detenuto dalla classe borghese attraverso la delega ai ceti politici che per lei lo esercitano. La borghesia, dalle rivoluzioni moderne in poi, ha certamente introdotto delle libertà, ma non ha mai mirato alla liberazione piena della società, così nemmeno ha mai mirato all’eguaglianza, anzi l’ha sempre contrastata per paura di perdere i propri privilegi, il suo possesso-potere che gli deriva dal capitale; ha sempre avversato il vero e giusto esercizio della sovranità popolare, capace di essere tale solo attraverso l’autogoverno e l’autogestione, ovvero la democrazia diretta, da sempre nella testa degli utopisti come esercizio politico diretto da parte dei cittadini, la quale forma supera quella parlamentare, da ritenere ancora modello rozzo, non evoluto e pseudodemocratico. La democrazia diretta insieme al modello di autogestione ed autogoverno è una forma più alta dell’evoluzione politica umana, una forma di essenziale giustizia perché tutta la comunità si ritrova nell’autogoverno a sentirsi unita come un corpo fraterno. Il modello democratico diretto, autogovernativo ed autogestionale potrebbe investire più livelli decisionali e di gestione; in particolare sarebbe fondamentale utilizzare il modello nel campo economico, ad esempio con la conversione di tutte le imprese e i servizi dello stato in imprese autonome ed autogestite oppure, più radicalmente, trasformare il capitale privato in capitale pubblico da appartenere alla stessa comunità dei lavoratori e da essa gestito per garantire un reddito che realizzi la distribuzione dei beni, riconoscendo la fondamentale eguaglianza della persona, nella dignità, nel diritto, nel bisogno. Quello dell’autogestione, autogoverno e democrazia diretta è un tema utopico a tutti gli effetti che per sua importanza tratteremo a parte in qualche altra occasione. Nelle conclusioni mi è d’obbligo informare i lettori che intorno a questi temi esiste a livello scientifico un centro interdipartimentale di ricerca sull’utopia funzionante all’Università degli studi di Lecce. Ed esiste un movimento per la società di giustizia e per la speranza, diretto da Arrigo Colombo, che ha carattere associativo e che si dirama in vari gruppi locali che man mano possono costituirsi, aderendo agli scopi e allo statuto. Anche su questo ritorneremo in altre occasioni in modo più dettagliato.
09 giugno 05
Franco Spina
La giustizia sociale non è una chimera
di Arturo Colombo (Corriere della Sera, 10.02.2015)
Da quando Tommaso Moro pubblicò nel 1516 il suo capolavoro, «utopia» significa non-luogo, cioè qualcosa di inesistente. Adesso, però, il presidente del Centro universitario di studi utopici, il professor Arrigo Colombo, ha pubblicato un volume dal titolo La nuova utopia (Mursia, pagine 454, € 26), che dà al termine «utopia» un significato diverso, come progetto di una società che non c’è, almeno finora, ma che occorre impegnarci a rendere operante, se vogliamo farla finita con il sistema politico-sociale in cui tuttora viviamo, che si identifica in una società «stratificata, discriminata, di ricchi e poveri, di potenti e deboli, di sfruttatori e sfruttati».
Giustizia, libertà e eguaglianza costituiscono altrettanti «valori etico-politici» indispensabili per rendere possibile quello «Stato giusto», senza il quale non potremo mai rendere effettivo un ordinamento capace di fare della democrazia e del benessere una concreta realtà estesa dovunque. Certo, è un processo lungo e complicato; ma per Colombo questo è «il grande tema del nostro tempo», l’unico in grado di coinvolgere tutti per un futuro migliore.
Scheda-Recensione *
Arrigo Colombo
La Chiesa, la sua defezione dal progetto evangelico di comunità fraterna e dal progetto e processo di liberazione dell’umanità Mursia, Milano, 2015, pp. 275, 20€
Nella Trilogia della Nuova Utopia che il filosofo lombardo Arrigo Colombo, attivo nell’Università del Salento- Lecce, ha scritto per l’editrice Mursia, non poteva mancare la questione del progetto evangelico di una comunità fraterna e di come la Chiesa gerarchica abbia finito per tradirlo, soccombendo al blocco della società ingiusta che domina la storia umana.
Così, dopo il primo volume dedicato al progetto di costruzione di una società giusta e fraterna (La Nuova Utopia. Il progetto dell’umanità, la costruzione di una società di giustizia, 2014) e il secondo centrato sul quadro di quella che può e deve essere una società di giustizia (La società di giustizia. Ciò che l’umanità ha progettato nel tempo e ciò che sta costruendo, 2015), l’autore sviluppa la sua riflessione sul ruolo che ha giocato e che gioca la Chiesa in questo progetto.
Di certo, spiega Colombo, la ricerca sulla Chiesa e sulla sua storia è un passo necessario per comprendere la vicenda della Nuova Utopia, quel «“non-luogo” che è il “buon-luogo”; la società che non esiste perché è la società buona, giusta, mentre domina ovunque la società ingiusta; la società che non esiste ancora, ma su cu l’umanità è protesa da sempre; e però in parte già esiste perché l’umanità la sta costruendo».
Un progetto «che l’umanità ha in sé sempre», ma che a un certo punto è stato raccolto nell’annuncio evangelico, come la “buona novella” da portare ai popoli, e affidato dal Cristo alla comunità che si era formata attorno a lui, come «la sua Chiesa», intesa, «originariamente e propriamente», come il luogo della società giusta e fraterna.
Un compito che è stato poi neutralizzato e affondato «nel blocco millenario di dispotismo, conquista di popoli, formazione di imperi, guerra perenne, espropriazione e discriminazione del popolo-povero, asservimento della donna, schiavitù», da cui però si sta liberando, «in un processo lungo e difficile» di recupero del progetto evangelico e di purificazione della fede da tutti quegli errori in cui è caduta la Chiesa gerarchica e papale: dall’assunzione del modello monarchico e imperiale alla condanna dei moderni movimenti di liberazione, dalla dottrina androcentrica e patriarcale all’oscuramento del principio fraterno e della legge dell’amore, dal rifiuto della libertà di coscienza all’etica repressiva della sessualità.
* Adista Segni nuovi, 19 MARZO 2016 • N. 11
Sul tema, nel sito, si cfr.:
IL MESSAGGIO EVANGELICO, IL PARADOSSO ISTITUZIONALE DEL MENTITORE, E LA CATASTROFE DELL’EUROPA. “Come fu possibile la hitlerizzazione dell’Imperativo Categorico di Kant? E perché è ancora attuale oggi?” (Emil L. Fackenheim, Tiqqun. Riparare il mondo).
DISTRUGGERE IL CRISTIANESIMO: IL PROGRAMMA "ANTICRISTO" DEL CATTOLICESIMO-ROMANO. LA LEZIONE CRITICA DI KANT.